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Autore: Dolores Haze    03/01/2016    1 recensioni
“Quello che voglio dire, Sherlock, è questo: ho l’impressione che negli ultimi anni tu abbia trovato qualcosa o qualcuno che sfuggisse davvero, definitivamente e per sempre, a questa terribile legge che regola la tua vita.”
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo un paio di giorni trascorsi a meditare con le punte delle dita congiunte, sprofondato nella poltrona del salottino, insensibile ed indifferente a qualsiasi tipo di stimolo, il mattino soprese Sherlock con l’arrivo di Mrs. Hudson, la quale, a giudicare dalle sopracciglia corrucciate e dallo strano bagliore negli occhi miti, sembrava più determinata che mai. Il primo suono era un tintinnio argentino, sottile e difficilmente individuabile se non in condizioni di perfetto silenzio, ma l’udito di Sherlock, oltre a essere particolarmente sensibile, era anche notevolmente allenato. Il secondo suono, ben più vigoroso, era lo scalpicciare dei suoi passi da passerotto sulle scale, le quali sembravano accogliere la pressione dei piedi di Mrs. Hudson con un cigolio morbido in risposta. Terzo suono. Rumori benevoli, affettuosi, accettati, quasi attesi da Sherlock, nonostante il torpore delle sue meditazioni, le quali, a dispetto della sua postura inerme e dell’apatia dei suoi occhi, erano divenute più frenetiche con il passare delle ore.

Bruno. Aconito. Villa abbandonata. Rovine. Neanche una traccia, neanche un’impronta. L’unico a detenere le chiavi è il vecchio custode, Howard Hughes. Una casa circondata dalle campagne a poca distanza dalla villa dove è stato trovato il sacerdote. Howard Hughes. Il nome suggerisce grandezza, un passato munifico, un presente invidiabile. È invece un vecchio possidente caduto in disgrazia. Capelli grigi, occhi neri, sottile e nervoso. Le crosticine intorno alla bocca suggeriscono una dipendenza da popper. Aria ingenua, tremito impercettibile. Non aveva mai visto un cadavere prima di allora. Non divagare. Scusa, Mycroft. Un momento. Cosa ci fai tu nel mio palazzo mentale? È una cosa insana, Sherlock, lo sai bene. Sparisci. Subito, ma non prima di averti ricordato che è la vigilia di Natale e che trascorrerai quasi sicuramente una serata in compagnia.

Una serata in compagnia?

“Sherlock!”

Aconito. Cigolio della porta. Scricchiolare delle assi del pavimento. Farina, capelli raccolti, bocca dipinta. Grembiule. Vassoio. Tazza di tè. Mani tremanti. Il cucchiaino sbatacchia appena contro la zuccheriera. Un tintinnio argentino perenne, nascosto, come un suono segreto, come un messaggio. Cosa diavolo ci faceva lì quell’uomo? Come ci è entrato?

“Caro, non tocchi cibo da troppo tempo. Ho pensato che un buon tè potesse farti tornare un po’ di appetito.”

Un suono gutturale in risposta.

“Come ti senti, a proposito?”

Apparentemente è l’omicidio perfetto. Non riesco a individuare il movente. Ho troppi pochi dati a disposizione. La serratura della porta di ingresso è stata forzata una volta sola, l’ultima. L’unica stanza impiegata (per cosa, poi?) è stata utilizzata una volta sola, l’ultima. Potrebbe sembrare un suicidio.

“Ho pensato che stasera potessimo trascorrere un po’ di tempo tutti assieme. Sai, scambiarci i regali, chiacchierare, bere qualcosa…”

Ma io so per certo che non lo è.

Si schiarì la voce. “Non credo di poter partecipare. Sto lavorando ad un caso.”

Mrs. Hudson sembrò delusa. “Anche stanotte, Sherlock? Non puoi proprio prendere una giornata di pausa per stare con i tuoi amici?”

“I criminali non vanno mai in vacanza, Mrs. Hudson”, replicò Sherlock.

“Ma i consulenti investigativi possono farlo per qualche ora”, lo rimbeccò lei con determinazione, scrutandolo con occhi duri.

Un sospiro.

“Per quanto possa trovare incredibilmente avvincente la sua dedizione a certe incomprensibili tradizioni, Mrs. Hudson, non ho nessunissima ragione logicamente validata per sottostarvi”.

“E invece ne hai a bizzeffe, caro, perché i tuoi amici hanno un grande desiderio di stare in tua compagnia. Non puoi deluderli.” Mentre lo diceva, allungò una mano esile per dargli un buffetto sulla guancia. Sherlock rimase paralizzato da una sensazione di imbarazzo difficile da classificare. La sua mente, con strida di ingranaggi impazziti, riprese a lavorare freneticamente.

Tradizione. Compagnia. Champagne. Amici. Diamine. Terrificante, noioso, impensabile. Londra è piena di pericoli di ogni sorta, c’è un pazzo avvelenatore a piede libero e il mio destino è quello di ritrovarmi imprigionato in una situazione sociale talmente spinosa da farmi venir voglia di strapparmi i capelli a ciocche. Il mio battito cardiaco sta accelerando, ho le mani sudate. C’è un pensiero, uno solo, che preme per uscire, si dibatte e scalcia come in un incubo, ma non lo lascerò andare. Devo trattenerlo.

“Non mi interessa deludere o meno chicchessia. E poi ho ancora un po’ di febbre”, azzardò timidamente.

Smettila di punzecchiarmi, smettila, smettila, smettila…

Mrs. Hudson prese un lungo, eloquente respiro. Si alzò e si diresse verso il vassoio che aveva deposto sul tavolo, accanto al laptop e a una pila di libri di chimica e fisiologia. “Sherlock…”

Oh, ti prego…

“John.” Espirò senza riuscire più a trattenersi. Con un sobbalzo, riuscì a focalizzare visivamente il proprio muscolo cardiaco saltare un battito e riprendere a pompare sangue con più voluminosa audacia di prima. Arterie, capillari, vene. Scambi gassosi. John. Tu sai cosa mi sta accadendo. Tutto questo accade dentro di me, ora, subito. Lo sai bene, benissimo, eppure non ci sei.

Mrs. Hudson non diede segno di sorpresa. Era troppo impegnata a versare il tè nella tazza sbreccata, a raccogliere i granelli di zucchero sfuggiti al cucchiaino, a pianificare l’orrenda serata che, date le premesse, si preannunciava più cupa che mai. Il soffitto non si è sbriciolato sulle nostre teste, Mrs. Hudson non ha avuto nessun colpo apoplettico, io non sono morto. L’ho detto. L’ho detto davvero. John. John ci sarà? Lui, Mary, la famigliola felice?

“So bene”, stava dicendo Mrs. Hudson, porgendogli la tazza di tè con un sorriso felino “che le circostanze siano particolari e che tu non tenga particolarmente a queste feste, ma ci incontriamo ogni anno assieme agli altri. Non interrompiamo questa tradizione.”

Sherlock sorbì il tè senza replicare. Era caldo, gradevole, rinvigorente. Effettivamente, dopo qualche istante si sentì meglio. Ripose la tazzina e chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie indolenzite. Percepì un’esitazione infinitesima in Mrs. Hudson, la quale aveva prontamente messo in ordine il tavolino ed aveva cominciato ad avviarsi verso l’ingresso, sulla soglia del quale si era fermata, vagamente a disagio. Attraverso l’intercapedine delle palpebre chiuse, Sherlock ne visualizzò gli occhi inumiditi dalla stanchezza, l’anca dolorante, i denti che rincorrevano le labbra, affondando nella carne rosea e resa più accesa dal rossetto. Tracce di trucco, un sospiro strozzato, mani che si torcerebbero, se non avessero l’impedimento del vassoio appena tremante. Tanto bastò a metterlo in allerta.

Spalancò gli occhi. “Che c’è?”, sbottò.

Mrs. Hudson si finse sorpresa con una smorfia che qualunque altra persona avrebbe trovato graziosa, ma non Sherlock, il quale, dopo averla soppesata per un istante, inarcò le sopracciglia e decretò:

“Ha qualcosa da dirmi, Mrs. Hudson?”

La donna emise un suono soffocato, a metà tra un gemito e un risolino. “Oh, Sherlock, niente di particolarmente interessante. Ho pensato, però, che dovessi essere preparato.” All’udire quelle parole, Sherlock si visualizzò nello stesso modo in cui si trovava in quel momento: esile, semisdraiato in poltrona, il volto pallido, i grandi occhi chiari sgranati, le dita giunte, le vene improvvisamente pulsanti. La voce gli uscì sottile, appuntita: “Preparato a cosa, esattamente, Mrs. Hudson?”

Un respiro voluminoso, concentrato, saturo d’ossigeno. “Stasera…”

“Stasera?”

Ho un presentimento. Ed è il più terribile che possa mai essere concepito.

Mrs. Hudson si corresse precipitosamente. “Quel che voglio dire, Sherlock, è che vorrei tu fossi presente stasera per dare il benvenuto ad una ospite…”

È peggio di quanto credessi. Una ospite. Sesso femminile. Ospite.

“Una ospite?”

“Per la precisione, una sorta di… coinquilina”, esalò Mrs. Hudson, bianca come un lenzuolo.

Sherlock non avrebbe potuto descrivere in nessun modo il caos coagulato che gli esplose improvvisamente in tutto il corpo all’udire quelle parole. Era come se ogni suo organo si fosse ribellato alla decisione presa da Mrs. Hudson contro la propria volontà e protestasse con tutta la forza di cui era capace. Il cuore gli pulsava contro la gabbia toracica con impetuosa disperazione. I suoi polmoni sembravano necessitare improvvisamente di un quantitativo maggiore di aria da inalare, e ciononostante ogni respiro gli bruciava curiosamente e dolorosamente la trachea. Il tè sembrava avergli incollato il cardias ed il piloro, un tappo zuccherino aromatizzato al limone, sigillandogli, apparentemente per l’eternità, lo stomaco. Stille di sudore freddo gli imperlarono sgradevolmente la fronte.

Di quella deflagrazione lacerante Mrs. Hudson captò un unico, impercettibile segnale: le labbra di Sherlock, appena impallidite, si mossero appena per congedarla. “Ci sarò”, fu l’unica cosa che disse.

 

Sherlock trascorse le ore successive profondamente immerso nell’oceano che aveva invaso il suo palazzo mentale con un fragore insopportabile in seguito allo scambio avuto con Mrs. Hudson. Si era aggirato per qualche tempo per le stanze ed i corridoi umidi, muovendosi a fatica a causa dell’acqua che ne intralciava il passaggio, osservando con tristezza lo sfacelo che lo circondava e chiedendosi con orrore quando sarebbe stato nuovamente agibile. Temeva che i danni potessero essere permanenti, ma si costrinse a focalizzarsi su un solo pensiero: se non poteva affrontare tutta quell’acqua, avrebbe lasciato che quest’ultima lo ghermisse e lo portasse in qualsiasi direzione. Solo così avrebbe avuto chiara tutta la situazione e avrebbe potuto collocare al loro posto le tessere mancanti del puzzle. Così fece. Smise di opporre resistenza all’acqua e le permise di trasportarlo, muovendo appena le braccia e le gambe per rimanere a galla. La sensazione non era spiacevole: i suoi vestiti si erano gonfiati e fluttuavano, i suoi movimenti erano lenti e cadenzati. L’abbraccio dell’oceano era quasi confortante.

Quando Mrs. Hudson, vestita di tutto punto, si affacciò sulla soglia dell’appartamento, carica di stuzzichini e decorazioni natalizie, lo trovò nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato più di sei ore prima, con gli stessi vestiti, lo stesso respiro e lo sguardo liquido e lontano. Per un istante la donna ebbe l’impulso di correre al telefono e annullare tutto, ma dopo pochi istanti prese un respiro profondo e si disse: Martha, non essere ridicola. Sarebbe peggio per lui se tutto gli fosse dovuto, se tutto gli fosse reso facile.

“Sherlock”, ordinò “va’ a vestirti. Gli altri saranno qui tra poco.”

Sherlock, pur non avendo dato cenno di averla vista o udita, si alzò lentamente e si diresse verso la propria camera. Passando nel piccolo corridoio diede un’occhiata all’orologio che portava al polso: tale gesto sembrò rinvigorirlo, perché frugò con decisione nell’armadio e scelse la camicia color bordeaux che aveva sempre indossato in occasioni come quella. Con altrettanta sicurezza passò nel bagno per lavarsi, esile, rapido, efficiente. In poco tempo fu pronto. Mrs. Hudson, nel frattempo, si apprestò ad allestire il piccolo salotto per la festa, senza perderlo d’occhio un solo istante. Dal canto suo, Sherlock non diede alcun segnale di averla notata. Terminò di vestirsi e rientrò in camera, mentre Mrs. Hudson, dopo aver sistemato le ghirlande e le lucine, pensava a quanto strana fosse quella danza inconsapevole che stavano entrambi compiendo, quasi stessero girando intorno ad un fantasma, senza toccarlo mai, senza affrontare mai il problema. Com’è possibile che un uomo tanto geniale e colto, così esperto nelle sue deduzioni, o quel che diavolo sono, possa essere tanto ingenuo e spaesato di fronte ai sentimenti? Qualunque altra persona avrebbe affrontato la cosa con una leggerezza diversa rispetto a quella che lui sta ostentando. Così si diceva Mrs. Hudson, mentre Sherlock le passava accanto senza quasi vederla, dirigendosi verso il violino posato sul tavolo polveroso e lasciando dietro di sé una lieve scia di acqua di colonia.

Le prime, esitanti note di un valzer riempirono la stanza. Mrs. Hudson si fermò sulla soglia, accarezzando Sherlock con occhi affettuosi. È così vulnerabile, si disse. Come un bambino, come un figlio. Vorrei poterlo aiutare in qualche modo.

Sherlock chiuse gli occhi, e la melodia che stava suonando divenne un sottofondo ovattato, distante. Si ritrovò nel palazzo mentale, percependo come le cose fossero cambiate in quel lasso di tempo in cui era rientrato nella quotidianità. Il flusso d’acqua si era ingrossato ed aveva aumentato la sua velocità, costringendolo a voltarsi sulla pancia e a nuotare con ampie e abili falcate. Nel farlo, lanciava sguardi angosciati intorno, appurando come l’acqua avesse corroso gli ambienti, apparentemente in modo irreversibile. Accadrà ancora? Si chiese. Tutto questo deperirà senza che io possa impedirlo? Tutto questo deperirà prima che possa risolvere il caso del sacerdote avvelenato?

I suoi pensieri furono arrestati bruscamente dall’arrivo di Lestrade e Molly Hooper, i quali lo salutarono con premura esitante. Sherlock offrì loro un sorriso tirato, poi ripose il violino e sedette, tamburellando le dita sul tavolo con manifesto nervosismo. Mrs. Hudson offrì del vino e salatini a tutti, i quali accettarono, eccezion fatta per Sherlock, che sedeva rigido e teso. “Allora, Molly”, disse “hai esaminato il corpo del sacerdote?”

Molly arrossì, ma rispose con compostezza. “Tutto lascia presagire che sia morto per avvelenamento, come avevi… insomma… già detto tu. Aspettiamo i risultati del tossicologico per una conferma definitiva.”

Sherlock annuì seccamente. Mrs. Hudson intervenne: “Non parliamo di queste cose tristi, caro. È pur sempre la notte della vigilia di Natale…”

“Un vecchio trucco che con me non attacca”, replicò Sherlock con fare apparentemente gioviale. Mrs. Hudson scosse la testa con fare rassegnato. Sherlock lanciò un’occhiata nervosa verso la soglia dell’appartamento. Arriverà? Si chiese. Arriveranno?

Molly si rivolse a Lestrade con un sorriso imbarazzato. “Come sta tua moglie, Greg?”

Sherlock decise di indirizzare la propria attenzione su quello scambio banale solo ed esclusivamente per contraddire qualsiasi risposta Lestrade avesse proferito, ma prima che potesse selezionare le affermazioni più deboli e gustose da attaccare, un suono remoto lo fece appena sobbalzare. Nessuno diede cenno di essersene accorto. Il suo stomaco sembrò rivoltarsi come un guanto, il cuore cominciò a sbatacchiare in maniera impensabile, come una finestra lasciata aperta in un giorno di vento. Strofinò nervosamente le mani sulle ginocchia, per nasconderne il sudore crescente. Sono disgustoso, si disse. E le mie metafore fanno schifo.

Sono arrivati. Lui è qui.

Si era sbagliato, ma non completamente. I passi che aveva udito sulle scale si fecero più nitidi man mano che i piedi cui appartenevano si avvicinavano. Dopo un’iniziale attimo di incredulità, rivoli di amarezza si ingrossarono nelle sue viscere. Sherlock roteò gli occhi, visibilmente disgustato. Una sola persona. Camminata leggera, quasi felpata. Struttura corporea certamente minuta e poco pesante. Niente tacchi. A giudicare dal rumore è più probabile che siano anfibi. Dànno volume al suono dei passi, che altrimenti sarebbe indistinguibile e pertanto passerebbe inosservato. Non promette nulla di buono. Ci sarebbe molto da dire sulla psicologia delle calzature. Dovrei scrivere un saggio in merito. Riassumiamo. È una donna, minuta, magra, giovane. Detesto i giovani.

“Ah, Helvia!”, esclamò Mrs. Hudson non appena quest’ultima si affacciò sulla soglia con un sorriso impacciato. Sherlock non riuscì a trattenersi e sbuffò rumorosamente. Molly gli rivolse uno sguardo interrogativo ed intenso, ma lui non se ne accorse. La sua mente riprese a lavorare con frenesia, passando al vaglio e demolendo quasi simultaneamente i dettagli e le caratteristiche ricavate dall’osservazione della ragazza.

Noioso, noioso, noioso. È stato davvero questo a prostrarmi per un pomeriggio intero? Una biondina con un anello al naso e i jeans strappati? Una sciocca che cerca di emergere dalla banalità della sua stessa vita pasticciandosi i capelli e forandosi le cartilagini? Impensabile.

“Buonasera a tutti!”, esclamò quest’ultima, rivolgendo un sorriso ai presenti. Baciò Mrs. Hudson sulle guance e si rivolse a Sherlock con un’espressione cordiale, tendendogli la mano. “Molto piacere, signor Holmes. Mi chiamo Helvia Haynes. Martha mi ha parlato molto bene di lei.” Sherlock la inchiodò con uno sguardo gelido, ma la giovane non diede mostra di essere rimasta impressionata. Ritrasse elegantemente il braccio e gli diede le spalle. Molly e Lestrade osservavano la scena a bocca aperta.

“Ti stavamo aspettando!”, intervenne Mrs. Hudson con voce appena stridula, spezzando il silenzio imbarazzato che si era improvvisamente impadronito dei presenti. “Accomodati pure.”

“Sì, accomodati, Helvia”, fece eco Lestrade con voce arrochita. “Gradisci del vino?”

“Volentieri, grazie!”, rispose la ragazza, ravvivandosi i capelli con un gesto che Sherlock soppesò per un istante. Pratico, non affettato né vanitoso. Apparentemente non egocentrica. Accolse il calice tra le mani esili e bevve un sorso. Le sue guance si tinsero leggermente di rosa. Buono a sapersi, pensava Sherlock, sarà più facile tenerla alla larga. Lanciò un’altra occhiata all’orologio e si sentì improvvisamente meglio. Manca poco, si disse.

E John non verrà.

Quel pensiero fu talmente insostenibile da spingere Sherlock ad alzarsi bruscamente, incupito. Le mani gli tremavano leggermente, ma i suoi movimenti erano secchi. Indossò il cappotto e la sciarpa e si guardò attorno alla ricerca dei guanti. Mrs. Hudson lo guardava con tristezza. Sherlock intercettò lo sguardo di Molly e Lestrade, i quali apparivano più rassegnati che sorpresi. La ragazza bionda continuava a sorseggiare il vino, ma le sue dita erano contratte. Sherlock avvertì un palpito di soddisfazione.

“Dove stai andando, Sherlock?”, chiese Lestrade.

“Ho un improvviso e frenetico desiderio di tranquillità”, rispose Sherlock con voce neutra.

Lestrade lo scrutò con diffidenza. “Non dirmi che ha a che fare con il sacerdote dell’altro giorno.”

“Se te lo dicessi non farebbe differenza, dico bene?”

Mrs. Hudson fece per aprire bocca, ma l’occhiata che Sherlock le lanciò la ammutolì. “Ti lascio qualcosa da mangiare”, disse con voce flebile.

Sherlock rivolse un ultimo sguardo agli astanti. I suoi occhi si soffermarono sulla pelle opaca e sugli anellini alle orecchie di Helvia, la quale scrutava il fondo del suo calice. Coinquilina, pensò con vago disgusto. Potrebbe rivelarsi più arduo del previsto. Ma del resto potrebbe rivelarsi anche più facile e scontato del previsto.

Si volse e scese le scale. Mrs. Hudson si rivolse con un sorriso tirato a Helvia: “Ci farai l’abitudine, cara. Sotto quella corazza batte un cuore gentile.”

Lestrade fece una smorfia. “Probabilmente si sta confondendo con qualcun altro.” Molly gli tirò una gomitata, senza sorridere. Aveva gli occhi velati di lacrime.

Sherlock uscì nella notte fredda e immobile. Guardò un’altra volta l’orologio e pensò che avrebbe potuto facilmente raggiungere la chiesa di St Peter a piedi. Mancava ancora qualche ora alla veglia di mezzanotte. Sorridendo appena tra sé, ripensò al pomeriggio trascorso nell’incertezza e nello spavento dell’ignoto che si era poi materializzato sulla soglia dell’appartamento con un anello al naso. Si figurò la ragazza bionda, sbiadita come una vecchia immagine, e pensò a quanto l’ignoto potesse essere sorprendente nella sua banalità. Poi i suoi pensieri si soffermarono con amarezza su John, più lontano che mai, e poi pensò a se stesso, gonfio di tristezza, dolente e vulnerabile come mai si era sentito prima di allora.

 

 

Desidero ringraziare sentitamente tutti coloro che hanno letto e recensito, in particolare emerenziano. Ti ringrazio davvero per tutti i complimenti (che non merito), mi riscaldano il cuore in un modo che davvero non so descrivere!

Un abbraccio, a presto,

Denirose

   
 
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