Capitolo IV
E
passano i giorni, partenze senza ritorni
graffiano
i muri, le mani e noi che siamo lontani...
(Giusy Ferreri, Volevo te)
Kei
scrutò Dekher accigliata, sentendo salire dentro, come una
marea
irrefrenabile, un senso di inquietudine. “Perché
non l'hai
sostituito, cos'hai fatto per tutto questo tempo?” Lo
riprese,
insospettita da quel suo repentino cambio di atteggiamento.
Il
biondo rinnovò il suo sorrisino compiaciuto esitando qualche
istante
prima di risponderle: “ho incontrato un vecchio
amico...”si
giustificò, rimanendo sul vago.
“Credevo
non avessi amici in questo settore...” Kei lo
fissò con
diffidenza, aggrottando la fronte. Aveva compreso che c'era qualcosa
di strano, ma non era nel suo stile aggirare l'ostacolo, semmai
proprio il contrario.
Un
silenzio inquietante scese tra loro. Dekher abbassò la testa
come a
voler evitare il suo sguardo indagatore. “Ci sono molte cose
che
non sai di me...” la spiazzò pronunciando piano
quelle parole,
pericolosamente ambigue e, nell'udirle, Kei si irrigidì.
Lentamente
si allontanò da lui muovendo qualche passo all'indietro fino
a
quando non incontrò la fredda parete della camera e vi si
appoggiò
turbata.
Lo
vide sogghignare. “Io invece, conosco molte cose interessanti
sul
tuo conto...” continuò lui, sollevando lo sguardo
diventato
improvvisamente più severo, “per esempio che non
sei poi così...
indifesa. Ho ragione, Kei
Yuki?”
Sentirsi
chiamare col suo vero nome le fece l'effetto di una doccia gelata,
qualcosa le si spezzò dentro e tanti piccoli frammenti
affilati le
si infilzarono nel cuore. Istintivamente portò la mano al
fianco per
impugnare la pistola, ma si ricordò che si era liberata
dell'arma
appena entrata nella stanza, per mettersi a suo agio. Girò
velocemente gli occhi verso la poltrona dove pendeva il cinturone e
si rese conto che era troppo lontano per poterlo raggiungere e
Dekher, nel frattempo, le si era avvicinato di più.
“So
cosa hai in mente, scordatelo” la freddò.
In
quell'istante Kei si sentì morire: Harlock
aveva ragione, il disperato bisogno di sentirsi amata, desiderata,
l'aveva resa debole, vulnerabile. Si era fidata di quell'uomo
abbandonandosi a lui, senza preoccuparsi delle possibili conseguenze.
Ma cosa
voleva davvero Dekher da lei?
“Perché?”
Gli sussurrò piano, fissando quei suoi occhi cerulei
divenuti due
sottili fessure, gelidi ed inespressivi, molto lontani da quelli che
l'avevano sempre accarezzata con dolcezza.
“Facevi
parte del suo
equipaggio, non è vero? L'equipaggio di quel
pirata” la provocò
affilando lo sguardo, con un tono tagliente che non avrebbe mai
creduto potesse appartenergli.
“Non
so di cosa tu stia parlando...” Kei tentò di
prendere tempo,
qualcosa doveva pur inventarsi per uscire da quella situazione.
“È
inutile
mentire, so che eri il suo secondo ufficiale. Ho accesso agli archivi
segreti della Gaia” la sorprese, senza lasciarle via di
scampo.
“Un
cacciatore di taglie...” mormorò lei, arrendendosi
all'evidenza e
fissandolo disgustata.
“Oh,
ti prego, non guardarmi con quell'aria schifosamente delusa. Credevi
davvero che saremmo stati insieme tutta la vita? Mi meraviglio di te,
ti facevo più scaltra.”
“Cosa
vuoi?” Riuscì a mala pena a pronunciare. Non era
nella sua indole
lasciarsi andare alla disperazione, non lo aveva mai fatto, nemmeno
di fronte al rifiuto del suo più grande amore. Ma questa
volta aveva
creduto davvero di essersi lasciata la sua vita precedente alle
spalle, si era illusa di poter vivere ed amare come una donna
qualunque. Invece, Harlock aveva avuto ragione ancora una volta, la
sua maledizione
non voleva abbandonarla, l'avrebbe tenuta legata a lui per sempre.
Non avrebbe mai potuto allontanarsi abbastanza, anche se fossero
stati distanti migliaia di anni luce.
Dopo
averla brutalmente derisa Dekher la imprigionò con il suo
corpo
contro la parete. “Ho una proposta da farti: come ufficiale
in
seconda di sicuro sei a conoscenza del codice criptato con cui
l'Arcadia comunica con i ribelli, la sorgente del codice è
l'unico
modo per rintracciare la sua posizione in qualunque punto
dell'universo... La Gaia ce lo pagherà una fortuna, altro
che quei
pochi miseri crediti che racimoliamo trasportando il quantinuum.”
Kei
sussultò; Dekher sapeva del codice, evidentemente era molto
più in
gamba di quanto pensasse. “Credi davvero che sia disposta a
rivelartelo? Non mi conosci abbastanza...” Si
sforzò di mostrarsi
sicura, anche se dentro di sé si sentiva andare in frantumi.
“Oh
andiamo... che ti importa di quel pirata? L'hai lasciato, no?
Rifletti: diventeremo ricchi e potremo spassarcela, alla faccia di
quel terrorista fanatico” tentò di convincerla
addolcendo il tono
e mostrandosi più accomodante.
“Mi
fai schifo...” riuscì solo a sputargli in faccia,
disgustata da
quelle viscide insinuazioni, “non te lo rivelerò
mai!” Sentenziò
categorica sostenendo il suo sguardo senza timore.
Dekher
sorrise malefico scuotendo il capo. “Lo farai, invece.
Sostituire
il condensatore di energia è l'unico modo per lasciare
questo buco;
in caso contrario l'Astral Gale è più lenta di
una bagnarola ad
impulso. Non andresti lontano anche se riuscissi a
scappare...” Il
suo atteggiamento era provocatorio e velenoso mentre le mostrava il
piccolo cilindro metallico che aveva ancora nella mano. Le
strizzò
l'occhio compiaciuto e poi lo ripose prudentemente nella borsa.
Kei
deglutì a vuoto fissandolo amareggiata. Non aveva molta
scelta: era
sola ed in trappola. Quell'infame non aveva torto: non poteva
lasciare il pianeta con l'Astral Gale in quelle condizioni, e nemmeno
impadronirsi di un'altra astronave, troppi controlli e troppi
soldati.
Sospirò
stancamente, ormai non aveva più speranze. Per l'ennesima
volta il
mondo le stava crollando addosso. “Sei stato tu, vero? Hai
sabotato
apposta il condensatore per costringermi ad un atterraggio di
emergenza.”
Dekher
sorrise divertito. “Sei in gamba. Ma non abbastanza per
fregarmi.
Però devo ammetterlo... scoparti
è stata una delle cose migliori che mi siano mai capitate. È
un vero peccato. Arrenditi e ne trarremo entrambi vantaggio. Dammi
quel codice!” Ribadì serio e il suo tono secco
lasciava intendere
che non stesse affatto scherzando.
Kei
scosse lievemente la testa, le lacrime le stavano prepotentemente
salendo agli occhi, ma si sforzò di non piangere. Si sarebbe
fatta
uccidere, ma non gli avrebbe mai rivelato quello che voleva sapere,
non avrebbe mai tradito quello in cui aveva creduto per una vita.
Scattò
per gettarsi a recuperare il cinturone, conscia che Dekher avrebbe
fatto di tutto per fermarla. Ma a quel punto non aveva più
nulla da
perdere. Avrebbe preferito morire, piuttosto che finire in mano alla
Gaia e mettere in pericolo Harlock e i suoi vecchi compagni. L'uomo
la bloccò repentino afferrandola per un braccio e,
piantandole una
mano alla gola, la immobilizzò di nuovo contro la parete
fissandola
spazientito. “Non hai scampo tesoro,
ti conviene collaborare. In caso contrario... vali parecchi crediti
anche da morta.” Strinse le dita con più forza e
lei si sentì
soffocare. Cercò di divincolarsi dalla sua presa ma Dekher
era
forte, dannatamente troppo forte. Quelle braccia che l'avevano
stretta tante volte, l'avevano consolata, l'avevano cullata dopo
essersi amati, ora la stavano imprigionando senza pietà.
Decise
di arrendersi e di non ribellarsi; sarebbe morta lì, tra
quelle
braccia che aveva voluto credere amiche, con la gola serrata tra le
dita della sua mano.
La
vista cominciava ad annebbiarsi e tutto iniziava a farsi scuro e
confuso, Kei stava per lasciarsi andare, era finalmente finita, ma un
colpo secco fece sussultare Dekher. La stretta che aveva al collo si
allentò e riuscì a malapena a riprendere fiato
prima di soccombere.
Distinse vagamente l'espressione di quell'uomo farsi incredula, gli
occhi sgranati la fissavano sconvolti, un violento colpo di tosse lo
scosse ed alcune gocce di sangue le schizzarono addosso.
Dekher
cercò di pronunciare qualcosa ma le parole gli morirono in
bocca;
lasciò definitivamente la presa gettandosi su di lei,
aggrappandosi
alle sue spalle, artigliando la sua maglia. Poi, lentamente,
scivolò
a terra, ai suoi piedi, rimanendo immobile.
Ansimando
Kei si portò le mani al collo dolente, riempì
finalmente d'aria i
polmoni e, adagio, si lasciò cadere seduta sul freddo
pavimento di
quella camera da pochi crediti.
Volse
lo sguardo verso la porta, dalla quale era giunto il colpo. Aveva
ancora la vista offuscata ma stavolta dalle lacrime che le inondavano
gli occhi. Scorse una sagoma scura che impugnava una pistola, ancora
fumante per il colpo esploso, senza riuscire ad intuirne
l'identità.
Lo
sconosciuto ripose l'arma e le si avvicinò con passo
pesante,
metallico. A poca distanza da lei si chinò per raccogliere
qualcosa,
poi la raggiunse e le tese una mano guantata. Kei alzò gli
occhi
lentamente per metterla a fuoco. Il suo sguardo, sconvolto e
disperato, scivolò lungo l'avambraccio e poi ancora
più su, verso
la spalla, fino a raggiungere il viso: Harlock la fissava con un
lieve sorriso, sincero, rassicurante. Un sorriso che non gli aveva
mai visto.
Titubante
mosse la mano per afferrare la sua e poté sentire la sua
stretta
forte, potente, che la sollevava avvicinandola a sé. Si
ritrovò in
piedi di fronte a lui, incredula e ancora scossa, il corpo senza
vita di Dekher steso a terra, poco lontano dai suoi piedi.
Harlock
la guardò con un'espressione dolce, stranamente tranquilla,
lievemente velata di tristezza, e lei si sentì morire
un'altra
volta. L'aveva protetta, avvertita, infine salvata, e lei non aveva
voluto credergli, nemmeno concedergli il beneficio del dubbio. Era
talmente arrabbiata con lui che non era più disposta ad
ascoltarlo e
dargli fiducia.
Harlock
invece si sentiva per assurdo sconfitto. Credeva di averla resa
libera lasciandola andare, voleva offrirle la possibilità di
essere
davvero felice come era giusto che fosse. L'aveva scoraggiata di
proposito affinché potesse guardare oltre. L'aveva lasciata
andar
via costringendosi a soffocare i suoi sentimenti, comportandosi in
modo crudele e spietato, perché era convinto che fosse
l'unico modo
per non lasciarle rimpianti.
Ma lui
l'amava, non poteva negarlo a se stesso, per questo non aveva mai
smesso di vegliare su di lei. Per cinque anni era rimasto nell'ombra,
l'aveva seguita, osservata a distanza, per essere sicuro che stesse
bene e che avesse trovato qualcuno che valesse davvero la pena amare.
Qualcuno che l'avrebbe resa felice. Ma non si era reso conto di
quanto, in tutti gli anni che avevano condiviso, le avesse
condizionato l'esistenza. Kei era e sarebbe rimasta comunque una
pirata, una fuorilegge, sarebbe stata sempre una facile preda per i
suoi nemici, un'allettante possibilità da sfruttare in modo
subdolo
per arrivare a lui.
Senza
volerlo aveva segnato il suo destino per sempre. Le aveva concesso
una libertà fittizia, illusoria, di cui non avrebbe mai
potuto
veramente godere. Ma non poteva permettere che fosse Kei a pagare per
i suoi errori, per le sue scelte. In cuor suo aveva sperato che
avrebbe potuto vivere un'esistenza normale, ma anche quella si era
rivelata una crudele illusione.
Notò
che Kei stava tremando, inevitabile conseguenza dello shock che aveva
appena subito e, agendo d'impulso, la circondò con le sue
braccia
stringendola forte a
sé, questa volta senza dubbi, timori o incertezze. Kei aveva
bisogno
di lui e lui era lì. Lo era solo per lei, per il suo prezioso
secondo ufficiale. Non l'avrebbe mai lasciata in balia di quella
solitudine in cui l'aveva costretta ancora una volta. Non esisteva
nient'altro se non quell'istante tra loro, agognato da troppo tempo.
La
strinse fino a quando non la sentì rilassarsi e abbandonarsi
tra le
sue braccia. Avrebbe dovuto farlo tanto tempo prima. Sarebbe stato
tutto diverso. Non sarebbero giunti a quel punto di non ritorno. Ma
non poteva cambiare il passato, poteva solo cogliere quell'attimo che
era stato loro concesso.
Istintivamente
cercò le sue labbra scoprendosi smanioso dalla voglia di
sentirle,
di gustarne il sapore sconosciuto. Si inclinò verso il suo
viso,
lentamente, per farle capire le sue intenzioni.
Kei
si scostò leggermente da lui per fissarlo incredula. Non
aveva mai
visto quell'espressione dolce e rilassata dipinta sul suo viso,
sempre cupo, imperturbabile, ed un brivido intenso la scosse. Rispose
a quel richiamo, così invitante quanto assurdo, incerta,
titubante
mentre le braccia scivolavano inconsciamente sulle sue spalle per
aggrapparsi disperatamente a lui.
Harlock
con il pollice le pulì uno schizzo di sangue che aveva sul
viso e
poi adagiò
le labbra sulle sue. Sebbene la sfiorassero a malapena, lei le
sentiva ardere. Con la punta della lingua lui le accarezzò
il labbro
inferiore, poi quello superiore e lei schiuse poco la bocca per
accoglierla, accarezzarla come aveva sognato di fare molte volte. Era
stranamente dolce e delicato il suo sapore. Gli sfiorò
lievemente
la nuca affondando le dita nei suoi capelli lunghi e morbidi
artigliandoli.
Le
piaceva come baciava, era passionale ma non troppo, istintivo ma
rispettoso. Un
desiderio rovente le invase le vene, le chiedeva con impeto di
bruciare ogni resistenza per lasciarsi andare senza più
alcun freno
a quel bacio improvviso, inaspettato, impulsivo, che diventava
pericolosamente sempre più famelico ed esigente.
Harlock
percepì il corpo di Kei fremere, combattuto tra il desiderio
di
scappare e di abbandonarsi finalmente ai sentimenti che aveva da
sempre provato per lui. La trattenne stringendola più forte,
per
farle capire che era solo lei che voleva, cercando di prolungare
quella danza appassionata e sensuale tra le loro lingue il
più
possibile, fino a quando il bisogno di prendere aria lo spinse a
malincuore a staccarsi dalle sue labbra.
La
fissò ansimante, eccitato e scosso per quel momento di
debolezza a
cui non aveva potuto fare a meno di cedere, ma l'espressione che colse
sul viso di Kei fu come un pugnale piantato nel cuore. Era triste e
dolce al contempo, riconoscente per quello che era appena successo, ma
anche consapevole che non le sarebbe bastato.
Le
sorrise. “È
questo quello che vuoi, vero?” Le mostrò
ciò che aveva nella
mano: il condensatore di energia che aveva raccolto poco prima,
rotolato fuori dalla borsa di Dekher. Quel piccolo oggetto,
dall'aspetto insignificante, rappresentava la libertà, la
possibilità di ricominciare di nuovo, ma doveva
essere Kei a decidere. Avrebbe voluto chiederle di tornare, di venire
via con lui ma era anche consapevole che, dopo tutto quello che era
accaduto, forse lei non era più disposta a rinunciare a
quella
libertà che aveva tanto voluto donarle a tutti i costi.
Kei
sospirò profondamente ed annuì stringendosi nelle
spalle,
lasciandogli ancora più cocente e pungente il senso di
sconfitta.
Per una manciata di minuti erano stati quelli che avrebbero voluto
essere: un uomo ed una donna soltanto, in una camera da pochi
crediti, su di un anonimo pianeta di frontiera. Ma c'era il corpo di
un uomo a terra a pochi centimetri da loro, un uomo che lei aveva
creduto di poter amare e che Harlock aveva ucciso a sangue freddo,
anche se solo per proteggerla.
“Grazie...”
gli sussurrò con dolcezza, prima di prendere il condensatore
dalla
sua mano ed allontanarsi a testa bassa, varcando la porta da dove
poco prima lui stesso era entrato, senza voltarsi indietro.
E p i l o g o
“Capitano,
ho captato uno strano messaggio criptato in un vecchio codice, sembra
indirizzato a voi.”
Le parole di Yattaran lo stupirono mentre
se ne
stava assorto nei suoi soliti pensieri, abbandonato sulla sua
poltrona di comando. Era rientrato sull'Arcadia da settimane ormai,
nessuno aveva osato chiedergli il motivo di quel suo allontanamento
improvviso, nemmeno Meeme, ma lei aveva capito tutto, o forse, lo
aveva sempre saputo.
“Trasferiscilo
nella mia cabina” gli ordinò, sforzandosi di
mantenere il tono asciutto e distaccato. Si alzò dirigendosi
verso l'imponente motore
a materia oscura, la cui ruota era in perenne movimento. Tori
gracchiò sollevandosi dallo schienale della poltrona, dove
era
rimasto appollaiato per tutto il tempo del turno diurno e, planando,
si andò a posare sulla sua spalla. Dietro al motore c'era un
collegamento diretto che permetteva di raggiungere l'alloggio di
poppa attraverso un più veloce e comodo corridoio privato1.
Entrò,
immergendosi nella cupa oscurità del grande ambiente, con
uno strano
presentimento nel cuore. Si diresse deciso alla sua scrivania, si
sedette ed attivò il piccolo schermo virtuale che si
materializzò
subito dinnanzi al suo viso. Il messaggio trasferito da Yattaran
lampeggiava solitario pronto per essere decriptato. Lanciò
il
programma ed attese immobile, alcuni secondi, poiché erano
solo
poche parole:
Se davvero vuoi che torni sai come trovarmi
F I N E
Note:
1) Particolare dedotto dal film in cui Harlock spesso spunta da dietro il motore ;)
Angolo dell'autrice :)
Eccoci
giunti alla fine di questa breve, ma intensa avventura. Mi sono molto
divertita a scriverla ed è stato come un flash che mi ha
colpita e
che ho dovuto in qualche modo raccontare. Inizialmente doveva essere
una one shot, ma poi mi è uscita talmente lunga che ho
dovuto per
forza dividerla, così ho pensato di interromperla in punti
strategici per creare maggiormente il senso di attesa e di mistero.
Dedico
questa piccola long ad una mia carissima amica, non faccio nomi
perché lei sa benissimo chi è ;)
perché grazie a lei questa fic,
che doveva avere un finale molto più aperto e lasciato in
sospeso,
ha preso una piega più positiva... sfociando nel vero e
proprio
Happy End. E poi, si sa che con me sti due, gira e rigira, sempre in
un modo vanno a finire ;) Come recitava una vecchia canzone:
“certi
amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi...
ritornano” XD
Un
grazie sincero a chi ha letto questa mia piccola follia e un
abbraccio speciale a chi ha commentato, perché...
sì, sapere quello
che un lettore pensa, nel bene o nel male, è sempre
stimolante e
alimenta la volontà di condividere e produrre. Un grazie
sincero
anche a chi ha messo questa storia tra le preferite e seguite, e
anche ai lettori silenti che sono stati davvero tanti.
Arrivederci
alla mia prossima follia ;)