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Autore: Ink Voice    20/03/2016    1 recensioni
Niente sarà più come prima. Forse è meglio così, pensa Eleonora, mentre si chiede esasperata quale sia il prossimo compito da portare a termine. È una domanda retorica che si pone solo per rispondersi subito dopo: “Salvare il mondo”. Una frase da supereroe, da film, che invece le tocca pronunciare per autoconvincersi che il momento è giunto e che lei, fino a qualche anno prima una ragazzina normale che non conosceva la realtà in cui è improvvisamente finita, è una delle più importanti pedine nel triste gioco della guerra.
Dalla parte di chi schierarsi e perché, quando ogni fazione ha numerosi difetti, che rendono l’una indistinguibile dall’altra? Troverà mai dei motivi che la spingeranno a non chiudersi in sé stessa e a non tirarsi indietro? Perché dover rischiare la propria vita per una causa che non si conosce davvero e per una verità svelata sempre poco per volta?
Queste domande l’accompagneranno mentre cercherà la forza per non arrendersi. È l’ultima parte di Not the same story.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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VI
Chi non muore si rivede

Ilenia può teletrasportare una persona per volta a parte sé stessa, esattamente come succede per i Pokémon, a meno che, in cambio di un notevole e improvviso dispendio di energie, non si faccia carico di due passeggeri. Non possiamo permetterci che uno dei membri più validi del nostro gruppo si affatichi troppo, perciò la prima ad essere accompagnata nei pressi di Amarantopoli con questo mezzo tempestivo è Sara; dopodiché Ilenia si prende anche Hans e, per finire, me.
Il teletrasporto è piuttosto soffocante e sgradevole ma fortunatamente dura poco: dopo alcuni secondi di apnea si apre davanti ai miei occhi lo scenario di un percorso bianco di neve nel mezzo di un bosco completamente spoglio. Appena poggio i piedi a terra mi ritrovo a barcollare e finisco addosso a Hans, che sfortunatamente si trova accanto a me: per poco non cadiamo a terra tutti e due, come nelle gag più squallide e prevedibili. Ritrovo velocemente l’equilibrio e passo a Ilenia il suo impermeabile, che ha evitato di tenersi addosso mentre usava i suoi poteri, perché altrimenti l’avrebbe visto sparire per sempre. Sara le porge scarpe e calzini ma la ragazza, scalza, inizialmente non si cura di questo dettaglio e prende le sue cose solo dopo un po’.
Ci troviamo nel percorso 37, sotto Amarantopoli, immerso in un’enorme selva situata tra Violapoli, le Rovine d’Alfa, il Parco Nazionale di Johto e la nostra meta, a nord. Questa strada e il percorso 36 sono del tutto preclusi alle macchine e ad altri mezzi di trasporto: tutti se li fanno a piedi, nella bella stagione, per godersi il verde del bosco. Ora che è inverno dev’essere del tutto deserto: non percepisco nessuno nelle vicinanze.
Siamo in prossimità dell’entrata di Amarantopoli: mi basta voltare la testa per vedere i variopinti cancelli antichi che segnano l’ingresso nel territorio cittadino, che deve distare al massimo un chilometro. Mi metto a fantasticare su ciò che vedremo in città mentre Ilenia spiega i nostri prossimi spostamenti, come se credessi di poter prevedere quali saranno; nel frattempo Sara si è trasformata e il suo aspetto è nello stadio intermedio tra quello più umano e quello più vicino al Legame. L’ha fatto perché i suoi capelli bianchi e blu sono fin troppo conosciuti, così come il suo viso, tra quelli del Victory Team; solo due persone in tutta l’organizzazione nemica hanno visto queste altre sue sembianze, e in ogni caso coprirà i capelli azzurri con il cappuccio della giacca - che ho momentaneamente tenuto io per evitare che la perdesse, esattamente come ho fatto con Ilenia.
«Per non far riconoscere te» mi addita lei quando ci addentriamo nell’argomento “girare per Amarantopoli in incognito”, «ho preso questa bella mascherina da malato terminale, un paio di occhiali e una parrucca. Così sarà come se avessi il raffreddore e fossi un topo di biblioteca che non cura i suoi capelli.»
«Non voglio conoscere i mezzi adottati per procurarteli» mormoro mentre prendo il mio “travestimento”. La mascherina è una di quelle che si usano in ospedale, le lenti degli occhiali - non manco di protestare con Ilenia che ne ha rubato un paio con la montatura enorme - sono semplicemente di vetro e la parrucca è a dir poco terrificante. È una matassa di capelli rossicci, gonfi e plasticosi, cui vorrei dar fuoco almeno in parte per ridurne il volume e la lunghezza, ma ho la sensazione che sia di un materiale infiammabile o che potrebbe, peggio ancora, esplodermi in mano: non ha per niente un aspetto rassicurante. In qualche modo riesco a nasconderla tirando su il cappuccio della giacca nera che ho preso da Hans - o meglio, che lui mi ha portato quando ci siamo visti per la prima volta.
Ci avviamo verso Amarantopoli dopo aver riassunto il programma della giornata: andremo alla Torre Bruciata in cerca di Legati delle Bestie Leggendarie; se falliremo andremo alla Torre Campana - dopo essere passati dalla base segreta nel Sentiero Ding-Dong - e il prima possibile, dopo che avrò ottenuto la forma materiale del Legame, ritenteremo con le Bestie sperando di ottenere buoni risultati.
Man mano che ci avviciniamo sento il mio battito cardiaco farsi più veloce per l’impazienza di arrivare: ho un’improvvisa voglia di correre e oltrepassare i bei cancelli. Non mi ci vuole molto per capire che tutto questo desiderio di trovarmi ad Amarantopoli è dovuto a Ho-Oh, all’effetto del Legame, ma non appena entriamo in città mi rendo conto che c’è qualcos’altro sotto. Il primo passo mosso nel territorio di Amarantopoli mi fa realizzare che mi sento a casa: mi ricordo com’è stato tornare per un po’ - pochissimo - a Nevepoli dopo i mesi all’Accademia, e la sensazione di familiarità e felicità di quella volta non è niente in confronto all’ondata di calore e di benessere che mi travolge ora. Non voglio soltanto correre, voglio sorridere e ridere, per quanto la cosa possa sembrare strana a chi mi sta intorno: non posso farci niente se sono improvvisamente preda dell’euforia…! Dovrei contentermi ma lo faccio a fatica, è un’emozione grandissima e da un momento all’altro potrei scoppiare in una risata all’apparenza immotivata, dovuta a questo sentimento di essere rimpatriata dopo anni di esilio dalla mia città natale.
Per di più, Amarantopoli è meravigliosa - e meravigliosamente deserta, all’alba, quindi posso guardare quasi con avidità ogni centimetro e ogni angolo delle vie che percorreremo mentre andiamo alla Torre Bruciata. Alcune zone di periferia che attraversiamo camminando a passo svelto - con sommo dispiacere di Hans - sono tutte piene di cemento e di appartamenti anonimi e semplici; ma via via che ci addentriamo nella città, le case si fanno sorprendentemente variopinte, piccole e basse - avranno al massimo quattro piani, ma nella maggior parte dei casi sono a due piani o per una sola famiglia. Il Teatro di Danza, celeberrimo, conosciuto in tutto il mondo, fa capolino tra le innumerevoli case con i suoi colori caldi e accesi. È una gioia per gli occhi guardarsi intorno: le costruzioni si fanno più antiche e tradizionali, l’ambiente è perfetto per i “vestiti assurdi” di cui si lamenta Ilenia e che ha pure Sara. Chissà come saranno gli abiti che mi spetteranno con la forma materiale del Legame di Ho-Oh? Trovo che i loro siano molto belli, averne di una foggia simile non mi dispiacerebbe affatto.
La Torre Campana svetta, non troppo in lontananza, a nord della città, dove questa pone i suoi confini e lascia spazio al Sentiero Ding-Dong e alla foresta di aceri rossi e dorati, attrazione unica di Amarantopoli. Vederla non accresce la sensazione di essere a casa: piuttosto mi mette sotto pressione, come se lì, sulla sua cima, mi aspettasse un giudizio incredibilmente gravoso e temuto. Una nota di agitazione rovina la mia meraviglia per lo spettacolo offerto da ogni via della città, ma riesco a distrarmi appena intravedo la Torre Bruciata. Sarà alta la metà della meravigliosa gemella al suo fianco, peccato però che lo sia soltanto perché arroccata su una collina. Solo due piani, infatti, sono sopravvissuti all’incendio di centinaia di anni fa. Mentre la Torre Campana è coloratissima e sembra brillare di luce propria, la Bruciata è diventata incredibilmente scura, nera, a causa del fuoco.
La prima delle due è inglobata all’interno di barriere gigantesche e potentissime, che noi Legati riusciamo a vedere - Hans no, perché non ha la forma materiale e Jirachi non si è nemmeno rivelato. Stando alle descrizioni di Ilenia sulla base segreta del Sentiero Ding-Dong, essa è una vera e propria fortezza e uno dei più importanti covi delle Forze del Bene. Riesce a gestire queste barriere incredibili, a contrastare la minaccia costante dei Victory e a proteggere il complesso delle due torri e del Sentiero; l’addestramento alla base segreta del Monte Corona deve sembrare ridicolo a chi lavora stabilmente qui. I quartieri nel Monte, nel Sentiero Ding-Dong, nella Fossa Gigante e in tutti i luoghi appartenenti alle Forze del Bene legati a dei Leggendari sono indubbiamente i migliori e i più impegnativi in cui lavorare. Il Sentiero è più esposto del Monte Corona, ma la base di quest’ultimo è andata perduta con un solo attacco dei Victory, mentre quella di questa città resiste fin quasi a farli demordere. Forse però non si troverebbe in buone condizioni neanche questa se all’aggressione nemica partecipassero anche i Comandanti gemelli, che sono convinta abbiano fatto la maggior parte del lavoro, quella volta.
Di tanto in tanto Ilenia, mentre camminiamo, rivolge cenni di saluto a persone a me perfettamente sconosciute e che mi sembrano anche assolutamente normali, ma mi è chiaro subito, da questo suo atteggiamento, che sono uomini della nostra organizzazione che hanno riconosciuto il suo viso e i suoi occhi rossi truccati di blu oltremare. Passa il tempo e il Sole si alza sempre più nel cielo - Amarantopoli è comunque una grande città, anche se non popolosa né esageratamente estesa. Non mi sembra di vedere persone sospettabili di appartenere al nemico sui nostri passi, ma se i nostri alleati riescono a confondersi così bene tra gli abitanti di Amarantopoli - che stanno scendendo per le strade, ora che si è fatta mattina - non vedo perché non dovrebbero riuscirci anche i Victory.
Prima di addentrarci nel territorio delle torri, in particolare di quella Bruciata, facciamo velocemente colazione - come al solito senza pagare un centesimo di dollaro: ormai quella di Ilenia è diventata un’abitudine. Hans, sempre puntuale con le sue domande, ci chiede se sappiamo dove stiamo andando e perché non veda neanche l’ombra di una torre, perciò gli ricordiamo che dal punto di vista della faccenda delle barriere è ancora un misero comune mortale. Probabilmente sarà un po’ sgradevole per lui dover passare attraverso di esse per forza, ma l’ha già fatto una volta - peraltro senza nemmeno accorgersene.
Quando abbiamo finito e il caffè ha avuto effetto - soprattutto su di me, ci dirigiamo verso la Torre Bruciata. Mi aspetterei di percepire qualcosa, se ci fossero tracce di un Legame nella zona, ma non mi sembra di sentire nulla. È ancora presto per parlare ma sono impaziente di trovare questo Legato o questi Legati - se ce n’è - per poi andare dal mio Leggendario: è da fin troppo tempo che aspetto questo giorno.
Una lunga scalinata di gradoni rocciosi, anneriti anch’essi dalla fuliggine - che forse nessuno, per mantenere viva la storia dell’antica costruzione, ha mai voluto seriamente pulire, ci divide dall’ingresso, che consiste in una porticina di legno assolutamente consona, quanto a condizioni, materiale e stile, al resto della Torre. I turisti sono onnipresenti ma per fortuna in questo periodo dell’anno non c’è quasi nessuno, se non qualche gruppetto di persone perlopiù anziane, silenziose e riservate. Ci rivolgono pochi sguardi fugaci, forse interessati nel vedere un quartetto di giovanotti deciso ad avventurarsi nella Torre Bruciata in una rigida mattina di gennaio, ma tornano praticamente subito a badare ai fatti loro. Dobbiamo comunque assicurarci di essere completamente da soli e in pace all’interno della Torre Bruciata, ed è quello di cui Ilenia si vuole occupare.
Sostiamo per qualche secondo all’entrata, osservando l’ambiente circostante. L’odore acre del fumo impregna l’aria e il legno, tutto, senza difficoltà, e forse io che sono vicina al fuoco lo sento anche più intensamente degli altri - oppure è solo una mia idea perché mi sento molto in soggezione. Pochi metri di pavimento ci separano da una voragine che ha fatto sparire gran parte di esso, lasciandone intatte, ma irrimediabilmente rovinate, solo alcune parti. Gruppetti di turisti infreddoliti - il vento entra dal soffitto sprovvisto di tetto - scattano fotografie a qualsiasi angolo annerito della Torre e camminano lentamente e con cautela.
Mentre Ilenia parte in direzione di qualche visitatore, Sara mi dà una leggera spintarella per farmi riscuotere da un piccolo momento di vuoto nella mia mente. Mi giro di scatto verso di lei, che sorride appena. «Tutto a posto?»
Annuisco soltanto, e lei prosegue: «Adesso Ile ci lascerà campo libero, ma è comunque meglio fare in fretta. Se riuscissimo a concludere la faccenda entro un’ora o due non sarebbe male.»
Ilenia passa da un gruppo all’altro di turisti e in breve li persuade ad abbandonare ogni progetto di visitare la Torre, raccontando qualche scemenza e sfruttando il potere della mente per convincerli. Il vero problema, però, sono le persone che potrebbero entrare tra poco: la ragazza si pone in prossimità dell’ingresso e decide di erigere una barriera, di natura simile a quelle che separano il mondo Pokémon da quello umano, che allontani chiunque abbia intenzione di avvicinarsi e perciò tenga alla larga i turisti desiderosi di visitare questo incredibile edificio. Prima di mettersi in azione ci avvisa: «Non so quanto riuscirò a reggere. Non per mettervi pressione, ma da un momento all’altro, passata forse un’ora, ma anche meno, potrei allentare la presa per la fatica.»
Hans, preoccupato dalle condizioni precarie della Torre, va a far compagnia ad Ilenia, che sembra contenta per questo, e si nasconde con lei dietro alla porta. Lei chiude gli occhi, congiunge le mani davanti al viso e dopo un paio di secondi apre le braccia; un muro luminoso si allarga dalla sua figura e le due estremità, dopo aver tracciato il perimetro della Torre, si ricongiungono dalla parte opposta del piano. La barriera smette di splendere e diventa più simile a una cupola di vetro. Io e Sara ci scambiamo un veloce sguardo e ci incamminiamo a passo svelto.
Scendiamo una rampa di scale e, appena metto piede al piano inferiore, sento subito che qualcosa nell’aria è cambiato. Non so descrivere questa sensazione ma immediatamente scatto all’erta: Sara lo nota e si prepara a seguire ogni mio movimento, senza parlarmi né fare rumore per non distrarmi. Prima di scendere qui, anche sforzandomi al massimo, non percepivo niente, nessuna aura né traccia di un Legame che non fossero quelle dei miei compagni - e la mia. Ora dovremmo essere soltanto io e Sara ad emanare l’energia di un Legame e il resto dell’ambiente dovrebbe permearsi appena delle nostre aure. Invece dev’esserci qualcun altro, assolutamente non un comune mortale - come direbbe Bellocchio, che elettrizza l’atmosfera del buio piano sotterraneo della Torre.
«Non vedo nessuno» mormoro.
«Però avverti qualcosa, no?» Annuisco. «Allora prenditi il tempo che ti serve e fa’ quello che devi.»
Tra Ilenia che già da qualche minuto sostiene la barriera e la mia naturale, innata impazienza, il tempo che mi serve vorrei fosse poco. Il pavimento, stavolta di pietra, saltato in più punti e con numerosi massi ad ostruire il passaggio, è scuro e aiuta il buio a diffondersi per tutto il piano: quello in cui si trovano Hans e Ilenia è molto più in alto - la scala di legno per cui Sara ed io siamo scese era lunghissima, e mi dava poca sicurezza.
Inizio a muovermi, scavalcando i massi che ostacolano la nostra strada. Il piano va in depressione, attraverso gradoni e scalette di pietra, fino al centro, in cui si trova un piccolo spiazzo quadrato. Appena lo noto capisco che è quello il punto a cui dobbiamo arrivare prima che la situazione si faccia più chiara.
Il silenzio è terribilmente opprimente e i nostri passi risuonano in modo inquietante, rendendomi più vigile e tesa che mai. Guardo in continuazione l’orologio al mio polso e, anche se è trascorsa giusto una decina di minuti, non posso fare a meno di sentir crescere la fretta e una preoccupazione quasi morbosa nei confronti di Ilenia. Affretto il passo e Sara si vede costretta ad improvvisare una corsetta per starmi dietro, mentre salto da un masso all’altro con l’aiuto dell’aerocinesi e faccio rapidamente lo slalom tra i vari ostacoli sul nostro cammino. Non se ne lamenta, anzi, credo sia contenta di vedere che sto reagendo così decisamente alla presenza di un Legame.
I miei occhi si spostano veloci da un angolo all’altro del piano e più volte rischio di non vedere persino grosse pietre, su cui vado a sbattere un paio di volte, facendo ridere allegramente Sara e temendo di rovinare tutto. Sto cercando qualcuno, una Bestia o il suo Legato, e l’ultimo dei miei problemi è vedere dove metto i piedi, anche se corro il pericolo di finire lunga distesa per terra. Però sembra proprio che non ci sia nessuno nei dintorni. Di certo l’oscurità diffusa per tutto l’ambiente non aiuta affatto.
Mi pare di arrivare allo spiazzo quadrato al centro del piano dopo un’eternità. Ho pure un po’ di fiatone - non quanto Sara, che sembra essersi sforzata parecchio: aspettiamo un attimo, chinate e con le mani sulle ginocchia, per regolare il respiro e tranquillizzarci. Mi sembrava, infatti, di essere in pericolo al di fuori di quest’area magica circoscritta nel terreno: la suggestione mi fa brutti scherzi.
Mi sposto al centro esatto del quadrato e percepisco molto più intensamente le tracce di un Legame. Ora è come se l’aria intorno a me sfrigolasse, scoppiettasse qua e là all’improvviso: mi sento su di giri. Sara si è fermata un gradino più in alto di me e avverto il suo sguardo penetrante e profondo ben fisso su di me: segue ogni mio spostamento e cerca di decifrare le espressioni del mio viso. Ho gli occhi piuttosto spalancati e le sopracciglia ben inarcate: la mia faccia sembra comunicare sorpresa, più che attenzione. Non mi aspettavo, in effetti, che d’un tratto e per due volte - quando siamo scese sul piano e appena mi sono messa al centro dello spiazzo - l’intensità del Legame di una Bestia si sia moltiplicata così tanto. Immagino sia un buon segno.
Continuo invano a guardarmi intorno, senza la collaborazione di Sara che mi osserva quasi con severità. Non vedere niente mi sta facendo innervosire: sono stanca di percepire e basta, vorrei che anche i miei occhi fossero soddisfatti - qualsiasi cosa, ora come ora, mi andrebbe bene, anche il più piccolo movimento della presenza che sto percependo: l’essenziale è che le sue tracce non siano solo nella mia mente ma anche nel mondo materiale.
«Pensi che serva la forma materiale per proseguire le ricerche?» chiedo ad alta voce a Sara. C’è un po’ d’eco e la mia domanda si ripete per un paio di volte, risuonando per tutto il piano, costituito da un’unica stanza.
«Fatti venire qualche idea migliore» ribatte lei seccamente. «Se hai trovato qualcosa così facilmente non penso ci voglia molto di più per far uscire allo scoperto la Bestia in questione - o le Bestie.»
Non le rispondo e dopo un po’ mi chiede se abbia qualche idea sull’identità del Legame. A giudicare dalle strane sensazioni che mi hanno trasmesso le sue tracce, che però sono per natura simili a quello che ho con Ho-Oh, le dico: «Sicuramente non è Suicune. Questo straccio di aura è troppo… caldo, agitato… ed elettrizzato. Troppo per essere di un Pokémon come Suicune. Forse… Raikou?»
Un campanello suona nella mia mente appena pronuncio questo nome. Mi blocco per un attimo, irrigidendomi, e subito capisco che aver chiamato a voce alta il Pokémon è stato sufficiente perché questi rispondesse, sentendosi forse chiamato in causa. Non è successo nessuna delle due volte in cui ho proferito il nome dell’altra Bestia. Alla fine mormoro, certa di aver capito: «Deve essere lui. Raikou.»
Una leggera scarica elettrica mi percorre la spina dorsale, senza farmi reagire visibilmente. Sara non dice nulla, quando la guardo annuisce e mi fa: «Ora vediamo di farlo uscire allo scoperto.»
Credo di avere una mezza idea su come richiamarlo nella Torre Bruciata e Ho-Oh mi aiuta prontamente a realizzare i miei progetti. Mi lascio guidare da lui per quanto riguarda i movimenti, ma ero già decisa a tracciare dei disegni di fuoco per tutta la stanza come per evocare il Pokémon Elettro. Lui li rende precisi, li conosce, sa cosa si deve fare per portare Raikou da noi: guida le mie braccia in movimenti circolari e anche le dita mentre giro lentamente su me stessa, sempre stando ai suoi comandi, perché visualizzi meglio il resto del piano e riesca a tracciare un disegno in tutta la stanza. Inizialmente non succede nulla, sembra che stia ballando sommessamente, quasi con discrezione e riservatezza; appena mi fermo, però, tutto il pavimento del piano viene attraversato da sottili linee luminose, bianche, da cui poi sprizzano fiamme arcobaleno. Fuoriescono sempre più alte, creando come delle pareti sottili.
Sarà passato un lungo secondo dalla nascita del fuoco, che divide in sezioni circolari e non il piano, quando risuona un potente ruggito, non so se soltanto nella mia mente o se lo sente anche Sara. Mi giro di scatto verso di lei e la vedo tesa: deve averlo udito. Il vento proveniente dal tetto della Torre si intensifica improvvisamente e ci fa turbinare i capelli; la luce donata dal luminoso fuoco arcobaleno si affievolisce per un attimo.
Dopodiché un lampo, un fulmine vero e proprio attraversa il mio campo visivo e, come se si fosse aperto, senza che me ne accorgessi, un portale, appare Raikou a pochi metri di distanza da me. La Bestia ruggisce con veemenza in mia direzione: sosta un gradone più in alto di me e mi squadra dalla testa ai piedi, con occhi severi e ostili. Ha un portamento fiero, tiene una delle zampe anteriori più avanti dell’altra, e il collo ben disteso. Il fuoco arcobaleno che decora la stanza si riabbassa leggermente.
Non ci metto molto a trovare le parole con cui presentarmi a Raikou, anche perché è Ho-Oh a parlare attraverso di me, rivolgendosi direttamente a lui - o lei. «È da tanto che non ti fai vedere, nevvero, Raikou?»
Non so come sia possibile ma subito dopo, scuotendo la testa, scaccio letteralmente il Leggendario da me stessa e lascio che la domanda indirizzata alla Bestia cada in sospeso. Non ho mai fatto niente del genere ma Ho-Oh non protesta, non mi rimprovera in alcun modo, stranamente. Chiedo a Raikou: «Dov’è il tuo Legato?»
La mia domanda non fa in tempo a concludersi che un secondo fulmine percorre la stanza allo stesso modo del lampo da cui si è presentata la Bestia. Alla sua destra si apre un altro portale che si dissolve immediatamente, giusto il tempo di buttar fuori il Legato di Raikou.
È un ragazzo che dovrà avere la mia stessa età. Non è troppo alto - certamente lo è più di me - e il bel kimono che indossa - simile a quello di Ilenia quando si trasforma, con un modello “maschile” che prevede pantaloni larghi e morbidi, colorato soprattutto di nero e oro con parti bianche e grigie - non mi fa capire il suo tipo di fisico. Ha i capelli lunghetti, spettinati, sono biondo cenere; i suoi occhi grandi e plumbei spiccano sulla sua carnagione abbastanza chiara. Appena il suo sguardo incrocia il mio - è andato subito a cercare una corrispondenza - inarca le sopracciglia e sorride ampiamente, palesemente pieno di gioia, di piacevole sorpresa.
«Eleonora!»
È già saltato dal gradone per venirmi incontro, atterrando con grazia sullo spiazzo quadrato in cui mi trovo io. Sembra volersi trattenere dall’abbracciarmi o anche solo dall’avvicinarsi di un altro passo: si ferma con riluttanza ma subito dopo riprende a sorridere, arrossendo immediatamente in viso.
Ho già sentito la sua voce da qualche parte, molto tempo fa. Non riesco a ricordare dove, perché, non riesco a farmi un’idea su chi possa essere questo ragazzo, né perché conosca il mio nome o perché io debba conoscere lui. I miei lunghi momenti di perplessità lo imbarazzano un po’ e fa per ricordarmi chi è, ma l’illuminazione mi arriva gentilmente da Ho-Oh. Ora sono sbalordita mille volte più di lui.
«Tu sei Luke
Il mio strillo deve aver raggiunto pure Hans e Ilenia al piano di sopra - ma con ogni probabilità anche l’esterno dell’edificio, vista la voce acuta e forte che ho fatto, basita come sono. Il mio infinito stupore è più che giustificato, visto che Luke lo credevo morto per mano dei Victory da ormai un anno.
Per qualche secondo non facciamo altro che guardarci negli occhi e basta, sotto lo sguardo meravigliato di Sara. Prima che il ragazzo possa aprire bocca, istintivamente gli vado incontro e lo abbraccio con forza: gli ci vuole un po’ per rendersi conto che sarebbe carino ricambiare, quindi mi stringe anche lui, ma con meno decisione rispetto a me - che sicuramente lo sto stritolando. Lo lascio respirare dopo qualche istante e lo guardo con attenzione, tutta sorridente come una scema: i miei occhi vanno dall’alto al basso della sua figura, come se avessi ancora bisogno di accertarmi di non star vedendo il fantasma di una persona morta.
«Sei vivo» mormoro infine. Gli parte una risatina nervosa e fa un passo indietro, senza rispondere. Allora gli domando: «Non posso crederci… sei pure un Legato!»
«A… anche tu» replica semplicemente.
Capisco subito che non sarà per niente facile fargli dire più di due parole per volta. Mi inquieta un po’ il fatto che mi fissi e basta, in continuazione: non ha degnato Sara di uno sguardo. In effetti non sono neanche sicura che abbia mai saputo il mio nome: non credo di averglielo detto quando tentammo di sfuggire ai Victory. Gli chiedo, decisa a tornare da Ilenia il prima possibile: «Anche Entei e Suicune hanno un Legato, che tu sappia?»
Lui scuote la testa. «Soltanto io. Ma quindi tu… eh, tu, hai un Legame.»
La sua difficoltà a parlare mi fa sorridere in modo perplesso. «Sono Legata a Ho-Oh. Se ci assicuri che né Entei né Suicune hanno creato un Legame, allora direi che possiamo andar via di qui e dirigerci alla Torre Campana.»
Non si è nemmeno accorto del fatto che abbia parlato a nome di più persone, che abbia usato il “noi”; piuttosto, interviene lo stesso Raikou. Il suo sguardo è meno ostile ma comunque severo e distante. La sua voce profonda e cupa si fa strada nella mia mente. “Sei venuta qui senza neanche la forma materiale del Legame?”
Annuisco, e la Bestia socchiude le palpebre in un’espressione che non saprei se definire di sospetto o di freddo stupore, come se non volesse credere di essere stato chiamato in mancanza della presenza del suo superiore. Poi il suo sguardo si posa su Sara, che è nello stadio somigliante ad Articuno già da quando siamo entrati in città: la collana con il fiocco di neve e il cristallo di ghiaccio brilla, illuminata dalle fiamme arcobaleno. Solo adesso Luke si accorge di lei e quasi sobbalza per la sorpresa. Le sue reazioni a tutto ciò che lo circonda mi straniscono un po’.
«Io sono Sara, Legata ad Articuno» sussurra lei per presentarsi, sorridendo in modo enigmatico. L’imbarazzo costante di Luke, l’espressione di Sara e Raikou così distaccato mi mettono un po’ a disagio: sento che l’atmosfera si è fatta particolarmente tesa. È proprio il momento di ricongiungersi con Ilenia e Hans.
«Dobbiamo lasciare la Torre» annuncio. «C’è una base segreta delle Forze del Bene, la nostra fazione, proprio nel Sentiero Ding-Dong. Ci stabiliremo lì, poi io personalmente salirò sulla Torre Campana per trovare Ho-Oh.»
“Perché mai dovrei ridurmi a prendere ordini da una ragazzina?”
La voce di Raikou si sente chiaramente in tutte e tre le nostre teste. Io rimango attonita, così come Luke, mentre Sara assottiglia lo sguardo e si avvicina alla Bestia in modo quasi minaccioso. Un momento dopo, però, la mia espressione diventa anche peggiore di quella severa e freddissima della Legata di Articuno: i miei occhi si sono certamente tinti di rosso per segnalare la presenza di Ho-Oh, che ha preso momentaneamente il mio posto e mi fa dire, con una voce talmente gelida e grave da non sembrare la mia: «Ricordati qual è la tua posizione, Raikou, e non ripetere i tuoi errori.»
Luke mi fissa con le palpebre così spalancate che mi stupisce che i suoi occhi grigi non abbiano abbandonato il loro posto. Raikou è impassibile e per molto tempo ci guardiamo intensamente, finché lui non borbotta qualcosa che, se fosse umano, suonerebbe come uno sbuffo. Non ho idea di quali siano i suoi pensieri, neanche con l’aiuto di Ho-Oh - che comunque mi abbandona subito dopo aver rimproverato Raikou. Subito mi sorge spontanea una domanda: di quali errori ha parlato il mio Leggendario, che la Bestia sta commettendo un’altra volta?
Il Pokémon Elettro, senza aggiungere altro, assume la forma materiale del Legame di Luke: un bracciale metallico, grigio e con venature certamente in rame, che va a sparire sotto la larga manica del kimono nero e dorato. Ha una maglia più aderente sotto che è grigia scura. «Immagino» sospiro, un po’ stanca per la situazione, «che questo voglia dire che possiamo andarcene dalla Torre.»
Sara annuisce e anche Luke conferma, perciò faccio strada verso la scala per il piano superiore. È un po’ strano essere in compagnia di due persone vestite in un modo piuttosto inusuale, mentre io sono perfettamente normale e anonima - se non fosse per i miei occhi che tutto d’un tratto, almeno dal punto di vista di chi non conosce i Leggendari e i Legami, cambiano colore da grigio a rosso.
Ilenia sembra sorpresa di vederci di ritorno così presto: ci saranno voluti venti minuti, mezz’ora a voler essere generosi, per trovare il Legato che cercavamo. Non appare molto affaticata ma è molto sollevata quando abbassa la barriera protettiva; velocemente faccio le presentazioni: «Luke, loro sono Ilenia e Hans, rispettivamente i Legati di Lugia e Jirachi. Ile, Hans, lui è Luke, Legato di Raikou.»
Il più grande del gruppo tende la mano al nuovo arrivato, che la stringe velocemente: non so dire chi dei due sia più imbarazzato dell’altro, o che ne so io - si comportano in modo fin troppo strano per me. Ilenia gli rivolge soltanto un lieve sorriso, gentile ma distaccato, e prende immediatamente le redini della situazione: «Siamo in tre ad essere vestiti come a una fiera del fumetto, quindi è meglio che ci nascondiamo. Sara e, ehm… Luke» non è sicura di ricordarsi il suo nome, «venite con me e statemi appiccicati il più possibile, userò i miei poteri psichici. Ele, Hans, voi dovrete seguirci a poca distanza, ma vedete di non interagire con noi: saremo invisibili e se qualcuno vi noterà parlare con il vuoto, be’, non penso sarà una bella esperienza.»
Così Ilenia crea un’altra barriera, una vera e propria bolla dell’invisibilità, che ingloba lei stessa e gli altri due Legati. Non sarà certo un problema individuarli e stare costantemente dietro a loro, vista la quantità di energia che emanano tutti e tre così vicini: se mi concentro troppo su questi flussi mi arrivano fitte sporadiche, ma fastidiose, alla testa. Luke, prima di sparire nella bolla invisibile insieme a Ilenia e Sara, cerca il mio sguardo e, una volta trovato, distoglie subito il suo lasciandomi un po’ confusa. Nella sua espressione si mescolano ansia, timore e qualcos’altro che non riesco ad identificare.
Mi sento una stupida a pensarci solo ora, ma in effetti non ho perso tempo a invitare Luke dalla nostra parte. A malapena ho controllato che le sue intenzioni siano veramente benevole, che non sia ancora membro dei Victory; e comunque è talmente difficile interpretare i pensieri altrui che sarebbe stato qualcosa di fin troppo labile. Se non ci fosse stato Ho-Oh, che in caso mi avrebbe avvertito tempestivamente di ogni problema, non avrei avuto alcuna certezza e avrei potuto commettere un madornale errore, entrando in un’eventuale trappola nemica. Un altro aiuto viene dal fatto che Luke non è mai stato in buoni rapporti con il Victory Team, nonostante in passato ne fosse parte pure lui; devo proprio chiedergli cos’è successo dopo la nostra separazione.
Ilenia è ovviamente diretta al Sentiero Ding-Dong, per fermarci alla base segreta che lì si trova. A pensarci bene, però, non ho per niente voglia di passarci: non sono stanca dopo aver preso con noi Luke, personalmente non ho fatto niente di impegnativo stamattina, perciò il desiderio di incontrare Ho-Oh mi spinge a salire direttamente sulla Torre Campana. Più che un desiderio, però, è diventato un vero e proprio bisogno: devo riunirmi con la Fenice al più presto possibile, e se potessi evitare di perdere tempo alla base segreta… se solo non ci fosse bisogno di prendere la Campana Chiara e l’Ala d’Iride! Voglio soltanto vedere Ho-Oh e ottenere la forma materiale del Legame: mi sembra che ogni “inutile” tappa da fare ci costi ore ed ore.
La Torre Campana è a due passi da quella Bruciata e ben presto ci ritroviamo all’interno delle famose barriere iperefficaci che nascondono il territorio sacro a Ho-Oh. Si presenta un problema con Hans, su cui esse hanno fin troppo successo: Ilenia deve fare avanti e indietro per l’entrata del Sentiero Ding-Dong e ottiene che le pareti difensive vengano leggermente rilassate, quel poco che serve perché il biondino, Legato ancora da confermare, passi senza intoppi. Visto da fuori sembrava che stesse andando a sbattere il muso contro una parete invisibile.
La base segreta del Sentiero Ding-Dong si è messa in movimento da quando siamo entrati nella sua zona. Ilenia deve aver annunciato a gran voce che la Legata di Ho-Oh in persona è giunta, e che ha poco tempo per ottenere la forma materiale del suo Legame. Infatti, appena ci avviciniamo al primo edificio facente parte del complesso che occupa il Sentiero e che comprende la Torre, un paio di uomini delle Forze del Bene ci si avvicinano con aria poco simpatica: pretendono prove sull’identità di tutti noi, con il sospetto che non siamo tutti Legati e che potremmo pure non essere delle Forze del Bene. Non è sufficiente vedere due ragazze e un ragazzo vestiti come asiatici del Primo Mondo e con capelli di colori che non stanno né in cielo né in terra.
Perciò, con una faccia a metà tra la seccatura e l’indifferenza, mi metto davanti al nostro gruppo e accendo una fiammella arcobaleno sul palmo della mano destra. La cosa che convince veramente le due guardie è il cambio di colore effettuato dalle mie iridi, perché anziché concentrarsi sul fuoco sono andati subito a guardarmi gli occhi. «Permesso di accesso accordato» dice formalmente uno di loro, facendoci segno di seguirli.
Passiamo attraverso un portone, ligneo come tutta la struttura che lo circonda, ed entriamo in una grande sala calda e ben illuminata dalla luce del giorno. Ci sono altre stanzette in cui trafficano persone di tutte le età: appena ci notano - si girano tutti teatralmente verso di noi, quando mettiamo piede qui dentro - fanno un’accennata riverenza solo con il capo per poi tornare alle proprie occupazioni. «Mi stupisce che tutti qui sappiano dei Legami, credevo fosse un segreto» borbotto, rivolta a nessuno in particolare, irritata dal fatto che io abbia dovuto aspettare anni per sapere la verità su di me, che gente mai vista prima magari già mi conoscesse proprio per la mia identità.
«Il Sentiero Ding-Dong è fatto così» mi risponde Ilenia. «Credo sia una delle pochissime basi in cui la faccenda dei Legami è nota anche a chi non è personalmente coinvolto. Forse solo la base nella Fossa Gigante a Unima è in questa stessa situazione… qui si tratta proprio di una tradizione però. Ci sono ancora i monaci che attendono la venuta di Ho-Oh e la persona a lui Legata, quindi figuriamoci. Non si può mantenere il segreto con quei tizi, te lo assicuro, perciò le persone che lavorano qui non possono mai spostarsi: non sia mai che rivelino qualcosa in altre basi! E ovviamente gli arrivi in questo posto sono quasi pari a zero.»
«Allora le guardie di prima non sanno niente di più rispetto agli altri, qui» mormoro. Ilenia annuisce.
Proseguiamo, sempre seguendo i due uomini che ci hanno dato il benvenuto - per così dire, e passiamo accanto a due dei monaci cui ha accennato Ilenia. Appena mi vedono poco ci manca che si gettino ai miei piedi: è a dir poco imbarazzante, per me, ricevere così tanta attenzione tutto d’un tratto. Si inchinano profondamente e in continuazione, strillando talmente tanto che non si direbbe mai che stiano parlando solo due persone. Sono tentata di chiedere loro di placarsi ma mi trattiene la visione di come obbedirebbero docilmente ai miei comandi: perciò me ne sto zitta e arrossisco per conto mio, paonazza come non lo ero da tanto tempo. Mi sembra di sentire i pensieri di Sara: “Strano che ancora non ti sia venuta voglia di dare ordini a destra e a manca, con la rivelazione di Ho-Oh… sei un tipo Fuoco un po’ strano… mah…”
«Sara, ti prego…»
«Eh?»
Il suo tono mi basta per capire che ho davvero, senza volerlo, sbirciato nella sua mente. Scuoto la testa e riporto l’attenzione sui due monaci appena in tempo per sentir recitare un’ode al mio Legame e a Ho-Oh, tanto sono reverenziali e poetici i loro schiamazzi.
«Diamoci un taglio» brontola Ilenia, «mi dà fastidio che non ci fossero dei monaci a venerare me, alle Isole.»
«Ehm, scusate… scusatemi, un attimo solo…» Fortunatamente basta un filo della mia voce - che i due non hanno nemmeno mai sentito prima di adesso - per fermare all’istante i monaci. Di sicuro Ilenia voleva solo che li facessi smettere di parlare per poter proseguire verso la base, ma ne approfitto per esprimere il mio desiderio: «Non vorrei dover passare dalla base per recuperare la Campana Chiara e l’Ala d’Iride. Se possibile, vorrei che mi fossero portate entrambe prima che inizi a scalare la Torre.»
Neanche c’è bisogno di giustificare questa mia voglia - mi vergogno di quello che ho detto, mi sembra di aver impartito comandi a dei subordinati e non ci sono affatto abituata - che i monaci mi promettono che i due oggetti mi saranno consegnati subito, il tempo di recuperarli dalla base segreta.
Percorriamo un pezzo di strada insieme: scendiamo delle scale ed entriamo in un corridoio sotterraneo, largo e non troppo lungo, che ha due uscite: una porta al Sentiero Ding-Dong ed è la scalinata in fondo al corridoio, l’altra alla base segreta vera e propria ed è nascosta: ovviamente ci si può accedere solo conoscendo la parola d’ordine e fornendo le impronte digitali. Quest’entrata è immediatamente adiacente alle scale che prenderò io, ed è qui che il nostro gruppo, ormai abbastanza folto, si divide - o meglio, io soltanto mi separo dagli altri: le guardie e i miei compagni Legati entreranno e aspetteranno il mio ritorno dentro la base segreta, mentre i monaci faranno avanti e indietro per esaudire il mio capriccio.
Alla fine, però, Ilenia e Luke rimangono con me, per tenermi compagnia finché non andrò definitivamente da sola. Già mi aspettavo che lei rimanesse con me fino all’ultimo, ma mi sorprende che Luke non abbia seguito gli altri e, senza dire niente a nessuno, non sia entrato - me ne sono accorta quando ormai gli altri erano già tutti dentro. Subito mi viene da pensare a Sara e all’espressione enigmatica, solo apparentemente indifferente, che deve aver fatto nel vedere Luke comportarsi così. Sono abbastanza sicura che si sia insospettita.
Ilenia, dal canto suo, fa finta di niente e mi sorride con aria di sfida. Anche qui, però, sono certa che ignorando Luke voglia sottolineare qualcosa. «Allora, signorina? Ancora non te ne importa niente di quello che ti sta per succedere o un po’ di adrenalina è entrata in circolo?»
«Non me ne frega niente» ribatto, mostrandole la lingua.
Luke sbuffa con un mezzo sorriso, forse un po’ imbarazzato. Mi giro verso di lui e lo tiro in ballo: «Poi mi devi- cioè, ci devi raccontare cosa ti è successo.»
Lui annuisce e dice soltanto: «Sì, certo.»
«Cosa ti è successo a proposito di cosa?» si intromette Ilenia.
«Oh, è una lunga storia. Magari te la può raccontare lui mentre io sono via» rispondo distrattamente. «Tanto quei due saranno di ritorno tra qualche secondo. Non sia mai che lascino insoddisfatta la Legata di Ho-Oh!»
«Non posso credere che tu abbia dei servi e io no» brontola lei, «e che tu abbia la Campana e l’Ala subito a portata di mano, mentre io ho dovuto setacciare metà Johto per trovare tutto l’occorrente.»
Sono tentata di tirarle qualche frecciatina per farla indispettire, soprattutto a proposito dell’importanza e della popolarità che Ho-Oh, stando a questi fatti, sembra avere rispetto a Lugia nel mondo Pokémon. E infatti: «Non è colpa mia se il tuo compare Pokémon si è rintanato nelle Isole Vorticose, mentre il mio veglia senza sosta su tutta la regione.»
«Ma ti prego!» esclama, a metà tra il seccato e il divertito - infatti mi pare che non sia molto contenta di sentirmi dire qualcosa del genere. Che abbia toccato, senza volerlo, un tasto dolente?
Fortunatamente il ritorno tempestivo dei monaci mi solleva da qualsiasi responsabilità e mi risparmio qualche altra brutta figura - o qualsiasi cosa abbia scatenato quella nota d’irritazione nella voce di Ilenia. I due, che non sono neanche troppo anziani per essere monaci della Torre di Ho-Oh, mi consegnano ossequiosamente la Campana Chiara e l’Ala d’Iride. Appena entrambi gli oggetti sono nelle mie mani, sento un fremito attraversarmi prima la schiena e poi le gambe, e chiudo gli occhi per riprendermi: si è visto chiaramente il brivido che mi ha percorsa. Mi ricompongo quasi subito ma la Campana e l’Ala hanno prodotto uno strano effetto su di me: sento i nervi tesi e il battito del cuore si è fatto leggermente più veloce. Avverto gli occhi di Luke su di me - soltanto i suoi, perché i monaci hanno distolto lo sguardo appena ho reagito ai due oggetti, e come loro ha fatto Ilenia.
Ringrazio gli uomini che si congedano rapidamente, con un altro inchino, e tornano all’edificio da cui si accede in questo corridoio. Mi sento un po’ giù di tono: senza sapere cosa dire, saluto i Legati con un misero “A dopo”, pronunciato con voce più che flebile, e mi allontano a passo svelto. Quelli che escono di scena per primi, però, sono proprio Ilenia e Luke, che subito entrano nella base segreta.
Appena rimango da sola, la Campana e l’Ala mi inviano una scossa di energia che mi risveglia del tutto. Forse stavano aspettando che non ci fosse nessun altro - non mi sembra per niente folle pensare ai due oggetti come esseri parzialmente senzienti, anzi. Salgo gli scalini a due a due e la Campana, stranamente, non emette alcun suono, nonostante stia praticamente correndo. È piccola, dorata e decorata con motivi fiammeggianti e floreali, colorati di bianco e di rosso. Stringo l’Ala d’Iride nell’altro pugno senza preoccuparmi del fatto che possa stropicciarsi: appena mi viene il dubbio, apro la mano per poi trovarla perfettamente liscia e lucente. È colorata di rosso a un’estremità e di verde all’altra, e nel mezzo sfuma nel bianco. Al tatto è soprendentemente morbida ed emana un lieve e confortevole tepore.
Senza accorgermene mi sono messa a contemplare i due oggetti, e perciò mi sono fermata qualche gradino prima dell’uscita sul Sentiero Ding-Dong. Alzo la testa rivolgendo lo sguardo alla semplice porta in legno in cima alle scale e riprendo a correre, per poi aprirla quasi di scatto per un’improvvisa ondata di emozione.
  
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