Fanfic su artisti musicali > Mika
Ricorda la storia  |       
Autore: _Even    02/01/2016    4 recensioni
«Se una storia è finita, se un'amicizia si è rotta, è meglio evitarsi per ricucire le ferite. Solo così ci risparmiamo altro inutile dolore.»
E se non tutto il dolore fosse inutile?
E se evitarsi non fosse possibile?
E se una storia non fosse del tutto finita?
X Factor 10. Due giudici. Una storia finita nel peggiore dei modi. Un album che ne percorre il destino.
[Mirco]
Genere: Malinconico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Elio, Marco Mengoni, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 Resti indifferente

 

Quel temporale, la pioggia batteva
Ed è banale restare a pensare che poi

Tutto resti normale

La pioggia non fa male quando cade sulla pelle.
Si posa come una lacrima sul viso e con essa si confonde, creando linee immaginarie che come mappe tracciano i corsi dei fiumi. Annebbia la vista come farebbero le nuvole, i brividi che poi scuotono le ossa paiono quasi terremoti nelle lande desolate del cuore.
La pioggia, le nuvole e i terremoti. Come l’Irlanda.
Sono lacrime o gocce di pioggia quelle che ti vedo sul viso?
Parli. Dalla tua bocca amara vedo uscire gelido vapore che sa di sconfitta. Potrebbe quasi piacermi il dolore che mi infliggi, ma ho imparato a essere meno duro con me stesso. Strano che sia accaduto grazie a te, vero?
Ora l’uggiosa città di Dublino è diventata troppo piccola per me. E, sotto lo stesso ombrello, hai detto la verità.
Si dice che dalla realtà non si possa fuggire. Ma sono del tutto intenzionato a scoprirlo. Finché le ossa non smetteranno di tremare e la pioggia non cesserà di assorbire il mio pianto così che possa fingere che non sia mai neanche esistito, finché le nuvole non scompariranno dai miei occhi consentendomi di vedere chiaramente ciò che avrei già dovuto vedere ormai da tempo.
Finché l’Irlanda non uscirà dalla mia vita, io non sarò libero.

 

Dopo questa tempesta, la goccia
Che bagnava la pelle, addolcisce le ferite
Che non curiamo più

Marco si svegliò all’improvviso, madido di sudore. I sogni agitati erano diventati suoi cari amici ormai da un po’ di tempo.
Scostate con violenza le coperte, si alzò dal letto e arrancò pigramente verso il bagno. Lì si sfilò la maglia con la quale aveva dormito e la gettò sul freddo pavimento. Si guardò nello specchio che sovrastava il lavandino e si studiò. Era invecchiato. Quando era accaduto? Quando, ai lati dei suoi occhi, erano comparse quelle lievi rughe che parevano sollevarsi a ogni sorriso? Le sue tempie, poi, da quando erano così ampie e visibili? Quante fan indignate gli avevano fatto notare che stava perdendo i capelli, mentre la sua barba era sempre più folta, dandogli l’aspetto di un apostolo, più che di un cantante? Forse troppe, per poterle contare. Sospirò. Quella mattina si era decisamente svegliato con il piede sbagliato. Tutta colpa di quei sogni che ormai da tempo tormentavano i suoi pensieri, incupendoli come fuliggine dopo una vampata.
 

Ed io rimango, io, io rimango immobile qui
Per te

Si sbarazzò anche degli altri indumenti, poi si infilò nella doccia, accese l’acqua, e una volta divenuta bollente, iniziò a riflettere.
Quel giorno era il giorno, quello in cui sarebbe iniziato un nuovo capitolo della sua carriera, in cui sarebbe tornato da dove tutto aveva avuto inizio, ma in una veste del tutto nuova.
La decima edizione del più famoso talent show d’Italia, X Factor, era alle porte. I due giudici più quotati dello scorso anno, l’eclettica Skin e il grande Mika, avevano dato forfait: proprio la parte internazionale della giuria aveva deciso di mollare, lasciando la produzione in un mare di guai. Quale donna avrebbe avuto la carica di Skin, chi avrebbe mai potuto sostituire il suo talento e la sua bellezza del tutto androgina? Ma il vero guaio era stato l’abbandono di Mika, divenuto il simbolo del fattore X. Nessun cantante, anzi, nessun uomo sulla terra sarebbe riuscito ad avere la sua verve, il suo mix di simpatia e serietà, esperienza e spensieratezza, nonché la sua bellezza del tutto spontanea che tante e tanti giovani aveva fatto capitolare.
Era stato allora che ai produttori del programma era balzato in mente quel ragazzino tanto talentuoso che aveva vinto la terza edizione del talent, per poi ascendere alla vetta e divenire il celebre Marco Mengoni che ormai era conosciuto a livello internazionale. Il suo tour era appena giunto al termine quando aveva ricevuto una proposta di lavoro in qualità di nuovo, brillante, e giovane giudice del programma. Marta, la sua manager, lo aveva saggiamente esortato ad accettare: oltre a un compenso alquanto generoso, X Factor gli avrebbe donato una visibilità del tutto nuova e mettersi alla prova con nuove esperienze non era forse la prova che ogni celebrità che potesse definirsi tale doveva affrontare?
Marco non era mai stato del tutto convinto di quel ruolo. Innanzitutto, la sua timidezza lo avrebbe messo in seria difficoltà nel momento in cui avrebbe dovuto, inevitabilmente, formulare un giudizio di senso compiuto, per non parlare poi della possibilità di dire di no a un concorrente. Un buon giudice avrebbe dovuto essere sicuro di sé, non balbettare a ogni tre per due. E poi, sostituire Mika? Era più una specie di suicidio che un’opportunità di lavoro.
Ma la verità era tutt’altra.
 

Nell’attesa fermo rimango
Aspettando a un passo da te
Che resti indifferente e poi cambi d’estate

La verità faceva più male di un dardo nel cuore, una verità che sapeva di pioggia e nuvole. La verità era che Marco, con Mika, non avrebbe voluto avere più niente a che fare, figurarsi poi essere il suo sostituto: era perfettamente conscio di non avere la sua spiccata personalità, che l’esito sarebbe stato disastroso e, per l’amor del cielo, l’ultima cosa che voleva era leggere commenti del tipo “Mengoni pretendeva di essere all’altezza di Mika? Ma cosa credeva?”. Quello stupido sogno non aveva fatto altro che ricordargli quanto quell’affermazione fosse reale e le prove erano lampanti.
 

E cadono le scuse
E muore il mio pensiero su te

Eppure, alla fine, il contratto era stato firmato e consegnato ai dirigenti, così da rendere a tutti gli effetti Marco Mengoni il nuovo giudice di X Factor.
Perché lo aveva fatto? Era davvero così masochista? Certo che no.
In realtà credeva, anzi, era certo che una nuova sfida gli avrebbe dato talmente tanto da pensare da occupare la sua mente a tal punto da recidere il filo che legava il suo cervello, i cui ingranaggi parevano non smettere mai di lavorare, a quel ricordo fin troppo triste, una cicatrice ormai in via di guarigione, ma che alle volte doleva ancora.
Sempre che si fosse rimarginata.
 

Riconterò gli errori di questa partita
Senza più paura di restare in fondo

L’acqua lavò via il sapone sul suo corpo e i pensieri dalla sua mente. Spense il getto e uscì, nudo e gocciolante, piccole stille d’acqua caddero ticchettando sul freddo pavimento. Prese un bel respiro.
Tra poco sarebbe andato negli studi di X Factor, avrebbe incontrato i dirigenti, gli altri giudici, avrebbe firmato altri contratti, non del tutto ufficiali, avrebbe capito i meccanismi di quel gioco dal quale era uscito vincitore, anni e anni fa, per pura fortuna. Quello sarebbe bastato?, si chiese. Probabilmente no. Essere il pupillo del programma l’avrebbe fatto campare di rendita forse  per le prime due puntate, poi la gente avrebbe iniziato a stancarsi. In tal caso, avrebbe potuto chiedere al suo amico Federico (in arte Fedez) di ripetere l’oscena pantomima della scorsa edizione e fingere, per quanto possibile, un’improbabile attrazione omosessuale l’uno nei confronti dell’altro. L’anno passato, il duo formato da Mika e Fedez aveva spopolato tra le giovanissime, che li riconoscevano ormai come coppia affermata, benché fossero entrambi fidanzati (Federico, tra l’altro, stava anche con una donna); così facendo, si erano guadagnati le simpatie di buona parte del pubblico. Ah, la magia del mezzo televisivo: non contavano i fatti concreti, esso aveva abbastanza potere da far credere alla gente ciò che si voleva, purché si mostrasse una facciata adatta. Marco fino a quel momento era stato un ottimo cantante e una celebrità impeccabile e riservata, ma chi era veramente? Qual era la sua personalità televisiva?
Beh, presto lo avrebbe scoperto.
Si asciugò con un ampio asciugamano bianco di spugna, poi tornò nella sua stanza, dove scelse con cura un abbigliamento che mostrasse, per quanto possibile, la propria personalità: un semplice maglione chiaro e jeans neri, a cui poi aggiunse il solito berretto che nascondeva quella stempiatura di cui tanto si vergognava. Prese il telefono cellulare e il portafogli, poi uscì di casa, mentre ancora quel triste sogno non cessava di tormentarlo.
 

Guardando un po’ più in là oltre le nuvole
La strada da, la strada da
Da rifare

Più che un sogno, in realtà, era un ricordo, di un giorno non particolarmente lieto della sua vita che aveva trasformato l’Irlanda, il suo personale paese delle meraviglie, nella terra dei suoi incubi, e questo solo per colpa di Mika. No, a lui non doveva pensare più: sarebbe stato difficile, sarebbero stati fatti molti paragoni tra loro due, ma non se ne sarebbe curato. O almeno ci avrebbe provato.
 

Ed io rimango, io, io rimango immobile qui
Qui per te

Uscito di casa, si infilò in macchina e guidò fino agli studi del programma. Durante il tragitto si accese una sigaretta, poi un’altra, accendendole agli stop. Sapeva che fumare nelle auto era severamente vietato ma Marco, di vietato, aveva fatto ben poco nella sua vita. Che almeno riuscisse a concedersi un vizio, di quando in quando.
Mezz’ora e sei sigarette dopo, arrivò dinanzi a quell’imponente edificio che tanto lo terrorizzava.
Dentro di lui, il ragazzino ventenne con le sopracciglia dal taglio improbabile e dall’aria allampanata e goffa si agitò. A volte, quella parte di lui si risvegliava: era timida e aveva sempre voglia di piangere, soprattutto in quel momento, dove tutto era improvvisamente troppo grande, troppo bello, troppo speciale per lui. Si sentiva esattamente come quando aveva partecipato come concorrente ad X Factor. Sette anni e svariati premi non avevano cancellato la sua introversione adolescenziale, ma forse nulla lo avrebbe mai fatto.
Decise di varcare le grandi soglie di quel palazzo e di percorrere una strada che, sebbene chiaramente indicata dai cartelli, lo spinse a perdersi più volte in quel dedalo di corridoi. Alla fine, però, riuscì a giungere alla sala riunioni.
Aperta la porta, il suo cuore cominciò a martellare prepotentemente. Dinanzi a lui c’erano cinque produttori esecutivi, qualche tecnico e un paio di assistenti che non conosceva e, seduti più vicini alla porta, dei volti conosciuti. Elio, il buon vecchio Elio, gli sorrise con entusiasmo da sotto i baffi non appena lo vide e finse un piccolo applauso. Alessandro Cattelan, con il quale condivideva una generosa altezza e un affetto genuino, lo salutò immediatamente con trasporto, così come fece anche Elio, e lì fu tutto un gran dare di pacche sulle spalle e abbracci poderosi e pieni di calore.
Soltanto una persona non si alzò dalla sua sedia per accoglierlo, se non quando il momento dei saluti fu terminato.
Era una donna, bassa a dispetto del fisico ben formato e del volto adulto, dai lunghi capelli bruni e gli occhi azzurri come pozzi d’acqua limpida. La figura era piena e prosperosa, i lineamenti erano ben marcati. A vederla, sembrava quasi una fata. Ma Marco l’aveva conosciuta e non era affatto una fata, bensì una cantante di voce incantevole e nobili natali.
Era Irene Fornaciari, figlia Adelmo Fornaciari, alias Zucchero, sua maestà il Cappellaio Matto italiano, come lo conoscevano all’estero. Marco l’aveva incontrata dietro le quinte della sessantesima edizione del Festival di Sanremo e subito di lei aveva pensato essere una donna asciutta. Non mostrava le proprie emozioni in pubblico, non cercava la fama, non pretendeva di sfondare con la hit del momento. Arrivava sul palco come una regina, si esibiva, sorrideva al suo pubblico e spalancava le sue braccia come ad accogliere tutti i suoi ammiratori, evitava cerimonie e fronzoli, poi così come era apparsa, scompariva.
Lo capì immediatamente, sarebbe stata una sua collega.
«Irene» sorrise, abbracciandola.
Lei poggiò le mani sulla sua schiena, per poi levarle quasi subito, esibendosi nell’unico tipo di abbraccio di cui era capace. Gli sorrise, e quello fu un sorriso vero.
All’improvviso, uno dei produttori si mise tra loro due. «Oh, signor Mengoni, ben arrivato! Ha già conosciuto la signorina Fornaciari, vedo. Sono onorato di dirle che affiancherà lei e il signor Belisari in giuria.»
Sorrise, immaginando che Elio avesse storto il naso nel sentirsi chiamare così: odiava che ci si rivolgesse a lui con il proprio nome, Stefano Belisari, era forse uno dei pochi cantanti a preferire il nome d’arte a quello vero. Al contrario, invece, Federico detestava che nel quotidiano lo si chiamasse Fedez perché, sosteneva, fuori dal palco era in pausa anche dal suo stesso nome d’arte.
All’improvviso, Marco si guardò intorno.
Un momento.
Dov’era finito Federico?
Si schiarì la voce e prese coraggio, cercando di combattere contro la sua timidezza. «Scusate... ma dove sta Federico?»
Brillante. Davvero brillante. Non sapeva nemmeno esprimersi in un italiano decente.
Al sol pronunciare Federico, l’atmosfera all’interno della stanza cambiò: gli assistenti si voltarono, Irene assunse un’aria grave, Elio si passò una mano sul viso e il produttore sbuffò.
«Il contratto con il signor Lucia è stato annullato» tagliò corto, stizzito.
A Marco caddero le braccia. Cosa era accaduto? Perché Federico non era lì in quel momento? Fece per prendere il cellulare e chiamarlo, d’altronde erano amici anche al di fuori delle apparizioni televisive, ma il produttore (che per Marco divenne il signor Fastidio) glielo impedì.
«Non c’è tempo. Dobbiamo discutere circa il suo ruolo, signor Mengoni.»
Ma, ormai, Marco si era distratto. Da una parte era dispiaciuto, voleva bene a Federico e non gli sembrava giusto che il contratto gli fosse stato annullato, chissà per quale motivo. D’altra parte, era terrorizzato al pensiero che al suo posto, in sostituzione, potessero richiamare qualcuno dei vecchi giudici, anzi, un vecchio giudice in particolare. No, era impossibile: quando avevano chiamato Marco per proporgli di entrare nella nuova giuria, si erano vantati di possedere “una scuderia tutta italiana per un programma tutto italiano”. Il ritorno di Mika era da escludersi.
Elio lo distolse dai suoi pensieri, dandogli uno scappellotto sulla nuca. «Riprenditi, testina! Ora arriva la parte divertente.»
Marco biasciò a mezze labbra: «Divertente?»
La cosa lo confondeva. Che fine aveva fatto Federico? Perché non gli era stata fornita spiegazione alcuna? Oh, giusto: perché era un timido patologico e si era vergognato anche a chiedere di saperne di più.
Il signor Fastidio lo fece sedere accanto a lui, mentre con la coda dell’occhio entrambi osservavano il resto della troupe andare di qua e di là come polli senza testa. Era un’immagine grottesca e vagamente spassosa, ma non era il momento degli scherzi, quello.
«Allora, la questione è la seguente» iniziò il signor Fastidio. «Con Fedez fuori dai giochi, dobbiamo pescare un altro giudice che possa adeguarsi alle sue caratteristiche. Attualmente stiamo puntando al signor Giambelli.»
«Emis Killa?» fece, incredulo. Non era affatto tipo da talent, dubitava seriamente che sarebbero riusciti a convincerlo a essere uno dei giudici. Inoltre, era un omofobo dichiarato, mentre X Factor era un programma palesemente a favore dei gay.
«Pare di sì, ma questo non è un problema suo» proseguì quello. «Lei però deve venirci incontro in un modo analogo e vestire i panni che erano stati del giudice Penniman.»
Marco prese un profondo respiro. Si era ripetuto in testa quella frase almeno cento volte e, nel dirla ad alta voce, gli sembrò acquisire un senso del tutto nuovo.
«Io non sono Mika.»
 

Nell’attesa fermo rimango
Aspettando a un passo da te
Che resti indifferente e poi cambi d’estate

Il signor Fastidio eluse la sua affermazione con un gesto della mano. «Oh, che Dio ce ne scampi, no! Siete due personalità completamente diverse, ma avete senza ombra di dubbio dei punti in comune. La spontaneità, l’eleganza, la sfacciataggine mascherata da gentilezza.»
A quel punto, perfino Irene accennò un sorriso che celava una battuta sarcastica. Marco era, sì, spontaneo, ma soltanto sui palchi dei concerti mentre cantava: era un disastro nel parlare.
Mordendosi il labbro, fece cenno di no.
«Invece sì, signor Mengoni. Sa, il pubblico la percepisce come uno di loro, sarebbe quasi il ragazzo della porta accanto, se non fosse per il suo straordinario talento. Se si adeguasse alla visione che gli spettatori hanno di lei, ha una vaga idea di ciò che potrebbe ottenere?»
E, senza aspettare che Marco rispondesse, proseguì: «Il doppio della visibilità e almeno il triplo dei consensi. Al pubblico piace sapere com’è il proprio idolo una volta sceso dal palco. Si dà arie? Gli piace scherzare? La fama lo ha cambiato o è rimasto il ragazzo semplice di un tempo? Noi puntiamo a dare risposte a questi interrogativi. Se la vedranno un uomo del popolo, diverrà la star più apprezzata del Paese, e non solo per la sua musica, ma anche per la sua personalità.»
All’improvviso, Marco capì: tra tutte quelle lusinghe vuote, il signor Fastidio gli aveva praticamente chiesto di essere come Mika. Non era difficile immaginare il perché: in Italia, negli ultimi anni, era scoppiata la Mika-mania. Tutti volevano conoscerlo, uscirci insieme, averlo anche a cena, perché no?, gli avrebbero cucinato dei manicaretti e chiacchierato amabilmente di arredamento e di come trascorrere le vacanze. Era diventato l’idolo delle adolescenti e delle loro mamme, l’uomo che tutti vorrebbero nella propria casa. Era quello il suo modo di conquistare la gente. Certo, nessuno conosceva la parte di lui che si infilava nei sogni altrui per prenderne il comando.
 

E cadono le scuse
E muore il mio pensiero su te

Ma Marco? Lui non era così. Nel suo paese natale lo chiamavano addirittura “il Pizzuttato”, che in dialettale viterbese corrispondeva pressappoco a “scorbutico”.
Dopo una lunga pausa, ammise. «Io non so come si fa.»
Fu allora che un tecnico, come se fosse stato addestrato per quel momento, tirò fuori da un archivio un piccolo faldone contenente dei dischi.
«Imitare lo stile di qualcun altro non è certo cosa che si faccia dall’oggi al domani» iniziò di nuovo il signor Fastidio. «Così ho provveduto a fare per lei una raccolta di tutte le puntate di X Factor degli ultimi tre anni. Le guardi, studi Mika, i suoi movimenti e il modo in cui sa cogliere ogni istante per mettersi in luce, con una critica o una battuta. Assorba il suo modo di essere e tra una settimana ci rivedremo. È tutto chiaro?»
Marco ebbe a malapena la forza di annuire, mentre ancora il produttore blaterava dandogli altri consigli per essere Mika. Esattamente l’ultima cosa che avrebbe voluto fare nella sua vita. Aveva sempre ammirato X Factor per il modo in cui ognuno, dai concorrenti ai presentatori, avesse l’opportunità di essere se stesso fino in fondo. Ma forse quello non valeva per i giudici. Gli stavano assegnando un copione senza battute: avrebbe dovuto recitare la parte ed essere perfetto, ma senza neanche uno straccio di appiglio a cui aggrapparsi.
Si voltò a guardare Elio, che ricambiò lo sguardo con un pizzico di compassione: lui era avvantaggiato, visto che aveva una personalità talmente spiccata da non poterne assumere un’altra imposta dalla produzione.
Irene, invece, gli rivolse un sorriso sbieco. «Ringrazia il cielo, Mengoni. A me hanno dato i DVD di Morgan.»
Quell’affermazione gli strappò una risatina, mentre ancora sentiva la fastidiosa voce del fastidioso produttore sproloquiare di cose fastidiose, e nel frattempo pensava.
Dunque Elio sarebbe stato l’uomo vivace un po’ in là con gli anni, come era sempre stato. Irene, invece, sarebbe stata la stronza di turno, un grande cambiamento visto che, da qualche anno, il giudice donna ricopriva immancabilmente, nel bene e nel male, il ruolo della “mammina”. Marco, invece, sarebbe stato il giudice spontaneo, che era capace di fare inaspettati complimenti e di dire brutali oscenità sempre con dolcezza e un gran sorriso. Al solo pensiero tremava, ma se diventava nervoso anche quando doveva prenotare un tavolo al ristorante! Come avrebbe fatto a patrocinare dei ragazzi recitando una parte che non era la sua?
D’un tratto, una segretaria piccoletta e robusta corse verso il signor Fastidio, urlando che forse Clementino sarebbe stato disponibile a far parte della giuria, poi gli passò un telefono nel quale lui iniziò a far colare delle altre sdolcinate falsità.
Marco approfittò di quel momento per prendere il cellulare, rintanarsi in un angoletto dell’enorme sala e chiamare Federico.
Si appiccicò letteralmente il cellulare all’orecchio, mentre quello squillava in attesa che Federico rispondesse.
Dopo un po’, sentì dall’altra parte un allegro: «Ehi, Priscilla regina del deserto!»
Sorrise. Federico lo prendeva spesso in giro per la sua omosessualità, per via di alcuni loro trascorsi. Ma non lo faceva, e mai lo aveva fatto, in modo offensivo, anzi tutt’altro: era un modo, per quanto rude, per fargli capire che lo accettava.
«Ciao omaccione. Sto qui a X Factor e ho saputo che ti hanno fatto fuori» lo zelo iniziale andò scemando. «Mi dispiace un sacco.»
Dall’altra parte, un sonoro ringhio di frustrazione. «Burattini del sistema. Fidati di me, fai carriera in Spagna o da qualunque altra parte e qui in Italia non tornarci più.»
«Ma cosa è successo con esattezza?»
«Che è successo? Giusto. Perché d’altronde non lo sa nessuno che questa merda di programma è palesemente di sinistra. Già il PD aveva cercato di farmi fuori perché sto con i 5 Stelle, ma non ce l’aveva fatta. Allora ha fatto in modo che la sicurezza di Sky mi beccasse con dell’erba in tasca.»
«Te l’hanno messa loro?»
«No, tutti lo sanno che io ho sempre dell’erba addosso, ma a nessuno è mai importato un fico secco. Che sono per la legalizzazione, è risaputo anche questo. Ma adesso chissà perché interessa a tutti e la questione era: o ti facciamo passare per un drogato spacciatore o te ne esci dal programma.»
Marco spalancò la bocca. Quei meccanismi gli erano stati del tutto sconosciuti fino ad allora, e decisamente la politica non faceva per lui: non era mai stato un fan dei giochi di potere. Ma gli pareva assurdo che potessero estromettere una persona come Federico da X Factor solo perché avevano ricevuto delle pressioni da Sinistra.
Si morse il labbro. «È terribile. Mi viene voglia di mollare, ti giuro.»
«Per carità, non farlo. Resisti quest’anno e poi riempiti l’agenda di impegni così non potranno chiamarti. Non permettergli di averti in pugno, Marco.»
«Lo farò. Grazie Fede e a nome di chi ti ha cacciato, ti chiedo scusa.»
«Non scusarti, piccola checca. Piuttosto, giurami che farai il bravo.»
Rise di quel tentativo di sdrammatizzare. Però nulla riuscì a distoglierlo dal pensiero che X Factor faceva qualcosa di brutto alle persone. Dopo aver partecipato al programma Morgan lo aveva ripudiato, Federico lo aveva insultato, Arisa se ne era andata disgustata... Soltanto Elio aveva resistito.
Ciò che in quel momento importava era che, se neppure un tipo testardo come Mika era riuscito a resistere più di tre anni, X Factor aveva fauci.
E Marco sarebbe stato mangiato tutto in un boccone.
 

Una settimana dopo, Marco tornò. Tra dieci giorni ci sarebbero state le prime audizioni e sicuramente il signor Fastidio voleva assicurarsi che Marco si fosse trasformato nella brutta copia di Mika, perché l’aveva chiamato con una tale urgenza da fargli temere che i capelli di Irene avessero preso fuoco e che avessero arso vivo Elio.
Il che, da una parte, sarebbe stato più divertente di guardare effettivamente trentasette ore di puntate di X Factor con Mika. Cosa che per altro non aveva fatto.
Faceva più caldo quel giorno, così Marco aveva optato per una buffa maglietta con sopra stampato uno smoking e dei pantaloncini kaki. Occhiali da sole e cappello in testa non sarebbero mancati, e di nuovo varcò quelle soglie, stavolta senza perdersi. Strano che ce l’avesse fatta, visto che in quella settimana non aveva dormito.
Era terrorizzato all’idea di dover fare come Mika. Aveva cercato di pensare al modo in cui avrebbe dovuto vestirsi, atteggiarsi, muoversi e comportarsi, e più ci pensava più gli veniva il panico. In quei sette giorni aveva cercato di rilassarsi e di essere il più possibile spontaneo “alla Mika”, ma gli venivano almeno sette attacchi di panico alla volta quando ci provava per davvero. Era arrivato perfino a sognarlo ogni volta che chiudeva gli occhi. Una notte lo aveva sognato in piedi su una tavola imbandita, nell’intento di calpestare il suo cibo. Un’altra volta lo aveva sognato vestito da dandy dell’Ottocento, mentre rideva di lui e continuava a tormentarlo dicendo: «Io sono l’unico Mika di questo mondo». Perlopiù, però, sognava la sua fuga precipitosa dall’Irlanda. Avrebbe preferito il Mika in versione Ottocento.
Per questo negli ultimi giorni aveva dormito davvero poco.
 

E muore il mio pensiero su te

Entrò dentro il solito edificio, si fece strada tra i corridoi e, non appena fece per avvicinarsi alla sala riunioni dell’altra volta, ecco spuntare un’altra volta il signor Fastidio.
«Mengoni, eccoti qua!» disse con un sorriso da coyote. Non gli piacque affatto. «Mi piace il suo abbigliamento. Particolarmente indicato.»
Marco finse di sorridere e gli assicurò: «Dopo aver visto tutte quelle ore di DVD, il minimo che potessi...»
«Oh, spero che tu non le abbia guardate tutte» lo interruppe. «Non voglio più che tu imiti Mika. Devi cambiare personaggio.»
Lo sguardo inceneritore che provenne dagli occhi di Marco dovette persuaderlo che non era stata una mossa azzeccata uscirsene in quel modo. Si era tormentato tutta la settimana per essere come Mika e ora scopriva che non se ne faceva più nulla?
Spiegò meglio: «Intendo, lei ha fatto bene, anzi benissimo a vedere quelle puntate, ma invece di concentrarsi su Mika, provi a riguardarli concentrandosi su Fedez.»
«Fedez?».
Si chiese cosa volesse da lui. Era stanco di dover interpretare ruoli di altre persone. Poteva essere il miglior Marco Mengoni possibile, anche se qualche imitatore avrebbe affermato il contrario, ma non poteva essere un’altra persona e poi un’altra ancora. Era da escludersi.
Quello non demorse: «Invece del giudice affascinante e spontaneo, vorrei che lei fosse più la tipologia di giudice moderno e divertente. Lei adora i social, è vicino ai giovani. Qualche battutina di tanto in tanto, non sia sempre accomodante con gli altri, e per l’abbigliamento...»
Una risata esplose.

Oh, no.
 

E io riuscirò da solo
A distinguere il confine
Che ci divide e ci porta via

Era una risata particolare, quasi simile al verso di una foca, eppure divertente e contagiosa.
La conosceva.
Marco piantò lì il signor Fastidio ed entrò a passo di marcia all’interno della sala.
Sgranò gli occhi.
Spalancò la bocca.
Era completamente convinto di star sognando ancora.
Elio e Irene si stavano facendo un autoscatto esibendosi in smorfie e boccacce verso il cellulare dell’uomo che, in mezzo a loro, lo reggeva e rideva in quel modo tanto travolgente.
Marco non poté confondere i suoi ricci bruni, né la sua notevole altezza e, sicuramente, non avrebbe mai potuto confondere la sua risata.
 

Per poi confonderci tra tutta questa gente

In quel momento, accanto a lui comparve il produttore Fastidio. «Come avrà forse avuto modo di capire ieri, abbiamo avuto delle difficoltà nel trovare un sostituto per il signor Lucia. Fortuna che ieri il signor Penniman ci ha chiamato per dire che aveva cambiato idea.»
«Michael?»
 

Che resta indifferente a noi

Marco, quel nome, lo urlò senza prestare ascolto alle parole che gli circolavano attorno.
Con tutta la calma del mondo, Mika si voltò con un sorriso ampio e radioso che espose i suoi incisivi marcati. Andò verso Marco studiandolo e sul suo viso l’espressione di piacevole sorpresa mise il ragazzo sulla difensiva. Cosa stava succedendo?
Non si erano né visti né sentiti dalla fuga di Marco in Irlanda. Che razza di gioco perverso aveva in mente?
 

Nell’attesa fermo rimango
Aspettando a un passo da te

Che resti indifferente e poi cambi d’estate
E cadono le scuse. e cadono le scuse

Come se gli avesse letto nel pensiero, Mika emise una risatina e disse: «Ciao, scappatore
 

Ed io non ti aspetto più.

 

 

 

 

La soffitta dell’autrice:
Salve, lettori e lettrici. Non pensavo, sarò sincera, di tornare con una nuova long. Ormai avevo abbandonato questa impervia strada per prendere quella, più semplice e senza impegno, delle OS.
Eppure sentivo che c’era ancora una storia da raccontare. La storia di un amore che sembra finito. La storia di una playlist in divenire. E dunque eccomi qui.
Ringrazio la mia fantastica e dolce beta, che mi ha convinta a tornare a scrivere long, il mio piccolo grande amore comeunangeloallinferno94. Grazie per la lettura, un bacio.

  
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Mika / Vai alla pagina dell'autore: _Even