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Autore: Hermione Weasley    28/10/2015    3 recensioni
“Non siete il primo che è venuto a vedere la strega,” alluse, il sospetto vivissimo.
“Io non credo alle streghe,” non poté fare a meno di sottolineare, vagamente risentito dall'essere stato accomunato ai superstiziosi babbei del villaggio.
“Però siete venuto a vederla comunque,” la ragazza non voleva proprio mollare il colpo. Si sentì messo alle strette, innaturalmente indispettito.
“Ero curioso.”
“Quindi ci credete.”
“No, che non ci credo. Questo posto è piccolo e gli estranei sono sempre fonte di curiosità, non vi pare abbastanza?”
---
XVIII secolo. La vita di Clint Barton, figlio adottivo dell'eccentrico lord Phillip Coulson, cambia radicalmente quando una presunta strega viene ad abitare nel bosco vicino alla villa della famiglia. Clint dovrà fare i conti con la superstizione, gli obblighi, le responsabilità e forze in gioco molto più grandi di lui.
[1700 AU] [Clint/Natasha] [apparizioni di tutti gli Avengers + alcuni personaggi di Agents of Shield] [COMPLETA]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 10

~

 

 

Impiegarono quasi due ore a spostare il cadavere di Molot in un punto meno in vista. Due ore trascorse in assoluto silenzio se non fosse stato per le occasionali istruzioni di Natasha.

Quando l'aveva vista, inginocchiata davanti al corpo del monaco con lo sguardo assente e le mani sporche di sangue che le tremavano, credeva che sarebbe svenuta. Ma si era rimessa in piedi senza una parola ed era precipitata nel furore pragmatico che la prendeva tutte le volte che c'era qualcosa da fare.

All'inizio era stata la preoccupazione a prendere il sopravvento, ma poi, man mano che i minuti scivolavano via insieme alle gocce di sudore che gli avevano imperlato la fronte, Clint cominciò ad innervosirsi. E poi ad arrabbiarsi senza soluzione di continuità.

Mentre trascinavano a fatica quell'ammasso d'uomo, mentre faceva correre lo sguardo affaticato sui tatuaggi che gli riempivano il petto, realizzò che non poteva essere stata una coincidenza. Certo, era possibile che il monaco fosse lì per lui, per intascarsi la taglia che l'esercito aveva tanto gentilmente messo sulla sua testa; eppure il religioso pazzo e armato di mazza chiodata che recita preghiere per propiziare un'uccisione non gli suonava esattamente come il prototipo del cacciatore di taglie perfetto. Inoltre c'era la questione del marchio che condivideva con Natasha e il mangiafuoco, tutti e tre accomunati dalla stessa lingua e – Clint suppose – dalla stessa terra d'origine.

La frustrazione che gli andava crescendo in prossimità dello stomaco, però, non aveva a che fare con l'essere stato quasi ammazzato per una presunta colpa di Natasha. Era il fatto che lei non avesse azzardato neanche una spiegazione, due parole per dirgli che cazzo stesse succedendo. No, continuava a trincerarsi in quell'assoluto, maledetto silenzio che lo faceva sentire un imbecille. Come un padre che nasconde le verità più banali al figlio per proteggerlo da chissà che incresciosa scoperta. Solo che Clint non era un ragazzino bisognoso di essere salvato e di certo neanche il frutto dei lombi di Natasha – questo sì che l'avrebbe traumatizzato a vita.

Gettarono il corpo in quello che aveva l'aria di essere un canale di scolo, abbandonato così come i campi che circondavano le rovine della chiesa. Con la notte non aveva potuto accorgersene, ma lo stato di decadenza della campagna era andato aggravandosi da quando si erano lasciati alle spalle il villaggio dopo il ponte di pietra. Fatta eccezione per sporadici gruppi di militari individuati nella distanza del paesaggio e in marcia verso neanche lui sapeva bene dove, non un'anima viva avevano incrociato sul loro cammino – il che non gli dispiaceva particolarmente, anche se quell'atmosfera da paese fantasma non contribuiva di certo a tranquillizzarlo.

Rimase fermo a guardare mentre Natasha si affrettava a mimetizzare il cadavere con frasche e foglie, finché non venne a formarsi una montagnola di verde dall'aria improbabile. Le spalle di lei si abbassavano e rialzavano in rapida sequenza sotto l'impeto disarticolato del respiro affannato. Era stanca morta, ma non pareva aver intenzione di fermarsi tanto presto.

“Conti di dirmi che cazzo è appena successo?” Le chiese mentre si stava riarrampicando sul pendio che separava il piano dal canale inaridito.

“Ci siamo sbarazzati di un cadavere,” rispose incolore, superandolo senza degnarlo neanche di uno sguardo.

Il cuore prese a battergli disordinatamente in petto, rimbombandogli fin nelle orecchie. La seguì con lo sguardo mentre si dirigeva verso le rovine presso cui avevano lasciato le loro cose.

Fu un attimo: decise che ne aveva avuto abbastanza.

“Non prendermi per il culo.” L'aveva raggiunta e afferrata per un polso per costringerla a voltarsi e fronteggiarlo.

Natasha si girò con uno scatto repentino, strattonando violentemente il braccio per farsi lasciare, gli occhi accesi da una luce sinistra che parlava di indignazione, ira e paura. Per un istante sembrò essersi dimenticata dove fosse e con chi, come se quella particolare situazione, per lei, fosse ordinaria amministrazione.

Trattenne la presa nonostante il disagio, tentando di farle capire che non voleva farle del male, solo ottenere delle spiegazioni.

“Lasciami andare,” sibilò non appena si fu riappropriata delle proprie facoltà fisiche e mentali.

“Non finché non mi dici perché ci stava seguendo.”

“Ho detto,” fece un passo verso di lui, eliminando gran parte della distanza che li separava, “lasciami andare.”

“No.” Pronunciò la secca negazione guardandola dritta negli occhi.

Prima che potesse anche solo capire che diavolo stesse succedendo, Natasha aveva chiuso a pugno la mano libera e gliel'aveva sferrata contro. Clint gliel'afferrò bruscamente prima che potesse colpirlo, lasciando che l'istinto prendesse il sopravvento.

“Davvero? Piuttosto che dirmi chi era quel pazzo preferisci prendermi a pugni?” La frustrazione stava salendo, alimentata dalla rabbia che le leggeva in faccia insieme all'irritazione che aveva provato nel vedersi neutralizzare un affondo con tanta immediatezza.

“Non ti dirò un bel niente,” stabilì.

Ritentò con una ginocchiata nello stomaco. Andò a vuoto, ma Clint fu comunque costretto lasciarla andare per ristabilire le distanze. Presero a girarsi lentamente attorno come due bestie feroci che devono decidere chi si approprierà dell'unica preda disponibile.

“Era qui per te, non è vero? Fa parte della tua piccola setta di svitati,” la provocò.

“Sta' zitto, Barton.”

“No. Sono stufo delle tue stronzate.”

“Sei libero di andartene in qualsiasi momento,” gli rivomitò addosso, furente. “Non ti ho obbligato a seguirmi, l'hai fatto e basta.”

“E con questo?” Aveva ragione, era stato lui a decidere di proseguire il viaggio con lei, ma non giustificava il modo in cui continuava a comportarsi. “Credevo fossimo una squadra!”

Una smorfia contrita le deformò il viso un attimo prima che una risata forzata non le sgorgasse dalle labbra come un'ingiuria.

“Sei solo uno sconosciuto con cui ho fatto un pezzo di strada,” dichiarò sferzante.

“Ti diverti un sacco, ah?” Le mani gli pizzicavano per la delusione. Si sentì terribilmente stupido, ingenuo: come aveva potuto pensare che fossero diventati qualcosa di più che semplici estranei?

“Ho l'aria di una che si diverte?”

“Con la tua ridicola messinscena da donna del mistero...”

Natasha si rifece seria di colpo, mostrandogli di nuovo il volto pallido, segnato dalla stanchezza accumulata nel corso di giorni e giorni di cammino.

“Tutto quello che sei è una pessima commedia,” ribadì, caricando la frase di tutto il disgusto di cui fu capace mentre ricambiava il suo sguardo. “Prima una strega, poi una guerriera, poi una romantica fanciulla, poi una donna priva di pudor-”

La voce gli morì in gola. Natasha era scattata in avanti tanto repentinamente da coglierlo alla sprovvista. L'aveva afferrato al collo e stringeva la presa.

“La donna del mistero è nella tua testa,” bisbigliò. Il suo respiro gli solleticava le labbra. “L'hai creata tu, io non c'entro niente.” Sentì la morsa delle dita accaldate serrarsi sulla sua gola mentre l'urgenza di incolparlo le affiorava plateale sul volto.

Fece la prima cosa che gli passò per il cervello: si aggrappò ai capelli di lei per strattonarli e farsi mollare, ma non accadde niente del genere. Restarono agganciati l'una all'altra come due perfetti imbecilli.

“D-Davvero? Allora perché non mi dici chi c-cazzo era Molot?” Le ritorse contro, costringendola a reclinare il capo all'indietro. Il sangue sembrava scorrergli più rapido nelle vene e un'assurda voglia di mettersi a urlare e combattere gli si rianimò nello stomaco.

“Il mio passato non ti appartiene,” decretò lei in un soffio.

“Ma mi riguarda se rischia di ammazzarmi con una fottuta mazza chiodata!”

La sentì allentare la presa e ne approfittò per afferrarle entrambe i polsi; si avvalse della propria forza, facendo ruotare Natasha su stessa fino ad incrociarle le braccia sullo stomaco e ad immobilizzarla con la schiena contro il proprio petto.

“H-Ho evitato che succedesse, che altro pretendi?” Sibilò in preda a rabbia e fatica accecanti.

Capì di aver commesso il grave errore di crederla soggiogata quando un dolore atroce gli attraversò il piede destro come una stilettata. Non ebbe la prontezza di riflessi di mantenere la presa sui suoi polsi e Natasha riuscì a liberarne uno, servendosene per colpirlo nello sterno con una violenta gomitata. Gli mancò il respiro.

“Sei esattamente come tutti gli altri,” l'accusò lei, affrontandolo ancora faccia a faccia. “Con tutti i tuoi stupidi preconcetti su ciò che sono o non sono.”

“N-Non... non-,” decise che preoccuparsi di far circolare l'aria nei polmoni, dopotutto, era la sua priorità.

“Sì che è vero. Scommetto che ti sei riempito la testa di stupide considerazioni sul mio conto,” riprese imperterrita, il volto che andava deformandolesi per l'indignazione.

Avanzò e Clint fu costretto ad indietreggiare se non voleva farsi menare mentre stava morendo soffocato.

“Magari credi che renderò la tua vita interessante, un'avventura... o che mi salverai grazie alla forza della tua integrità,” cominciò ad atteggiare la voce in aperto tono di scherno. “O che ti porterò alla dannazione.”

Sgranò gli occhi e si sentì come schiaffeggiato. Avrebbe voluto contraddirla, ma aveva ragione. Aveva davvero pensato di lei in quei termini, la donna di fuoco, la creatura venuta dall'inferno, la donna fatale che porta la sua povera vittima alla distruzione...

“Quale delle tre?” Domandò prima di avventarglisi contro e afferrarlo per i vestiti, scuotendolo violentemente. “Sei come tutti gli altri! Non vi a-accorgete, non vedete...” Si era messa ad urlare.

Clint l'afferrò per i fianchi e la ribaltò a terra, schiacciandola al suolo col proprio corpo.

“Smettila,” le intimò, ma Natasha continuava ad accusarlo. “Smettila!”

L'agitò una, due, tre volte, come se scrollandola avesse potuto farla tacere, cancellare la verità delle sue parole.

“Sei un fottuto stronzo, c-come tutti gli altri!” Sbraitò mentre Clint le afferrava le mani.

Fu più veloce di lui, però, nel far leva con la schiena sul terreno per invertire le posizioni.

“Come diavolo fai a non vedere?” Insisté col chiedergli, furibonda, come se avesse perso definitivamente tutto l'autocontrollo che di solito la manteneva gelida e indifferente. “Perché non vedi? Perché non vedi?”

La disperazione che percepì nella sua voce gli ghiacciò il sangue nelle vene. Parve accorgersi di essere stata sorpresa in un momento di vulnerabilità e si incattivì di nuovo, liberandosi con una foga inusitata per colpirlo dritto in viso. Stavolta non ebbe modo di sottrarsi e, sotto sotto, sentì quasi di esserselo meritato. Una sensazione sgradevole che gli riportò alla mente il volto del padre, il suo fiato rancido d'alcool, le sue mani ampie e ruvide...

Impedì al ricordo di prendere il sopravvento e si concentrò su Natasha.

E poi la vide, come in uno specchio che rifletteva la propria immagine. Una ragazzina arrabbiata e impaurita. Una ragazzina sola a cui era stato insegnato di non fidarsi di nessuno. Una ragazzina che se l'era dovuta cavare nonostante tutto, che l'aveva dovuto fare per conto proprio. Una ragazzina incasinata, con un garbuglio incomprensibile di pensieri per la testa e l'istinto di sopravvivenza più tenace che Clint avesse mai incontrato.

La strinse alle spalle e si lasciò colpire una, due, tre volte. Ma man mano che i secondi passavano e il dolore gli si propagava per il viso, i pugni di Natasha perdevano forza e gli si abbattevano sul viso senza alcuna convinzione. Rallentò progressivamente fino a fermarsi del tutto, scossa com'era da fremiti silenziosi che le facevano tremare le spalle e il petto. Sembrava sul punto di piangere, ma non lo fece.

Restò immobile, a cavalcioni su di lui, fissandolo inorridita e incredula.

“Ti vedo,” mormorò dopo un attimo, senza mollare la presa su di lei, quasi ci fosse solo quella ad impedirle di cadere a pezzi. “Ti vedo,” ripeté, per assicurarle la propria sincerità.

Natasha sbatté lentamente le palpebre e annuì, prendendone atto. Gli appoggiò le mani sul viso, forse col pretesto di rimediare ai deboli cazzotti che gli aveva inferto.

Sentì le sue dita lisce e morbide sulle guance ispide di barba sfatta ormai da giorni e provò l'irrefrenabile bisogno di farla sentire meglio, di rimediare al caos che era venuto a crearsi senza che l'avesse programmato.

Continuò a puntargli addosso il suo sguardo vacuo, esausto, sondando i suoi occhi alla ricerca di una risposta che Clint non era in grado di darle.

Non seppe quanto tempo era trascorso quando Natasha si lasciò cadere a pancia all'insù accanto a lui. Provò un leggero fastidio non appena il suo calore gli venne a mancare, la pressione decisa del suo corpo... ma non disse niente, turbato.

Un pensiero lo colpì più vividamente di ogni altro. Il sospetto che non fosse lui ad aver bisogno dell'aiuto di lei, ma lei ad aver bisogno del suo. O forse erano vere entrambe le cose.

Il cielo era acceso di una luce grigia e funerea sopra di loro. Lo fissò a lungo, sentendosi come svuotato, in attesa della pioggia.

Natasha, al suo fianco, si era finalmente addormentata.

 

*

 

“Non hai nessun posto dove andare?”

Clint distolse finalmente lo sguardo dallo scintillio brulicante sulla linea dell'orizzonte per reindirizzarlo su Natasha. Aveva trascorso gran parte del tragitto dibattendo con se stesso se fossero o meno nei pressi del mare, senza essere riuscito ad arrivare ad una conclusione precisa.

“Che intendi?” Le chiese, non troppo sicuro che avesse parlato davvero.

Da che si era svegliata non aveva proferito parola, come se il litigio non fosse mai successo. L'imbarazzo gli aveva impedito di rifarsi avanti e allora si era limitato a ricaricare le loro cose sui cavalli e ripartire.

“Nessun parente, o amico...” Non lo stava guardando.

“Tutti quelli che conosco sono a villa Coulson o al villaggio,” disse soltanto. Perché le era venuto in mente adesso?

“Che mi dici di tuo fratello?”

“Potrebbe essere morto, per quel che ne so,” le ricordò, ma ebbe la sensazione che Natasha conoscesse già la risposta.

Continuò a guardarla di sfuggita, sorprendendosi di quanto gli sembrasse diversa. Era come se fino a quella mattina l'avesse osservata attraverso un cannocchiale difettoso che gliel'aveva fatta apparire lontana e misteriosa – e che adesso, miracolosamente, era tornato a funzionare. Forse era stato lui a volerla rivestire di quella patina enigmatica che tanto l'aveva fatta infuriare, magari era solo uno dei tanti sintomi della sua voglia di abbandonare villa Coulson una volta per tutte. Fatto stava che il velo era stato stracciato e Natasha gli sembrava improvvisamente concreta e reale, una donna che si portava gelosamente dentro le cicatrici dei propri traumi, chiusa a riccio in se stessa senza troppa intenzione di scucirsi.

“Che pensavi di fare una volta fuggito?” Tornò ad insistere e gli venne da ridere.

“Se vuoi scaricarmi la stai prendendo un po' troppo alla lontana, non ti pare?” Arrestò il cavallo e Natasha fece altrettanto.

“Se volessi scaricarti te ne accorgeresti,” le rimbrottò più duramente. Il lato ostico era sempre in agguato, pronto a riapparire in superficie appena necessario. Era un'armatura, Clint realizzò, un modo per difendersi dal mondo esterno, di mettere immediatamente in chiaro le distanze. Questo faceva Natasha, sfuggiva in continuazione.

“Non stento a crederlo,” le concesse, spronando la sua cavalcatura a ripartire.

Il sole era ormai giunto al punto più basso della sua parabola quotidiana e sarebbe tramontato di lì a breve. Una folata di vento portò con sé un vago odore di salsedine, ma Clint non era del tutto certo di non esserselo inventato. Non avrebbe saputo dire perché, ma l'idea di rivedere il mare per la seconda volta in tutta la sua vita lo entusiasmava in modo un tantino imbarazzante.

“Comunque,” riprese a parlare, tenendo gli occhi fissi sull'alone rosato che circondava l'astro morente, “non avevo un piano per il dopo.”

“Hai piantato in asso tutto e tutti per...,” lasciò la frase in sospeso, ma più che critica suonava sinceramente confusa.

“Cos'è che ti sconvolge?”

“La mancanza di organizzazione?”

“Non puoi rispondere ad una domanda con un'altra domanda.”

“Sì, che posso.”

“Come ti pare,” alzò una mano come per liquidarla. “Non sento sempre il bisogno di avere tutto sotto controllo.”

“Bel modo di farti ammazzare,” commentò sarcastica.

“Bel modo di non deprimermi,” le ritorse contro.

“Che vorresti insinuare?” Aveva inarcato un sopracciglio e lo guardava con quella sua aria da maestrina perplessa (una maestrina che prendeva a calci i cattivi). Probabilmente avrebbe dovuto odiarlo, quello sguardo, ma lo trovava divertente – che avesse delle tendenze masochiste latenti era ormai un dato di fatto.

“Che magari se ti rilassassi un po', vivresti meglio,” si azzardò a dire. Sapeva di aver osato troppo prima ancora di aver pronunciato le parole.

“Sono perfettamente rilassata,” puntualizzò astiosamente, superandolo di un paio di metri lungo la strada sterrata, giusto per poterlo incenerire con lo sguardo con più comodo.

“Credo ti sfugga il significato del termine,” la smentì.

“Credo che dovresti evitare di farmi incazzare, piuttosto.”

“Va bene, va bene,” alzò le mani a mo' di resa, approfittandone per sistemarsi la faretra sulla schiena. Dovette sforzarsi per trattenere il sorriso che gli premeva sulle labbra.

“Non c'è niente di divertente,” lo redarguì. Ovviamente se n'era accorta – c'era qualcosa che le sfuggiva, ogni tanto? “Avresti potuto ricominciare da capo da qualche altra parte,” si affrettò a continuare, forse per impedirgli di risponderle a tono.

“Non credo nel ricominciare.” Lo trovava un concetto stupido, creato ad hoc da chi avrebbe voluto avere più vite da vivere. Ma se c'era una cosa che aveva imparato in tutti quegli anni, era che gli errori commessi ti seguono fino alla fine, non importa quanto uno si impegna per dimenticarli o per fingersi una persona diversa.

“Perché no?”

Si voltò per incrociare il suo sguardo. Aveva cambiato espressione, mostrandogli apertamente il suo interesse, come se la cosa la riguardasse in prima persona. Si sentì irrazionalmente in colpa, quasi le avesse appena stroncato una delle poche certezze che aveva nella vita. Scacciò la sensazione: Natasha non era il tipo da lasciarsi influenzare a tal punto.

“Perché sei sempre la persona che sei,” borbottò un po' goffamente. Temeva di essersi infilato in un discorso che non sarebbe riuscito a concludere. “Ti puoi reinventare, va bene, ma sarà sempre una maschera.”

“E le maschere non ti piacciono,” chiarì Natasha.

“All'inizio sono divertenti,” ammise. “Ti dà sollievo, pensare di poter essere qualcun altro.” La donna annuì una sola volta. “Ma a lungo andare ti accorgi che sono solo stronzate.”

“E' per questo che hai lasciato la tua famiglia?”

“Quella non era la mia famiglia.”

“In un certo senso sì, però,” la voce le risuonò più convinta adesso. “Quell'uomo ti ha scelto. Non gli sei capitato tra capo e collo... ha scelto di aiutarti, quando avrebbe potuto abbandonarti a te stesso.”

“Ma non sono stato io a chiederglielo.” Non aveva preventivato di risponderle tanto bruscamente. La fastidiosa stretta allo stomaco che l'aveva accompagnato sin da quando aveva deciso di abbandonare villa Coulson si era ripresentata, gloriosamente acuita. O forse c'era sempre stata e, improvvisamente, non era più capace di ignorarla.

“Che importa? Ti ha aiutato. Potevano essere la tua famiglia, se solo l'avessi voluto.”

“Ma a che prezzo?” Pensò a lady Jemma, al matrimonio, a lord Phillip e lady Melinda. Riusciva a farsi un'idea di quanto massiccia fosse la delusione che aveva loro procurato?

“Hai mai provato a dirgli che non volevi sposarti?” Natasha suonava troppo ragionevole per i suoi gusti.

Avrebbe voluto risponderle che sì, ovviamente gliel'aveva detto, ma andando indietro con la memoria realizzò che non era vero. Che non aveva mai avuto il coraggio di dirgli chiaro e tondo che non provava niente per lady Jemma e che non aveva intenzione di trascorrere la sua intera esistenza a giocare a moglie e marito con una donna che non lo interessava. Che non si era mai deciso a dirgli che pur non sapendo cosa volesse essere, tuttavia aveva un'idea piuttosto chiara di cosa non voleva essere.

Deviò lo sguardo sulla fascia più bassa del cielo dove l'arancione andava tramutandosi in una viola scuro e profondo. Gli fece tornare in mente l'abito che aveva indossato per la festa in onore del capitano Rogers e provò una fitta di rimorso tanto intensa da costringerlo ad inspirare a pieni polmoni.

“Non appartenevo a quel posto,” mormorò, più per se stesso che per lei.

“Magari non appartieni a nessuno,” ipotizzò cautamente Natasha.

“Credi sia possibile?” Non era la prima volta che giocherellava con quel concetto.

“Non saresti il primo a non avere un posto nel mondo.”

L'angoscia gli aveva riempito il petto e gli bastava guardarla per capire che le stava succedendo la stessa cosa: si stavano lasciando schiacciare dalle loro paure.

“Sei già stata in tutto il mondo?” Le chiese, tentando di alleggerire il tono.

“Non è una questione geografica,” dichiarò con una lieve stretta di spalle, come se avesse voluto dargli a bere che la cosa non le pesava più di tanto. “Mentale, piuttosto.”

“Quindi siamo spacciati,” rise, ma di una risata priva di qualsiasi divertimento. “Non ti facevo così drastica.”

“Realista. Non drastica.”

“Nel senso che sei a favore della monarchia?” Si stava letteralmente aggrappando a qualsiasi cosa pur di non continuare a sprofondare nell'oscuro baratro che la conversazione gli aveva aperto sotto i piedi.

“Le forme del potere non mi interessano,” Natasha stette al gioco. “Non durano mai troppo a lungo.”

“C'è qualcosa in cui credi?” Si risolse a chiederle.

“Nella stupidità umana,” convenne. “E nell'inferno.”

“L'inferno... con le bolge, i gironi, i dannati, le urla strazianti...”

“No.” Si era di nuovo persa, lo sguardo vacuo e gli occhi tristi. “L'inferno è un posto senza rumore.”

Le parole le uscirono come un soffio sconnesso e lo fecero rabbrividire. Deglutì a fatica, concentrandosi sulla strada che si snodava loro davanti. Tutt'intorno solo l'abbraccio soffocante del silenzio.

 

***

 

Il sole era alto nel cielo quando Natasha annunciò che sarebbero arrivati a breve. Nonostante fossero rimasti appiedati dopo aver dovuto lasciare i cavalli – troppo stanchi per continuare – avevano raggiunto la costa rocciosa a strapiombo sul mare e l'avevano seguita in direzione nord-est, finché la sagoma di un'abbazia non si era stagliata contro il cielo grigio dell'ennesima mattinata di pioggia.

Con la conversazione del giorno precedente era scesa un'atmosfera strana. Non avevano smesso di parlarsi, ma man mano che il tempo passava, la spontaneità di Natasha era andata irrigidendosi. Continuava a guardarsi attorno con discrezione, forse col sospetto che qualcuno li stesse seguendo. Qualcosa la stava tormentando, ma si guardò bene dal dar voce ai propri pensieri.

Il paesaggio sembrava scolorire nell'estate in uno stato di abbandono pressoché totale. Case abbandonate ricoperte dalla vegetazione, pozzi diroccati, staccionate distrutte, campi incolti invasi dalle erbacce, animali raminghi che arrivavano a spezzare il deserto per ricordar loro che erano ancora sul pianeta Terra.

“I tuoi contatti sono tutti ecclesiastici?” Finì per chiederle quando il silenzio cominciò a farsi troppo scomodo, come se l'aria si stesse rarefacendo ad ogni passo, rendendo difficoltoso il respiro. Più si avvicinavano e più la netta sensazione di essere osservato si faceva concreta. Eppure la donna, a parte l'espressione contrita, continuava ad avanzare.

“Le chiese sono i rifugi migliori, di solito.”

“Quella non è una chiesa,” obiettò, alludendo all'abbazia, sempre più vicina, ampia e imponente.

“Lo so.”

Non poté fare a meno di notare la ruga che le si era formata in mezzo agli occhi. Ci aveva fatto caso non appena si era svegliato quella mattina, ed eccola ancora lì... immobile: qualcosa non andava.

“E se fosse una trappola?” Ipotizzò, mettendo cautamente mano all'arco.

C'erano solo poche centinaia di metri a separarli dalle massicce mura di protezione della costruzione arroccata sugli scogli. Il vento si alzava e soffiava in ululati irregolari, facendo crescere le onde contro la parete scoscesa a picco nel mare. Il panorama aveva un che di spettrale. Forse si stava solo facendo suggestionare, forse era solo troppo stanco per pensare lucidamente.

“Non dire stronzate,” lo zittì lei, tornando di colpo alle sue maniere scontrose. “Ci accoglieranno, ci daranno un pasto caldo e un posto dove dormire.” Gli sembrò strano che avesse sentito il bisogno di elencare tutte le straordinarie attrattive dell'abbazia con l'unico scopo di consolarlo.

Una pessima sensazione gli riempì lo stomaco: uno sgradevole prurito alla base della nuca gli ricordò che, a dispetto dell'assoluto silenzio circostante, c'era qualcuno nei paraggi. Eppure se lasciava scorrere lo sguardo tutt'intorno non incontrava altro che erba, prato, alberi da un lato, il vuoto del mare dall'altro.

Il cuore cominciò a battergli più rapidamente, tutti i sensi improvvisamente in allerta.

“Natasha,” gli uscì come una sorta di supplica, perché sotto sotto sentiva che lei sapeva qualcosa. “Dove mi stai portando?”

Si fermò, lasciando che la donna lo superasse. La vide arrestarsi a sua volta, continuando però a dargli le spalle; le guardò alzarsi e abbassarsi mestamente – un sospiro, o forse un modo per farsi coraggio.

“Mi dispiace.”

Dapprima le parole lo raggiunsero come un bisbiglio informe. Ma non c'era niente che non andasse nel suo udito; era piuttosto un qualche ingranaggio del cervello che si era bloccato bruscamente, impedendogli di registrare il messaggio.

“D-Di che stai parlando?” Balbettò confuso, mentre l'aria grigia si appesantiva di colpo, minacciando di schiacciarlo. Seppe di aver commesso un gravissimo errore, ma nel disordine che gli era scoppiato in testa non avrebbe mai capito quando era successo e perché.

“Non ho altra scelta.”

Un moto di nervosismo lo obbligò all'azione. La raggiunse e le finì davanti per costringerla a guardarlo. Si pentì d'averlo fatto.

“Natasha...”

Sentì dei fruscii tutt'intorno, respiri, passi... e poi, per un attimo, fu convinto che le zolle del prato si stessero sollevando, che un terremoto silenzioso avrebbe sconquassato il promontorio per precipitare l'abbazia in mare. Ma bastarono pochi secondi perché realizzasse che erano persone, quelle. Uomini dai volti tinti di verde e gli abiti logori ricoperti d'erba per mimetizzarsi.

Inorridì e un sapore amaro gli riempì la bocca mentre la sensazione di sprofondare si impossessò di lui con illuminante chiarezza.

Riportò la sua attenzione su Natasha e allora capì, senza ombra di dubbio, di essere stato tradito.

“Non ho altra scelta,” la donna aveva ripetuto guardandolo dritto negli occhi, stavolta con severità, distacco e malcelato orgoglio, più per convincere se stessa che lui.

La fissò a lungo, come pregandola di smentire l'evidenza, di spiegargli cosa stesse succedendo, di rivelargli che c'era cascato come un principiante, di dirgli che aveva solo voluto giocare un po'. Ma Natasha non fece niente del genere – qualcosa le si era spezzato nello sguardo.

“Che...”

“Non ti ho mai ringraziato per esserti preso quella freccia per me.”

“T-Ti sembra il momento?” Gli stava forse dicendo addio?

Gli uomini-prato parevano essersi moltiplicati e adesso li accerchiavano da ogni lato, armi tra le mani, espressioni arcigne e indurite sui volti.

“Avresti dovuto lasciare che mi colpisse.” Sembrava scivolata in uno stato di catatonia improvviso.

“Natasha...,” ripeté per l'ennesima volta.

“Perché mi hai seguita?”

Nella distanza, vide le porte dell'abbazia aprirsi per far uscire un uomo a cavallo: mentre galoppava con decisione nella loro direzione, Clint avvertì un principio di nausea riempirgli lo stomaco.

“Perché?” Le insistenze di Natasha lo costrinsero a distogliere lo sguardo.

“Perché mi piaci e non sapevo dove altro andare,” ammise con disarmante sincerità. Anche il suo cervello dava per scontato che la fine fosse ormai vicina. Era spacciato. Sarebbe morto e non sapeva neanche perché. Chi era questa gente? E perché gli avevano messo Natasha alle costole? Chi avrebbe potuto avere interesse per uno come lui? Chi era a conoscenza della sua esistenza, comunque? Era solo un individuo insignificante come tanti altri, senza nessun legame al mondo. Un invisibile, un fantasma.

Il palpitare degli zoccoli si intensificò e arrestò di colpo. Natasha aveva smesso di respirare e lui con lei.

E poi, quando rialzò lo sguardo sul cavaliere appena sopraggiunto, non fu più tanto sicuro di non essere morto e finito in una qualche dimensione astratta dove persino le cose più improbabili possono succedere.

“Milady,” l'uomo salutò Natasha con falsa cortesia mentre smontava da cavallo. “Cominciavamo a disperare...”

“Il lavoro è fatto.” Se l'avesse guardata in faccia, Clint avrebbe assistito al repentino mutamento che l'aveva ritrasformata nella solita guerriera fredda e implacabile. La sua attenzione, però, era totalmente catalizzata dal nuovo arrivato – la sua apparizione sembrava aver fermato il mondo, il tempo, il battito del suo cuore.

“Lo vedo,” convenne il cavaliere. Frugò nello scollo della camicia per tirarne fuori una medaglia legata ad un cordoncino scuro. Se la sfilò e la gettò a terra con disgusto. “Il tuo debito è saldato.”

Natasha si affrettò a raccoglierla, stringendola tra le mani con sorda disperazione.

“Adesso vattene,” le intimò nuovamente. “Non ho più bisogno dei tuoi servigi.” La donna esitò e il cavaliere non parve gradire quell'attardarsi non previsto. “Vattene prima che decida di farti diventare un premio per i miei uomini.”

Clint non ebbe bisogno di voltarsi per sentirla andare via, dapprima incerta e poi sempre più decisa. Era vero, realizzò, le vibrazioni del terreno non c'entravano proprio nulla con l'indovinare i passi. Un pezzo di lui sembrava impallidire e perdere forma e consistenza con ogni metro che Natasha interponeva tra loro.

Il cavaliere batté le mani e inspirò a fondo.

“Finalmente soli,” annunciò, rivolgendogli un ampio sorriso. Aveva una lunga cicatrice sulla fronte e il lobo dell'orecchio destro mancante. “Mi dovevano un favore, o non mi sarei invischiato con quegli psicopatici della Stanza Rossa.”

Di che stava parlando?

“Vieni con me,” lo invitò. “E non fare quella faccia. Ti preoccupi sempre troppo... presto tutto avrà senso.”

Fece cenno ad alcuni degli uomini presenti di occuparsi del cavallo, mentre altri si fecero avanti per sfilargli il bagaglio, arco e frecce.

“Ti diletti ancora di armi paleolitiche? Credo di poterti dare del filo da torcere adesso. Dovremmo fare una gara.”

Gli passò un braccio sulla schiena e lo condusse amichevolmente lungo quel poco di strada che li separava dal portone dell'abbazia. Ma non c'era calore nei suoi gesti. Anzi, la sua vicinanza aveva il potere di mozzargli il fiato in gola.

Lo seguì senza opporre resistenza, come un burattino privato di qualsiasi briciola di volontà. La sua voce era bassa, confidenziale ma fredda.

“Sono proprio contento di rivederti, fratellino.”




Note: direi che qui potrebbe concludersi la prima parte della storia. Come promesso il mistero principale è stato svelato: Natasha era stata incaricata di trovare e portare Clint all'abbazia per conto di suo fratello Barney. Per ulteriori spiegazioni/motivazioni bisognerà aspettare i prossimi due capitoli, ma il primo scoglio è stato superato. Anche se col senno di poi Clint sarebbe rimasto volentieri nell'ignoranza XD
Come sempre ringrazio tutti quelli che leggono & commentano, mi fate sempre felicIe, e ovviamente alla sociabeta Eli per il supporto fandomistico e non :3
Alla prossima settimana!
(◡‿◡✿)
  
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