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Autore: Jessica Fletcher    26/07/2016    8 recensioni
Nel "nero" Christian dice ad Ana che la sua mamma adottiva, Grace, gli era sembrata un angelo la prima volta che l'aveva vista.
Nel primo capitolo ho provato ad immaginare il loro primo incontro incrociando i punti di vista di entrambi.
Nei seguenti traccerò (se ci riesco) la storia del piccolo Christian prima dell'adozione.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Carrick Grey, Christian Grey, Elliot Grey, Grace Trevelyan Grey
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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in fondo al bicchiere

In fondo al bicchiere


POV Christian

Dannazione sono di nuovo senza soldi!
Cioè, sono senza soldi come sempre!
Il che vuol dire che non posso comprarmi da bere.
E non so se ce la posso fare senza.

Senza bere intendo, ma non bere aranciata o Coca Cola, nemmeno birra.
Io ho bisogno di qualcosa di più forte, di molto forte.
Di un qualcosa che mi annebbi la mente, che non mi faccia pensare.

Un giorno, uno di quelli che stavo più male del solito, un giorno nel quale i mostri spaventosi nella mia mente non volevano lasciarmi in pace, ho provato a bere un goccio di whisky. Avevo notato, le rare volte che mi era stato concesso di bere un po' di champagne, alle feste di fine anno o ai compleanni, che un po' di alcool mi faceva bene. Mi aiutava a rilassarmi e, se avevo bevuto, la notte dormivo tranquillo senza incubi.

Perché io faccio ancora brutti sogni, sogni sui miei primi quattro anni di vita con la puttana drogata e con il suo protettore.
E sono così reali.
Così fottutamente reali!
Certe volte sono con lui, il magnaccia sadico, che mi picchia a sangue, quasi a morte. Ne porto ancora le cicatrici sul mio corpo. Non potrei mai dimenticarlo, mai.
Come quella volta che sono rimasto chiuso in camera con lui ... mi vengono i brividi al solo pensiero. I brividi e la nausea.

Altre volte, nel sogno, sono con lei, mia madre, la puttana drogata. E' sdraiata sul pavimento, sembra che dorma.
Ma non si sveglia, io ho quattro anni e ho fame, tanta fame.
Vedo in cucina per cercare qualcosa da mangiare, ma non trovo niente.
Solo degli odiosissimi piselli surgelati che mi bruciano la lingua e mi fanno male al pancino. 
Ho fame, dannazione, nel mio sogno, fame e sete.
E mi sento stanco, tanto stanco.
Così mi sdraio vicino alla mamma.
La copro con la mia copertina e me ne sto buono e tranquillo insieme a lei.
Ad un certo punto arriva "lui", mi allontana dalla mamma, mi butta per terra, colpisco la testa. Per un attimo vedo tutto scuro.
Sento che la chiama, forse ora si sveglia, la chiama e la scuote. Le dà uno schiaffo. Ma la mamma non si muove. Poi lo sento gridare, arrabbiato. Ho paura e me ne sto buono buono in un angolo, se mi trova mi fa male.
Ma lui esce e sbatte la porta.

E quasi sempre a questo punto mi sveglio, e sento la mia voce che grida.

Non ce la faccio più, ho paura quando vado a dormire, paura di fare brutti sogni, di avere degli incubi.
Ma ho scoperto che se bevo, allora non faccio incubi ma un bel sonno profondo. Anche se, talvolta mi sveglio con il mal di testa è sempre meglio che svegliarsi urlando terrorizzati.

Bere mi fa stare bene, non mi fa pensare.
Quando bevo, dimentico tutto, non mi sento più così diverso dagli altri, così maledettamente fuori posto. Non penso più a che sono un disadattato, un rifiuto sociale.
Mi piacerebbe tanto essere come gli altri, come mio fratello Elliot e come i suoi amici Dave e Gabriel. Loro sono amici sin da ragazzini, giocano nella stessa squadra di football e sono bravissimi.
Sono molto popolari a scuola e sono pieni di ragazze.
Vanno a feste, appuntamenti, incontri in piscina.
Io non vado mai a nessuna festa, non ho amici e non ho la ragazza.

Ma non sono gay o asessuato: le ragazze mi piacciono, mi piacciono molto.
C'è una brunetta nella mia scuola, Linda, così si chiama.
Ha lunghi capelli castani e una paio di tette che mi fa impazzire.
Tutte le volte che la vedo mi viene l'uccello duro come un sasso.
Vorrei chiederle di uscire con me, una sera; potrei portarla a fare una passeggiata  e poi  al cinema.
Nel buio della sala, allungare il braccio, cingerle le spalle e, se proprio  me lo lascia fare provare anche qualcosa in più.
Poi andremmo a prendere un gelato o un frappè e la accompagnerei a casa, le darei un bacio, casto a fior di labbra, almeno la prima volta.
Poi chissà potrebbe essercene una seconda o una terza e un giorno potremmo trovarci da soli a casa mia o a casa sua. E allora sarei più audace, farei come Lelliott.
L'ho sorpreso più di una volta a limonare e a strusciarsi con quella sua fidanzatina, come si chiama?
Ah, sì, Alice.
Alice nel paese delle Lelliott-meraviglie, a giudicare dai gemiti e dai sospiri.

Li invidio, tanto. Desidero tanto avere una ragazza, sfogare le mie tensioni, avere qualcuno con cui stare, qualcuno che mi vuole bene.
Ma come posso fare se non sopporto nemmeno di essere toccato?
Così ... ehm ... mi tocco da solo. Faccio quella cosa che, secondo qualche vecchio prete, fa diventare ciechi.
Ma ci vedo sempre benissimo e che si fottano i preti.
Tanto non credo una parola di quello che dicono, non mi fregano.
L'ho detto a Carrick che io in chiesa non ci vado più, si è arrabbiato ma sono rimasto irremovibile e non ha potuto certo costringermi.

Io non credo in Dio e non sono ipocrita.
Non credo perché, se realmente ci fosse stato un Dio, non avrebbe potuto lasciare che mi facessero quello che mi hanno fatto quando ero piccolo. Se realmente ci fosse un Dio e ci avesse creati, fosse nostro padre, vorrebbe il bene delle sue creature, soprattutto quelle più piccole e indifese e li farebbe vivere felici e spensierati.
Non  in quell'inferno che sono stati i miei primi quattro anni di vita.

Sospiro: non ci voglio pensare, non ora.
Mi ci vorrebbe un dito di qualcosa per dimenticare.
Qualsiasi cosa: whisky, rum, gin purché sia forte purché faccia effetto al più presto.
Ma Carrick tiene l'armadietto chiuso e non ho un soldo in tasca, non ricordo più l'ultima volta che ho preso la paghetta.

Cosa fare, adesso?
Potrei vedere se trovo la borsa di Grace e fregarle qualche dollaro dal portafogli, indaffarata e distratta com'è nemmeno se ne accorgerebbe.
Quasi vado nel suo studio e vedo se la trovo.
Esco sul corridoio e non trovo nessuno, bene.
Mi avvicino alla porta, sto per aprirla, la mano sulla maniglia.
Ecco, ci sono.
Devo fare piano.

"Christian!" una voce dietro di me mi fa sobbalzare.

Calma Christian, stai calmo, ancora non hai fatto niente. Al massimo puoi dire che stavi cercando qualcosa, che so? Una penna, un quaderno, il PC portatile, qualcosa del genere.

Mi volto di scatto e  dietro di me c'è nonno Theo.
"Christian" ripete con la sua voce dolce, baritonale.
"Ciao ... ehm, ciao nonno!" quasi il tono di voce  tradisce il mio imbarazzo. Mi è andata bene ma devo fare maggiore attenzione, avrebbe potuto non essere il nonno.

"Figliolo, tuo padre mi ha detto che sei in castigo. E' vero?"
"Sì, nonno"
"E perché mai'"
"Perché ho fatto a botte a scuola"
"Hai fatto a botte a scuola ... mmmhh ... tuo padre mi ha detto che non è stata una semplice scazzottata ma che sei stato coinvolto in una rissa, in una cosa seria. So anche che ti sei fatto male. Come stai ora?"
"Meglio, sto meglio ora. Grazie"
"Ma perché fai sempre a botte?"

Cosa dirgli, ora?
Cosa dire a quest'uomo che ammiro tanto. Sono così imbarazzato, come posso mentirgli? E come posso dirgli  la verità? Di sicuro penserà che sono un violento e ... come ha detto quelle  volta la preside? Ah, già: un irresponsabile.  Il nonno penserà che sono un violento e un irresponsabile.
Non vorrei che pensasse queste cose di me, anche se probabilmente sono vere.
Però non so cosa rispondergli.
Così sto zitto, abbasso la testa e sto zitto.
"Non devi fare a botte, Christian. Mi prometti che non lo farai più?"
Gli prometto di sì e lo intendo, veramente.
Ogni volta spero sempre che sia l'ultima che faccio a botte, cerco di impormi di controllarmi ma, puntualmente ogni volta ci ricasco.

Da qualche tempo però mi sono calmato.
Oh, l'antica rabbia c'è sempre ma solitamente sono troppo sbronzo per reagire.
Certe volte faccio addirittura fatica a tenermi in piedi, così lascio dire, lascio fare. E anziché reagire bevo un altro sorso e funziona.
Così sì, credo proprio che non farò più a botte, non per autocontrollo, ma proprio perché non ci riesco.

Il nonno mi accarezza la testa;
"Va bene, figliolo, ti credo" mi dice mentre si mette una mano in tasca.
Prende il portafogli e ne estrae una banconota da 10 dollari
"Tieni" me la porge "tua padre mi ha detto di non darti soldi. Ma so benissimo com'è alla tua età, i soldi ci vogliono. Servono ad andare al cinema, ad invitare fuori le ragazze, a non fare brutta figura con gli amici. Me lo ricordo bene com'era anche quando io avevo la tua età. Un adolescente non può restare senza soldi in tasca; ne va delle sua reputazione con gli amici"
"Grazie nonno" mormoro imbarazzato mentre prendo fra le dita la banconota.

Caro nonno, lui non può sapere come sono le cose.
Io non ho una reputazione da difendere, sono un lupo solitario, un fottuto senza speranze.
E non ho amici, né ragazza, sono sempre solo; solo e arrabbiato e spaventato.
I soldi mi serviranno per una paio di bottiglie dell'unico amico che ho, il whisky.

Dovrò nasconderle bene, se mi prendono i miei genitori sono cavoli amari.

E, comunque, non dureranno poi tanto.


Eccomi di ritorno.
Capitolo non lunghissimo, ma non avrei potuto dire altro.
Credo che basti per rappresentare la confusione e lo smarrimento di un ragazzo che sta buttando alle ortiche la propria vita.
Per questo motivo ho lasciato la costruzione del periodo abbastanza confusa  proprio perché lui non ragiona, o meglio non ragiona lucidamente.
La sua vita è preda di incubi e letargie indotta dall'alcool, mi sono un pelino documentata e spero di avere dato bene l'idea.

Nel prossimo si tornerà a vedere vari personaggi che interagiscono fra di loro e spero di spiegare meglio il rapporto di questo Christian, quasi alcolizzato e sempre più smarrito, con un mondo che non lo capisce.

Beh, è più o meno tutto.
Spero di aggiornare presto
Love
Jessie
  
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