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Autore: _Kurai_    20/10/2015    1 recensioni
La luna piena, un sakura ormai quasi del tutto sfiorito, e i passi leggeri di sandali di paglia sul tappeto di petali rosa e bianchi. Un fruscìo, poi un lieve sciabordìo d'acqua in una tinozza.
Anche stavolta, la missione di Arakita Yasutomo era conclusa. Alzò lo sguardo alla luna, mentre il suo corpo seminudo accoglieva la brezza notturna e le macchie di sangue sul kimono immerso nell'acqua andavano sbiadendo.
Imprecò piano, quando un rumore improvviso gli fece estrarre la spada.
Era solo un gatto.
Ripose la katana nel fodero, non senza aver accarezzato distrattamente l'incisione di un lupo alla base della lama, per poi abbassarsi a coccolare la piccola creatura nera come la notte.
Genere: Angst, Storico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Team HakoGaku, Team Hiroshima Kureminami, Team Kyoto Fushimi, Team Souhoku
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Violenza
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VI CAPITOLO
Devotion

Arakita stringeva febbrilmente l'elsa della sua spada, sforzandosi di non pensare. Percepiva chiaramente negli occhi del daimyo qualcosa che non andava, e non poteva essere solo la preoccupazione perché lui aveva insistito per combattere comunque.

Non poteva essere solo quello.

Certo, il momento in cui aveva chiamato nella stanza Kuroda, il suo vice, e gli aveva dato la sua katana chiedendogli di fargli da kaishakunin [la persona addetta alla decapitazione nel suicidio rituale del seppuku, ndA] se il daimyo non lo avesse lasciato uscire in battaglia era stato un colpo davvero basso e lo sapeva bene. Ma non era da Fukutomi avere quello sguardo, come se davanti a lui ci fosse un muro troppo alto da scalare anche con tutta la forza del mondo... ci doveva essere dell'altro, qualcosa che non aveva voluto dire nemmeno a lui.

Probabilmente c'entrava con l'assenza di Toudou, che non era a capo dei suoi uomini nonostante fosse tornato alle prime luci dell'alba.
Doveva ringraziarlo per quell'antidoto, perché si sentiva molto meno debole, anche se il dolore costante gli strappava ancora smorfie di sofferenza, che faceva di tutto per celare ai compagni schierati accanto a lui. I capitani delle squadre accanto al daimyo erano rimasti in tre, e per questo Manami aveva abbandonato il suo posto preferito per combattere a distanza ravvicinata, con una freccia già incoccata e pronta a sibilare al segnale d'inizio della battaglia. Shinkai sembrava pensieroso e inquieto, e si rigirava il suo filo d'erba tra le labbra con una certa smania. Aveva una strana sensazione, che non era causata solo dal dover nuovamente affrontare l'uomo che il giorno prima aveva contrattaccato alla sua tecnica infallibile. Era come se un'ulteriore minaccia stesse aleggiando intorno a loro, e si accorse dagli sguardi dei compagni che il suo presentimento era condiviso.
I due eserciti stavolta si scagliarono uno contro l'altro senza tanti cerimoniali, impazienti di regolare i conti.
Questa volta il daimyo si gettò nella mischia, deciso a combattere con tutte le sue forze per proteggere il feudo. Arakita era come sempre al suo fianco e menava fendenti per coprirgli le spalle, combattendo con la debolezza e il dolore che talvolta gli mozzava il respiro. Ma il daimyo era più importante della sua vita, e non avrebbe voluto essere in nessun altro posto in quel momento.

 

La katana di Fukutomi era un'arma di enorme valore, posseduta dalla sua famiglia da generazioni, caratterizzata da una pietra rossa incastonata nel manico e intarsi d'oro. Stranamente non possedeva un nome, ma era da secoli oggetto di leggende.
In realtà la katana del daimyo era accoppiata ad uno wakizashi dalla medesima fattura, ma Fukutomi non lo teneva al fianco. Egli infatti lo aveva donato anni prima alla persona in cui maggiormente riponeva la sua cieca fiducia: in quel momento la spada corta era assicurata all'obi del luogotenente Arakita, e la pietra incastonata rifletteva debolmente il pallido sole.
Si diceva che quella spada colpisse solo per uccidere, e la grande abilità nel kenjutsu del daimyo contribuiva a rafforzare quella credenza: Fukutomi era noto in battaglia come "colui che non colpisce due volte", e la sua decisione di combattere diede una scossa alla fase iniziale della difesa. Tuttavia il daimyo di Fushimi sembrava scomparso nel caos della battaglia, così come la famigerata kitsune: il comando delle truppe era stato affidato in via provvisoria al luogotenente Ishigaki, che sembrava adottare una strategia militare molto meno aggressiva del giorno precedente, come se dovesse semplicemente prendere tempo. Nel suo cuore solo Fukutomi sapeva che era effettivamente così, e per questo si apriva impetuosamente la strada tra i samurai alla ricerca del comandante nemico, per riprendere la battaglia decisiva interrotta sul nascere il giorno precedente.
Midousuji si trovava nella retroguardia, in attesa del momento propizio per utilizzare un'arma che aveva ottenuto di recente, e che necessitava di una particolare preparazione. Per quanto la sorte di Hakone fosse segnata, non riusciva a resistere alla tentazione di provarne l'efficacia e infliggere maggiori danni a un nemico già sconfitto.
Tutti i soldati di Hakone sembravano combattere al loro massimo, intenzionati a colmare la differenza numerica con la forza fisica, ma anche se molti soldati di Fushimi cadevano la situazione sembrava mantenersi invariata, come se tutto fosse un'illusione.

 

Shinkai si trovò presto in un corpo a corpo con il luogotenente nemico, che aveva dalla sua parte una superba conoscenza della tecnica ma una velocità e una potenza fisica leggermente inferiori rispetto al comandante della quarta squadra. Ishigaki era comunque un osso duro, con una difesa quasi impenetrabile, che sapeva calcolare il momento giusto per ogni attacco e valutare le aperture nella guardia di Shinkai, ma i suoi fendenti erano comunque prevedibili, e questo portò in breve a una situazione di stallo. Shinkai poteva utilizzare la sua tecnica del demone una volta sola, e non poteva permettersi di usarla subito.
 

Manami dal canto suo fremeva, impaziente di combattere contro Kishigami, con cui aveva un conto in sospeso e la cui assenza lo impensieriva quasi quanto quella del daimyo avversario.

Non lo aveva individuato neppure all'inizio della battaglia, ma sapeva che il colpo in testa della sera precedente inflittogli da Toudou non l'aveva ucciso. Percepiva la sua presenza lì intorno ma non lo vedeva da nessuna parte, e reagiva in modo esagerato ad ogni rumore o movimento sospetto, scagliando frecce contro tutti i nemici che gli capitavano a tiro.

Probabilmente la sua assenza era parte di una strategia, un'altra delle sue subdole macchinazioni. Forse voleva che abbassasse la guardia, ma Sangaku non l'avrebbe mai fatto finché non avesse raggiunto il suo obiettivo. Il suo sguardo saettava da un punto all'altro del campo di battaglia, mentre i suoi uomini schierati mantenevano un muro di frecce costante per non far avanzare il nemico oltre le fortificazioni del castello.

Komari avrebbe potuto apparire ovunque e in qualsiasi momento, ma Manami doveva mantenere la mente fredda e assolvere alle sue responsabilità di caposquadra. Sorrise. Per quanto l'incertezza di quella situazione fosse frustrante, erano quei momenti in cui la sua vita poteva finire da un istante all'altro a piacergli di più: l'adrenalina lo faceva sentire onnipotente, e tutti i sensi sembravano potenziati dallo sforzo di sopravvivere. Poteva sentire forte e chiaro il rumore della corda dell'arco che si tendeva sotto le sue dita, il fruscìo del vento tagliato dalle piume bianche della coda della freccia, il rumore secco e deciso di quando colpiva nel segno, anche a decine di metri di distanza. Poteva vedere ogni movimento intorno a lui, come se si estraniasse dal suo corpo, allargando il suo campo visivo. Fu solo grazie a questa sua particolarità che si accorse in tempo della freccia nera che puntava dritta verso di lui, e scartò di lato all'ultimo secondo per evitare che gli trafiggesse un occhio, ottenendo solo un taglio di striscio poco sotto la tempia. Si guardò intorno, alla ricerca dell'arco da cui era partita la freccia, ma in quella direzione non c'era nessuno. Vedere il sangue accese la sua smania, e dopo aver scagliato una freccia verso il punto in mezzo alle fronde da cui gli era sembrato provenisse il dardo nero iniziò a correre in quella direzione, lasciando i suoi soldati al loro compito di difesa. Se la sarebbero cavata bene anche senza di lui.

 

Lontano dal campo di battaglia, in una stanza nel luogo più remoto del castello di Hakone, “il più grande esperto di veleni dell'intero Giappone” (a volte del mondo, quando il suo ego era particolarmente stimolato) fissava il vuoto in cerca di un'illuminazione, circondato da centinaia di bottigliette colorate con etichette con scritte incomprensibili, rotoli e appunti scritti fitti fitti sparsi in ogni angolo della camera.

Aveva già provato almeno una ventina di miscele differenti, pensando a tutti i possibili ingredienti con un effetto ritardante, ma nessuna riusciva a neutralizzare il campione di veleno modificato che aveva raccolto quella mattina appena dopo il suo arrivo, ricavandolo dal corpicino di uno dei piccoli animali che ne erano caduti vittima il giorno precedente. Purtroppo ne aveva raccolta una quantità piccolissima e doveva stare molto attento a non sprecarlo, perciò gli toccava lavorare con estrema premura.

Inoltre non aveva idea di quali sarebbero stati i sintomi dell'avvelenamento con la tossina modificata, e faceva esperimenti praticamente alla cieca. Gli seccava ammetterlo, ma per ottenere un risultato efficace avrebbe dovuto aspettare che i primi sintomi si manifestassero, in modo da capire quale potesse essere l'aggiunta misteriosa.

L'aspetto positivo era che non avrebbe dovuto perdere tempo a sperimentare sui suoi compagni, perchè anche lui era stato esposto a lungo alla tossina e poteva usare i suoi stessi sintomi per esperimenti mirati, quello negativo era che anche il suo tempo era contato, e aveva poco meno di quarantotto ore per trovare una soluzione. Tuttavia non sapeva esattamente quanto i sintomi sarebbero stati debilitanti, e sperava che non gli avrebbero impedito di continuare a lavorare. Stava attento a ogni minimo segnale che il suo corpo gli lanciava, ma tutto sommato stava ancora bene, eccetto la mancanza di sonno e il vago dolore del bernoccolo risultato della botta in testa infertagli il giorno precedente da Komari. Gli veniva da piangere se pensava che aveva davanti ancora moltissime ore di veglia, fino a quando non fosse riuscito a trovare la soluzione. “Tranquillo, se fallirai poi potrai dormire per sempre, Toudou Jinpachi” disse una vocina nel suo cervello, con il tono sibilante e strafottente di Komari.

“Come vorrei che Maki-chan fosse qui...” si lasciò scappare ad alta voce, sospirando mentre cercava febbrilmente una risposta.

 

Fukutomi non credette ai suoi occhi e Arakita si lasciò scappare un'imprecazione una volta che si trovarono di fronte al daimyo avversario. Sembrava che Midousuji Akira, con il viso ancora sfregiato per la ferita inflittagli dal daimyo di Hakone, avesse dato in pasto la sua anima a qualcosa di terribile e ignoto. I suoi occhi acquosi da lucertola fiammeggiavano di una luce sinistra, e stringeva tra le mani davanti a sé l'elsa di un'enorme spada dall'apparenza a dir poco inquietante, perchè sembrava quasi vivere e pulsare di una forza sconosciuta. Su tutta la base della lama vi erano strane decorazioni tridimensionali simili a spire di un serpente o a tentacoli, e i due ci misero un istante di troppo a notare che si stavano muovendo, e che si avvolgevano anche intorno al braccio destro del daimyo fondendosi con la sua armatura.

Il daimyo di Fushimi attaccò per primo, e Fukutomi parò con tutte le sue forze, ritrovandosi a indietreggiare di qualche passo contro la sua volontà. Arakita cercò di sfruttare l'apertura creata dall'attacco, ma per un istante sembrò quasi che la spada di Midousuji avesse cambiato forma solo per assorbire e deviare il suo fendente. Il luogotenente pensò per un attimo di avere ancora la febbre alta (il che comunque era probabilmente vero), ma poi si voltò e vide riflesso negli occhi di Fukutomi il suo stesso sguardo incredulo, e tornò in guardia al suo fianco, evitando con un passo indietro un affondo diretto contro di lui.

“Considererò la vostra ostinazione ad attaccarmi in due come un'ammissione di debolezza, degna degli scarafaggi che siete” sibilò Midousuji tra i denti, sorridendo.

 

Dopo un tempo infinito di combattimento senza sosta, sembrava non potesse esserci una soluzione al confronto tra Shinkai e Ishigaki se uno dei due non avesse tirato fuori un asso nella manica: il comandante della quarta squadra si era quasi deciso ad utilizzare la sua tecnica, stanco della strenua resistenza dell'altro che puntava al logoramento dei suoi nervi. Tuttavia il modo di combattere di Ishigaki Koutarou era molto diverso da quello del suo comandante: non vi erano attacchi a sorpresa, finte o colpi bassi, era tutto studio attento e misurato dell'avversario, intriso di una forza data solo dalla concentrazione e dalla devozione alla sua causa, oltre che da anni di intenso allenamento all'ombra di un daimyo che occupava il posto che avrebbe dovuto essere suo.

Combattevano come in una danza, ed entrambi deviavano e incassavano colpi che risuonavano contro il ferro e il cuoio delle armature, in un lento logoramento che sembrava non avere fine.

Eppure bastò un attimo: Ishigaki trovò un'apertura nella guardia di Shinkai e si lanciò all'attacco, ignaro che si trattasse di una finta. Shinkai scartò in un istante e seppe approfittare dell'improvvisa vulnerabilità del luogotenente: con un balzo in avanti mirò un fendente talmente potente da tagliare a metà la corazza di Ishigaki come burro, disegnando sul petto dell'avversario un profondo taglio diagonale. Koutarou cadde in ginocchio.

Hayato fece un passo avanti e minacciò la gola del luogotenente di Fushimi, fissando il suo sguardo nei suoi occhi scuri e fieri, nonostante tutto.

Poi, per un istante, mentre alzava la spada per porre fine a quell'interminabile duello e alla vita di Ishigaki, di colpo a Shinkai mancò il respiro e iniziò a tossire, come se stesse soffocando per qualche motivo sconosciuto. Sentiva un sapore vagamente ferroso, e pensò che nella foga della battaglia doveva aver preso un contraccolpo più forte degli altri o che gli fosse schizzato in bocca un po' del sangue del nemico nel momento dell'attacco precedente. Riprese subito il controllo di sé, ma quel momento di distrazione era bastato al luogotenente per rialzarsi sorreggendosi con la spada e allontanarsi dal suo avversario, come se fosse guidato da un presentimento o una forza invisibile verso il punto dove i due daimyo combattevano. Era ferito, ma avrebbe ancora potuto fare qualcosa.

 

Midousuji rideva, con lo sguardo fisso negli occhi di Fukutomi, mentre lo incalzava senza un attimo di pausa. Arakita cercava di tenere lontani i soldati di Fushimi dal combattimento tra i due daimyo, in modo che non interferissero: al comandante era bastata un'occhiata per fargli capire che non voleva più che intervenisse, e lui era tornato al suo posto. C'erano mille modi in cui poteva supportare il suo signore in quel momento, in fondo, e si rendeva conto lui stesso che non avrebbe potuto tenere testa a Midousuji a lungo, in quelle condizioni.

Fukutomi schivava e parava i colpi sempre più rapidi e ravvicinati della spada dell'avversario, che non sembrava essere minimamente stanco e continuava a sorridere. Ad un certo punto Midousuji sembrò perdere per un istante il suo baricentro e si sbilanciò all'indietro, mentre caricava un colpo dall'alto più potente degli altri: Fukutomi non perse l'occasione di mirare alla sua gola, sempre rigorosamente scoperta, ma mentre la sua spada si trovava ancora a mezz'aria il tentacolo di metallo si srotolò parzialmente dalla lama e saettò come una frusta nella sua direzione, avvinghiandogli il polso e iniziando a stringere.
Le spire iniziarono ad avvolgersi risalendo il braccio del daimyo, che cercava di divincolarsi e non lasciar cadere la spada, tentando di scrollarsi via il serpente metallico con movimenti bruschi e decisi, senza risultati. Più si muoveva e più le spire stringevano, e Fukutomi iniziava a faticare a mantenere la sua espressione impassibile. Cercò di liberarsi con uno scrollone più potente degli altri, e capì troppo tardi che era stata una pessima idea. Sentì un terribile scricchiolio e poi il rumore di qualcosa che si spezzava, quindi un dolore bruciante si irradiò dal suo avambraccio. Quell'arma infernale stava cercando di frantumargli le ossa, e ci stava riuscendo.

 

Midousuji iniziò a ridere più forte.

Era una risata spaventosa, ma si accordava perfettamente all'aura di minaccia emanata dal daimyo.

 

È così divertente vedere gli insetti combattere per la loro vita quando sono intrappolati” pensava.

Incalzò Fukutomi da subito, deciso a porre fine una volta per tutte a quel combattimento, anche se in realtà avrebbe preferito divertirsi ancora un po', vedendolo soffrire lentamente mentre assisteva al macabro spettacolo dei suoi uomini che morivano come mosche... ma in fondo quello stratagemma del veleno era solo una sicurezza ulteriore per il suo piano già perfetto, preferiva mille volte fare a modo suo.

Voleva una vittoria assoluta e schiacciante.

Nello stesso istante, come comandata da una forza misteriosa, la pietra incastonata nella spada di Fukutomi iniziò a brillare di una pallida luce cremisi, così come lo wakizashi alla cintura del luogotenente, che stava combattendo con due soldati di Fushimi poco lontano. Arakita si girò di scatto, e vide che il daimyo era in difficoltà. Con un fendente e un affondo si liberò di entrambi gli avversari, ma la sua Ookami rimase incastrata tra le placche dell'armatura di uno dei due, rimasto a terra morente. Non aveva tempo per estrarla, e sfoderò lo wakizashi illuminato da un vago bagliore rosso iniziando a correre in direzione del daimyo.

Quello che accadde nell'istante in cui colpì il serpente argenteo fu una sorpresa per tutti, perfino per Midousuji.

Una scossa si irradiò dal punto di contatto delle spade, talmente forte da far vibrare il terreno, mentre la luce delle due pietre rosse esplose in un flash accecante. Arakita venne sbalzato all'indietro dalla forza sconosciuta racchiusa nell'arma di Midousuji, sbattendo con la schiena contro un albero poco lontano.

Perse i sensi.

Tuttavia le spire si rilasciarono con un rumore sordo e sferragliante, tornando ad avvolgersi intorno alla spada infernale e lasciando le protezioni del braccio di Fukutomi totalmente distrutte, con alcune schegge che gli avevano perfino penetrato la carne, mentre il dolore si irradiava in tutto il suo avambraccio. Ma non aveva importanza, il daimyo doveva continuare a combattere. Se anche tutte le sue ossa si fossero sbriciolate, non avrebbe mai permesso al signore di Fushimi di prendere ciò che era suo. Per qualche minuto non riuscì a vedere nulla, ma rimase in guardia stringendo la spada senza vacillare nonostante il dolore.

Una volta che ricominciò a distinguere le forme intorno a lui, capì che era la sua unica occasione.

Dal poco che riusciva a capire nel mondo in dissolvenza che lo circondava, Midousuji sembrava ancora disorientato e accecato dalla luce.

 

Shinkai si riscosse un secondo troppo tardi, più o meno nello stesso istante in cui si rese conto che non riusciva più a sentire le dita della mano sinistra. Probabilmente la ferita del giorno prima si era riaperta. Perse la calma, e il filo d'erba che aveva tenuto tra le labbra durante tutto quel tempo cadde a terra.

Hayato si lanciò verso l'avversario, che con una traiettoria casuale e confusa era quasi riuscito a raggiungere l'estremo limitare del campo di battaglia. Ora era una sua responsabilità, non lo aveva ucciso quando avrebbe dovuto e se fosse successo qualcosa sarebbe stata solo colpa sua.

 

Manami l'aveva fatto di nuovo.

Una scelta incosciente, senza valutarne minimamente le conseguenze.

Da solo, nella foresta che circondava il campo di battaglia, senza nessuno a coprirgli le spalle. Solo con il suo arco, la sua spada e una quantità di adrenalina tale da giustificare qualsiasi cosa. Komari era lì, lo sentiva. Per quanto all'interno della gerarchia del feudo di Fushimi sembrava fosse un semplice soldato, era stato fino a quel momento l'elemento più problematico dell'attacco nemico, e Sangaku non poteva perdonargli lo smacco della notte precedente. Non riusciva a intuire il limite delle capacità del suo avversario, che sembrava possedere grandi abilità sia nel combattimento a distanza che nella creazione di veleni, oltre che una certa conoscenza delle tecniche ninja di manipolazione. Eppure doveva avere un punto debole, e anche il comandante della sesta squadra non aveva ancora messo allo scoperto tutte le sue carte.

Era il momento di scoprire chi fosse il migliore.

In quell'istante un'altra freccia partì dall'alto, da un punto imprecisato sopra la sua testa. Questa volta si trattava di un semplice dardo di legno scuro con una punta in ferro e quattro piume striate di azzurro a ornarne la coda affusolata. Sentendola arrivare, Manami sguainò la spada e la intercettò a mezz'aria, e un istante dopo Kishigami Komari fece la sua comparsa, scendendo dall'albero subito davanti a lui con un balzo. Aveva una benda intorno alla testa, ma la sua aura di minaccia non era per nulla cambiata. L'arco che aveva scagliato le due frecce doveva essere rimasto sull'albero, e stringeva nella mano destra una kusarigama (una falce da combattimento con una catena e un peso all'estremità, ndA), dimostrando di essere preparato anche al combattimento a distanza più ravvicinata; nel medesimo istante i due coprirono con due ampie falcate i pochi metri che li separavano.

Per quanto la specialità di Manami fosse il kyudo, aveva anche discrete abilità nel kenjutsu, anche se pochi ne erano a conoscenza. Arakita una volta nel dojo del castello lo aveva chiamato “bambino prodigio”, perchè lo aveva preso di sorpresa strappandogli un memorabile ippon (un punto per un colpo mandato a segno, dalla terminologia del kendo ndA) durante un addestramento, diversi anni prima, ma poi Sangaku aveva perso l'incontro in modo altrettanto memorabile, perchè aveva la testa troppo tra le nuvole e odiava le regole.

Si basava però sull'istinto, e i suoi attacchi erano spesso talmente avventati e imprevedibili da andare a segno il più delle volte. In realtà amava troppo la libertà e la sensazione di potere che provava tirando con l'arco, e con la spada tendeva a combattere al suo massimo fin da subito stancandosi in fretta, anche a causa degli strascichi della salute debole che aveva avuto da ragazzino.

 

In una frazione di secondo Fukutomi decise di attaccare, mentre ancora il mondo tutto intorno a lui era composto da ombre confuse. Strizzò gli occhi.

Il dolore del braccio lo aiutava a concentrarsi, e la sagoma inconfondibile di Midousuji era lì, di fronte a lui.

Poi, fu un attimo.

Un affondo disperato e cieco, dritto davanti a sé.

Il rumore viscido della spada che trapassa la carne da parte a parte, come al rallentatore.

 

Poi, i suoi occhi tornarono normali. Il mondo non era più bianco, anche se era ancora leggermente appannato.

Davanti a lui, un'altra volta, il luogotenente di Fushimi gli aveva impedito di mandare a segno l'attacco decisivo.

Tuttavia, questa sarebbe stata l'ultima.

Anche Midousuji aveva recuperato l'uso della vista, e davanti al sacrificio del suo luogotenente rimase in silenzio.

Fukutomi era impietrito, e così Shinkai a pochi passi da lì, che aveva assistito alla scena.

 

Koutarou sorrideva.


Ed è finito anche questo... mi scuso di nuovo per il ritardo perchè il disagio da tesi scorre potente, anche se cerco di sforzarmi di aggiornare con intervalli di tempo ragionevoli XD Spero di essere riuscita a catturare almeno un po' l'attenzione di voi che siete arrivati fin qui, visto che è la prima volta che scrivo una fanfic così lunga (e che probabilmente avrà ancora altrettanti capitoli), e che non ci sia troppa gente che se la prenderà con me per la sorte del povero Ishigaki (giuro che è stato lui il motivo del mio ritardo, il capitolo era pronto già due settimane fa ma finirlo è stata un'impresa...) ^^''

Detto ciò, grazie per aver letto e alla prossima!

_Kurai_

 

   
 
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