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Autore: Feathers    14/02/2016    5 recensioni
/Cockles Au in Russia!/
Dopo che la sua vita cambia per sempre a causa di una matrioska, Jensen Ackles è costretto a vivere nella Russia del 1955, un'epoca difficile per un americano moderno. Per fortuna, un affascinante e misterioso scrittore di nome Misha Krushnic decide di ospitarlo nel suo appartamento al centro di Mosca. Cosa succederebbe se la loro iniziale diffidenza si trasformasse in una passione incontenibile?
Questa è la storia di un amore clandestino, di quelli tanto intensi da sembrare irreali, ma continuamente messo in grave pericolo dall'omofobia della Russia Sovietica. Riusciranno i due ad uscire dalla terribile situazione in cui si trovano ed a stare insieme senza rischiare la vita?
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Jensen Ackles, Misha Collins
Note: AU, Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sarandom



Note dell’autrice:
Salve a tutti Cockles shippers!
Eccomi con la mia seconda Cockles - un Au - a cui tengo moltissimo perché per scriverla mi ci sono volute talmente tante ricerche che ora conosco meglio la Russia dell’Italia (shame on me! XD)

…comunque sia... buona lettura! <3





                      The Damned Matrioska                                                                                                       




Travel in time



1 March 1983

/Flashback/

"In un antro oscuro, nel bel mezzo dell'innevata steppa russa, c'era una volta un mago che amava fare esperimenti di ogni sorta. Già da piccolo aveva dimostrato di essere un bambino prodigio, capace di creare con la sua mente geniale qualunque stramberia... in effetti, mio caro piccolo Jensen... sappi che fu proprio lui a creare la Matrioska maledetta. Sì! Quella a cui devi fare molta attenzione perché se la apri rischi di finire in un'altra epoca... "

"Aspetta, mamma, ma cos' è una Matrioska?" chiese il bambino, riducendo gli occhi a due fessure.

Jensen adorava farsi raccontare le fiabe dalla mamma, specialmente la sera, prima di andare a dormire col suo orsetto bruno preferito.
Aveva spesso paura del buio e di quello che poteva nascondersi in mezzo all'oscurità, ma quando la mamma gli narrava le storie di qualche eroe che affrontava con coraggio draghi e mostri, il piccolo si immedesimava in lui e riusciva a vincere ogni suo timore.

"Le Matrioske sono un souvenir tipico della Russia, una serie di bamboline messe una dentro l'altra... vedi?" disse la mamma, dolcemente, mostrando a Jensen la foto nel suo libro di storie.

"Oohh... e in questa fiaba... c'è un eroe, mamma?" domandò il bambino con un sorriso.

La donna gli rimboccò le coperte, divertita.

"Beh... a quanto pare sì Jensen. Sai... il mago era molto cattivo e desiderava spedire nel passato il suo più acerrimo nemico, un affascinante nobil'uomo americano. Lui conosceva fin troppo bene quel mago! Erano stati amici per un periodo... ma poi avevano litigato per un motivo misterioso e non si erano più parlati. La Matrioska era una trappola per lui."

"Oddio che brutta cosa! E lui ci è cascato?" chiese Jensen a bocca spalancata, sempre più rapito dalle parole della mamma.

"Staremo a vedere. Si dice che fosse un bell'uomo sui quarant'anni. Aveva degli intensi occhi blu e il suo nome era... "
"Tesorooo! Vieni qui un momento per piacere!" strillò il marito dall'altra stanza.

Jensen fece una smorfia delusa, mordendosi il labbro con fare infantile.

La madre sorrise.

"Non ti preoccupare: torno subito!" disse, scompigliandogli i capelli biondi. Lasciò il libro rosso ai piedi del lettino.

Appena la donna uscì, il bambino lo acchiappò prontamente e lo aprì per scoprire il nome del suo nuovo eroe.

Strinse le palpebre.

"Uffa che palle! Ma quant'è difficile! Sembra uno… scioglilingua!" esclamò, contrariato.

"Non dire parolacce, Jensen! " urlò la mamma dall'atrio.

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32 years later

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1 March 2015

/Present/

Accidenti a me, pensai.
Sempre in ritardo al lavoro.

Ci fosse una buona volta che la sveglia non mi facesse arrivare mezz'ora più tardi del dovuto.
Peccato che i giorni in cui mi sarei potuto prendere una vacanza fossero quasi scaduti e che mi sentissi tremendamente in colpa ad ogni assenza.
Avevo una voglia matta di restare a casa almeno per il mio compleanno.
Insomma, si è capito che non amavo da impazzire la mia professione.

Lavoravo in ufficio nonostante avessi voluto fare lo scrittore quasi da sempre. Mi era sempre piaciuto esprimere le mie emozioni e le mie riflessioni più profonde tramite la scrittura.
Peccato che mio padre avesse sempre avuto voglia di indirizzarmi dove gli pareva e piaceva.
Eravamo nel 2015, santo cielo! I figli non erano più costretti a fare il lavoro del padre.

Mi sistemai la cravatta e la camicia, diedi un'occhiata ai miei capelli dorati e ribelli e corsi fuori sbattendo la porta di casa mia, senza nemmeno prepararmi uno straccio di colazione.
Presi il primo autobus della giornata, e scesi alla solita fermata.
Affrettai il passo verso la strada, e da buon maldestro feci cadere la borsa.
Ovviamente, il contenuto finì sparso ovunque.

Mentre raccoglievo tutto, il secondo autobus mi passò sotto il naso, e lo persi.
Iniziamo davvero bene, pensai.
Mi misi una mano sulla fronte, pensando a quanto fossi imbranato.
Forse era per quel motivo che non mi ero sposato? O forse per la mia timidezza?

Ero sempre stato il più silenzioso ed insicuro di tutti, sia a scuola sia ai vari gruppi sportivi che avevo frequentato da giovane. Mi piaceva parecchio mantenermi in forma nonostante mi avvicinassi sempre di più ai quarant'anni e spesso mi capitava di fare un po' di jogging al Central Park, quando ne avevo voglia.

Eppure, quel giorno non mi sentivo particolarmente atletico...

Mi misi a camminare sul marciapiede bianco e deserto appena illuminato dall'alba.
I pioppi attorno al viale avevano un aspetto strano e giallastro.

Pazienza, pensai.
Se non altro avrei avuto una buona scusa per restare a casa.
Fra l'altro la mia auto era dal meccanico e chissà quando me l'avrebbe restituita...

Passeggiai per un po', senza avere una meta precisa in testa.
Volevo soltanto prendermi qualcosa da mangiare prima di rientrare, ma stranamente non avevo fame.
Non ne avevo da un po' in realtà.
Gli unici casi in cui non avevo appetito erano quando mi ero innamorato di qualcuno o ero nervoso per qualcosa.
Ma nessuna delle opzioni mi sembrava un minimo plausibile.
Non conoscevo nuova gente da almeno un anno, e dopo la rottura con la mia fidanzata storica non avevo più frequentato nessuno per un bel periodo.

Mentre quei pensieri mi affollavano la mente, un negozio rosso e giallo di fronte al cinema attirò la mia attenzione. Non l'avevo mai notato prima.
Pareva appena uscito da un libro di storie per ragazzini ed era decorato ovunque come se fosse ancora Natale.
Trasmetteva una certa allegria, come il proprietario, che mi osservava con la coda dell'occhio da qualche secondo.

"Salve! Sono Richard! Le serve qualcosa?" domandò quel tipo biondiccio, come se fossi già entrato in negozio.

"Emh... emh... in realtà io non... " balbettai nervosamente, indietreggiando.
Odiavo quel mio maledetto modo di fare. Mi faceva sembrare un perfetto idiota.

"Suvvia, mica ti mangio! Entra pure e dai un'occhiata qui attorno, amico mio!" disse quel tipo, sistemandosi il gilet rosso fuoco.

Mi chiesi cosa volesse da me quel tizio, ma feci lo stesso un passo incerto verso la porta.
Mi mossi con cautela fra quelle vetrine traboccanti di strambi oggetti e souvenir da tutti i paesi del mondo.
Gli scaffali erano pieni di allegria e colore, fra modellini, bandierine piccole e grandi, girandole e altre stramberie.

"Eeeh... lo so... ho messo su una strana attività... non fa molto successo... ma almeno mi piace! Bisogna fare ciò che si ama nella vita, giusto?" disse Richard sfregandosi le mani con aria allegra.

Io stavo ancora esplorando il negozio e annuii, pensando al mio di lavoro.

Ad un certo punto notai qualcosa di familiare accanto ad una vetrina.

Quella Matrioska rossa e gialla.

Dovevo averla già vista da qualche parte, ma non sapevo bene dove.

"Oooh e così le piace quella? Non costa praticamente nulla, sa?"

Io la osservai attentamente, mettendo a fuoco le date sotto. Anche quelle non mi erano affatto nuove.

Avevo sempre avuto una fissa per la Russia sin da bambino, anche se non ne ricordavo l'esatto motivo.
L'unica cosa che sapevo certamente era che quella strana Matrioska mi attraeva, come se mi fosse appartenuta in qualche modo.
Le rifiniture dorate luccicavano, e io mi sentivo quasi una gazza ladra pronta a prenderla.

"La compro, mi sa." mormorai quasi inconsciamente, seguitando a fissarla come se fossi stato incantato.

"Fantastico!" esclamò quel buffo omino "Funziona sempre questa strategia di vendita. Sono sei dollari, amico!" disse.

Io mi voltai verso il suo sorrisino soddisfatto, chiedendomi che cosa fosse quella strategia di vendita di cui parlava lui.

Pagai i sei dollari, e dopo aver ringraziato Richard, uscii con la Matrioska fra le mani.
Quel buffo souvenir sembrava quasi squadrarmi con quegli occhietti di porcellana nera luccicante.
Non capivo perché, ma ora che era mia mi inquietava un po'. La cosa era strana dato che avevo sempre saputo che le Matrioske erano simbolo di protezione della casa.

"Cos'hai da guardare?" le dissi scherzosamente.

Cercai un autobus che mi portasse finalmente a casa dopo le mie disavventure mattutine.
Appena arrivato, mi avvicinai al vialetto e aprii il cancello.
Che idiota.
Mi ero pure dimenticato di chiuderlo bene.

Fortuna che ero fuori solo da un'ora e mezza circa.

Entrai e notai il telefono sul tavolino del salotto illuminarsi. Premetti il pulsante per leggere i messaggi vocali.

"Salve vecchietto, stasera che ne diresti di una pizzata a casa mia alle otto e mezza? Dimmi chi posso invitare... buon compleanno fratellone."

Sorrisi.

Quel mattacchione di Jared era il mio migliore amico praticamente da sempre.

Non eravamo fratelli, ma era come se lo fossimo, ed avevamo continuato a frequentarci con assiduità nonostante lui si fosse sposato con una della nostra comitiva, Gen.

Qualche volta, ci capitava di riunirci con Felicia, Mark e qualche altro vecchio amico dell'adolescenza. Mi sentivo libero con loro, potevo dire tutto ciò che mi passava per la mente senza farmi problemi.
Registrai un messaggio a mia volta.

"Grazie mille, Jared. Invita tutti i nostri amici più stretti, e... ti andrebbe bene anche verso le nove?" domandai.

Inviai il messaggio e poi andai a fare una breve doccia, dopo aver sistemato la mia Matrioska accanto al telefono.

La giornata stava andando abbastanza bene nonostante le varie gaffe fatte di mattina.

Eppure avevo in testa un pensiero fisso, qualcosa che mi tormentava nel profondo.
Mi chiedevo se avesse a che fare con la bambola che avevo acquistato. Ero convinto al cento per cento che non potesse essere la prima volta che la vedevo.

Uscii dalla doccia strofinandomi la tovaglia sui capelli.
Mi rivestii in fretta e la presi fra le mani, sforzandomi di ricordare.

C’era perfino una data in basso, scritta in grande su dei quadratini bianchi.

1941.

Possibile che un oggetto tanto antico costasse così poco?
Magari quel Richard non era proprio un genio nel riconoscere il valore delle merci?

Toccai uno dei quadratini, forse con troppa forza, e notai che si spostava. 1955.
Erano date intercambiabili!
Esaminai il mio souvenir, capendoci sempre di meno.

A che diavolo servivano?

Decisi finalmente di aprirlo, per verificare se le date ci fossero anche sul seme.

Ma di colpo, il cuore mi finì in gola.
Cacciai un urlo, senza riuscire a capire cosa stesse accadendo.

La Matrioska cominciò ad illuminarsi e ad emettere uno strano suono acuto.
Io la lasciai cadere a terra, inorridito.

Oddio, pensai.

Mi guardai le mani tremanti dalla paura. Stavo scomparendo a vista d'occhio.

Una luce biancastra venne sprigionata dalla bambola i cui occhi lampeggiarono.
Le orecchie mi fischiavano talmente forte che dovetti tapparmele con le mani.
Peccato che il fischio provenisse dall'interno della mia testa.

"Aiutatemi per favore!" strillai come un forsennato con tutta la voce che avevo in corpo, senza nemmeno riuscire a sentire le mie stesse parole.

Di colpo, un lampo bianco mi ingoiò.

-----------

Sentii ogni osso del mio corpo congelarsi completamente, come se improvvisamente fossi stato trasferito in un freezer.
Continuavo a tenere i palmi ai lati della testa, mentre l'acuto fischio alle orecchie stava cominciando a rarefarsi un po'.

Ascoltavo il cuore battermi velocemente in ogni singola parte del corpo, e dei botti nello stomaco, come quando stai a pochi metri dai fuochi artificiali e te li senti esplodere pure dentro.

Aprii gli occhi, sbattendo le palpebre per la troppa luce bianca come... la neve.

Sì.

C'era proprio della neve lì.

Mi guardai attorno con fare smarrito, gli occhi sbarrati e il fiato ormai perso.
Il freddo mi congelò completamente il volto.

Non credevo a nulla di ciò che stavo vedendo.

Non ero più a casa mia, quello era ovvio: non poteva mica nevicare nel mio salotto.

Mi trovavo in un luogo all'aperto, nel bel mezzo di una piazza che ero sicuro di conoscere.

La gente mi passava davanti, e mi fissava scioccata dalla mia giacchetta e dai miei pantaloni. Gente strana, vestita all'antica. Dovevano star pensando che ero pazzo.

Forse ero svenuto e stavo solo sognando?

Dove diavolo mi trovavo?

Mi diedi un pizzicotto, tremando come una foglia e battendo i denti per il freddo che mi impediva ogni movimento o quasi.

Ero sveglio, maledettamente sveglio e sentivo ogni cosa: il dolore al cranio, la neve candida e morbida sotto i miei piedi, il vento gelido che mi bruciava la pelle.
Sembrava tutto fin troppo reale.

Mi voltai dall'altra parte, stringendo gli occhi a fessura.

Ma quella là in fondo non era la cattedrale di San Basilio?!

Quelle cupole colorate, a strisce, che tante volte avevo visto in foto, non avrei potuto non riconoscerle.

Ma come poteva essere?

"M-mi scusi! Signora! Mi può dire d-dove mi trovo per favore... ?" chiesi ad una cinquantenne avvolta in uno scialle.

La donna mi guardò con aria confusa, sistemandosi gli occhiali tondi sul naso aquilino, e mormorò qualcosa in russo.

Non capii ovviamente cosa stesse dicendo, avevo fatto solo un breve corso da ragazzo del quale ricordavo poco e nulla, ma dalla sua espressione era chiaro il fatto che non capisse una parola della mia lingua.

Mi misi una mano sul petto, sentendomi totalmente impazzito.
Ero quasi sul punto di svenire sul serio.

Non potevo trovarmi improvvisamente a Mosca.

No.
Era un incubo.
Era solo un incubo.

Continuavo a ripetermi nella testa quelle parole come una mantra con l'intenzione di convincermi della completa assurdità della situazione.

Mi misi a ragionare, respirando lentamente.

Due secondi prima ero a casa mia, a New York, con quella stupida Matrioska fra le mani che...

"Salve!" fece una voce dietro di me.

Io mi girai, la bocca leggermente aperta, quasi sobbalzando.

Due occhi blu e maliziosi mi squadrarono dalla testa ai piedi, mentre io cercavo di non tremare, inutilmente.

"Che c'è? Hai perso la mamma percaso?" mi chiese quel tipo, ironicamente, con un accento spettacolare misto fra americano e russo.

Era un bell'uomo sulla quarantina, i capelli soffici e scuri erano in parte coperti da un cappello simile ad un colbacco.
Mi fissava con un sopracciglio alzato e un sorrisetto irritante stampato in viso.

Mi morsi le labbra per evitare di rispondergli male. Dopotutto capiva la mia lingua e mi conveniva tenermelo buono.

"T-tu capisci... inglese? " domandai, senza riuscire a staccare gli occhi da quello sguardo magnetico.

"A quanto pare... " disse lui, sorridendo e stringendosi nelle spalle ampie e avvolte nella pelliccia beige.

"Oh... D-dio sia ringraziato... " mormorai.

L'uomo ridusse gli occhi a due fessure.
"Stai bene? Voglio dire… non senti freddo?" mi chiese stupito.

Io scossi la testa.

"E-emh... io non credo d-di star bene... " dissi balbettando.

Lui si portò una mano sulla barbetta scura appena cresciuta, riflettendo.

"Mmm. Capisco bene... tieni qui dai... " disse togliendosi la pelliccia e mettendomela sulle spalle con un gesto rapido, come se volesse evitare di toccarmi a lungo.

"Ma... così senti freddo tu... " mormorai, rabbrividendo.

"Sono abituato ormai. Non mi pare che tu lo sia. Da quando sei qui? E poi perché indossavi solo una maglietta così leggera?" mi domandò finalmente serio.

"Io... " esitai. Non volevo che mi prendesse per pazzo. "Ecco, a dir la verità non so nemmeno come ci sono finito qui... " dissi stupidamente.

Lui mi guardò perplesso, con quegli occhi incredibili. Ci sarei potuto sprofondare in quel celeste. Il mio sguardo fu attratto dalle sue labbra, soffici e rosee.
Se le morse appena, riflettendo.

"Qual'è l'ultima cosa che ricordi?" chiese dopo una pausa, fissandomi e facendomi sentire in soggezione.

Io aggrottai la fronte.
La sua pelliccia mi pesava sulle spalle ed emanava un profumo particolare.

"Ero... nel mio salotto, pochi secondi fa, sul serio... sì insomma... e poi sono finito qui. Non ho idea di come io... s-siamo a Mosca?"

Man mano che parlavo notavo che mi fissava sempre più stranito.
Tacqui, e arrossii guardandolo negli occhi spalancati.

Improvvisamente lui scoppiò a ridere di gusto, una mano sull'ushanka che gli riparava le tempie dal gelo.

"Santo cielo... lo so che la vodka è ottima, ma credo che tu ieri sera ne abbia abusato un po'... o mi sbaglio?" scherzò, dandomi una pacca.

A quel punto mi incavolai sul serio.
Puntai lo sguardo su quell'espressione beffarda e dissi, tentando di apparire sicuro di me:
"Non è divertente. Io non ho bevuto vodka. Mai." dissi.

"Ah no? Non sai che ti perdi." rispose lui. "Suvvia... non ti scaldare troppo, stavo scherzando, amico. Il mio nome è Misha." disse, porgendomi la mano, o meglio, il guanto.

Io glielo strinsi, sorridendo a denti stretti.

"Jensen, e non sono tuo amico." dissi.

Lui abbassò il capo, continuando però a tenermi d'occhio.
"No... ma lo sarai presto, spero!" disse, sorridendo bonariamente.

Io mi portai una mano sui capelli, ancora tremando nonostante avessi almeno una tonnellata di piumoni addosso.

"Perfetto... va tutto bene Jensen." mi dissi, cercando di mantenere la calma. "Ora... mi dici dove ci troviamo... Misha, giusto?"

Lui mi rivolse un'occhiata divertita.
"L'hai detto prima tu: siamo a Mosca!" disse, aprendo le braccia in modo teatrale.

Io sospirai.

"Buon Dio del cielo, la smetti di prendermi in giro? Non siamo a Mosca... è fisicamente impossibile… esattamente cinque minuti fa mi trovavo a New York... "

"A New York?... " disse lui, facendo uno sforzo immane per non ridere.

Fece un passo verso di me.

"Guarda... " disse, indicando tutto ciò che nominava man mano, "Il Cremlino... appena aperto ai visitatori... la cattedrale di San Basilio... il monumento degli eroi nazionali Kuz'ma Minin e Dmitrij Požarskij... insomma... l'intera Piazza Rossa di Mosca di fronte ai tuoi occhi: che altra prova vuoi?" disse esasperato.

Io abbassai lo sguardo, sistemandomi la pelliccia.

Quel Misha aveva ragione.

Quella era veramente la Piazza Rossa, anche se aveva qualcosa di differente rispetto alle foto che avevo sempre visto nei miei libri di geografia.
Eppure era quella.

Un momento.

Aveva detto 'appena aperto ai visitatori ' riferendosi al Cremlino?
Qualcosa non quadrava.

"Ora sarà meglio che tu mi segua, Jensen. Casa mia non è così lontana da qui, te l'assicuro. Hai l'aria di chi ha bisogno di aiuto." disse serio, scuotendo il capo.
Si voltò e mi fece un cenno con due dita.

Analizzai le sue parole.
Mi conveniva fidarmi di quel tipo?
Ma direi di sì, pensai.

Sembrava un buon uomo, nonostante la sua ironia non mi andasse giù per nulla.

Mossi qualche passo, camminando dietro di lui e facendomi strada fra i vari centimetri di neve a terra.
Intanto io esploravo con gli occhi quel luogo meraviglioso, il fascino di quegli edifici, la neve candida che faceva pizzicare gli occhi, i colori sgargianti della cattedrale...

Sarei stato incredibilmente eccitato se la situazione non fosse stata tanto disperata.

Ad un certo punto passammo di fronte ad un giornalaio in mezzo alla piazza, ed io mi voltai a guardare le scritte sui quotidiani.
C'era scritto 'guerra fredda' a caratteri cubitali.

Guerra fredda?!

"Misha!" strillai. Lui fece qualche altro passo, poi finalmente si girò.

"Che succede?" chiese, confusamente, avvicinandosi.

"S-scusa ma... " mormorai, facendo correre lo sguardo sui giornali.

1955.

Come su quella cazzo di Matrioska!

"M-ma in che anno siamo?"

Lui sbuffò, fingendo noia.
"E poi non venirmi a dire che non hai tracannato una bottiglia intera di vodka!"



   
 
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