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Autore: Ibizase80    04/07/2016    4 recensioni
Annabeth, la ragazza da cento e lode, dovrà mettere la testa in qualcosa di completamente nuovo e fuori dai suoi standard. Un collegio le apre le porte: riuscirà a varcarle, uscendo dai suoi schemi e dalle sue convinzioni più profonde? E se la musica si mettesse in mezzo?
La regina dagli occhi di diamante scenderà dal suo trono per scoprire un nuovo mondo?
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Un brivido scosse Annabeth dalla testa ai piedi.
Con viso più rilassato, Percy guardò di sfuggita il suo polso sinistro, su cui faceva capolino un orologio color cobalto.
-   L’una e mezza. Forse è ora di andare.
La bionda annuì silenziosa.
Il cortile era ancora lontano, e nessuno dei due aveva voglia di correre; continuarono a camminare fianco a fianco senza emettere un fiato. Ogni tanto Annabeth alzava la testa per cercare qualche nuvola che potesse nascondere un sole troppo invadente; l’accompagnatore le lanciava delle rapide occhiate, quasi per registrare il viso della ragazza in un angolo della sua mente.
La bionda non sapeva che fare. Il silenzio era decisamente troppo pesante: avrebbe voluto fargli qualche domanda, ma aveva paura. Non sapeva precisamente di cosa, ma una strana tensione si impossessava di lei ogni volta che tentava di aprire bocca. Ma, in fondo, quella che aveva voluto quella situazione era stata lei, e solo lei era in grado di sbloccarla.
-   Abiti molto lontano da qui?
Domanda semplice ma non scontata. La ragazza si fece i complimenti da sola.
-   Un po’. Sono di New York.
-   Sul serio? Anche io abito lì.
Si disse che nessuno gliel’aveva chiesto. Annabeth si morse impercettibilmente il labbro.
-   Ah. Non ti ho mai vista in giro.
-   Probabilmente non abitiamo nello stesso quartiere. La Grande Mela è enorme, in fondo.
-   Giusto.
Percy sorrise appena. Aprì la bocca, come per dire qualcosa, ma la richiuse; la bionda rimase in attesa. In fondo, aveva iniziato lei a parlare, e non aveva voglia di sembrare una ficcanaso. Soprattutto perché di lui gliene importava poco niente.
-   E’ stato difficile per te venire qui? Insomma, alla metà del percorso scolastico…non lo auguro a nessuno, sinceramente.
Annabeth sussultò appena.
-   Se qualcuno me lo avesse chiesto qualche settimana fa avrei risposto di si, ora non lo so. Mi trovo bene qui: il posto è bello, la scuola anche, ed ho trovato persone molto più disponibili di quelle che conoscevo. In fondo in fondo non è così male.
Un sorriso dolce si disegnò nel suo volto pallido. In quel momento non aveva risposto ad un’insulsa domanda: si era risposta. Si era detta la verità, per la prima volta dall’inizio di quell’avventura. Ripensare alla prima settimana, quando suo padre l’aveva pregata in ginocchio di seguirlo, le faceva male; lo aveva fatto sicuramente soffrire, stare in pena. Ed ora, invece, stava bene. Forse per la prima volta in tutta la sua vita, escludendo i momenti passati col signor Chase.
In un primo momento si vergognò di aver detto con tanto slancio una cosa così personale ad un estraneo…e che estraneo. Ma non gliene importava. In fondo quel ragazzo la considerava inutile quanto il tappo di una bottiglia finita; avrebbe dimenticato le sue parole, e lei sarebbe stata bene.
-   Però. E’ la stessa cosa che mi sono detto io quando sono arrivato qui il primo anno. Avevo davvero paura di essere giudicato per quello che…be’, per quello che sono. Invece ho scoperto che non a tutti interessa davvero ciò che ti fa star male. Cioè…non intendevo…scusami, sono una frana.
La bionda lo guardò e, per una volta, non smise di sorridere. Percy si morse il labbro e strinse ancora di più gli occhi.
-   Non sono bravo con le parole. Non ho idea di come si faccia a metterne una dietro l’altra. Sono un disastro.
Una risata amara uscì dalla sua bocca.
-   Non si è necessariamente un disastro se non si sa mettere una parola dietro l’altra. E’ più un disastro chi non lo ammette, non ti pare?
Il ragazzo la guardò con sospetto.
-   Forse. Ma non ne sono convinto.
-   La vita serve anche per convincersi di qualcosa, no? Quindi hai tempo.
Annabeth gli rivolse un’occhiata sarcastica e ridacchiò appena. Percy sospirò piano.
-   Probabilmente hai ragione.
-   Certo che ho ragione. Io ho sempre ragione.
Il ragazzo alzò le sopracciglia, sorpreso; la bionda rise e chiuse un occhio nel guardare il sole.
-   Non vi facevo così modesta, signorina Chase.
Di colpo Annabeth si fece seria.
-   Prova a dirlo un’altra volta e ti tiro un pugno.
Percy rallentò, mentre la ragazza continuò a camminare imperterrita.
-   Sai, di solito non do retta alle intimidazioni, ma tu mi fai davvero paura.
-   Bravo, così si fa. Continua su questa strada e potresti arrivare alla fine dell’anno scolastico col setto nasale intatto.
Il ragazzo ridacchiò in silenzio; la bionda tornò alla sua solita serietà.
Passò un minuto, ne passarono due: il silenzio che aveva spiccato il volo pochi attimi prima era tornato, e sembrava non avere intenzione di andarsene. Annabeth non lo percepiva più; in fondo, Perseus Jackson era sempre quello che era, e non aveva voglia di avere troppo a che fare con lui. Anche se, si disse, non era così male. Anzi, sembrava quasi impossibile che potesse provocare così tanto odio e rancore. Ma era con molta probabilità una prima sensazione, e non voleva assecondarla; forse si comportava in quel modo per tenerla a bada e non farle conoscere il suo lato oscuro…erano troppi i punti interrogativi, anche per una persona dal Q.I. come il suo.
-   Hai degli hobby, qualcosa che ti piace fare?
La bionda trasalì e si distolse dai suoi pensieri.
-   Io…no, niente in particolare. Io…amo l’architettura. E amo leggere. E mi piace studiare.
Suonava estremamente patetica, ma era stata presa alla sprovvista.
-   Alla faccia del “niente in particolare”! Architettura?
-   Sì, mi piace l’architettura.
-  Sei seria?
La bionda gli lanciò un’occhiataccia.
-   Perché non dovrei essere seria? E’ un hobby come tanti.
-   Non conosco molta gente che sia appassionata d’architettura. O almeno non della nostra età.
-   Vorresti dire che è roba da vecchi?
-   No, no, non intendevo…vedi che sono un disastro con le parole?
Annabeth sembrò calmarsi un attimo, ma non perse il suo fare combattivo.
-   Cosa intendevi?
-  Intendevo che…non è una cosa semplice. Non sono molte le persone che si metterebbero lì a studiare gli edifici…è una cosa impegnativa. Spero di non sbagliarmi.
-   Non sbagli, in realtà. Ma non è quello il punto. Se una cosa ti affascina non è importante quanto sia difficile o facile: la fai e basta. Io ho visto su un libro il disegno del Partenone e mi sono innamorata. Funziona così, o almeno è funzionato così per me.
Percy annuì rapido.
-   Non l’avevo mai pensata così. In effetti è vero. Io credo farei i salti mortali per ciò che mi piace fare.
Lo stomaco della bionda si strinse. Lo sapeva, eccome se lo sapeva.
Ma era strano. Tutto. E in quel momento non aveva intenzione di pensarci.
-   E cosa ti piace fare?
Lo disse con tono neutro, eliminando qualsiasi tipo di emozione dal suo cervello. In quel momento non sarebbero state sicuramente d’aiuto.
-   Diciamo che mi piace la musica, poi tutto il resto viene dopo.
Il ragazzo sorrise appena, mentre Annabeth rimase seria. Non sapeva se Percy avrebbe voluto che lei chiedesse altro, ma non gli avrebbe dato nessun tipo di soddisfazione.
Anche perché erano ormai arrivati in cortile, e non aveva intenzione di passare un secondo di più col signor Jackson.
-   Cosa intendi fare adesso, se vogliamo seguire il tuo patto?
-   Che intendi?
-   Se dobbiamo far finta di non conoscerci, entrare in mensa insieme non è certo una mossa geniale.
“Non è così stupido come sembra, allora.”
-   E quindi cosa proponi?
Lui alzò le spalle.
-   Non credo di essere tanto geniale. Lascio a te il compito, mi sembri decisamente più intelligente.
Annabeth si trovò a ringraziarlo senza un motivo preciso; lui le rispose con un “Niente” divertito.
-   Tu vai ora, io entro tra cinque o dieci minuti. Non ci vuole un gran genio per ideare una cosa del genere.
-   Era per dire.
-   Buon pranzo.
La bionda si allontanò senza dire nient’altro. Percy fece per alzare un braccio, ma lo abbassò.
-   Grazie – le urlò quando ormai era vicina alla porta del dormitorio.
Andò verso la mensa e il cortile rimase vuoto.
 
Annabeth non aveva fame; saltare un pasto non le avrebbe fatto male. Avrebbe detto a Piper, Hazel e Talia che aveva passato un po’ di tempo col padre, così avrebbe evitato ogni domanda imbarazzante.
Passò in portineria e chiese la chiave della sua stanza; percorse i corridoi scarlatti in poco tempo e, una volta entrata, chiuse la porta con delicatezza, appoggiò la sacca piena di libri sulla sedia e si buttò sul letto. Non aveva sonno e, in ogni caso, non avrebbe chiuso occhio. Aveva troppe cose a cui star dietro, e il suo cervello aveva bisogno di lavorare con lucidità; dormire non avrebbe sicuramente aiutato.
Domanda principale: chi era davvero Perseus “Percy” Jackson? Un mostro malvagio che prima si avvicina alle persone sotto forma di gattino spaurito e poi mangia le sue vittime senza pietà? Un vendicativo mascherato? E’ facile giudicare una persona che non si conosce. E’ facile dire che è insopportabile, adorabile, affascinante passandogli accanto senza aprir bocca. Sei sempre certo di aver ragione, per il semplice fatto che non c’è nessuno che ti possa dire il contrario; non si fa altro che nuotare in false certezze, come dei pesci che nascono in un acquario e non sanno dell’esistenza dell’oceano. Se si mettono i pesci nell’oceano impazziscono, non sanno dove andare, perché non erano pronti ad affrontare il buio più totale.
Annabeth si sentiva in quel modo. Non sopportava Percy, era vero, ma allo stesso tempo sembrava inoffensivo, quasi timido. Il suo stare sulle spine era timidezza, ne era quasi certa. Ma se fosse stato un bravissimo attore e avesse imitato delle emozioni a lui sconosciute?
La risposta era una sola: doveva chiedere cos’era successo. Si fidava delle sue amiche, ma potevano benissimo aver esagerato la situazione e inventato cose che in realtà non erano successe.
Rivolse un’occhiata alla ferita sul suo ginocchio, che iniziava ora a rimarginarsi.
Per quale motivo l’avrebbero fatta cadere, se non erano responsabili del comportamento di Talia, Piper e Hazel? E perché Talia se la sarebbe presa tanto?
Per la prima volta in tutta la sua vita, la bionda non sapeva cosa pensare, nel vero senso della parola.
Poi le venne un’illuminazione. Un’ idea prese vita nella sua mente contorta ed iniziò a formarsi.
Non sapeva come portarla a termine, né come agire senza che nessuno si accorgesse di niente.
Ma doveva provarci. Doveva arrivare alla soluzione.
Doveva vincere.
 
 
 
**
 
 
 
Si alzarono dal tavolo alle due inoltrate. Tutta colpa sua: era arrivato in madornale ritardo, e gli altri avevano insistito per aspettarlo. Gli avevano chiesto spiegazioni, ma non aveva intenzione di darne nessuna. Disse di aver incontrato una ragazza per strada e di averci chiacchierato un po’; gli altri, entusiasti, avevano chiesto nome, aspetto, se era affascinante o meno, ma aveva evitato ogni domanda con grande abilità. Mangiò con calma e aspettò che gli altri fossero impazienti di andarsene; appena si alzò ebbe i risultati sperati. Leo si ricordò di un impegno importantissimo e li lasciò quasi subito; Will aveva bisogno di riposare; Nico se ne era già andato da un pezzo. Solamente Jason era rimasto al suo fianco tutto il tempo.
Nel giro di qualche minuto erano entrambi seduti nei loro rispettivi letti. Lui e Jason condividevano la stessa stanza dal primo anno; si erano conosciuti proprio lì dentro. Lui, iperattivo, impaurito, con il punto fisso di non fare una cattiva impressione a nessuno; Jason, affascinante per qualsiasi ragazza nel raggio di qualche chilometro ma estremamente timido e riservato. Inutile dire che si erano capiti fin dall’inizio.
Erano migliori amici da allora, ed era l’unico a cui raccontava tutto di tutto. Anche della sua dislessia. Jason non l’aveva mai rivelato a nessuno, e gliene era profondamente grato; non che non si fidasse degli altri, ma dire, ad esempio, a Leo una cosa del genere significa stare sulla bocca di tutto il Dyson Moore nel giro di un pomeriggio. Sicuramente da evitare.
-   Allora? Come è andata col nuovo professore di Storia?
-   Bene, bene. E’ sicuramente meglio di Roth. Almeno lui non ti squadra dalla testa ai piedi.
Jason gli lanciò uno sguardo indagatore.
-   Cosa avete deciso di fare?
-   Niente di particolare, a dire il vero. Dobbiamo vederci nei prossimi giorni per preparare il piano di studi.
-   Gli hai già detto del corso?
-   No, ancora no. In ogni caso gli ho chiesto se possiamo non rendere la cosa “pubblica” ed ha acconsentito senza problemi. Ha detto che possiamo vederci anche fuori dall’orario scolastico.
Il biondo rise di gusto.
-  Uguale a Roth, insomma.
Roth era il professore dell’anno precedente. Estremamente scontroso e di un cinismo impressionante, lo aveva minacciato dopo la sua richiesta di non dire niente a nessuno. Aveva dovuto chiamare sua madre per mettere a tacere tutto, era stato costretto a rifiutare qualsiasi tipo di aiuto ed era passato al corso successivo per miracolo. Con una bella insufficienza di Storia, inutile dirlo.
-   Tra l’altro è simpatico. Sembra un po’ rimbambito, ma non possono essere tutti perfetti, no?
Risero in coro. Jason si alzò per andare a prendere un libro; lui si tolse le scarpe e si distese sul letto.
-   Complimenti per la storia della ragazza, Percy. E’ stata abbastanza credibile. L’unica pecca è che raramente ti fermi a parlare con una ragazza, per quanto la fantasia del genere femminile sia immensa.
Il biondo ridacchiò, mentre l’altro rimase serio. Si passò una mano tra i capelli nerissimi.
-  Era una balla, vero?
Percy sentì gli occhi dell’amico posarsi su di lui come spilli.
-   Certo!
-   Lo sapevo.
-   Cioè…
-   Che hai fatto, Percy?
-   Non proprio una balla, ecco. Una balla per metà.
Jason gli rivolse uno sguardo dubbioso.
-   Potresti spiegarti meglio?
Panico. Cosa gli avrebbe detto?
Era vero che lui sapeva tutto di lui e che era la persona di cui si fidava di più al mondo, ma non c’era solo Percy Jackson di mezzo. C’erano anche lei e il suo segreto. E non voleva davvero mettersela contro. Non perché le facesse paura; o, almeno, non solo per quello. Le era sembrata una ragazza abbastanza aggressiva.
-   Percy?
-   Si, si, ok, d'accordo, sono tornato in mensa con una ragazza.
-   Una ragazza?
Lo sguardo eloquente di Jason lo spingeva a raccontargli la verità, ma allo stesso tempo aveva messo il freno a mano. Non doveva dire il suo segreto.
-   E’ nuova, e aveva cercato Chase per chiedergli non so cosa. Sta di fatto che Chase ci ha abbandonato lì e siamo dovuti tornare indietro da soli.
-   Sai chi è?
-   Mi ha detto il nome, ma non me lo ricordo.
Il biondo alzò il sopracciglio, diventando il sarcasmo fatto persona.
-   Non te lo ricordi?
-   No, non credo. Tu e Piper, invece?
Bastò un nome per far diventare Jason color pomodoro. Strinse le labbra e assunse un’espressione seria.
-   Stiamo parlando di te, caro.
-   Ma le tue esperienze amorose sono più interessanti.
-   Si, interessanti. Con non si sa quante ragazze che ti cercano anche solo per chiederti di raccogliere i libri che sono stranamente caduti davanti ai miei piedi. Altro che addominali col coach, basta quello.
-   Ma tu sei così dolce e sorridente…”sciogli il mio cuore con un sorriso”!
Perseus iniziò a ridere isterico; Jason voleva solamente sotterrarsi.
-   Non citare più quella lettera, ti prego. E’ imbarazzante.
-   Immagino che se te l’avesse mandata Piper non sarebbe stata così imbarazzante
-   Sta’ zitto.
Il moro alzò le spalle ridacchiando.
-   Sei riuscito a parlarci oggi?
-   Stavamo parlando di te, se non mi ricordo male. Ti ricordi almeno che aspetto aveva?
-   Chi?
-   Come “chi”, idiota! La ragazza con cui sei tornato dalla scuola. Non ti è rimasta poi così indifferente.
Percy soffocò una risata.
-   Cosa vorresti dire?
-   Che si vede. A pranzo non ci stavi per niente, eri come in un mondo parallelo. Ed immagino non sia venuta a pranzo, considerando che guardavi ogni tre secondi la porta d’ingresso.
-   Io cosa?
-   Niente, figurati. Riccia, liscia, mora, bionda, alta, bassa?
-   Bionda. Abbastanza alta e magra. Capelli ricci.
Fece schioccare la lingua.
Jason stette in silenzio per qualche secondo, come in guerra con sé stesso.
-   Ed è arrivata quest’anno.
Percy annuì.
-   E’ una certa...Nicole?
-   No, amico, sei fuori strada.
-   Allora ti ricordi come si chiama.
Il viso abbronzato del moro divenne di un colore simile al corallo. Jason sorrise spavaldo.
-   Hai intenzione di dirmelo?
-   Anche tu lo sai.
-   Perché?
-   Hai pensato ad un nome totalmente diverso dal suo e ci hai messo un po’.
“Non sei l’unico intelligente” si disse ridacchiando tra sé e sé senza malizia.
-   Va bene, forse ho un’idea di chi potrebbe essere. Spara il nome.
-   Annabeth.
Jason annuì, come per confermare ciò che pensava.
-   Cognome?
-   Non ne ho idea.
Forse l’aveva detto troppo velocemente, ma non importava. Sapeva che l’amico non avrebbe fatto altre domande se si fosse mostrato contrario.
Il biondo non sembrò accorgersi di nulla.
-   Era quella che pensavi tu?
-   Sì, è lei.
-   Come fai a conoscerla?
-   Come la conosci tu. Me l’hanno presentata.
Gli occhi verdi di Percy erano dubbiosi; Jason si sbrigò a finire la frase.
-   Me l’ha presentata un’amica di mia sorella, dovevo ridarle una cosa.
Percy annuì. Jason riprese:
-   E poi…
-   E poi cosa?
-   L’avevi vista anche tu, non te la ricordi?
-   E’ importante ricordarsi dove l’ho già vista?
Lo sguardo serio di Jason lo fece trasalire. Il biondo riprese:
-   In ogni caso, ci hai parlato? Che impressione ti ha fatto?
-  E’ forte, accidenti. Altro che le gallinelle che ti girano intorno.
-   Serio?
-   Si. E’…strana, ma forte. Non so descriverla: è misteriosa, senz’altro intelligente, ma non ho ancora capito se le vado a genio o no.
-  E, giusto per sapere, ti importa?
-   Cosa?
-   Se le vai a genio o no.
Percy sospirò.
-   Non ne ho idea.
Jason sorrise con un che di malizioso. Il moro tornò dal suo stato di trance e lo guardò interrogativo.
-   Che c’è?
-   Niente, niente.
 
 
**
 
 
Jason osservò per qualche istante un Percy addormentato.
Gli dispiaceva. Ma allo stesso tempo non si era sentito capace di dire all’amico che, con molta probabilità, la ragazza lo odiava; in fondo era finita per terra per colpa sua.Era colpa sua.
Ne avrebbe dovuto pagare le conseguenze.
Non osava immaginare cosa sarebbe successo se l’avesse scoperto.
Ed Annabeth? Lo odiava sul serio?
Voleva parlarle, anche se non sapeva esattamente cosa dirle.
Il telefono iniziò a squillare. Rispose alla velocità della luce, cercando di non svegliare Percy.
-  Pronto? Ah, Piper! Si, per me va bene. Dici?
Rise, mentre sentì un brivido salire sulla sua schiena.
-  Va bene, tra poco scendo. No, nessuno. Mia sorella è in giro?
Bene. Cosa?
Silenzio.
-  No, non che io sappia. Vengo, eh!
Il biondo chiuse la telefonata e sospirò. Poi prese un foglietto e una penna, scribacchiò qualcosa e, senza far rumore, uscì dalla stanza.
 
“Percy, augurami buona fortuna.
Ci vediamo a cena.
Jason

Angolo autrice: vi state sbagliando, non è passato quasi un mese.
Vi ricordate che vi voglio bene, vero?
A parte gli scherzi, ho un esame di pianoforte da preparare e un sacco di altre cose che "si fanno in estate perchè durante l'anno non c'è tempo per farle", quindi cercate di capirmi!
Fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo, vi prego, ci tengo davvero!
Che mi dite di Percy, Annabeth...dai, sono stra curiosa!!
A presto! :*
Elisa
  
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