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Autore: WillofD_04    28/02/2016    5 recensioni
Questa storia è il seguito di "Lost boys". Per leggerla non è necessario aver letto "Lost boys", ma è consigliato.
A quanto pare, l'avventura di Cami non è affatto finita, anzi, è appena cominciata! Che cosa le è successo? Sarà in grado, questa volta, di risolvere la situazione? Questo per lei sarà un viaggio pieno di avventure e di emozioni, che condividerà con persone molto speciali.
Non posso svelarvi più di così, se siete curiosi di sapere cosa le è capitato, leggete!
DAL TESTO:
Poco ci mancò che non caddi all’indietro dall’incredulità. Infatti dovetti reggermi agli stipiti della porta che era dietro di me per rimanere in piedi. Dieci paia di occhi mi fissavano, tutti con un’espressione diversa. C’era chi era divertito, chi indifferente, chi curioso e chi stupito.
«Oh cazzo...è successo di nuovo!» esclamai, al limite dell’esasperazione.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Dire che ero sconvolta era dire poco. Come poteva essere accaduto? Come accidenti potevo esserci finita lì!? Io non avevo fatto niente. Non avevo espresso nessun desiderio di andare lì. Si, avevo la volontà di andarci, ma un meccanismo come quello della Seconda Stella a Destra non può essere messo in moto dalla mera volontà. Non capivo. Mi poggiai il palmo della mano sulla fronte, per poi lasciarlo scorrere su tutta la testa, questa volta non curandomi delle fasciature. Almeno stavolta non ero svenuta, avevo fatto progressi. Non potevo vedermi, ma ero certa di avere l’espressione di una a cui era appena morto il cane. Eppure, mi ero immaginata tante volte quel momento. Sapevo che era impossibile, ma ci avevo sperato così tanto, l’avevo desiderato così ardentemente. E ora che ero lì, guardando tutti quei visi che mi sorridevano cordiali, non riuscivo ad essere contenta. Non ero mai contenta. C’era sempre qualcosa, un peso sul petto, che me lo impediva.
«Ti fa male la testa?» mi chiese una vocina, costringendomi a guardare in basso.
Boccheggiai. Non sapevo che dire. O meglio, sapevo la risposta, ma non mi usciva niente. Ero troppo scombussolata per poter anche solo replicare a una semplice domanda.
«Forse non dovresti ancora alzarti dal letto» continuò il proprietario di quella voce, avanzando di qualche passo verso di me.
 Mi appoggiai con il gomito destro allo stipite della porta. «No, no tranquillo. Sto...sto bene» gli sorrisi, cercando di sembrare il più convincente possibile, anche se l’unica cosa di convincente in me era lo stato di confusione. Ora si spiegava perché l’infermeria alle mie spalle mi sembrava familiare. L’avevo vista più e più volte, disegnata su un foglio.
«Oh, allora va bene. Ma se senti che ti fa male non esitare a dirmelo. Piacere comunque, io sono Chopper» la piccola renna si era avvicinata ancora e ora era a un passo da me.
«Chopper. Tony Tony Chopper» annuii con voce tremante. Caddi in ginocchio e prima che me ne resi conto i miei occhi si riempirono di lacrime.
«Cami!» quasi tutti accorciarono la distanza tra me e loro salendo le scale, preoccupati.
«No, sto bene» alzai una mano «è solo che ancora non mi capacito della situazione in cui sono finita»
«Probabilmente è lo shock del momento, vai a riposarti» mi suggerì il piccolo dottore
«Sto bene, dico davvero. Sono...felice. Confusa. Non so cosa sia successo, ma sto bene»
Non avevo bisogno di riposo, avevo bisogno di risposte. Ero la classica persona razionale che andava in panico se non sapeva cosa stava succedendo. Si era visto quando la prima volta che mi era successa una cosa del genere ero svenuta miseramente e mi ero risvegliata sul tavolo della sala da pranzo. Ma non ero triste, ero solo annebbiata. Però ero anche felice, perché avevo appena conosciuto la renna più carina dei sette mari. E li avrei conosciuti tutti, uno a uno. Quindi si, ero felice. Ricacciai indietro le lacrime e mi ripresi un po’.
«Sei stato tu a curarmi?» chiesi a Chopper. Lui annuì.
«Sei stato molto gentile e hai fatto un ottimo lavoro, grazie!» gli sorrisi
«Smettila idiota! Lo sai che non amo i complimenti» disse mentre si gongolava. Risi e mi rialzai.
«Credo di non essermi presentata. Ciao a tutti, io sono Camilla, ma potete chiamarmi Cami!»
«Ciao, piacere, io sono Nami e sono la navigatrice di questo equipaggio di squinternati! Ma suppongo che tu già lo sappia» la rossa sorrise, furba
«Ehi, i vostri nomi si assomigliano!» esclamò Rufy. Aveva ragione, non ci avevo mai fatto caso.
«Molto piacere signorina, io sono Brook, il canterino! Yohohoho» lo scheletro fece un inchino «mi mostreresti le tue mutandine?» chiese poi, beccandosi un calcio da Sanji
«Mia bella Cami, ti andrebbe qualcosa da mangiare?» domandò il biondo subito dopo. Feci di no con la testa e passai oltre. Mi presentai all’archeologa, gentile come al solito, e infine al carpentiere, che era impegnato in una riparazione della nave.
«Allora, vuoi sapere cosa è successo?» chiese quest’ultimo
«Si, decisamente»
Il turchino poggiò il martello e mi mostrò il buco che stava riparando.
«Ecco, cosa è successo. Sei piombata giù dal cielo»
Rimasi a fissare quell’enorme cratere per qualche secondo.
«Q-questo è opera mia? L’ho fatto io?»
«Si mia cara»
«Come faccio a essere ancora viva!?»
«Sfiga» una voce lontana, ma chiara come il sole mi raggiunse dall’altra parte della nave. Mi voltai verso di essa.
«Traffy» attraversai tutto il ponte della Sunny e lo raggiunsi. Avevo tante domande che mi vorticavano nella testa, ma non potevo farle e soprattutto non a lui. Per fortuna mi anticipò come suo solito.
«Se ti stai chiedendo cosa ci faccio qui, il mio sottomarino ha un guasto e il cyborg si è offerto di ripararmelo» fece un lieve cenno del capo verso la poppa della nave. Allungai la testa e vidi la piccola imbarcazione gialla trainata dalla nave. Mi feci scappare un’esclamazione di sorpresa. Quando ero uscita dalla porta dell’infermeria non l’avevo notata. Molto probabilmente era stata l’agitazione del momento.
«I miei uomini sono lì. Il carpentiere mi aveva promesso che lo avrebbe riparato entro oggi, ma sei arrivata tu»
«Io...scusa» ero mortificata. Gliene avevo fatte passare di cotte e di crude e ora anche questo, doveva odiarmi
Sogghignò «Sei sempre tra i piedi»
«Non sai quanto mi dispia...» mi fermai quando vidi che aveva allargato il suo ghigno.
«Marco se n’è dovuto andare prima che cadessi dal cielo, ma sono sicuro che se sapesse che sei qui ne sarebbe molto felice» s’intromise cappello di paglia. Un altro dubbio l’avevo risolto. Ora ne rimanevano all’incirca altri duemila. Per esempio, che cosa diavolo era la cintura che mi avevano messo alla vita. La toccai. Mi dava uno strano calore.
«Non la toglierei se fossi in te» fece glaciale Law. Sobbalzai all’indietro. Che voleva dire? Che sarei esplosa se l’avessi tolta?
«Quello è un congegno che abbiamo progettato io e Franky» disse Usop orgoglioso, portandosi le mani ai fianchi. La parola congegno non mi rassicurava tanto.
«Toglitelo, avanti»
«Come si toglie?»
Mi fece vedere che c’era un sistema di sbloccaggio strano e mi aiutò a levarmi la cintura. A vederla sembrava più pesante, mentre addosso quasi non si sentiva. Mi disse di scegliere un “bersaglio” che non fosse Rufy, Zoro o Sanji. Scelsi Nami – chissà per quale assurdo motivo – e andai da lei. Provai a parlarle. Niente. Mi misi davanti a lei, ma non riusciva a vedermi. All’improvviso Usop mi toccò e la navigatrice sussultò portandosi una mano al petto.
«Usop! Ti sembra questo il modo di fare le cose!?»
Il cecchino si fece piccolo piccolo «Scusa Nami. Scusa, scusa, scusa, scusa» alzò le mani all’altezza del viso. Poi la rossa gli strappò la cintura dalle mani e si mise a guardare un punto impreciso davanti a lei.
«Cami, metti questa»
Io la presi delicatamente e la infilai, sbloccandola come mi aveva mostrato il cecchino poco prima.
«Molto meglio, ora riesco a vederti» mi sorrise e se ne andò, lasciandomi più perplessa di prima.
«Quanto tempo sono rimasta priva di sensi?» chiesi a chiunque volesse rispondermi
«Non molto, tre ore» fece il cyborg, ancora impegnato nel riparare il buco
«E voi in tre ore siete riusciti a progettare questo marchingegno?»
«Si, non è stato difficile. Quando sei piombata qui, solo pochi di noi riuscivano a vederti, infatti non riuscivo a capire cosa fosse successo. Poi Usop mi ha spiegato che quando loro erano nel tuo mondo nessuno a parte te poteva vederli, a meno che non avessero avuto un contatto diretto con te. Quindi insieme al nasone abbiamo ideato questa cintura che trasmette la sua stessa temperatura, in questo modo tutti potremo vederti e sentirti»
«Wow. Una spiegazione più che dettagliata. Ho sempre saputo che eravate incredibili»
«Suuuuupeeer!» Franky si mise nella sua tipica posa. Dovevo dire che visto da vicino era molto più imponente di quanto potessi pensare. Non osavo immaginare il Generale Franky come sarebbe potuto apparire ai miei occhi, o Orso Bartholomew, o Kaido.
«Perciò io posso apparire e scomparire semplicemente mettendo e togliendo la cintura? Questa cosa mi piace» stavo cercando di trovare quanti più punti a favore possibile di quella assurda situazione. Non potevo permettermi di avere un crollo. Dovevo restare lucida e pensare razionalmente a una soluzione. Ci doveva essere una via d’uscita. C’era sempre una via d’uscita. Niente svenimenti o crisi di pianto stavolta. Lucida. Razionale. Distaccata. Solo così avrei potuto cavare qualche ragno dal buco. Non che mi piacesse, cavare ragni dai buchi. Certe volte avrei voluto farmi prestare il cervello da Law. Lui era sempre così posato. Io di posato non avevo nemmeno i piedi per terra.
«Mia principessa, anche se sei diversa da come eri nel tuo mondo, sei sempre splendida! Anzi, così sei ancora più bella! Ti ho fatto un tè freddo» il cuoco mi volteggiava intorno con una bibita in mano. Gliela sfilai dalle mani e ringraziai prima di attaccarmi alla cannuccia. Tutto quel suo girarmi intorno mi aveva fatto venire la nausea. Posai il bicchiere sulla panca che circondava l’albero maestro e mi misi a sedere, accarezzandomi lo stomaco.
«È solo mal di mare. È normale avere la nausea, se non sei abituato. Comunque ti posso dare qualche erba medicinale per calmare il senso di vomito»
«Sei molto gentile, ma per ora non ne ho bisogno. Se più in là mi servirà te lo farò sapere» sorrisi al piccolo dottore. Perché tutti i medici non potevano essere come lui? Invece a me toccavano sempre quelli scorbutici e indelicati, a partire da Trafalgar Law. Aspettai ancora qualche minuto – in cui la situazione non migliorò affatto – e poi mi alzai, decisa, battendo le mani una volta per richiamare l’attenzione. Qualcosa doveva cambiare. Non potevo assolutamente restare lì.
«Ok ragazzi, è stato bello finché è durato, ma ora devo tornare a casa».
   
 
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