Capitolo III
l’amore è un limite, oltre non puoi andare...
(GiusyFerreri, Volevo te)
Harlock
la fissò scrutandola con quel suo unico occhio che aveva il
dannato
potere di trapassarle l'anima. “Anche se ti fai chiamare Neela
Yarr rimani sempre Kei Yuki. Che ti piaccia o
no sei
nata per combattere. Hai l'istinto. Poi costringerti a soffocarlo, ma
non puoi rinnegare la tua natura” la provocò con
quel suo solito
modo di fare sicuro e sprezzante.
Kei
sorrise amaramente. “Tu non sai proprio nulla...”
sibilò,
inasprendosi e assottigliando lo sguardo. “Non ti permetto di
giudicare come vivo la mia vita. Mi credi così stupida?
Debole?
Credi che abbia così tanto bisogno di essere amata da
buttarmi tra
le braccia di uno qualunque? Del primo arrivato?”
Inspiegabilmente
era quasi contenta, riconoscente, dell'inaspettata
possibilità di
potergli sputare in faccia tutto quello che non aveva mai avuto il
coraggio di confessargli sull'Arcadia.
“No.
Non lo credo...” ammise lui mesto, rendendosi
conto di aver colpito nel segno, avrebbe davvero voluto che Kei
avesse ragione, ma sapeva
che non era così.
Kei si
turbò, non credeva che sarebbe mai arrivato ad esporsi in
quel modo,
lo sentiva quasi vulnerabile. “Se hai davvero a cuore la mia
libertà... allora lasciami andare...” lo
pregò, nei suoi occhi un
misto di tristezza e dolore. Nello stesso istante lo sentì
sospirare.
“Sa
chi sei veramente. Ti sta solo usando per riuscire ad arrivare a
me.” Lo disse in tono insolitamente morbido, sapeva che
quelle parole
sarebbero state come una lama affilata per lei, ma non poteva tacere.
Non questa volta che era in gioco molto più dei loro
sentimenti.
Kei
scrollò il capo sorridendo sarcastica. “Davvero
credi di essere
così importante? O forse c'è qualcos'altro? Non
riesci ad accettare
che io possa essere felice lontano...
dal tuo inferno personale? In ogni caso sei patetico...”
Le
accuse di Kei lo scossero, ma non poteva darle torto. La sua presenza
lì, in quel vicolo buio, su quel pianeta di frontiera,
significava
solo una cosa: lei aveva ragione. Avrebbe tanto voluto darle quello
che desiderava, abbandonarsi ai sentimenti che nutriva per lei, ma non
ne aveva avuto il coraggio e, paradossalmente, aveva dovuto appellarsi
a tutto il suo coraggio per lasciarla andare, perché credeva
fosse la cosa più giusta.
“Lasciami
in pace” ribadì lei e questa volta nella sua voce
c'era qualcosa
di terribile che lo turbò nel profondo: una durezza che non
aveva
mai percepito.
“Non
posso farlo...” reagì, muovendo un passo nella sua
direzione.
Kei
non indietreggiò e rimase impassibile. “Non ti
avvicinare” lo
minacciò. Harlock sgranò l'occhio nell'udire un
rumore metallico
provenire da sotto la sua giacca e qualcosa luccicare
nell'oscurità:
era la canna di una pistola puntata contro di lui. La fissò
negli
occhi, quei suoi meravigliosi occhi azzurri, un tempo limpidi e
innocenti che ora invece lo accusavano severi, senza riuscire a
frenare il senso di sconfitta ed inquietudine. “Mi odi fino a
questo punto?” Riuscì appena a sussurrarle.
“Ho
dovuto odiarti... era l'unico modo
per trovare la forza di andarmene.” Non avrebbe mai voluto
dirglielo, ma lui voleva la verità, doveva sapere quello che
le era
costato, il dolore che le aveva lasciato dentro e che, a malapena, in
cinque anni era riuscita ad alleviare. “Non voglio che ti
intrometta più nella mia vita. Io ho fatto la mia scelta e
tu hai
fatto la tua... è troppo tardi, ormai.”
Harlock
socchiuse l'occhio e le fece un leggero cenno col capo; aveva fatto
tutto quello che era in suo potere per avvertirla, non era nel suo
stile insistere oltre.
Kei
annuì, addolcendo leggermente lo sguardo,
rinfoderò la cosmo gun
voltandosi lentamente e proseguì verso la fine del vicolo.
* * *
L'aria
fredda della sera le pungeva gli occhi inondati di lacrime. Camminava
velocemente a testa bassa con il cuore gonfio e un senso di angoscia
nel petto che la opprimeva. Aveva giurato a se stessa che non avrebbe
mai più
pianto per lui, ma non poteva immaginare che si sarebbe rifatto vivo
nella sua vita dopo tanto tempo. O forse addirittura non l'aveva mai
abbandonata.
Perché
era tornato? Perché proprio adesso che era quasi riuscita a
dimenticarlo? Perché non aveva almeno il diritto di vivere
una vita
normale accanto ad un uomo qualsiasi? Era davvero una cosa
così
assurda per una donna come lei?
In
quel momento si rese conto che forse lo odiava davvero. Se non lo
avesse
mai più rivisto sarebbe riuscita a perdonarlo, ma ora non ne
era più
capace.
Trovò
una sistemazione per la notte: una camera da pochi crediti ma pulita
ed accogliente. Trasportando il quantinuum1
non si sarebbe mai arricchita, di questo ne era consapevole, ma era
un lavoro onesto che non le dispiaceva. Avvertì Dekher di
raggiungerla, le era sembrato molto preoccupato attraverso il
comunicatore, lo rassicurò augurandosi che non le chiedesse
ulteriori spiegazioni.
Desiderava
solo guardare avanti e dimenticare, volare via da quel pianeta e
soprattutto dal pensiero di lui.
Mentre si liberava della
giacca e della pistola, i
ricordi di quegli ultimi cinque anni la travolsero come un'onda
impetuosa e non le rimase altro che farsi trascinare.
Dopo
aver lasciato l'Arcadia aveva vissuto molto tempo nella più
completa
solitudine, aveva bisogno di ritrovare se stessa prima di potersi
relazionare con gli altri. Aveva cambiato nome e stile di vita per
rompere qualsiasi legame con la sua vita passata. Ricominciare da
zero era l'unico modo per riemergere dall'oblio in cui era
sprofondata. Kei Yuki era morta e Neela Yarr era venuta alla luce.
All'inizio si concedeva solo relazioni occasionali, che duravano una
notte o poco più, e poi sentiva il bisogno di fuggire, di
non
lasciare tracce, di non legarsi. L'ombra di quello che era stata
continuava a perseguitarla, era convinta di non potersene
più
liberare. Poi lentamente, giorno dopo giorno, anno dopo anno,
faticosamente era riuscita a scrollarsi di dosso parte del dolore, del
senso
di sconfitta che le era rimasto dentro, e a guardare al futuro con
ritrovato entusiasmo. Ma soprattutto aveva iniziato a farsi strada in
lei il bisogno di dare fiducia a chi desiderava avvicinarla. Ormai
era convinta che, dopo tanto tempo, nessuno l'avrebbe mai
più
collegata alla ciurma dell'Arcadia.
Dekher
non era nemmeno vagamente simile ad Harlock, era proprio tutto
l'opposto e forse era stato proprio questo che l'aveva colpita la
prima volta che si erano incontrati. L'aveva difesa da un balordo che
voleva metterle le mani addosso in un locale di dubbia fama,
prendendosi anche un pugno in faccia. Non
che lei fosse incapace di difendersi, ma l'intraprendenza di quel
giovane, a cui probabilmente era sembrata fragile ed indifesa,
l'aveva colpita.
Erano
fuggiti per evitare di essere arrestati dalle forze dell'Ordine
Supremo Galattico2
sopraggiunti per sedare la tremenda rissa scoppiata e da allora non
si erano più separati.
Non
credeva possibile che un giorno si sarebbe legata a qualcuno
completamente differente dal suo
capitano. O forse era accaduto proprio perché in quel
giovane non
riusciva a riconoscerlo. Dekher non possedeva nulla che potesse
ricordarglielo, aveva i capelli corti, biondo scuro, alcuni ciuffi
più lunghi gli ricadevano scompigliati sulla fronte
incorniciando un
viso magro ma regolare, terribilmente sensuale. Quello che colpiva
maggiormente in lui erano le iridi chiarissime, di un colore
indefinito, cangiante, che variava dall'azzurro cristallino al verde
acqua. Il suo sguardo intenso e quel suo sorrisino accattivante,
sempre stampato sulle labbra leggermente carnose, l'avevano
piacevolmente conquistata. Era alto e snello ma lievemente
più
muscoloso di Harlock e, di sicuro, anche più giovane. Ma
soprattutto
era diverso il suo modo di fare: Dekher era disinvolto e affabile,
ironico ma mai sfacciato, aveva sempre la battuta pronta senza
apparire presuntuoso o, peggio, volgare. E soprattutto la faceva
ridere come non le era mai accaduto prima. Aveva bisogno della
compagnia di qualcuno
che le donasse un po' di serenità e gioia di vivere, per
questo era
convinta che l'avvertimento di Harlock fosse infondato. Non gli
avrebbe mai più permesso di sopraffarla, di destabilizzare
il suo
cuore.
* * *
Dekher
le si avvicinò sorprendendola alle spalle,
affondò il naso tra i suoi
capelli e, con un lieve bacio, le solleticò l'orecchio.
“Mi sei
mancata...” le sussurrò malizioso stuzzicandole il
lobo con la
punta del naso e lei sorrise. La sua voce era morbida, chiara,
accattivante.
“Anche
tu” gli rispose in un soffio, era ancora turbata
dall'incontro con
Harlock ma l'improvviso abbraccio di Dekher le aveva ridato fiducia.
Il calore del suo petto a contatto con la sua schiena era avvolgente,
tranquillizzante. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare da
quel
tepore. Aveva bisogno di recuperare la sua rassicurante
quotidianità,
quelle piccole cose che le riempivano il cuore, quelle preziose
attenzioni che Dekher sapeva riservarle e che la facevano sentire
desiderata, amata.
Si
voltò verso di lui ruotando tra le sue braccia e gli
posò un lieve
bacio sulle labbra prendendolo alla sprovvista. Poi lo
guardò
sorridendogli, le mani scivolarono sensuali sulle sue spalle
muscolose e poi sulla nuca, infilando le dita tra i suoi capelli.
Dekher le cinse la vita attirandola a sé,
avvicinò la bocca alla
sua e la prese in un lungo bacio avido ed appassionato.
Poi
però, inaspettatamente, si scostò da lei frugando
nella borsa che
portava a tracolla. Ne tirò fuori un piccolo oggetto
cilindrico che
Kei riconobbe subito. “Eccolo, il nostro lasciapassare
per la prossima frontiera.” Le fece l'occhiolino mostrandole
il
condensatore
di energia
che teneva stretto e saldo nella mano.
Kei
sussultò leggermente assottigliando lo sguardo,
l'espressione serena
che aveva dipinta in volto si fece improvvisamente seria e tirata.
“Credevo lo avessi già sostituito...”
azzardò, corrugando la
fronte, ma lui le rispose con un sorrisino beffardo. “Non
ancora...”
Continua...
Note:
1) Quantinuum: nome di minerale di mia invenzione, ogni riferimento a situazioni esistenti è puramente casuale.
2) Ordine Supremo Galattico: nome delle forze di polizia di mia invenzione, ogni riferimento a situazioni esistenti è puramente casuale.