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Autore: piccolimarcoakajohn    09/08/2016    0 recensioni
Chiunque abbia vissuto le difficoltà di scalare o scendere in bici un passo di montagna oppure di percorrere almeno una cinquantina di chilometri immersi in un paesaggio costante saprà presto riconoscere lo spunto della mia riflessione. Buona lettura.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il piano

La presenza di una salita, o di una discesa, inevitabilmente rimandando ad una morfologia del terreno ben definita. In passato vi è stato un terremoto. In passato la terra piatta si è increspata, distruggendo tutto quel che vi era cresciuto sopra, oppure tra quella enorme moltitudine di zattere che è lo strato superficiale della terra, una piccola crepa ha permesso al liquido ad alta temperatura delle profondità di solidificarsi in luoghi ben diversi da quelli in cui era abituato rimescolarsi. Ci sono zone ancora intatte però. Zone della terra che fanno dell'assenza di asperità la loro caratteristica. Allora ecco che per orientarsi si possono usare solo le stelle o un qualsiasi tratto riconoscibile del terreno, del territorio, della vegetazione. Certamente non la forma o il colore delle montagne. Ed in siffatti teritori, a volte verdissimi, a volte umidi, altre aridi, un corridore non può fare altro che cercare di contare sulle sue energie per sfidare il tempo. L'unico vero avversario di un corridore in piano è il tempo e la fatica che questo conflitto comporta. Possono esserci delle curve nella strada, certo, solo in un deserto la linea retta è sempre conveniente, però queste sono facilmente affrontabili, altro che in discesa! Il vero problema è il tempo che scorre, la strada che ci si lascia alle spalle, l'usura del proprio corpo e del proprio mezzo e se si vuole pure quel prurito che viene a chi si sente già la vittoria in tasca, che non considera sufficientemente avvincente una facile riuscita.
  Ma tutto questo forma lo spirito in modi assai diversi che in uno scalatore o in un discesista. Anzi è vero il contrario, così come la montagna si è formata da due pianure in contrasto, trasformandosi in salita e discesa, il ciclista primitivo si è fomato in piano e in questo poi ha visto per lui migliori stimoli, portati all'estremo, nella discesa o nella salita. Chi preferisce la fatica ed il calcolo, eccolo divenire un eccezionale scalatore. Chi invece si inebria nel rischio e nella velocità dare il tutto in discesa. Chi preferisce rimanere in piano invece ha ben deciso di ignorare le sfide, di concentrarsi sull'osservazione di un paesaggio apparentemente omogeneo, noioso, capace di portarlo a vedere l'essenza di ciò che vede, piuttosto che le modalità con cui affrontare le minime ma cruciali differenze di un percorso inclinato. 

  Se prima io ho detto di preferire la discesa alla salita è anche perché non avevo considerato la pianura e con più precisione il deserto. Nel deserto mi sento a casa, ma è anche vero che prima o poi nel mezzo del deserto ci si possa trovare di fronte ad un monte isolato, ed è in quella condizione che io arrivo a preferivi la possibilità di scendere, accettando pure la fatica della salita, piuttosto che circumnavigare. Non ho altro da aggiungere sopra a tutti i terreni del mondo. Le variazioni sono infinite. Ho tralasciato situazioni particolari che non varrebbe la pena descrivere, data la loro rarità e stranezza che ne vanificherebbe ogni sforzo descrittivo. Allo strano ci si può preparare solo vivendolo, se si ha la sfortuna o fortuna d'incontrarlo.
  
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