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Autore: Dolores Haze    15/01/2016    2 recensioni
Nata da un’ispirazione (o follia) momentanea. Le prime notti dell’esilio che terrà Sherlock lontano da Londra per due anni sono insostenibili. Per non impazzire, Sherlock decide di realizzare una serie di ritratti di tutti coloro che ama e che ha dovuto lasciare indietro.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Lestrade, Molly Hooper, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Le linee di John, a dispetto del suo portamento militare, sono molto aggraziate. Ha occhi chiari e intensi, diretti, specchio della sua schiettezza, della sua moralità, del suo esistere limpido. Sono difficili da rendere con questa penna tanto nera. Orecchie appena sporgenti, proporzionate rispetto alle dimensioni del volto. Labbra sottili, semplici da disegnare, naso che credo si definisca “a patata”, nel linguaggio comune – perché poi si chiama così? John. Ti ho raffigurato con un’espressione seria, corrucciata, – ecco, aggiungo due segni tra le sopracciglia – la stessa che hai quando sei concentrato sul tuo blog, su un passaggio particolarmente difficile di un caso, o quando ripensi al passato, all’Afghanistan, seduto nella poltrona di fronte alla mia, mentre io muovo con rabbia l’archetto del violino, e sono saturo, sporco di accidia. Tu mi guardi ma non mi vedi, io lo so e taccio, o fingo di non saperlo e continuo a riempirti di parole sciocche, vuote, indispensabili per sopravvivere. Come puoi saperlo, Sherlock? Lo so e basta, John, l’ho sempre saputo.

Quando distendi la bocca ti compaiono delle fossette agli angoli delle labbra, incantevolmente puerili. Non ci ho fatto spesso caso, ma quando me ne sono reso conto sono rimasto folgorato: le linee del volto si spianano, i tuoi occhi si ingrandiscono, sembri più sereno, più forte, come se i demoni fossero silenti e tu fossi soltanto tu. Ridi in maniera aperta, spontanea, contagiosa, irresistibile.

John, nonostante mi piaccia il tuo sorriso, la cordialità della tua espressione quando il tuo tono dell’umore è maggiormente elevato, quando accogli un cliente o la tua nuova ragazza, quando dormi per otto ore di fila e ti sgranchisci scrutando divertito il mio patetico, frenetico arrancare dietro i mille pensieri che affollano la mia mente dopo una notte insonne trascorsa dietro il microscopio, nonostante mi intenerisca il delicato rispetto con cui ti rivolgi a Mrs. Hudson, è nel tormento del tuo volto segnato che ritrovo il vero John, il John primordiale, vulnerabile, il John simile a me, pronto a saltare giù dalla poltrona e a seguirmi ovunque. Devo confessartelo, anche se sto parlando ad un foglio, devo dirtelo, in qualche modo, fartelo sapere.

Il tuo collo è semplice da disegnare. Forse ogni collo lo è: due linee morbide, snelle, uno spazio solcato dalle pieghe del muscolo sternocleidomastoideo. Una zona vulnerabile, esposta a qualsiasi pericolo. Il tuo collo mi spaventa, John, mi spaventa e mi attrae, perché è sul collo che affiora con maggiore chiarezza il polso carotideo, segno vitale indispensabile, l’ultimo a scomparire in condizioni di gravità tali da avvicinare il paziente alla morte.

Ho immaginato di toccare il tuo collo, John, premere la pelle delicata, sentire la vita parlarmi, rispondermi attraverso i tessuti e le cellule. Questo pensiero diffonde una tranquillità benefica nelle mie vene esauste. Altre volte, suggestionato dal mio stesso orrore, ho temuto di accompagnare il tuo battito con le mie dita, prigioniero della mia stessa aura di impotenza, sino a sentirlo affievolirsi, sino a sentirlo dileguarsi… mentre mi comprimevi il polso con una forza bruta, disperata, sconosciuta, oggi, e supplicavi che non stesse accadendo davvero, ho rivisto con lucida chiarezza quella scena dipinta dalle pennellate del mio masochismo, immaginando il tuo dolore, immaginando il dolore che avrei provato io, e ho lottato per non gridare. John, potrai mai perdonarmi?

Ma ecco le spalle… le tue clavicole sottili e affusolate. Sai, John, pur possedendo una fioritura di muscoli tonificati dall’attività fisica, le tue braccia appaiono esili. Sono sicuro abbiano ingannato molte donne. La mia penna corre, corre, insegue delle linee proporzionate, gradevoli, come se stesse ritraendo il frutto di qualche fantasia recondita, inestimabile, e invece sei tu, John, reale come il polso carotideo, come il sangue che palpita nelle vene, come le tue dita armoniose, curate, dalle chiare unghie rotonde…

Il tuo petto, John, è ampio, oltremodo rassicurante. Il tuo torso sembra una dichiarazione intima, troppo imponente perché si possa celare sotto gli abiti: lì dove emergono i grandi muscoli pettorali, ciascuno orlato da un capezzolo rosato, dove si fa strada l’addome liscio, interrotto solo in un punto dalla cavità ombelicale, è lì che si annida il tuo vero io, l’io di ognuno di noi. Non siamo che una continuità di tessuti, di pori, di bulbi e fibre, ma la tua continuità, John, per qualche impensabile ragione, è per me più amabile, più armoniosa, più meritevole e degna di quella di molti altri.

Devo fermarmi. Raccogliere le tempie tra le mani. Ti osservo, per un attimo, sbozzato dalla mia mediocrità, come un pulcino senza piume, rassomigliante alla categoria, ma non del tutto al vero se stesso: sono un pessimo disegnatore. Ciononostante, John, rincorrere i tuoi dettagli, fermarli sulla carta… come se ti avessi scattato più fotografie, come se avessi estrapolato le mie immagini mentali di te che cammini, che riposi, che esci dalla doccia, che giaci sulla poltrona con il computer in grembo… riconoscere la trama della tua pelle, della peluria chiara che fiorisce sulle braccia, sulle gambe, ripercorrere il passaggio delle tue linee, delle scanalature… è stato come incarnarti in me, incarnarmi in te. Un atto talmente remoto e impensabile da sorprendermi, da appagarmi, eppure da non lasciarmi ancora saziato, contorto e rattrappito come sono nella mia miserabile solitudine.

 

 

Ancora, come sempre e per sempre, la mia più profonda gratitudine va a chi legge e a chi recensisce, in particolar modo a emerenziano, che riesce sempre a cogliere il significato più profondo (e che a volte sfugge persino a me stessa) di quanto scrivo, a Paranoicasociale e a Ayreon: mi inorgoglisce sapere che le follie generate dal mio cervellino instabile riescano a fare breccia nel cuore di qualcuno. Spero di non deludervi, alla prossima!

Denirose

   
 
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