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Autore: DianYronwood    26/10/2015    0 recensioni
Prendete parte a una storia che trasuda di avventura e mistero, in cui i principi sono la forza, l'onore, il rispetto, la gloria, la volontà, la libertà... Nessuno farà inginocchiare Astrid, lei è Libera. Ma in costante pericolo, un pericolo di cui non rammenta l'esistenza, ma che la sta seguendo e che cercherà di ucciderla. Perché non si ricorda della sua vera natura? Cosa succederà quando scoprirà che il suo passato è solo un'ammasso di menzogne? Ma sopratutto, cosa farà a coloro che minacciano la sua libertà?
Dal testo: "Non ti devi fidare di me, Astrid." Mi sussurrò all'orecchio, con voce dolce, apprensiva. "Ti stavi lasciando andare. Non devi. Non ora." Disse ancora, preoccupato. "Non fidarti di nessuno. Ti stanno cercando."
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Il tiro mancino che Loki mi aveva tirato mi aveva reso così furiosa che stavo quasi per rovesciare la mia stanza, gettare tutto, rompere qualsiasi cosa mi trovassi davanti.

 

"Loki!" Urlai poi, digrignando i denti e ringhiando di rabbia, abbattei i pugni contro il legno massiccio della porta, avevo voglia di accasciarmici contro, lasciarmi andare alla delusione del suo inganno.

 

Avevo paura che mi si sarebbe ritorto contro, in un certo senso lo sapevo, cosa mi sarei mai aspettata dal Dio dell'inganno?

 

Ero una stupida ad essermi fidata così ciecamente di lui, mi aveva avvicinata in modo quasi assurdo, era palese che ci fosse qualcosa sotto, e ora che aveva trovato quello che cercava cosa ne avrebbe fatto di me?

 

"Io lo ammazzo!" gridai a squarciagola, soffocando un singhiozzo e mordendomi le labbra.

 

Io gli avevo mostrato la mia debolezza e lui se ne era approfittato.

 

Questo bastò per riaccendere la mia furia omicida, scattai fuori, bruciando di rabbia, sbattei porte, portoni, spaventai serve e spintonai soldati, rovesciai candelabri e infine mi abbattei contro il portone massiccio delle stanze di Loki.

 

Lo chiamai urlando a gran voce e il suo nome rimbombò ovunque.

 

"Oh, eccola." esordì Loki rilassato, seduto su un divanetto a leggere un interessante e raro libro sulle rune e le più particolari leggende legate a queste.

 

Sembrava che mi stesse aspettando, che le sue macchinazioni procedessero alla perfezione secondo il suo piano.

 

"Tesoro" disse poi, chiudendo il libro ed alzandosi in piedi.

 

"Se non fossi stordita dalla tua stessa rabbia, ti accorgeresti che la porta si apre tirando, e non spingendo come stai facendo tu."

 

Tirai la porta con violenza e la sbattei con forza facendo tremare i muri. La sua calma non fece altro che gettare legna nel fuoco della mia rabbia.

 

"Loki!" gli gridai contro un'altra volta.

 

"Tu!" lo indicai accusatoria con l'indice. "Maledetto ladro bugiardo! Tu mi hai usato per avere quel dannato libro!"

 

"No, Astrid, non l'ho fatto, l'ho fatto per te."

 

"Per me? Tu non hai idea di come io stia! Su quel libro c'è la verità su di me! Ed è bianco! Lo capisci?! Bianco!"

 

"Non è di certo lì che troverai la tua verità, Astrid! Deve smetterla di cercare! Mi hai capito?" Questa volta alzò la voce e fece un passo in avanti, mentre io indietreggiai lontano da lui.

 

"Tu non capisci in cosa ti stai cacciando." Mi disse a denti stretti. "Se vuoi vivere devi fare come dico io, lo sto facendo per te."

 

Adesso guardavo il pavimento, di freddo marmo grigio, dalle venature più chiare e più scure, con gli occhi spenti del furore.

 

Chi credevo di essere ora si rivelava davvero come una maschera, una copertura per qualcosa di grande e pericoloso, e lui lo sapeva, ma non me lo voleva dire.

 

Secondo lui era per il mio bene, ma io non potevo vivere una vita che non era la mia, mi sentivo come davanti a un enorme muro, sentivo di conoscere cosa c'era al di la delle pietre, ma di non riuscire a ricordarlo senza vederlo, avevo bisogno di una fune e Loki era l'unico ad averla, e se non me l'avesse data, me la sarei presa.

 

Da sola.

 

"Non hai il diritto di nascondermi la mia stessa natura." I miei occhi viola sembravano in fiamme, erano duri e ardenti di rabbia, ma questa rabbia non era esplosiva come quella provata precedentemente, ma logorante e folle, che portava a fare le azioni più scellerate, guidate dall'ira e dall'orgoglio, invece che dalla ragione.

 

Lo minacciai con lo sguardo e un insano senso di belva iniziò a graffiarmi il petto per uscire, sentii il mio ciondolo di luna bruciarmi al collo e gli occhi mi si inondarono di sangue.

 

Nel suo viso vidi un'ombra di terrore, sapeva di aver risvegliato qualcosa, qualcosa di molto pericoloso, e ora ne aveva paura.

 

"Se tu non mi aiuterai, Loki, troverò il modo di scoprire da sola ciò che mi nascondi."

 

Non era una minaccia, era un avvertimento.

 

Lui rimase a bocca aperta, per un momento era scoraggiato, poi si riprese.

 

"Ricordati che lo faccio per te, Astrid."

 

"Perché mi ami, forse?"

 

'Sì' voleva rispondere, ma non fece in tempo a negare freddamente che io continuai ad attaccarlo.

 

"Perché mi ami e temi per la mia vita? O perché è la mia vita a servirti?"

 

Questa frase fu la goccia e spense definitivamente la pazienza del Dio.

 

In breve tempo me l'avrebbe fatta pagare, ne ero certa.

 

Mi raggiunse con passi adirati e fece per colpirmi.

 

Tenni il mento alto e gli occhi duri.

 

Lo sfidai a farmi del male e lui non ce la fece.

 

Si girò verso il balcone e io me ne andai sbattendo la porta alle mie spalle.

 

'E ora?' Fu la prima cosa ne pensai, mi sentii persa, il freddo corrermi lungo tutte le braccia e mi strinsi forte.

 

'Ora devo fare il mio lavoro.' Andai nella mia stanza e in silenzio indossai la cotta di maglia, misi la cintura e ci appesi la spada, presi la lancia appoggiata alla parete e la guardai senza pensare a nulla.

 

Era venuto il momento di proteggere me stessa.

 

Tenevo in mano un comando di Padre Tutto, tanto importante che l'unico a doverlo leggere doveva essere suo figlio Thor.

 

Era un compito semplice, dopo tutto, l’ideale dopo una notte così movimentata, mi sarei fatta una passeggiata nel castello, limitandomi a consegnare una lettera scritta e sigillata da Odino stesso, per poi andarmene e iniziare i camminamenti di guardia nel palazzo reale e lungo le mura.

 

Semplice e coinciso. Facile da ricordare.

 

Se solo non avessi udito una voce particolarmente fastidiosa al mio orecchio, una che non avrei più voluto sentire per parecchio tempo.

 

Non era possibile che Loki mi tormentasse la vita in questo modo, lo trovavo ovunque andassi, come se mi seguisse o mi volesse tenere sott’occhio.

 

Tutto ciò era molto sospettoso ai miei occhi, iniziavo a pensare che la cosa fosse davvero seria.

 

E feci bene a rendermene conto.

 

Ad ogni modo avevo un compito da svolgere, stavo quasi per bussare e spalancare la porta, quando le voci divennero frasi.

 

Appoggiai cauta l’orecchio alla porta per sentire meglio e mi resi conto che Loki e Thor stavano litigando.

 

Urlavano e si attaccavano, ma ciò che fu più chiaro era quello che Thor continuava a ripetere.

 

“Devi smetterla, Loki. Tutto quello che dici non ha senso, solo perché mi ha atterrato non vuol dire che sia cospirando contro di me!”

 

Sembrava deciso, ma i suoi occhi tradivano l’imbarazzo nel ricordarsi ciò che era avvenuto davanti alla biblioteca, se ne vergognava. Forse il Dio, oltre all’arroganza, aveva anche un cuore buono, quasi ingenuo.

 

Anzi, soprattutto ingenuo.

 

“Fratello perché continui a difenderla? E’ una dannata strega manipolatrice, nessuno dovrebbe fidarsi di lei!” Gli rispondeva Loki, tagliente ed infuriato.

 

“Non parlare di lei in questo modo davanti a me.” Lo ammonì il dio del Tuono.

 

“Avanti, Thor, lo sa tutto il palazzo che hai una devastante cotta per lei.”

 

“Questo non centra, stai mentendo, come tuo solito d’altronde.”

 

“Non parlarmi in questo modo o te ne pentirai. Quella donna è solo una puttana dal bel faccino che sa far ruotare una lancia. Sai quante volte mi ha scaldato il letto? Mentre tu non sei riuscito a scopartela nemmeno una volta. La prossima volta prova a lanciarle una moneta d’argento, magari ti cadrà miracolosamente tra le braccia e-“

 

Era davvero troppo, non sopportai oltre un insulto del genere alla mia persona, spalancai la porta sotto lo stupore di Thor.

 

Loki era li, in piedi, nella sua casacca verde e dorata, per nulla stupito del mio arrivo, anzi, sembrava soddisfatto di avermi finalmente vista entrare.

 

Mi stava aspettando.

 

Era stata tutta una recita, una macchinazione, ma ero troppo infuriata per rendermene conto.

 

In realtà lo sapevo, e forse fu quello che mi fece arrabbiare ancora di più.

 

“Maledetto figlio di puttana, io ti ammazzo!” Gli gridai, fiondandomi addosso a lui e puntandogli alla gola la punta affilatissima della mia lancia, dimenticandomi della missiva per suo fratello.

 

“Ehi, state calmi, tutti e due.” Ci riprese poi Thor, appoggiando una mano sull’asta di frassino dell’arma per convincermi ad abbassarla. “Astrid..” Disse con un filo di voce mentre io sbranavo con gli occhi suo fratello.

 

“Me la pagherai, puoi giurarci.”

 

Prima di sparire da quella stanza, lasciai la missiva sulla scrivania di Thor, poi uscii a passo di marcia, lasciandomi dietro una scia rabbiosa, gli occhio violetti che infiammavano di furia.

 

Dei suoni familiari mi avvisarono che era orario del pranzo, e la mia pancia iniziò a ruggire di fame, i miei piedi, come automi, mi portarono nell’antro caldo che erano le cucine.

 

Passare di li’ mi metteva sempre di buon umore, vedere quelle donne abbondanti correre da un lato all’altro del locale in pietra, con sorrisi ciclopici sempre appuntati sulle loro bocche riportava in un altro mondo, lasciando tutta la frustrazione fuori da quelle porte.

 

“Allora, bella Astrid! Ti sei allenata questa mattina?” Le chiee una ragazza bionda, dagli occhi rotondi e dolci.

 

“No, purtroppo, ho avuto da fare, ma oggi pomeriggio sarò nel cortile interno a tirare con l’arco.”

 

“Per rifare le chiappe a Thor, eh? Nel tiro con l’arco non ti batte nessuno, sei una cacciatrice nata.”

 

“ Grazie mille, sei sempre troppo gentile con me.” La guardai con un sorriso sincero, mentre mi salutava e mi appoggiavo al tavolo ligneo, aspettando un piatto di pane e formaggio che non esitò ad arrivare.

 

Famelica mi ci fiondai subito, con una fetta di uno in mano e una dell'altro nell'altra, determinata a finire il mio pasto prima che gli altri arrivassero.

 

In una mattina avevo già sforzato troppo la mia già misera pazienza, ci mancava solo la presenza di Sigurd, le sue frecciatine e le occhiate inquietanti.

 

Pochi minuti e rimanevano solo delle briciole nel piatto, mi alzai e lo portai nella vasca di acqua, salutando poi le cuoche e avviandomi verso il cortile interno per iniziare a sistemare le mie attrezzature per il tiro con l'arco.

 

Proprio mentre mi avviavo verso il corridoio, tutti i miei compagni d'armi si stavano dirigendo a mangiare, feci un cenno di saluto a qualcuno di questi, dandogli poca attenzione.

 

" Astrid, vai nel cortile a tirare con l'arco?" Mi chiese uno.

 

"Sì" Lo liquidai in fretta, mentre mugugnavano qualcosa a riguardo.

 

Avevo guadagnato come minimo una ventina di minuti di tranquillità con la mia arma, appesa alle travi orizzontalmente, un legno rigido dal colore caldo con scene di caccia intagliate con poca manualità ma tanta dedizione.

 

Presi lì accanto una sacca di pelle che conteneva cuspidi di frecce di ricambio, una piccola lama poco affilata e le corde di ricambio per l'arco, le appesi alla cintura, afferrai l'arco e mi sedetti su una panca di pietra nel cortile.

 

Con cura ingrassai il legno, lo incastrai tra le gambe e con una minima spinta lo piegai fino ad essere in grado di infilare la corda.

 

La tensione era perfetta per me.

 

Appoggiai l'arma sulla spalla e andai a riprendere la faretra da coscia, riempiendola di dardi, godendomi il silenzio e la pace della solitudine.

 

Avevo il tempo necessario per curare la mia tecnica e migliorarla, non curando tanto la mira, quanto la tensione, l’incurvatura e la posizione: cose che per gli altri sembravano futili, ma ero io a centrare sempre il bersaglio senza prendere la mira, era come se i dardi vedessero con i miei occhi e rispondessero obbedienti ai comandi delle mie dita.

 

Il tiro perfetto giungeva quando la posizione viene semplice quanto camminare e non era più necessario nemmeno pensare a cosa fare, poiché il corpo prende questo come la naturalità del respirare.

 

Mi misi in piedi, ergendomi e gonfiando il petto, con concentrazione alzai l’arco mentre ne tendevo la corda, con la freccia già incoccata.

 

Mi concentrai sulla precisione dei movimenti, che mano a mano corressi nei minimi dettagli.

 

Con il braccio dolorante lasciai la corda con un sospiro, seguendo la freccia nella sua corsa.

 

Pericolosamente vicina al bersaglio.

Ne incoccai un’altra e la vidi avvicinarsi di più al mio obbiettivo.

 

La terza decisi che sarebbe andata a segno.

 

Detto fatto: centro perfetto.

 

Avevo a malapena finito di cercare un altro dardo che delle voci arrivarono dal corridoio e si espansero sul porticato.

 

Avevo calcolato male il tempo che mi separava dalla massa informe che era appena arrivata, avevo tergiversato eccessivamente.

 

“Dai ragazzi!” seguì un ruggito e un gruppo di pugni alzati. Avevamo il pomeriggio libero ed era stata indetta una gara di tiro con l’arco, per questo erano tutti euforici.

 

Andarono tutti a prendere le armi, e io, sconfortata, liberai la corda e non controllai nemmeno dove la freccia si era impiantata, volai a riprendere i dardi scagliati per metterli nella faretra e mi sedetti sulla panca, aspettando gli altri.

 

Vicino a me si sedette il ragazzo che mi aveva parlato dopo pranzo, era giovane, con i capelli corti e ricci, scuri rispetto a quelli degli altri, il volto pulito, senza cicatrici o rughe, appreziosito da due occhi verdi, così luminosi da sembrare di smeraldo.

 

“Tu sei Astrid, giusto?”

 

Alzai lo sguardo e lo fissai con gli occhi violetti.

 

“Sono io, perché lo vuoi sapere?”

 

“Ho molta stima di te.”

 

“Come?!” Sbottai incredula.

 

“E non sono l’unico, molti qui ne hanno.”

 

Mi guardai intorno e per la prima volta vidi che non era disprezzo quello che c’era nei loro occhi, ma invidia.

 

Avevo sbagliato tutto e me ne rendevo conto solo in quell’istante.

 

“Tutti cercano di superarti, perché Odino ha occhi solo per te, tu sei in grado di rompere i cardini, superare i limiti come nessuno ha mai fatto.” Non avevo parole per rispondere. “E sai come sono fatti gli stupidi invidiosi: tendono a mettere i bastoni fra le ruote.” Sorrise ridacchiando. “Oggi battili di nuovo, se lo meritano.”

 

“Lo faccio tutti i giorni.” Sorrisi soddisfatta e sorniona, a quello sapevo decisamente come rispondere.

 

I primi iniziarono a farsi avanti e a tirare, cercando di avvicinarsi il più possibile alle ombre dei miei vecchi colpi.

 

Mi alzai in piedi e mi feci avanti, lentamente mi misi in coda e altri si misero alle mie spalle, tre colpi a testa, i cinque migliori ne avrebbero avuti altri tre, le regole erano semplici e coincise.

 

In generale tutti presero il cerchio di paglia, in un modo o nell’altro, ma la selezione era quasi finita. I soliti cinque si fecero avanti tra le grida di incoraggiamento e scherno.

 

Mi feci avanti anche io e richiesi il tifo anche per me, alzando le braccia, e un ululato si alzò insieme al mio nome, risposi ululando a mia volta e scoccai la freccia in fretta, centrando in pieno il bersaglio.

 

Alzai il pugno e mi godetti il boato. Seguì un altro dardo che si piantò a pochi centimetri dall’altro, e infine aspettai qualche istante prima di scoccare l’ultimo colpo, decisa a trapassare la prima freccia, se solo chi avevo vicino non mi avesse spostato l’estremità dell’arco con l’intento di farmi sbagliare.

 

Sfruttai quella spianta e colpii la mano dell’amico di quel bastardo di Sigurd, colpevole di quell’|errore|, gliela piantai nel muro dietro di lui e le sue grida di dolore ruppero l’aria di sfida.

 

Esplose una rissa attorno a me, tra chi mi difendeva e chi mi accusava, finii a menare pugni contro chiunque mi stesse urlando ‘Cagna traditrice!’, arrivando anche ad estrarre la spada per ingaggiare un duello.

 

“Astrid!” Una voce tuonò nel disordine che si era creato. “Smettila di massacrarli di botte e seguimi. Sei convocata nella sala del trono.”


“Non credevo ci volesse così tanto tempo per arrivare dal cortile fino alla sala del trono.” Questa fu la prima cosa che Odino disse quando mi vide.

 

Seguivo in silenzio la guardia che mi aveva accompagnata, ignorando il motivo per cui ero stata chiamata, ero tranquilla e sollevata perché significava ad ogni modo una cosa: missione.

 

Uscire da quel palazzo e farmi valere, sfogarmi e magari passare anche la notte fuori.

 

“Ha piantato la mano di un uomo nel muro con una freccia, tirarla fuori dalla mischia è stata un’impresa.” Tutti ridacchiarono insieme a lei, ma quando Odino schiarì la voce tutti riportarono il silenzio nella stanza.

 

“Ho mandato Thor a sedare una rivolta, ma si è presentato un nuovo problema.” Aspettò un momento, saggiando le parole da usare e sapendo che le persone di cui si fidava ciecamente, ad Asgard, erano finite. “ Fenrir si è risvegliato e si dimena come non ha mai fatto. Ho bisogno di qualcuno di valoroso e diligente, ma soprattutto fedele, che vada a controllare le sue catene e si assicuri che non sia in procinto di liberarsi.”

 

“Tyr potrebbe…”

 

“No, Loki!” Tuonò infuriato, la sua pazienza era al limite del possibile e sembrava che Loki tergiversasse su quel punto da molto tempo, tentando di convincere Padre Tutto a farsi accompagnare da Tyr.

 

“Vado io.” Dissi rilassata e decisa, sapevo il mito di Fenrir, lo sapevano tutti, e non ne ero affatto intimidita, anzi, mi incuriosiva, da tempo sognavo di vedere quella creatura con i miei stessi occhi.

 

“Non se ne parla neanche.”

“Taci Loki, non sei tu a decidere.”

Odino sapeva bene che quando iniziavano i battibecchi tra me e qualcuno che non sopportavo difficilmente finivano pacificamente, e ci mise un attimo a fermarci con un sonoro battere sul pavimento. Anche lui mi aveva sentito mentre infuriavo per i corridoi gridando che avrei ammazzato Loki in un modo o nell’altro.

“Astrid, sei sotto la potestà di chi?” Mi chiese dunque.

“Nessuno, Padre Tutto, sono nubile e mio padre ha recentemente lasciato questo mondo.”

“Allora sei libera di scegliere.” Mi disse allora Odino, anche se forse si stava rivolgendo a Loki.
“Non può andare da Fenrir come se nulla fosse, è pericoloso, è pur sempre un Lupo! Odino tu lo sai, non puoi mandarla là da sola come se fosse una guardia qualunque!”

 

Una sfumatura di dubbio e preoccupazione attraversò per un piccolissimo istante l’occhio sano del Dio.

 

“Se vuoi comandarla a bacchetta sposala!”

“Voglio sposarla allora! Lasciamela sposare! Ti chiedo la benedizione per questo!”

“Concessa.” Lo liquidò in fretta, non ebbi nemmeno il tempo per realizzarlo che ero fidanzata e la cosa non mi andava affatto bene per il semplice motivo che non avevo intenzione di rinunciare a essere libera solo perchè mi sono offerta per un compito assegnato da Odino.

 

“Scordatevelo! Io vado!” Ruggì feroce.

 

“Tu vai!” Mi rispose Odino. “Ma tu l’accompagni.”

“Per gli dei no!” Dicemmo all’unisono presi dalla rabbia. Odino aveva trovato un compromesso che facesse dannare entrambi.

 

“E ora via! Siete congedati per tutta la giornata!” Ci cacciò con un tono solenne e da non discutere per nessun motivo.



 

NdA: Dopo mesi di assenza ho ripreso in mano questa storia, il capitolo è diverse pagine più lungo del solito, ma è un modo per scusarmi dell’assenza! Donate una recensione mi raccomando!

PS: Elena ti amo <3
   
 
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