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Autore: TIZKI    29/05/2016    1 recensioni
Questa è la prima confessione di una serie che hanno come filo conduttore il delitto. Le confessioni sono frutto esclusivo dell’immaginazione; nulla di tutto ciò che leggerai è successo veramente: la realtà è di gran lunga più bieca, ma molto, molto meno interessante…
Se hai paura, se non te la senti, se pensi di non riuscirci: fermati qui, non oltrepassare questa linea.
La donna protagonista della prima confessione vive in una famiglia numerosa. La convivenza con un agglomerato di esseri umani farà scaturire nella mente, che esimi luminari potrebbero definire disturbata, reazioni lucide, di una lapalissiana evidenza.
La mente a volte spazia in ambiti che possono essere particolarmente pericolosi, essa trasforma le visioni oniriche in realtà e viceversa.
Non stupirti se troverai in questa confessione e nelle prossime situazioni talmente assurde ed incredibili da riservare loro la condizione di irrazionalità; esse saranno sempre lì ad attenderti: loro non hanno fretta.
Genere: Dark, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ruminava, non masticava, lui ruminava. Con quel chewing-gum sempre in bocca; lo portava da una parte all'altra di quel forno con i denti. Io non l’ho mai visto senza una cicca in bocca. Già al mattino lo vedevi alla fermata dell’autobus che stava ruminando. Ma sua madre non gli preparava colazione? Come puoi mettere in bocca quella schifezza appena fatto colazione? Certi genitori andrebbero internati. Penso che il negoziante all'angolo dove quel cretino si comprava la droga, si fosse rifatto l’appartamento con i soldi che quello gli lasciava ogni santo giorno. Ne aveva di tutti i colori e dal tanfo che emanava di certo le misture non producevano effetti di straordinaria bellezza e bontà. Teneva la bocca semiaperta e quella poltiglia gli girava per la cavità seguendo i movimenti della mandibola. Spesso quello schifoso prendeva la cicca tra le dita e la allungava fuori dalle labbra serrandola tra i denti; faceva strisce lunghe un metro o forse più e poi se la ricacciava in gola; non si accorgeva nemmeno dello scempio che stava perpetrando. In classe a volte, quando il prof non ne poteva più, lui era costretto ad appiccicare quel bolo sotto il banco per poi riprenderselo al cambio d’ora. Aveva le dita collose, io non lo toccavo, me ne stavo a metri di distanza da lui, ma questo lo so perché mia madre udì una conversazione tra due mie compagne di classe che aveva come argomento proprio l’appiccicaticcio effetto che le sue mani trasmettevano a chi le toccava. Non era certo di compagnia, parlava poco, nemmeno durante le interrogazioni: se ne stava in disparte e ruminava. Aveva i denti, per quel poco che sono riuscito a vedere, rovinati, come consumati, erosi dal continuo lavoro. Durante le verifiche il silenzio religioso era infranto continuamente da una sorta di cic cic, tic tic, cioc cioc e da qualche scoppiettio dovuto alla gomma che diventava un palloncino per poi ricadere sul viso dello stolto. Non sentiva ragione, io non gli ho mai rivolto la parola, ma gli altri glene dicevano di tutti i colori, anche i professori penso abbiano parlato con i suoi genitori del problema, ma invano. Lui da mattina a sera masticava. Alitava menta mista a cannella, liquirizia, frutti di bosco e muschio; un impasto da poter usare come collante per le piastrelle. Aveva le labbra sempre rosse e umide, la saliva gli contornava la bocca lasciando una spessa striscia biancastra agli angoli di quel rumine sempre in azione. Non è possibile lasciare che un ragazzo si rovini a quel modo, non ho potuto farne a meno: ho preso il tagliacarte e gliel'ho ficcato in gola.
   
 
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