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Autore: Ink Voice    10/02/2016    1 recensioni
Niente sarà più come prima. Forse è meglio così, pensa Eleonora, mentre si chiede esasperata quale sia il prossimo compito da portare a termine. È una domanda retorica che si pone solo per rispondersi subito dopo: “Salvare il mondo”. Una frase da supereroe, da film, che invece le tocca pronunciare per autoconvincersi che il momento è giunto e che lei, fino a qualche anno prima una ragazzina normale che non conosceva la realtà in cui è improvvisamente finita, è una delle più importanti pedine nel triste gioco della guerra.
Dalla parte di chi schierarsi e perché, quando ogni fazione ha numerosi difetti, che rendono l’una indistinguibile dall’altra? Troverà mai dei motivi che la spingeranno a non chiudersi in sé stessa e a non tirarsi indietro? Perché dover rischiare la propria vita per una causa che non si conosce davvero e per una verità svelata sempre poco per volta?
Queste domande l’accompagneranno mentre cercherà la forza per non arrendersi. È l’ultima parte di Not the same story.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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III
Partenza all’alba

Arriviamo ad Aranciopoli quand’è ormai pomeriggio inoltrato: aver preso l’autostrada non ha abbreviato i tempi, perché partire da Smeraldopoli garantisce un giro larghissimo che passa per il nord della regione. Sarebbe stato anche interessante costeggiare città in cui non sono mai stata in vita mia, neanche in vacanza con i miei genitori quand’ero più piccola, come Zafferanopoli e Celestopoli; peccato che i morsi della fame mi abbiano tenuta occupata tutto il tempo, finché Sara, decisamente più resistente di me, non ha trovato un posto di suo gusto in cui fermarci per la bellezza di dieci minuti. La sua prudenza è quasi eccessiva: Hans non si lamenta, intimidito com’è dalla prospettiva degli eventi futuri, ma io sono stata scalpitante per tutto il tempo. Lei, com’è ovvio, ha trovato assai divertente vedermi irritata per la fame.
Il nostro biondo compagno di squadra lascia la macchina dei genitori fuori dalla città di Aranciopoli su ordine dell’albina, che si sente molto a suo agio a comandarci come più ritiene opportuno. Non ho altra scelta che affidarmi a lei, ma desidero ardentemente farle cascare le orecchie a forza di dirle che sono stanca e ho ancora fame. Penso che aspetterò almeno fino al momento in cui saremo nella base delle Forze del Bene di Aranciopoli e avrò un PokéGear a prova di intercettazioni, completo di mappe e quant’altro.
«Dove dobbiamo andare?» chiedo immediatamente a Sara appena scesi dalla macchina.
«La base segreta è nella zona portuale della città. Dobbiamo andare verso l’uscita che dà sul percorso 11, infilarci in un paio di vicoli e siamo arrivati» mi risponde allegramente. «Sarà una bella passeggiata.»
«Fai tanto la caposquadra circospetta e zelante, però adesso parli di passeggiata, eh?» borbotto.
«Sei diventata buona solo a lamentarti» replica con altrettanta spensieratezza. Hans non interviene, poco a suo agio ora che si è definitivamente allontanato dalla sua città. Lo vado ad affiancare, lasciando a Sara il compito di stare in testa al nostro piccolo gruppo e di guidarci. Spero solo che sappia dove andare.
A quanto pare lo sa, perché si fa tutta soddisfatta quando ci indica una stradina in cui dobbiamo entrare. Siamo nella zona portuale con pochi chilometri ci separano dal percorso 11, proprio come ha detto Sara. È quasi un’ora che camminiamo con un passo piuttosto sostenuto: Hans si lamenta in continuazione mentre io e la mia amica, che ci siamo allenate a lungo, non abbiamo problemi dopo aver attraversato quasi tutta la città. Siamo rigorosamente passati per il lungomare ma non abbiamo sprecato neanche un minuto a guardare il cielo e il mare. La notte scende velocemente, perché è inverno, ma fortunatamente il freddo non è penetrante e insopportabile come a Smeraldopoli. Il cielo è quasi del tutto scuro - poche tinte calde sopravvivono a contatto con l’orizzonte - quando entriamo nella prima viuzza del paio di vicoli a cui Sara ha accennato.
Hans sembra sul punto di mettersi a rantolare per la fatica, ripete in continuazione che le sue gambe stanno facendo giacomo-giacomo, ma grazie al cielo ci risparmiamo la parte peggiore delle sue querimonie perché siamo arrivati alla nostra meta. Tocca a Sara spiegarmi che stiamo per entrare in una zona protetta dalle barriere che separano la realtà Pokémon da quella umana, e Hans in effetti è diventato più distratto da qualche momento a questa parte. Mi chiedo se abbia smesso di lamentarsi perché Sara ha detto che siamo arrivati o perché le pareti invisibili stanno facendo effetto. È normale che non riesca ad opporre resistenza: ci riuscirebbe se Jirachi si fosse già rivelato, ma così non è, e quindi il biondino ha improvvisamente voglia di tornare sui suoi passi.
Sara mi ordina di trattenerlo mentre chiede l’accesso alla base segreta. Afferro Hans per il polso e gli do qualche strattone ogniqualvolta cerchi pigramente di liberarsi. La mia amica, comunque, riceve subito una risposta al Gear. «Buonasera. Mi chiamo Sara. Il codice che mi ha dato Bellocchio è quattro uno cinque…» Hans si fa man mano leggermente più intrattabile e mi distraggo. Torno ad ascoltare Sara quando sta per finire di recitare una lunga sequenza di numeri: «… tre uno dieci zero due. La prego di riferire al suo superiore le lettere esse elle emme elle prima di farci entrare, o di accertarsi che qualcuno nella base segreta sia a conoscenza del loro significato. Sono qui fuori con due compagni, sì, dovreste riuscire a vederci senza problemi. Aspettiamo.»
«Dov’è la barriera?» chiedo a Sara appena riaggancia.
«Ci devono aprire il portone e siamo dentro la base.» Passa una manciata di secondi, o almeno questo è quello che mi sembra mentre cerco di convincere Hans che non sia una buona scelta fare dietrofront; dopodiché il Gear di Sara trilla, come se le fosse arrivato un comune messaggino. Lo guarda e, felicemente, dice: «Tale signore dallo pseudonimo di Eisenhower autorizza l’entrata!» Un momento dopo il portone si schiude, come se qualcuno dei condòmini lo avesse aperto a qualcuno che ha suonato il citofono.
«Eisenhower, hai detto? Non mi è nuovo come nome.»
«Personalità del Primo Mondo» ribatte lei.
Hans si è calmato, ora che è decisamente all’interno delle barriere, ma pare ancora un po’ disorientato: non fa caso alle stranezze che io e Sara sembriamo dirci, non chiede cosa sia il Primo Mondo né, tantomeno, dove stiamo andando. Non sentirlo porre domande su domande è veramente strano.
«Pensi che questo tizio sia nella base segreta?»
«Ne dubito, lo avranno contattato e avrà accordato di farci entrare a distanza, perché questo posto è minuscolo. Serve più che altro per controllare il traffico al porto di Aranciopoli.»
«Non è stata una cattiva idea venire qui, allora» mormoro.
Sto ancora tenendo Hans per un polso e lo guido, seguendo Sara: entrambi ci guardiamo intorno, lui con aria sognante, io un po’ soprappensiero: la mia espressione deve essere vagamente sospettosa. Non è che mi senta proprio al sicuro a vagare per quelli che sembrano i normalissimi corridoi di un condominio come tanti. L’unico suono che si sente è quello disordinato e svelto che fanno i piedi di noi tre. Mi sento un po’ un’intrusa: tutto mi è estraneo, non sono abituata a nessuna base segreta che non sia quella del Monte Corona, con i cristalli azzurri e rossi e i sei corridoi, le porte infinite che si affacciavano su di essi… tutti i ricordi della mia vecchia casa sembrano lontanissimi nel tempo, eppure solo ieri vagavo per la base segreta insieme a Chiara, la mia migliore amica.
Mi incupisco un po’ mentre la penso. “Se la sarà cavata. Deve essersela cavata!” I Victory si sono appostati fuori dal Monte Corona e hanno attaccato la popolazione in fuga dalla base segreta, mentre i Comandanti hanno cercato di catturare me, Daniel e Bellocchio. Non voglio credere che a Chiara sia successo qualcosa, che sia ferita o peggio. Ma devo fare l’abitudine al fatto che, ora più che mai, apparteniamo a due mondi completamente separati: io sono una Legata, ricercata dal nemico, mentre lei è una normale spia delle Forze del Bene. La missione finale contro i Victory, se ci sarà, ci vedrà sicuramente separate - mi chiedo quale occupazione troverà Bellocchio per i comuni mortali e quale sarà la nostra. Spero solo di poterla incontrare di nuovo, il prima possibile.
«Ele, svegliati. Entriamo, su.» La voce di Sara mi riporta con i piedi per terra; meccanicamente varco la soglia della porta che ha aperto, che ha l’aspetto di un ripostiglio. Non mi faccio più ingannare dalle apparenze fin da quando sono nelle Forze del Bene, perciò non mi sorprendo affatto di ritrovarmi in una base segreta della mia fazione. L’ambiente è molto più chiaro e luminoso di quello nel covo del Monte Corona: non mi sembra nemmeno di essere in una base delle Forze del Bene, tanto sono abituata all’aspetto della mia vecchia casa.
Sara fa entrare Hans e poi chiude la porta alle sue spalle. Nello stesso momento arriva una recluta, un giovane ragazzo - sicuramente è più piccolo di tutti noi - che dice di chiamarsi Spencer. Ci presentiamo anche noi e lo seguiamo quando ci chiede di andare con lui dal sovrintendente della base segreta. È l’ex Capopalestra della stessa Aranciopoli, Lt Surge, un omaccione dai muscoli spaventosi e dal forte accento di Unima che di rado ho visto, sia all’Accademia che nel Monte Corona. Evidentemente non ha mai voluto abbandonare la città della sua Palestra.
«Che vi serve?» A malapena ci saluta.
«Tre biglietti della prima nave in partenza per Olivinopoli, signor Surge» risponde allegramente Sara.
«Ma per chi mi avete preso, per un bigliettaio?!»
La principessa delle nevi risponde con tutto il buonumore del mondo all’irascibile ex Capopalestra, i bollenti spiriti del quale si placano subito grazie ai toni di lei. Se parlassi io al posto suo non farei altro che arrabbiarmi, di fronte a un tipo del genere, e far arrabbiare lui. «No, signor Surge. Dobbiamo partire al più presto per Johto. Sono ordini di Bellocchio, può chiedergli conferma. Credo che anche il signor Eisenhower sia a conoscenza di questo.»
Così, nel giro di una decina di minuti, dagli uffici in cui lavorano i tecnici ci arrivano tre biglietti assolutamente perfetti della M/N Acqua - probabilmente la nave sarà mezza vuota, visto che siamo in pieno inverno. Non ci vuole molto perché non riceva anche un PokéGear nuovo di zecca, su cui mi appresto subito a registrare tutti i contatti che posso, guardandoli sul dispositivo di Sara. Lei, nel frattempo, dà un’occhiata ai nostri biglietti.
«La partenza è alle cinque del mattino. Stasera si va a letto presto, ne’?»
Scrollo le spalle. Hans chiede: «Quando è previsto l’arrivo?»
«Durante la notte del giorno dopo.»
Non faccio in tempo a mettermi a fantasticare su quali saranno le nostre occupazioni fino a domattina che Sara ha già un programma da proporci. Non ho altra alternativa che accettare le sue idee: insegneremo qualcos’altro a Hans sul mondo dei Pokémon, se ci sarà bisogno daremo risposte a sue eventuali domande - sono sicura che ne abbia fin troppe ancora da porre - e io mi dovrò sottoporre a qualche controllo da parte della mia amica, che non mi vede addirittura da quasi una settimana e deve controllare che sia ancora abile nel combattimento, nella gestione dei miei poteri e quant’altro. Mi terrà occupata per un sacco di tempo - quelle poche ore che abbiamo prima di andare a dormire, per riuscire a svegliarci presto senza troppe difficoltà.
Ciononostante trovo il modo per fare la cosa che, momentaneamente, mi preme di più. Voglio controllare che Diamond, Pearl e Noctowl siano effettivamente dispersi - altrimenti li ritroverò nel box pc - e poi stare un po’ con i miei Pokémon, come non faccio da tantissimo tempo, per un motivo o per un altro.
Non riesco a non sentire una fitta di dolore al petto quando vedo il box pc completamente vuoto, segno che i miei tre Pokémon sono chissà dove, morti o, peggio ancora, nelle mani dei Victory. Spengo di fretta il computer, non sopportando l’idea di non avere più alcuni dei miei compagni di squadra, tra cui due dei primi che ho catturato da sola quand’ero ancora una quattordicenne ignara di tante verità, più tranquilla e allegra.
Qualcosa mi dice, quando mi decido a fronteggiare i sei Pokémon che ho ancora, che loro sanno già cos’è successo ai loro compagni, che lo sapevano anche prima che mi accertassi della perdita. Eppure ho tanta difficoltà a sostenere sei paia di sguardi completamente diversi tra loro, appena mi ritrovo sola, a sera, con i miei amici, in una delle tre stanze che la piccola base segreta ha reso disponibili per noi ospiti.
C’è Altair che non aspettava altro che di essere liberata dalla sua Poké Ball per stringersi accanto a me, in cerca di un po’ d’affetto e nella speranza di darne a me; i suoi occhi hanno la stessa espressione sincera di quelli di June, che però ha uno sguardo meno dolce e più astuto, ma che comunque mi sta vicina allo stesso modo della mia prima compagna di squadra. Un po’ più freddi sono Saphira e Rocky ma, alla fine, gli unici che non si ritrovano attaccati a me, che me ne sto seduta sul letto, sono Aramis e Nightmare. Non mi aspettavo niente di diverso.
Non mi metto a chiacchierare con i miei compagni perché non credo che ce ne sia bisogno. Ho maturato la convinzione che il Legame con Ho-Oh si sia esteso anche agli altri miei Pokémon, con cui già bastava poco per capirsi grazie al contatto, telepatico ed empatico, creato dalla Poké Ball di ognuno di loro. Nessuno di noi piange per Diamond, Pearl e Noctowl, anche perché sarebbe come crederli persi per sempre, mentre sono certa che tutti e sette i presenti nella stanza siano in trepidante attesa del giorno in cui rivedremo i tre compagni che ci siamo soltanto lasciati indietro. O almeno è così che mi piace pensarla.
Sarà passato un lungo quarto d’ora quando mi decido a far rientrare i miei Pokémon nelle rispettive sfere. Però non riesco a richiamare, almeno non subito, anche Aramis e Nightmare che se ne sono stati un po’ per fatti loro. È così che mi torna la voglia di chiacchierare, restando da sola con i miei compagni meno comprensivi e partecipi, di qualunque cosa si tratti. Mi lascio sfuggire un sospiro e sto per fingere di rimproverare Nightmare, ma lo Spiritomb improvvisamente lancia un gridolino e, per quanto può fare uno spettro come lui, mi si lancia addosso come fosse un cane. Mi irrigidisco e inizio a tremare come una foglia. «Ni-Nightmare, ti prego… non fare così… mi sento male… sei u-uno spettro e… e…»
Ed entrare in contatto con uno spettro non è mai piacevole: i risultati sono tremarella - ma anche spasimi non poco imbarazzanti - e un gelo interiore spaventoso. Per quanto apprezzi l’improvviso affetto del mio assurdo Spiritomb, ancora non so come fargli capire che deve dimostrarmelo in modi diversi, se non vuole tramortirmi. Reclama coccole fin troppo spesso e, se provo ad accarezzargli la testa - la sommità del suo corpo tondeggiante, insomma, la mia mano sprofonda dentro di lui e me la ritrovo, a coccole finite, tutta pallida e tremante.
Nightmare mi si scolla di dosso e ho modo di rimettermi a sedere, anche se con qualche difficoltà. Lo ritrovo accanto a me sul letto, appena riesco a mettere di nuovo a fuoco l’ambiente circostante. Per qualche secondo ci guardiamo negli occhi - ormai ho fatto l’abitudine al suo sguardo demoniaco, anche se i primi tempi avevo sempre qualche problema a scambiare un’occhiata con lui. Ancora trovo difficile, però, non rabbrividire quando si mette a ridere con la sua “voce” dissonante e diabolica; esattamente come sta facendo ora, tutto divertito per lo scherzo che mi ha fatto. Le sue intenzioni erano assolutamente buone, voleva tirarmi su di morale per quello che è successo a Diamond, Pearl e Noctowl; peccato solo che sia una sorta di Pokémon maledetto.
Un po’ imbarazzata gli dico, in risposta alla sua risata: «G-grazie, Nightmare…»
Alla fine mi ritrovo sola con Aramis. Ci vuole un po’ perché trovi il modo di avviare una “conversazione” con lui, con cui è sempre piuttosto difficile trattare. Mi gratto la nuca e guardo altrove, mentre lui mi studia senza distogliere un momento gli occhi rossi da me. Raccolto il coraggio necessario per parlare al mio Gallade, gli chiedo con un mezzo sorriso, cercando di suonare ingenua: «Qualcosa non va, Aramis?»
Ovviamente non ottengo risposta. Continua a guardarmi nello stesso modo di prima, senza batter ciglio e senza dare segni di partecipazione o di affetto. Sbuffo leggermente. «So che ti stai preoccupando per me, ma non credo ci sia niente per cui essere così teso, amico mio.»
Lui scuote la testa e chiude gli occhi, dandomi le spalle. «Allora dimmi cos’è che non capisco.»
Mi lancia un’occhiata un po’ storta. «Non guardarmi così. Non ho voglia di usare la telepatia o che altro per capire cosa ti passa per la testa, Aramis. Dimmelo tu e basta, fammelo capire in qualche modo. Anche se qualche idea già ce l’avrei…» aggiungo in un mormorio.
È proprio l’ultima frase che lo fa voltare di scatto. Il suo sguardo è molto più intenso, vigile ed espressivo, ha gli occhi bene aperti, sta all’erta. Non so perché ma non ho problemi a sostenere il contatto visivo con un’espressione neutra, quasi indifferente alla sua improvvisa scarica di attenzione.
«So che ti manca la tua vecchia Allenatrice, Aramis» sussurro, «ma sforzati di capire che sono sempre la stessa Eleonora. Molte cose sono cambiate, in me e nel mio futuro, è vero… ma se ti rifiuti di riconoscere in me la persona che ha preso la tua Poké Ball quand’eri ancora un Ralts, che ti ha dato un nome e che ti ha allenato con impegno e passione… mi fai un grandissimo torto. Mi fai male, Aramis» bisbiglio.
Lui abbassa lo sguardo, d’un tratto preda di un grande senso di colpa, ora che gli ho detto queste cose. Faccio un respiro profondo ed alzo un po’ la voce. «Di Eleonora ne è sempre esistita solo una, però ha conosciuto diverse influenze e ha ricevuto novità che non la hanno lasciata indifferente. Non ti opporre al mio Legame, a Ho-Oh. È tutto inutile, Aramis. Non essere stupido.»
Il suo silenzio e il fatto che sia così docile e più tranquillo mi fa capire che sta cambiando, seppur lentamente, idea. Da quando Ho-Oh si è rivelato lui è diventato ancora più freddo e distaccato, insinuando così che non riconoscesse più la sua Allenatrice, ma sono certa che pian piano si abituerà anche lui, così come hanno fatto tutti gli altri miei Pokémon. Altair ovviamente non ha fatto altro che sostenermi, cercando di starmi vicina più che mai.
Mi alzo in piedi con un lieve sospiro e vado ad abbracciare Aramis, che ricambia. È alto quanto me e, anche se i primi tempi mi metteva un po’ a disagio stringere il suo corpo esile, non mi sembra più che ci sia niente di strano. Dopo un po’ sciogliamo l’abbraccio: lui continua a non guardarmi, come se si stesse vergognando. Odio vederlo così ma non posso fare altro che lasciar trascorrere un po’ di tempo per fargli metabolizzare le mie parole.
«Buonanotte, Aramis» mormoro, richiamandolo nella sua Poké Ball.

L’alba invernale sul mare di Aranciopoli è bianca di foschia: non la trovo per niente bella quanto il tramonto che abbiamo visto ieri sera - anche perché il cielo è ancora in gran parte oscuro, visto che non sono nemmeno le cinque del mattino. Hans ha gli occhi talmente impastati dal sonno che a malapena si renderà conto di dove stiamo andando; neanche Sara fa caso all’ambiente circostante, presa da chissà quali pensieri: fissa la strada davanti a sé, mentre andiamo al porto, senza cercare di iniziare una conversazione - è strano da parte sua. Io me ne sto con le mani in tasca, respirando con la bocca semiaperta per creare nuvolette di vapore.
Sara consegna i biglietti, perfettamente in regola nonostante la bella e buona contraffazione: ero talmente sicura che fossero perfetti che nemmeno mi sono preoccupata quando la mia compagna li ha mostrati al controllore, un uomo piuttosto giovane che ci ha cordialmente augurato buon viaggio. Aspettiamo sul molo, dove c’è pochissima gente in attesa di partire. Per recitare il ruolo dei giovani turisti e non destare sospetti, ci siamo portati una valigia e uno zaino, entrambi non troppo grandi, che Hans si è caricato di malavoglia.
L’attesa per imbarcarci è abbastanza breve: ce ne andiamo ad occupare una cabina vicina alla prua. Non mi è mai piaciuto viaggiare per barca o per nave, perché mi viene sempre il mal di mare: perciò già prevedo una bella corsa sul ponte per evitare il peggio. Tra questa prospettiva che già mi fa avere lo stomaco in subbuglio, anche se a malapena ho fatto colazione, Sara che è impaziente di iniziare il resoconto degli allenamenti di ieri sui miei poteri e Hans che annuncia di avere qualche domanda da farci, prevedo, seccata e anche un po’ sconsolata, che quello di oggi sarà un lungo viaggio.
  
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