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Autore: Old Fashioned    20/07/2016    14 recensioni
Seconda guerra mondiale, battaglia di Inghilterra. Un leggendario quanto inafferrabile pilota della Luftwaffe, soprannominato "Cavaliere di Valsgärde", compare durante le battaglie più cruente, abbatte il suo avversario e subito dopo scompare senza lasciare traccia.
Il Maggiore Stuart, del 19° Squadron, riesce finalmente ad abbatterlo con uno stratagemma, ma quando l'Asso tedesco sarà al suo cospetto le cose si riveleranno molto diverse da come se le aspettava...
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Capitolo 7

Il capitano Müller si appoggiò all'indietro sulla sedia e si stirò con aria soddisfatta. Davanti a lui c'era un piatto sul quale erano ammonticchiate le ossa di svariate costolette di maiale.
“Ci voleva proprio!” esclamò. “Non ne potevo più di mangiare pollo.”
Faber abbandonò un osso spolpato e rispose: “E a noi è andata bene rispetto a quelli delle Trasmissioni. Loro sono settimane che mangiano foie gras.”
“Foie Gras? Che meraviglia!” intervenne un altro pilota.
“Prova a mangiarlo per dieci giorni di fila e poi vedi se è una meraviglia. Ormai vomitano anche solo a sentirne l'odore. E non ti dico il mal di pancia.”
“Allora dev'essere per quello che la radio non funziona mai, sono sempre alla latrina!”
Ancora risate, giro di birra, qualche stralcio di canzoni di guerra, Gli aviatori sono vincitori e Scintillano le ali d'acciaio.
Tutti erano estremamente allegri. La preparazione del mezzo maiale aveva creato un clima vagamente festoso e i piloti del primo Jagdgeschwader, il più vecchio dei quali arrivava a stento ai venticinque anni, si stavano divertendo come matti.
L'unico che rimaneva estraneo al clima di generale ilarità era il tenente von Rohr.
Si era trovato un posto ad un'estremità della tavolata e lì sedeva in silenzio, mangiando educatamente con forchetta e coltello un pezzo di maiale arrosto. Il suo bicchiere di birra era ancora praticamente pieno.
La sua non era spocchia aristocratica. Tutt'altro, anzi: in mezzo a quel gruppo di valorosi piloti da caccia si sentiva l'ultimo dei paria. I suoi camerati parlavano con entusiasmo delle vittorie che avevano ottenuto contro gli inglesi e dei furiosi combattimenti sulla Manica, e lui che argomenti aveva per partecipare alla conversazione? Un volo a bordo di uno Storch carico di derrate alimentari.
Aveva voglia di scomparire sottoterra.
In quel momento la voce di Müller interruppe bruscamente il corso dei suoi pensieri: “Tre urrà per il nostro Hans, che con la sua provvidenziale missione di trasporto ha salvato lo Stormo dalla morte per inedia! Il Führer la ringrazia, tenente von Rohr!”
Tutti levarono i bicchieri nella sua direzione gridando urrà, qualcuno gli batté pacche sulle spalle, qualcun altro si preoccupò di mettergli in mano un boccale di birra fresca.
Von Rohr si guardò intorno frastornato. Di certo lo stavano prendendo in giro. E se non lo stavano facendo, se quella era solo una spontanea manifestazione di cameratesco affetto, ebbene era la cosa più umiliante che gli fosse mai capitata.
Si alzò in piedi repentinamente, facendo cadere la sedia nel movimento, fece girare sugli astanti uno sguardo da bestia braccata e scomparve di corsa verso gli hangar.
“E adesso che gli prende?” volle sapere qualcuno.
La domanda cadde nel vuoto. Tutti ricominciarono a far festa e l'incidente fu subito dimenticato.

Il cigolio della porta metallica turbò il silenzio dell'hangar. Seduto su una scaletta da meccanico, i gomiti puntati sulle cosce e il viso fra le mani, Hans non alzò nemmeno la testa. Era avvilito. Era così avvilito che avrebbe voluto diventare invisibile. Rimase immobile augurandosi che chiunque fosse entrato non lo vedesse e se ne andasse senza disturbarlo.
“Tenente von Rohr?” udì chiamare. “Tenente, è qui?”
Alzò la testa con uno scatto: era la voce del capitano Müller.
Ebbe un momento di panico: che fare? Dare segno di sé, passare sotto le Forche Caudine della predica che sicuramente il suo superiore era venuto a fargli? Immaginava già cosa gli avrebbe detto il capitano: lei se n'è andato come una specie di adolescente inquieta da romanzo dell'ottocento, questa non è la condotta consona ad un ufficiale.
Allora era meglio non farsi trovare? Era un atteggiamento da vile. Nessun tedesco degno di questo nome si sarebbe comportato così.
“Oh, ecco dove si è nascosto!” esclamò il capitano, sollevandolo in quel modo dal peso della decisione. “L'ho cercata dappertutto, von Rohr.”
“Rohr e basta, prego,” rispose meccanicamente il giovane.
“Perché? Non le piace il suo cognome?”
“È un cognome aristocratico.”
L'altro lo guardò senza capire. “E allora?”
“Voglio che la gente mi consideri per quello che valgo io, non per la famiglia da cui provengo.”
“Io non mi farei tanti problemi, se fossi in lei,” rispose disinvolto il capitano. “In aria non contano né gradi né famiglie altolocate. Lassù c'è il vero socialismo, in un certo senso.”
Detto questo si sedette accanto a lui sulla scala di ferro e gli diede una pacca sulla spalla.
“Magari potessi arrivarci, in aria,” sospirò il tenente continuando a guardare fisso dinnanzi a sé. “Ma se il maggiore continua a farmi fare qualsiasi cosa tranne i voli di guerra, come farò?”
“Oh, ci arriverà. Ci arriverà. Lo sa com'è fatto il vecchio: vuole essere sicuro che lei sia in grado di uscire vivo da un combattimento coi Tommies.”
“Ma io sono in grado!” protestò il giovane. “Sono stato il primo del mio corso, ero già istruttore di volo a vela a sedici anni!”
“Sì, beh, indubbiamente si vede da come pilota, ma i duelli aerei sono un'altra cosa.”
“Davvero si vede?” chiese il tenente, di colpo emozionato da quell'elogio, ignorando la seconda parte della risposta di Müller.
“Ha una buona mano,” rispose l’altro, “l’ho notato subito.”
Per quanto si fosse ripromesso di rimanere impassibile, von Rohr non poté evitare di sorridere.
“Per questo sarebbe un peccato che lei ci lasciasse le penne alla prima missione,” concluse allora il capitano. “I buoni piloti non sono così frequenti, quando se ne trova uno è meglio cercare di conservarlo.”
Scese dalla scaletta, si sistemò brevemente l’uniforme. “Ora torno dai ragazzi,” disse. “Si unisca a noi, se ne ha voglia. Le garantisco che non mordiamo.”
Se ne andò senza attendere risposta.

Il giovane tenente rimase immobile. Era soddisfatto delle parole del capitano Müller, ma non del tutto. Cosa significavano quei discorsi? Avevano tanto l’aria di disfattismo mascherato da senso pratico.
Lui si era arruolato nella Luftwaffe proprio per combattere e possibilmente per eliminare i nemici del Reich, e se il suo destino fosse stato quello di cadere alla prima missione l’avrebbe accettato serenamente. Dulce et decorum est pro patria mori, pensò, poi gli venne in mente che il latino era retaggio di una classe reazionaria e conservatrice. Nulla di ciò doveva esistere nel Terzo Reich.
Dolce e onorevole è morire per la Patria, tradusse in buon tedesco.
Ma prima di morire avrebbe dimostrato quanto valeva, pensò. Avrebbe fatto vedere al maggiore Graf, e sì, anche al capitano Müller che lui non era un bamboccio stupido, e che era perfettamente in grado di compiere missioni di guerra esattamente come tutti gli altri piloti del Geschwader.
E che i polli li facessero portare a un sottufficiale con la Kübelwagen, se avevano tutte quelle esigenze culinarie. Lui nella Hitlerjugend non si era mai lamentato per il rancio. Questo voleva ben dire qualcosa, no?
Significava che lui non faceva storie, che era un soldato né più né meno degli altri, e quindi aveva il diritto di combattere come gli altri.
Sorrise fra sé e sé. Gli avrebbe fatto vedere lui, al maggiore Graf. Oh, se gli avrebbe fatto vedere.

   
 
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