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Autore: Duncneyforever    09/02/2016    2 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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- V-voglio tornare a casa mia. - Singhiozza, mostrandomi gli occhi colmi di lacrime. 

Provo immenso rammarico nel vedere Friederick in questo stato. Percepisco un tuffo al cuore ogni qual volta incontro il suo sguardo afflitto. 

- Ho paura, Fried. Il futuro di tutti noi potrebbe cambiare... non voglio addossarmi una simile responsabilità. - 

Mi affaccio dalla piccola finestra, sospirando pensierosa. 

- Morirò presto, non è vero? - Vi è solo triste rassegnazione nelle sue parole. 

Appoggio le mani sul freddo vetro, per poi nascondermi il volto. 
Fried mi supplica di non piangere per lui, ma come faccio? Mi può spiegare? Mi ha appena chiesto se verrà ucciso ed io, che al principio, sapendolo un SS, non avrei esitato a rispondergli di sì, mi ritrovo a far fronte ad un conflitto interiore, complice la sua natura buona e compassionevole. 

- Non dire così. - Dico, flebilmente. 

- E queste persone? Cosa accadrà loro? - 

- Ventisette gennaio millenovecentoquarantacinque. - Ho parlato così velocemente che io stessa non sarei riuscita a capirmi. 

- Was? - Lui mi guarda perplesso, chiedendomi di ripetere. 

- I soldati sovietici libereranno Auschwitz il ventisette gennaio del quarantacinque. Troveranno circa ottomila prigionieri, che nei mesi e negli anni a venire racconteranno tutto ciò che hanno subito. Nel giro di qualche mese, tutti i campi saranno liberati. - Solo dopo aver confessato, mi rendo davvero conto di ciò che ho fatto. - No... - Mi faccio scappare, coprendomi il viso. 

Non posso averglielo detto, ma che mi è preso? Lasciarmi trasportare dalle emozioni in questo modo, non è da me! Beh, forse quando avevo quattordici anni... Ah! Dannatissimo sbalzo temporale! E se avessi causato una falla, un danno irreparabile che cambierà per sempre il volto dell'intera umanità? 

- Meinst du das ernst? / Dici sul serio? - Raccoglie le mie mani, con un sorriso speranzoso impresso sulle labbra. 

- Ti supplico non dire niente. Ho detto già troppo. - 

- Ich verspreche. / Prometto. - Sposta una mano sul petto, prima di aggiungere - Ti fidi di me? - 

- Io... mi fido di te. - Dichiaro. 

- Però? - 

- È molto importante, Fried. Non avrei dovuto dirlo. - Affermo, stringendomi convulsamente i capelli. 

- Non ti preoccupare. Io mantengo sempre le mie promesse. - 

- Non ne dubito affatto, ma... è irreale tutto questo. Sono ancora convinta che si tratti soltanto di un brutto scherzo del destino. Non so neanche come sono finita qui! Mi sono affezionata a te fin da subito, ti ho accolto nella mia vita come se fossi un normalissimo ragazzo maldestro, che per poco non si era rotto la testa inciampando sulla radice del noce davanti casa mia... Ero felice della tua presenza, ridevamo e scherzavamo. Hai nascosto il tuo dolore per rendermi felice... perché? - 
Crescente è il luccichio negli occhi e, ormai nota, è la sensazione di gonfiore. I recenti pianti hanno lasciato visibili segni sul mio viso: l'incarnato è più pallido del solito, lievi occhiaie contornano le palpebre e i capelli, usualmente mossi e setosi, sono crespi e disordinati per il troppo nervosismo. 
Il sorriso... sparito come se non fosse mai comparso sulle mie labbra. 

Non sembro nemmeno più io.

Come Friederick, del resto. 
Un giovane ragazzo oppresso dal sistema, infelice e terribilmente spossato. Seppur si sforzi di apparire sereno, viene tradito dall'espressione cupa, dalla luce affievolita al di là del meraviglioso cielo d'estate. 
Non vi sono mezzi termini per definirla; pare svuotato, a discapito dei momenti di cagionevole felicità. 

Ci siamo spenti, come stelle cadenti. 

- Sei solo una bambina... mi era parso inappropriato parlarti della guerra. Non ho minimamente idea di come tutto questo possa essere accaduto, tuttavia, so di aver commesso un gravissimo errore: non avrei dovuto coinvolgerti e, sopratutto, non avrei dovuto portarti qui. - Il germanico sembra mortificato, per uno sbaglio che riguarda entrambi e il cui peso non dovrebbe gravare solo sulle sue spalle.

- Non accusarti ingiustamente. È mia la colpa. La curiosità mi ha accecata; non ho valutato le conseguenze delle mie azioni ed ora ne pago il prezzo. - Ammetto, ripensando a quanto fossi stata superficiale. Mi sento tanto sciocca... la mia impulsività ha giocato a mio svantaggio, ancora una volta. 

- Troveremo il modo di restituirti la tua quotidianità. Nel frattempo, cercherò di proteggerti, sempre, da tutto e da tutti, ma devi promettermi che farai tutto ciò che ti dirò... - Parole pronunciate con tanta serietà non possono essere ignorate: il biondo mi raccomanda di non avvicinarmi al filo spinato, di non parlare con i prigionieri, di limitare i contatti con le guardie del campo e di non esprimere idee contrarie al nazionalsocialismo in loro presenza...

Farò meglio a prendere in considerazione i suoi avvertimenti, visto come sono andate a finire le cose con Herr Miller e con Schneider. 

- Ancora una cosa prima di andare; ti prego di muoverti cautamente con il colonnello. Schneider è la personificazione del male, non scordarlo mai. - 

- C-certo - Balbetto, con voce tremolante. 

- Non era mia intenzione spaventarti. Tengo molto a te. - Mi rassicura, distogliendo lo sguardo. 

- È una cosa reciproca. - 

- Mi sento un mostro... guarda cosa ti ho fatto. - Si rimprovera, alludendo ai miei occhi lucidi e velati di lacrime. - Non hai mangiato nulla, troverò il modo di procurarti qualcos'altro. Me lo farai vedere domani come funziona il tuo... cellulare, si chiama così, vero? Dobbiamo rientrare... il colonnello ti starà aspettando. - 

- Grazie, sei il mio angelo custode. - Gli faccio sapere, facendomi strada verso il corridoio.

Friederick mi accompagna fin sul vialetto di casa Schneider. Viene ad aprirmi una ragazza, ma questa, anche lei con un triangolo, marrone, appuntato sui vestiti civili, non mi degna di uno sguardo. 
Salgo le scale e sparisco nella mia camera, prima che l'ufficiale dai capelli rossi possa rientrare dal pranzo. 

Chiudo la porta, incurante dei brontolii causati dalla fame e mi lascio cadere sul letto.
L'orologio appeso segna le sei del pomeriggio... Quasi mi vergogno di me stessa. 

 

  
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