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Autore: Sandra Prensky    01/05/2016    2 recensioni
ATTENZIONE: Non è una traduzione del libro "Black Widow: Forever Red". Avendolo letto, mi sembrava che ci fosse troppo poca attenzione su Natasha, e allora ho deciso di riscriverlo con tutta un'altra trama.
Natalia Alianovna Romanova, Natasha Romanoff, Vedova Nera. Molti sono i nomi con cui è conosciuta, molte sono le storie che girano su di lei. La verità, però, è una questione di circostanze. Solo Natasha sa cosa sia successo veramente nel suo passato ed è ciò da cui sta cercando di scappare da anni. Quando sembra finalmente essersi lasciata alle spalle tutto, ecco che scopre che la Stanza Rossa, il luogo dove l'hanno trasformata in una vera e propria macchina da guerra, esiste ancora. Solo lei, l'unica Vedova Nera traditrice rimasta in vita, può impedire che gli abomini che ha visto da bambina accadano di nuovo. Per farlo, però, dovrà immergersi nuovamente nel passato che ha tanto faticato a tenere a fondo, e sarà ancora più doloroso di una volta: tutta la vita che si è costruita allo SHIELD, tutte le persone a cui tiene sono bersagli. Natasha si ritroverà di nuovo a dover salvare il mondo, affrontando vecchi e nuovi nemici e soprattutto se stessa.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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IV.

 

When you try your best,

but you don’t succeed

When you get what you want,

but not what you need

When you feel so tired but you can’t sleep

Could it be worse?

(Coldplay – Fix You)

 

Russia, 1935

 

-In piedi.

La voce non aveva nemmeno la parvenza di un invito. Natalia però non si mosse da terra. Avvertiva un dolore lancinante alla schiena e nella caduta doveva aver strisciato sul pavimento lucido, procurandosi bruciature ai gomiti e alle ginocchia. Quello che le doleva di più, tuttavia, quello che la faceva rimanere a terra e quello che era la causa delle lacrime bollenti che le stavano percorrendo piano le guance era l'orgoglio. Si era sopravvalutata. Quattro mesi di Stanza Rossa non le erano bastati a farle capire che lei era solo una bambina di nemmeno sette anni, che non aveva vie d'uscita. Lei non era niente. Non era una Vedova Nera, non era un prodigio, non era meglio di nessuna persona lì dentro. Aveva giocato a credersi superiore, aveva seriamente dato per scontato che sarebbe riuscita a scappare da quel luogo quando invece era stata a mala pena in grado di scendere le scale. Per la prima volta nella sua vita, si sentiva annientata. La Stanza Rossa non era di certo un posto per bambini, non c’era spazio per le sue infantili fantasie. Doveva comportarsi da adulta, pur essendo così piccola, e affrontare la realtà in tutta la sua spietatezza: lì era dove, in un futuro relativamente prossimo, sarebbe morta. Si sentì mancare l’aria.

-Ho detto in piedi.- Delle mani forti e ruvide la presero di forza per il braccio, sollevandola con la facilità con cui si raccoglie una piuma. Lei lasciò fare senza opporre la minima resistenza. Si sentì trasportare su per lo scalone, fino alla stanza e al suo letto. Sempre immobile, lasciò che la riammanettassero alla testiera del letto. Avrebbe dovuto sperare che nessuna delle sue compagne fosse sveglia in modo da non dare nell’occhio, ma non le importava più nemmeno di quello. Le sembrava di essere schiacciata dal macigno del suo destino. Si sentiva vuota, le pareva di essere in caduta libera in una fossa di cui non riusciva a scorgere il fondo.

 

Aprì gli occhi, con la sensazione di essersi assopita solo pochi secondi prima. In men che non si dica, le sciolsero le manette e la fecero mettere in riga con le altre, per la conta quotidiana. Le contavano ogni volta che c’era uno spostamento da una stanza a un’altra, cosa che le servì tra l’altro per imparare a fare di conto prima che glielo insegnassero. Come ogni altra mattina, le portarono tutte in fila ai bagni. Doccia, non più di tre minuti a testa. Un minuto per asciugarsi, un altro minuto per vestirsi. L’abbigliamento era sempre lo stesso, i pantaloncini neri corti e la canottiera bianca con una clessidra rossa disegnata sopra. Dopo un’altra conta, la mensa per la colazione. Tutte sedute a un’enorme tavolo, di metallo, in rigoroso silenzio, pena esercizi extra durante l’allenamento, e non esercizi facili. Da mangiare solo una pagnotta di pane. Nemmeno quella mattina rimase una briciola sul tavolo. Terminato il frugale pasto, le condussero nella "palestra". Uno stanzone enorme, ancora più grande del dormitorio, illuminato solo dalla luce artificiale prodotta da un mucchio di lampadine che pendevano dall'alto soffitto dipinto dello stesso grigio scuro e scrostato delle altre pareti. L'unico tocco di colore era il tappeto rosso, vagamente somigliante a una moquette di bassa lega, che copriva il pavimento. Il resto era occupato dagli attrezzi più disparati. In fondo alla stanza, attaccati al muro, v'erano una schiera di spalliere e un quadro svedese. In giro si trovava qualsiasi attrezzatura potesse servire per fare ginnastica: anelli, cavalline, pesi di ogni foggia e dimensione, manubri, sbarre e così via. Agli angoli, per terra, c'erano quattro tappetoni circondati da una bassa transenna, come se fossero delle specie di ring di pugilato. Fino a quel giorno era stato permesso, anzi, comandato, utilizzare ogni dotazione della palestra meno i ring, per ragioni a loro sconosciute. Pur non ricordando niente della loro vita precedente alla Stanza Rossa, sapevano tutte per certo che gli ultimi mesi erano stati i più duri della loro vita. Ogni giorno avevano intorno alle dieci ore di allenamento, cinque al mattino e cinque al pomeriggio, nelle quali l'unica pausa loro concessa era quella per passare da un attrezzo all'altro. C'erano degli istruttori equamente distribuiti per le postazioni la cui mansione era controllare che le ragazze non interagissero tra loro e che eseguissero gli esercizi correttamente. Ogni mattina, una nuova serie di esercizi venivano mostrati per ogni singola attrezzatura e la sera erano obbligate a riprodurli tutti davanti all'istruttore loro assegnato. Non erano autorizzate a uscire dalla palestra fino a quando non fossero state capaci di eseguirli alla perfezione, a costo di perdere tutta la notte. Non ci si poteva rifiutare, non ci si poteva lamentare, non si poteva interagire con nessuno tranne l'istruttore, col quale si parlava solo lo stretto necessario, non si poteva fare niente se non gli esercizi. Per ogni trasgressione la pena era un'ora in più di esercizi. A Natalia era capitato più di una volta di dover rimanere per le ore extra la sera. Il suo corpo minuto da bambina di sei anni faceva uno sforzo sovrumano a sopportare la mole di lavoro che caratterizzava le loro giornate. Eppure, era la ragazzina con meno penalità. Le altre si lamentavano, e le più grandi erano costituzionalmente meno flessibili di lei. Aveva capito da subito che lì dentro l'avrebbe salvata solo il silenzio e il duro lavoro, oltre al gioco d'astuzia. Si ricordava di un paio di ragazzine per le quali gli allenamenti extra non erano bastate a far comprendere l'importanza dell'eseguire gli ordini... Un giorno erano semplicemente sparite e nessuno aveva più avuto notizie di loro. Di sicuro nessuno aveva avuto il coraggio di chiedere. A ogni modo, dopo un po' si erano abituate ad andare a dormire con ogni singolo muscolo in fiamme. Quel giorno, tuttavia, gli istruttori sembravano aver ordine di non muoversi. Parevano attendere l'arrivo di qualcuno. Vogliono punirmi. Pensò Natalia. E vogliono fare in modo che le altre si ricordino di cosa capita se si tenta di scappare da qui. Un brivido le attraversó la schiena. E se avesse fatto la fine delle due ragazze scomparse? Sapeva che erano morte, non era una bambina. Nessuno rimaneva un bambino a lungo, nella Stanza Rossa. Lei ancora non lo sapeva, ma il peggio doveva ancora iniziare. Rimasero immobili per diversi minuti, la tensione palpabile. Tutte avevano paura di qualsiasi cosa fosse tanto importante da far aspettare l'allenamento. Dopo un quarto d'ora, la pesante porta di ferro dalla quale erano entrate si spalancò per far entrare una figura che Natalia riconobbe all'istante. Ivan. Ovvio che lo avrebbe fatto lui, sembrava essere a capo di tutte le operazioni. Nel corso di quei mesi non l'aveva mai visto in giro. Da quando l'aveva conosciuto, al suo arrivo, l'aveva solamente scorto una volta, in lontananza, a parlare con medici e altre persone che lei non aveva mai visto. In quella occasione le era sembrato che la stesse fissando, ma probabilmente era stata solo la sua immaginazione. Ad ogni modo, quando entrò non diede segno di accorgersi di lei. Il cuore di Natalia stava per collassare per la paura di ciò che l'aspettava. La sua mente divagava sulle torture più crudeli a cui potessero sottoporla. Guardò Ivan avvicinarsi e si sorprese a essere pentita di averlo in qualche modo deluso. Non l'aveva visto e non aveva nessun tipo di obbligo verso di lui,  eppure era stata la prima e ultima persona a essere stata gentile con lei, portandola a sentirsi in debito. L'uomo si piazzó davanti alla fila di ragazzine, l'aspetto autoritario. 
-Vi domanderete perchè non vi state allenando.- Esordì, senza eccessivi preamboli. -E, da più tempo, vi starete chiedendo quale sia lo scopo, il fine ultimo di questi allenamenti.-

Natalia era un fascio di nervi. Di cosa stava parlando? Perchè non l'aveva ancora punita

-Ebbene, voi siete state scelte per far parte di un programma. La Stanza Rossa non è solo un luogo dove potete dormire e allenarvi, è un luogo dove vi trasformeremo in combattenti e spie al servizio della Madre Russia. Voi, care ragazze, un giorno porterete questa nazione agli splendori di un tempo, la renderete la vincitrice di questa sempiterna guerra contro gli Stati Uniti d'America- Sputó queste ultime tre parole con disgusto. 
-Imparerete a combattere, imparerete a usare il vostro corpo come arma. Siete l'arma segreta della Russia.- Fece una pausa, lo sguardo perso da qualche parte nei suoi pensieri. Si riprese quasi subito.
-Tuttavia, non tutte siete adatte a questo compito, non tutte siete abbastanza degne di portare tale enorme responsabilità. Per questo nei prossimi mesi imparerete a combattere tra di voi, poi vi batterete come se foste in guerra. Non abbiamo intenzione di fornire spie scadenti. Un solo uomo, nel posto giusto nel momento giusto può essere meglio di un intero esercito. Da oggi, ragazze, vedrete cos'è davvero la Stanza Rossa. Sono sicuro che vi dimostrerete tutte all'altezza e che vi batterete al meglio. Spero di rivedere quante più di voi possibile ancora qui ad ascoltarmi tra qualche mese. Non deludete il vostro Paese. Non deludete me.- Pronunciò queste ultime parole, questa volta ne era sicura, guardando Natalia dritto negli occhi. Finito di parlare, distolse lo sguardo da lei per dare ancora un'ultima occhiata solenne a tutti i presenti. Se ne andò senza aggiungere altro, o senza guardarla una seconda volta. Appena la porta si richiuse dietro a Ivan, gli istruttori andarono a diporsi intorno ai ring. Uno solo di loro rimase lì con loro, a spiegare brevemente le regole. Non era difficile: quasi tutto era permesso, ogni tipo di colpo. Non si poteva tuttavia uccidere, non ancora. Presto sarebbe arrivato il momento. A differenza delle sessioni di allenamento precedenti non si era obbligati a provare ogni giorno. Tuttavia ci sarebbe stata una prova a fine del mese, uno scontro tra tutte loro. Su una cinquantina sarebbero passate alla fase successiva solo le prime dieci classificate.
-E le altre?- Qualcuna ebbe finalmente il coraggio di chiedere, dopo diversi secondi di silenzio.
L’istruttore sorrise in un modo che a Natalia non piacque per niente.

-Diciamo solo che le prime dieci non passeranno per la loro abilità nello sbattere le ciglia.

Mentre l’informazione si faceva strada tra le menti delle ragazze, atterrendole, l’istruttore si fece strada verso i ring, fischiettando l’allegro motivetto di una canzone per bambini.

 

 

 

   
 
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