Capitolo due: Nel posto sbagliato
Ufficio
dello sceriffo, ore 9:00 del mattino
“Non
me ne importa un bel niente Samuel se il
raccolto di quest’anno è andato male. E non mi
interessa neanche sapere che tuo
padre è rimasto di nuovo bloccato con la schiena e che tutto
il lavoro grava
sulle tue spalle. Questa è la terza rata consecutiva del
mutuo che salti. Non
sono più disposto ad aspettarti. Tornatene alla fattoria,
impacchetta i tuoi
stracci e le tue quattro vacche, dai una lunga occhiata nostalgica a
pareti e
pavimenti e vattene. Hai tempo fino a domani mattina per sgomberare
tutto.”
L’inconfondibile
ringhio di J.D. Hogg oltrepassava
i limiti delle imposte. Le sue grida arrivavano aldilà della
porta del suo
ufficio e scavalcavano addirittura la finestra spandendosi per tutta la
piazza
di Hazzard. Di fronte a lui sedeva mestamente Samuel J. Stewart. Il
giovane,
poco più che ventenne, si era alzato di buon’ora
quel giorno e si era
presentato al cospetto di Boss per chiedere una proroga sul pagamento
della
rata mensile. Nonostante avesse fatto del suo meglio nei mesi passati,
non era
riuscito ad onorare il debito che suo padre aveva contratto con Hogg.
Aveva
tentato di farlo ragionare, gli aveva illustrato una ad una tutte le
sue
validissime giustificazioni, ma di fronte si era ritrovato niente altro
che un
muro invalicabile.
La
testa china e lo sguardo assente, il povero
Samuel aveva smesso di ascoltare le grida di Boss. Nella sua affollata
mente,
stava già tentando di trovare una soluzione a quello che si
prospettava come un
evento devastante per lui e per i suoi anziani genitori. Si nascose il
volto
tra le mani. Ma come faceva a tornare a casa con una notizia del
genere? No, la
questione non si poneva neanche. Non avrebbe mai dato loro un dolore
così
grande. Doveva trovare una soluzione e doveva farlo alla svelta.
E
intanto quel grassone continuava a sbraitare.
Samuel alzò il viso di scatto e piantò i suoi
occhi verdi in quelli di Boss. J.D.
si azzittì all’istante. Rimase a fissare il
giovane la cui disperazione era
stata soppiantata da un’ira feroce. Un brivido gli
attraversò il midollo e
barcollò quando si mosse per raggiungere la sua scrivania.
Una volta seduto,
ebbe la mera sensazione di sentirsi al sicuro avendo frapposto un
tavolo tra
lui e Samuel.
“Non
finisce qui Boss. Te la stai prendendo con le
persone sbagliate. Sentirai ancora parlare di me.”
Sentenziò il giovane
alzandosi in piedi e dirigendosi verso la porta. Prima di abbandonare
del tutto
l’ufficio, però, rivolse un ultimo sguardo
disgustato in direzione di Hogg.
J.D.,
per la seconda volta nel giro di pochi
istanti, sentì di nuovo una strana sensazione di disagio
alla bocca dello stomaco:
“quel ragazzo mi fa paura.” Bisbigliò
quando fu rimasto da solo.
Officina
di Cooter, ore 11:00 del mattino
“Dai
retta a me cugino, Melinda Sue Robbins è la
ragazza più bella con la quale mi sia mai capitato di
uscire.” Disse Bo seduto
con le gambe a penzoloni sul cofano del Generale Lee. Da settimane il
giovane
tentava di estorcere un appuntamento a quella ragazza e finalmente ci
era
riuscito. Negli ultimi giorni non aveva parlato d’altro e,
poiché quella sera
ci sarebbe stato il tanto atteso incontro, ormai non stava
più nella pelle.
“Bo,
hai detto lo stesso un mese fa di Mary K. Bless
e due settimane prima di Johanna Carson. Non capisco cosa ci trovi in
una
stangona tutta pelle e ossa. Non è neanche
simpatica.” Fu il commento
sarcastico di Luke.
“Non
capisci niente di donne Luke Duke. O forse
sei solo invidioso perché tu stasera te ne rimarrai a casa a
giocare a scacchi
con zio Jesse?”
“Invidioso
io? Di te? Ma fammi il favore. Comunque
smettila di startene con la testa tra le nuvole e datti da fare.
Dobbiamo
ancora passare in banca a prelevare del contante, altrimenti non
potremo
comprare il fertilizzante che ci ha chiesto zio Jesse.”
Tagliò corto Luke
“Ragazzi, non
vorrei interrompervi, ma già che mi avete invaso l’officina
vi dispiacerebbe darmi una
mano?” Si intromise Cooter riemergendo da sotto una vecchia
Mustang.
“Di
che si tratta?” Chiese Bo accovacciandosi
accanto all’amico meccanico.
Cooter
si alzò in piedi e si diresse verso un
motore che aveva poggiato in terra. Lo indicò con lo
sguardo: “dovrei rimettere
questo bolide al suo posto, ma non penso di farcela da solo. Allora,
chi si
offre volontario?”
“Ti
aiuto io.” Propose Luke. “Bo, perché nel
frattempo non fai un salto in banca? Guadagneremo tempo. Finisco con
Cooter e
ti raggiungo.”
“Sissignore!”
Rispose Bo con la sua solita aria allegra
e scanzonata. Prima di allontanarsi, si piegò fino a
mettersi all’altezza dello
specchietto del Generale e si rimirò. Si sistemò
i capelli e si passò le mani
su camicia e jeans per spiegarli e sistemarli. Si raddrizzò
di nuovo e,
fischiettando, si diresse verso la banca.
Quando
si fu allontanato, Luke e Cooter non
poterono fare a meno di mettersi a ridere: “beato lui! Ma
come fa ad
innamorarsi di ogni ragazza che incontra?” Domandò
il meccanico afferrando il
motore da un lato.
“Non
ne ho idea. Però su una cosa hai ragione…
beato lui!” Sorrise Luke aiutando l’amico a tirar
su quel peso.
I due
se la sbrigarono in una decina di minuti: “ecco
qui. Come nuova!” Esclamò Cooter ammirando il suo
lavoro ultimato. “Grazie dell’aiuto,
amico mio.”
“Figurati.”
Luke si avvicinò a un tavolo e si pulì
le mani con un straccio sudicio: “Beh, se non hai
più bisogno di me, io andrei.
Sarà meglio che…”
D’un
tratto la calma e la quiete della piazza
furono interrotte bruscamente da una terrorizzante sequenza di strane
detonazioni.
“Ma
cosa…?” Luke e Cooter corsero fuori
dall’officina
per cercare di capire di cosa si fosse trattato. Si voltarono alla loro
destra
e videro un caos di persone che fuggivano in tutte le direzioni. Chi
gridando,
chi piangendo, stavano scappando tutti dalla banca.
“CHIAMATE
LO SCERIFFO! HANNO SPARATO! FATE PRESTO,
HANNO SPARATO IN BANCA!” Urlò il vecchio Charlie
attraversando di corsa la
piazza.
“Bo…”
Luke non disse altro. Seguito da Cooter, iniziò
a correre. Erano solo poche centinaia di metri, ma non ricordava di
aver mai
percorso una distanza così lunga a piedi. Procedeva a
perdifiato, ma aveva la
sensazione di stare fermo, non arrivava mai. Quella piazza non finiva
mai. Quando
stava finalmente per salire i tre gradini che lo separavano dalla porta
d’ingresso,
fu sbattuto a terra da qualcuno che aveva fretta di uscire. Lo vide
solo di
sfuggita, ma non se ne curò affatto. Si rialzò in
piedi ed entrò.
Rimase
immobile accanto allo stipite della porta. Quello
che vide gli bloccò il respiro. Bo giaceva riverso al suolo.
Accanto a lui,
inginocchiato e con il viso bianco come un lenzuolo, c’era
Enos.
“Luke…
io…” Il vice sceriffo non riuscì a dire
niente.
Luke
mosse pochi passi e si accovacciò accanto al
cugino. C’era del sangue sul pavimento, ma non riusciva a
capire da dove
arrivasse. Freneticamente gli tirò su la camicia e gli
tastò la schiena con le
mani. Sospirò per il sollievo quando vide che non
c’erano fori di proiettile. Nel
frattempo era arrivato anche Cooter il quale si era avvicinato e si era
inginocchiato
accanto a Enos.
“Voltiamolo.”
Suggerì Luke con un filo di voce.
Cooter
lo osservò con il cuore in gola. Poche
volte in vita sua gli era capitato di vedere l’amico in
quello stato. Aveva gli
occhi sbarrati e le sue mani tremavano senza controllo. Anche senza
guardarlo in
faccia poteva sentire tutta la sua paura.
Con
tutta la delicatezza possibile, afferrarono Bo
per le spalle e lo girarono sulla schiena. Senza perdere tempo, Luke
gli
strappo la camicia e gli esaminò il torace.
Poi
spostò lo sguardo un po’ più in alto.
Ingoiò
a fatica un grumo d’aria e trattenne il
fiato.
Finalmente
vide da dove era uscito il sangue.