Capitolo
4
Izaya
si
sentiva ancora insoddisfatto – e la sua non era
insoddisfazione da “non rovino la
vita di qualcuno da più di
mezz’ora”. Aveva dato per scontato che
lavorando per l’Awakusu-kai, oltre
che per altre gang meno importanti, non avrebbe trascorso neanche un
minuto
senza trascinare qualcuno (più o meno indirettamente) nel
baratro della
disperazione. Eppure non aveva ancora devastato la vita di una certa
persona, nonostante – si
rammentò – l’abbondanza
di occasioni. Ed era
precisamente questo a infastidirlo.
Seduto
alla
sua scrivania, volteggiava senza sosta sulla sedia girevole e si
fermava solo
per digitare qualche parola di tanto in tanto. Voleva convincere se
stesso, e
soprattutto Namie, di essere diligentemente assorto nel lavoro, ma
purtroppo
stava fallendo su entrambi i fronti.
«Smettila»
brontolò la segretaria, in piedi davanti a lui;
scaricò una pila di fogli sulla
sua scrivania e poi ci posò accanto una tazza di
caffè, dimostrando un’insolita
gentilezza «Qualunque cosa stia succedendo nella tua stramba
testolina, dacci
un taglio.»
Dopo
aver
elargito la sua pillola di saggezza si girò per andarsene,
ma Izaya sbuffò una
risatina e la spinse a tornare indietro, fulminarlo con
un’occhiataccia e
riprendersi il caffè, che poi rovesciò dritto
nello scarico.
Beh,
era
comunque un passo avanti.
L’informatore
si voltò e il suo sguardo ricadde sulla maglietta di Shizuo,
che giaceva tutta
stropicciata sul divano. Non voleva pensare all’odore del
ragazzo che lo aveva
avvolto mentre la indossava, perché il sentore di tabacco e
quel suo caldo
profumo muschiato erano riusciti a mandargli in tilt il cervello.
Izaya
gemette di sconforto.
Rimuginava su
Shizuo di continuo, ultimamente; lo aveva sempre fatto, ed era disposto
ad
ammettere di esserne un tantino ossessionato, ma non aveva mai pensato
a lui in
quel modo. Prima si limitava ad
architettare ingegnosi modi per farlo incazzare, e invece adesso quello
incazzato era lui. Si sentiva come una mosca che sbatte contro la
finestra,
impossibilitata ad andare da qualsiasi parte ma incapace di fermarsi, e
questo
gli stava procurando un terribile mal di testa.
E
se Shizuo
non avesse mai recuperato la memoria? E se fosse rimasto per sempre
bloccato
con questo ragazzo che rideva e scherzava e lo chiamava amico,
che gli ricuciva le ferite invece di picchiarlo a sangue?
Però
che
sarebbe successo se, al contrario, avesse riacquistato i suoi ricordi?
Beh,
supponeva Izaya, almeno in questo modo non ci sarebbe stato niente ad
arginare
l’odio del biondo per lui. Non avrebbe neanche avuto il tempo
di sedersi a
rimuginare sul suo arci nemico, dato che avrebbe rischiato di farsi
ammazzare
se fosse rimasto fermo così a lungo. Shizuo non avrebbe
avuto dubbi sul fatto
che fosse stato tutto parte di un machiavellico piano per fregarlo alla
grande,
e Izaya avrebbe davvero voluto che le cose stessero così.
Avrebbe voluto escogitare
un qualche progetto che non si limitasse a “evitarlo
come la peste”, perché questo equivaleva
a sventolare bandiera bianca e
ammettere di aver perso. Quel bastardo avrebbe riso di gusto, se solo
avesse
saputo quanto gli stava incasinando la vita senza fare assolutamente
nulla
Fu
così che i suoi pensieri giunsero a una conclusione: se non
poteva gestire la situazione con questo nuovo Shizuo, allora era stato
Shizuo a
vincere, e senza nemmeno sforzarsi. Attorno a questo erano sempre
girati i
complotti, gli inseguimenti, le zuffe; in lui Izaya aveva trovato
qualcuno che
non si sottometteva ai suoi piccoli giochi di potere, qualcuno contro
di cui la
vittoria non era sempre garantita. Qualcuno che riusciva a scavare
sotto il suo
apparente autocontrollo, che gli faceva bruciare la pelle e battere il
cuore
all’impazzata.
Si
alzò in
piedi così all’improvviso che la sua segretaria
sobbalzò, gettandogli
un’occhiata a metà tra il curioso e
l’irritato. Izaya raccolse la t-shirt dal divano
e gliela lanciò in grembo.
«Falla
lavare, mi serve» le ordinò, mentre varcava la
soglia «E poi sta appestando
l’ufficio.»
Quando
Izaya
scalò di nuovo l’ospedale di Ikebukuro –
sforzandosi di non pensare al fatto che
la finestra, questa volta, era stata lasciata un po’ aperta
– scoprì che la
stanza di Shizuo era deserta; tuttavia i fiori (che ormai stavano
appassendo)
gli assicurarono che non era ancora stata liberata. Si
sdraiò con noncuranza
sul letto vuoto, giocherellando con il coltello a serramanico mentre
aspettava
il ritorno del biondo. Aveva deciso di non uccidere Shizuo, per il
momento: farlo
fuori mentre non era in sé sarebbe stato come ammettere di
non essere in grado di
combatterlo. No, Izaya lo avrebbe lasciato in vita finché il
sentimento non
fosse tornato reciproco: avrebbe riportato ordine nel mondo spingendo
Shizuo a
odiarlo di nuovo.
Si
accorse
del suo imminente arrivo sentendolo borbottare qualcosa a proposito del
“non avere bisogno di
un’infermiera” e
dell’”essere in grado di
farlo da solo”
mentre entrava nella stanza e chiudeva la porta con un sospiro di
sollievo.
Izaya lo guardò attentamente, curioso di sapere come si
sarebbe comportato
credendo di essere solo: la sua espressione era rilassata, eppure quasi
malinconica, e le labbra erano piegate in una smorfia come se fosse
infastidito
da qualcosa. L’informatore si sorprese a chiedersi di cosa si
trattasse, ma
realizzò di star pensando decisamente troppo a lui,
così tossicchiò, sperando
di interrompere le riflessioni di entrambi.
Shizuo
sussultò, voltandosi verso di lui, e subito
quell’espressione da cucciolo
ferito si trasformò in un sorriso sincero.
«Izaya»
esalò, e l’informatore colse a pieno la
contentezza infusa in quella parola. Era
intenzionato a ignorare la felicità che la propria presenza
sembrava instillare
nel biondo, perché nessuno era mai felice di vedere Izaya:
lui significava guai
per chiunque gli stesse vicino, e se qualcuno era disposto a
incontrarlo
spontaneamente, lo faceva solo a causa di una sfortunata
necessità.
«Ehi,
Shizu-chan» lo salutò, stringendo un po’
gli occhi; le labbra gli si curvarono
nel caratteristico ghigno, che si allargò quando vide le
sottili rughe
d’espressione che si andarono a formare tra le sopracciglia
di Shizuo «Come
va?»
«Umh,
bene?»
rispose lui, scrollando le spalle «Sto cercando di convincere
l’infermiera a
darsi una calmata. Continua a dirmi che ho bisogno di aiuto per fare la
doccia»
sembrava un po’ confuso, e apparentemente ignaro di aver
appena ricevuto delle
avances. Ma considerando la sua indole molto vicina a quella di una
bestia,
Izaya supponeva che romanticismo e relazioni probabilmente non fossero
il suo
forte.
«Vuoi
dirmi
che non ti vanno a genio le infermiere?» domandò,
alzando il sopracciglio con
fare allusivo.
«Beh,
ecco»
Shizuo arrossì un po’ e l’informatore
presuppose che si trattasse di un nervo
scoperto, ottimo per sferrare un colpo basso in caso ne avesse avuto
bisogno
«Non si tratta proprio di questo…» la
sua voce si affievolì mentre abbassava lo
sguardo.
Izaya
si
stava incuriosendo ancora di più, chiedendosi cosa diavolo
avrebbe potuto fare
per convincere quella versione quasi timida del biondo a vuotare il
sacco.
«Cosa?»
tentò, genuinamente interessato.
«Beh»
disse lui,
irrigidendosi «È una ragazza.»
Per
una
frazione di secondo la mente di Izaya immaginò che il
problema fosse l’età
della persona in questione, e si chiese come potesse una minorenne
lavorare
come infermiera. Poi ci arrivò.
Oh.
Questa
sì
che era una notizia inaspettata. Izaya non sapeva cosa dire, e non era
nemmeno
sicuro del perché quella scoperta lo avesse sorpreso
così tanto; sapeva che non
esistevano stereotipi per quel genere di cose, però si
trattava comunque di
Shizuo, della cui esistenza conosceva ogni dettaglio. Per di
più il lavoro di
Izaya era letteralmente quello di commerciare segreti, eppure non era a
conoscenza di questo in particolare.
I
suoi
pensieri vennero rapidamente interrotti dal goffo tentativo del biondo
di affrontare
un altro argomento con il tatto di un elefante.
«In
effetti,
a proposito di questo» cominciò, per poi bloccarsi
subito nella vana speranza
che un’ispirazione divina intervenisse a guidare le sue
parole. Dopo averci
rinunciato continuò, un po’ imbarazzato
«Mi chiedevo se noi… beh, se noi…
avessimo quel tipo di
rapporto…»
Izaya
rimase
nel silenzio più totale. Shizuo si spostò dalla
porta e andò a sedersi sulla
parte del letto non occupata dall’informatore; una volta
realizzato che
probabilmente non avrebbe ottenuto nessuna risposta, diventò
insolitamente
loquace.
«Parlare
con
te è strano. Mi sento più rilassato,
più spontaneo, più… più a
mio agio, credo.
Mi sento me stesso. Una parte di me non vede l’ora che tu
torni qui e non
riesce a darsi pace finché non ti vedo. Quindi ho pensato
che magari è per
questo motivo che ho perso la memoria, insomma, ho pensato che non
riesco a
ricordarti perché eri il mio-» Shizuo si
interruppe, riflettendo un momento «Ma
dato che non sapevi che io sono…»
abbassò la voce, grattandosi la testa, e smise
di evitare lo sguardo di Izaya per fissarlo dritto negli occhi, con
un’onesta
tanto orgogliosa da sorprenderlo.
Tutta
quella
faccenda gli stava decisamente sfuggendo di mano. Lui si trovava
lì per
spingere Shizuo a odiarlo di nuovo, in modo tale da non dover ammettere
la
sconfitta, ma a quanto pareva stava perdendo lo stesso. Ogni piano che
aveva
escogitato per tormentarlo era stato spazzato via, non aveva frasi
argute o
sorrisi cospiratori da sfoderare, e tutti i suoi soliti trucchetti si
erano
dissolti nel nulla. Si chiese se fosse successo perché una
parte di lui voleva
davvero quello che Shizuo gli stava offrendo, e cioè
qualcuno che lo trattasse
come un amico, che fosse felice di vederlo, che ridesse e scherzasse
con lui,
che non avesse paura dei suoi secondi fini. Qualcuno che fosse onesto
con lui. In
teoria lavorare come informatore avrebbe dovuto garantirgli la
possibilità di
conoscere la verità su chiunque desiderasse, ma
l’unica persona ad essere stata
veramente onesta con Izaya era seduta proprio in quel momento davanti a
lui, e
aspettava un qualche tipo di risposta.
«Chi
se ne
frega?»
Era
furioso.
Quella situazione era identica a tante altre che avevano vissuto in
passato, ma
al rovescio: erano state le parole di Shizuo a scatenare una reazione,
ed era
Izaya a sentirsi più incazzato che mai, senza nemmeno
capirne il motivo. Quella
rabbia proveniva da una parte di lui che non riusciva a distinguere
bene, tanto
a fondo era sepolta nel suo inconscio.
«Perché
dai
tanta importanza a quello che eravamo prima? Il passato cambia in
qualche modo
quello che provi adesso? È come se stessi cercando di
ricostruire una casa che
è stata demolita senza neanche sapere come era
fatta» Izaya sapeva di aver
perso il controllo, ma questa consapevolezza non lo aiutò;
sentire le parole
che eruttavano dalla sua stessa bocca e non poter fare
alcunché per fermarle lo
faceva sentire addirittura peggio. E stava perfino usando delle fottute
metafore «Non
sarà mai come prima,
quindi ‘fanculo. Costruisci la casa che vuoi.»
A
quel punto
Izaya riacquistò la sua consueta padronanza di sé
e si fermò, consolandosi con
il fatto che probabilmente era riuscito a far incazzare Shizuo proprio
come
prevedeva il progetto iniziale, nonostante i mezzi non fossero stati
quelli che
si aspettava.
Shizuo
non
era mai stato bravo con i suoi sentimenti, figuriamoci con quelli degli
altri.
Rimase
lì
impalato a guardare il ragazzo di fronte a lui, sperando ancora una
volta che
qualche divinità accorresse in suo aiuto fornendogli le
parole giuste. Non
riusciva a trovare una risposta adeguato: era come se Izaya gli avesse
assorbito ogni goccia di energia, lasciandolo privo di forze e
completamente
vuoto. Non proferì parola.
Izaya
balzò
in piedi, cominciando ad allontanarsi, ma il biondo si alzò
insieme a lui e lo
afferrò per un polso, stringendoselo al petto.
L’informatore quasi gli cadde
addosso, e il suo guaito di sorpresa venne attutito dalla pelle di
Shizuo,
mentre le braccia del ragazzo si avvolgevano protettivamente attorno a
lui.
«Va
tutto
bene.»
Izaya
non
riusciva neanche a calcolare quanto
le cose stessero andando male, invece.
Non
rispose
all’abbraccio – Dio,
realizzò con
orrore, si stavano abbracciando
– ma
rimase immobile, cercando di capire come diavolo fosse finito in una
situazione
simile, confortato dal suo ex-peggior-nemico. No,
raggelò, Non ex. Loro
erano ancora nemici. Che Shizuo se lo ricordasse o no, Izaya lo odiava.
Odiava
i suoi stupidi capelli scompigliati, odiava il suo sorriso un
po’ idiota,
odiava perfino i suoi occhi ambrati, ma più di ogni cosa
odiava il calore del
suo corpo premuto contro di lui, il modo in cui la sua testa si
incastrava
perfettamente nell’incavo del collo di Shizuo, il suo respiro
che gli
solleticava l’orecchio, il battito del suo cuore contro il
petto.
Il
bisogno
di scusarsi era tornato. Serrò le labbra, preoccupato di
lasciarsi sfuggire qualcos’altro
dopo quella deplorevole scenata, e sobbalzò quando senti
sussurrare da Shizuo
le parole che lui stesso rischiava di pronunciare.
«Mi
dispiace.»
E
per cosa?
Serrò
le
palpebre, chiudendo fuori il mondo intero e i suoi stessi pensieri.
Sentì le
braccia sollevarsi, esitanti, e chiudersi attorno al corpo
dell’altro ragazzo.
«Già»
sussurrò.
Anche
a me.
Nel
prossimo capitolo:
«Sai
già
quando uscirai da qui?»
«Sarei
già
tornato a casa, se non fosse per la perdita di memoria. I dottori
vogliono
assicurarsi che non causi complicazioni di qualche tipo»
alzò le spalle,
evidentemente poco interessato alla sua stessa salute «Odio
essere rinchiuso
qui dentro.»
«Perché
non
andiamo a farci un giro, allora?»
[Shizuo
e
Izaya sgattaiolano fuori dall’ospedale per una passeggiata:
80% fluff / 20%
“Perché non possono essere felici e
basta?”]