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Autore: alga    29/04/2016    7 recensioni
Chi ha mai letto i romanzi di Anne Rice signora incontrastata di tutti i moderni romanzi sui vampiri? Io si tutti e in questi giorni ordinando una sovraffollata libreria li ho ritrovati e visto che non si può scrivere su Lestat De Lioncourt...
Be forse mi sarei dovuta astenere del tutto ma, magari chi ama il genere potrebbe trovare la cosa interessante.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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André infilò la testa sotto il getto della fontana, sperando che il flusso d'acqua fredda scacciasse il dolore infame con cui si era svegliato quella sera.
Non ricordava di aver mai sofferto, né da vivo né da morto, di un dolore alla testa più lancinante di quello, un dolore pulsante che gli rendeva intollerabile la più flebile delle luci e insopportabile anche il ticchettio dell'orologio.
Rimase fermo così alcuni minuti, quando infine gli parve che il dolore si fosse calmato, chiuse il rubinetto e sollevando il busto restò poggiato al lavandino con le braccia tese e il capo abbassato, ad ascoltare il silenzioso colpo delle gocce che scivolando lente dalla punta dei suoi capelli, cadevano nel lavabo infrangendosi in una miriade di minuscoli rivoli; domandandosi, per quale strano motivo, l'immortalità, liberando il corpo dai tanti fastidi della vita, non lo avesse liberato anche dal dolore e sopratutto dall'emicrania.
Con un sospiro stanco raddrizzò il collo e si guardò allo specchio scrutando il proprio volto, chiaro ai suoi occhi anche nella tenebra, notò che aveva un incarnato stranamente colorito. Si sfiorò il viso con le dita, e con suo grande stupore si accorse che la pelle era calda e morbida, cosa che accadeva solo quando il suo corpo era pieno del sangue di una preda, e che non durava che poche ore, e lui neanche ricordava quando avesse preso la sua ultima vita...
Perplesso afferrò l'asciugamano e massaggiandosi la testa pensoso, uscì dal bagno. Attraversò con indifferenza l'appartamento buio, si avvicinò alla porta-finestra e dopo aver scostato le pesanti tende che la nascondevano, aprì gli scuri lasciando che le luci della città rompessero le tenebre e lo restituissero al mondo. Si affacciò al piccolo balcone dalla ringhiera di ferro, simile a tanti altri balconi di Parigi, e guardò di sotto la strada lucida di pioggia che rispecchiava le luci dei lampioni e i fari delle automobili che sfrecciavano sul Quai de la Tournelle, e poi, oltre il bordo fronzuto degli alberi mossi dal vento, il nastro di velluto scuro della Senna e le luci dell'île de la cité.
Il temporale estivo era finito e aveva piacevolmente rinfrescato l'aria che gli accarezzava leggera i capelli bagnati, il cielo sgombro di nuvole era puntellato di stelle luminose come gemme; l'altezza della luna gli disse che era ormai notte inoltrata. Si era svegliato tardi, lui che, tra i suoi simili poteva considerarsi un "mattiniero" e in genere tornava alla vita quando ancora il sole non era del tutto calato dietro all'orizzonte. Strano... come il suo colorito e il calore della sua pelle, come quell'insolito mal di testa, e come la sua totale assenza di sete. Strano... come il senso di stordimento, e soprattutto la vaga infelicità che avvertiva in fondo al cuore.
D'improvviso si rese conto di non ricordare di essere rientrato a casa, anzi di non ricordare quasi nulla della notte precedente. Si portò una mano alla testa e si massaggiò la fronte, quindi voltando le spalle alla città, rientrò e si adagiò su una sinuosa Le Corbusier nera, chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi e ricordare cosa fosse successo. L'ultima cosa che gli veniva alla mente era la sete che lo aveva spinto a seguire un gruppo di ragazzi che entrava in un bar in Place de la Bastille. Ricordava il vociare allegro che c'era nel locale, la musica, la folla, l'odore del sangue e della vita che gli stuzzicavano le narici e gli accendevano i sensi. Ricordava di essersi guardato attorno ed avere ascoltando frammenti di pensieri dei mortali, finché non aveva individuato la sua vittima e poi... più niente, buio totale, vuoto, come quella lontana notte in cui per la prima volta aveva aperto gli occhi in un sepolcro.
Un senso di oppressione gli strinse il petto al ricordo di quei primi interminabili angoscianti istanti della sua vita immortale, del panico che lo aveva attanagliato quando aveva capito di essere chiuso in una bara.
 
 
Sull'orlo della follia, aveva iniziato a gridare e battere con tutta la sua forza, i pugni contro quelle strette pareti fino a sentirle cedere, per ritrovarsi ricoperto di terra umida e molle dalla quale era riemerso annaspando in cerca d'aria come un naufrago che emerge dai flutti che vorrebbero trascinarlo a fondo.
Era stata un'armoniosa voce femminile, la prima che aveva udito nella sua nuova vita.
"Ben svegliato" gli aveva detto in tono divertito mentre tossiva affannato, piegato su se stesso, tra la terra smossa e i resti della bara spezzata.
Lui aveva alzato il capo e, ancora sconvolto, l'aveva guardata quasi senza vederla .
"Calmatevi, è tutta un'impressione” aveva continuato la donna avvicinandosi e parlando con voce tranquilla e vagamente divertita “non è l'aria che vi manca, in realtà non avete per niente bisogno di respirare, ma al più di liberarvi del fastidio della terra e... " un guizzo di luce l’era brillato negli occhi rendendoli simili a finestre spalancate sui fuochi dell'inferno[1]  "bere... "
Solo allora, Andrè l'aveva guardata davvero e visto ciò che era: un'elegante e bellissima dama, avvolta in un raffinato abito da sera di satin vinaccia intessuto di ricami d’argento, che lo fissava con tutta l'intensa sfrontatezza dei suoi splendenti occhi neri, standosene tranquillamente appoggiata ad una lapide; sola, indifferente alla notte, al luogo e al fatto di star conversando con uomo appena venuto fuori da una tomba.
Aveva chiuso gli occhi stringendoli forte e scosso la testa pensando di aver perduto il senno. Si sentiva debole, stanco, il corpo intorpidito e pesante come la mente e aveva freddo e sete... Una sete acuta, che gli bruciava la gola come una fiamma e gli bucava il cervello moltiplicandone l'angoscia.
Con uno sforzo di volontà aveva cercato di non pensare a quel tormento assillante, ma di concentrarsi e ragionare, capire cosa stava succedendo, dove si trovasse e com’era possibile che si fosse svegliato sotto due metri di terra e... e ne fosse venuto fuori, e chi era quella creatura che sembrava concentrare su di se tutto il chiarore della luna, se fosse reale o un sogno, ma l'unica cosa che riusciva a pensare era la sete che gli bruciava l'intero corpo e, che, per qualche incomprensibile motivo, stava impazzendo, preda delle allucinazioni.
Poi d'improvviso il battito d'ali di una civetta che si alzava in volo da un albero poco distante era echeggiato nella notte con un colpo secco riportandogli il ricordo di uno sparo, subito seguito da quello del viso di Oscar che con gli occhi sbarrati lo guardava crollare a terra, e poi ancora, rigato di lacrime, mentre gli stringeva la mano in un tramonto infuocato.
Gli avevano sparato! Sì... Certo! Ora ricordava e capiva... Era ferito e di sicuro quello che stava vivendo doveva essere un delirio indotto della febbre, un sogno... anzi un incubo, una materializzazione delle sue paure ed anche quella sete che lo affliggeva doveva essere causata dalla febbre. Sì... Sì! Era così!  Si era detto, e con tutte le sue forze si era aggrappato a quell’idea sforzandosi di convincersene.
Aveva vacillato, quando riaprendogli occhi, la prima cosa che aveva visto erano state le sue mani, sporche e con le unghie spezzate, per essersi fatto strada nella terra che lo aveva ingoiato, ed aveva capito senza più ombra di dubbio che quella era la realtà, che era chino su se stesso, uscito da una tomba e avvolto dall'odioso lezzo dei cimiteri di Parigi. Un’angoscia violenta e indicibile gli pugnalò il cuore mentre una risata cristallina si prendeva gioco della sua sofferenza.
 "Davvero avete creduto potesse trattarsi un sogno?” gli aveva chiesto divertita la donna "Com’è possibile che non sappiate ciò che vi è successo? Mi domando cosa abbiate potuto fare per meritarvi una tale crudeltà” aveva aggiunto infine sinceramente sorpresa.
“Chi siete?””aveva domandato allora Andrè, alzandosi con i pugni chiusi, esasperato, sull'orlo della follia, mentre realizzava con sempre maggior consapevolezza che quel viso perlaceo, che quasi splendeva nel buio della notte e quegli occhi scuri, profondi, accesi di mille riflessi che imprigionavano lo sguardo di chi li osservava, non potevano essere umani.
“Una passante” gli aveva risposto semplicemente la creatura avanzando verso di lui, leggera come un soffio di vento “Attirata qui... dalle invocazioni di aiuto di un suo simile” e sorridendo aveva dischiuso le labbra rosa su una fila di denti bianchi e perfetti, e due piccoli aguzzi canini da belva.
Rifiutando il nome che gli veniva alla mente, André aveva cercato con tutte le forze di aggrapparsi ai suoi ultimi residui di razionalità.
"No... non è possibile!” Aveva mormorato con la voce rauca indietreggiando di un passo, inorridito.
“Oh sì invece, mio sprovveduto amico" aveva detto la donna allungando una mano a prendere la sua e portandogliela sul petto.
"Non credete che con tutta questa emozione il cuore dovrebbe quasi uscirvi al petto?" aveva insinuato inclinando il capo su un lato osservandolo divertita, in attesa di una reazione che non aveva tardato.
André ricordava di aver spalancato gli occhi, basito, ed abbassato il capo a guardare quella mano di statua, bianca e levigata poggiata sulla sua al centro del petto.
"Dio!" aveva esclamato sconvolto realizzando il senso delle sue parole.
“Dio? Dite?” aveva chiesto la donna con aria pensosa “credo sinceramente che Dio entri davvero poco in tutto questo, forse il demonio, ma a dire il vero non ne sono certa.”
 
 
Lidia...
Cosa ne sarebbe stato di lui se non l'avesse incontrata, sarebbe di certo impazzito e spinto dalla sete e dall'istinto, senza neanche capire cosa facesse, avrebbe ucciso le prime persone che avesse incontrato, prosciugandole fino all'ultima goccia di sangue per poi morire inconsapevole, arso dal sorgere del sole.
Chissà forse sarebbe stato meglio, forse così avrebbe raggiunto Oscar, che nelle stesse ore in cui lui dormiva il suo primo sonno immortale abbracciava l'eternità destinata agli uomini.
O forse no... Forse sarebbe diventato solo cenere al vento, come lei era diventata carne per vermi.
Quando si abbracciata la morte, non si può averne orrore.
Quando per sfuggire al sole, ci si è rifugiati in nidi d'ossa sotto pesanti lastre di marmo, e si è giaciuto accanto a bocche spalancate in muti gridi di sgomento eterno, non si può girare il capo inorridito, per non guardare. Non si può aver orrore dello sfacelo, quando si cammina al passo dell'oscura signora; eppure quell'immagine che per un attimo aveva attraversato la sua mente fu per André quanto di più aberrante si potesse immaginare. Balzò in piedi stringendo i pugni per non gridare tutto il suo sdegno davanti a quell'inesprimibile scempio. Cercando di cancellare quell'immagine assurda che gli schiantava il cuore, chiamò alla memoria il viso di Oscar così come lo ricordava l'ultima volta che l'aveva visto: bellissimo e perfetto, come lo erano stati la sua anima e il suo cuore. Rivide i suoi capelli d'oro appena mossi dal vento, i suoi occhi azzurri limpidi come il cielo d'estate, pieni d'amore e di tristezza. Ma c'era qualcosa di strano in quel ricordo, d'improvviso ebbe la sensazione che ci fosse un dettaglio che gli sfuggiva, qualcosa d’importante di cui si era dimenticato, ma che martellava in un angolo della sua mente in cerca della sua attenzione. Si sforzò di focalizzare quella discrepanza tra ciò che ricordava e ciò che avrebbe dovuto ricordare, ma un'improvvisa lacerante fitta alla testa spazzò via ogni sensazione che non fosse il dolore.
André barcollò e cadde e mentre un improvviso senso di disperazione lo avvolgeva, avvertì appena la presenza di Lidia che si chinava affianco a lui.
"Se volevi convincermi a tornare, ci sei riuscito”.
 
[1] Anne Rice, Scelti dalle tenebre.
 
   
 
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