Fumetti/Cartoni europei > Winx
Segui la storia  |       
Autore: Applepagly    20/08/2016    3 recensioni
Alla ricerca di se stessa, per qualcosa che ha perduto: per Bloom il fuoco, e per le altre?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Brandon, Helia, Nuovo personaggio, Winx
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Merry-go-round'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Noticine:

Ancora una volta ci troviamo qui.

Non c'è un motivo particolare; mi andava di appuntare le note all'inizio e non alla fine. Il capitolo tira un po' le somme della situazione di ognuna delle nostre protagoniste: saranno riuscite a ritrovare ciò che avevano perso?

Purtroppo, non mi sono soffermata molto su Stella. Ciò che sapremo sul suo conto lo vedremo attraverso gli occhi di Brandon; mi spiace, non me la cavo molto bene, con lei. In ogni caso, questo è il momento che più mi è piaciuto descrivere; forse anche per merito di Nina Simone e della sua splendida “Feeling good”, che ha accompagnato l'intera stesura del penultimo pezzetto di storia.

Come sempre, ringrazio tutti quanti dell'attenzione e vi lascio alla lettura.

A dopo con l'epilogo!

TheSeventhHeaven


 

 

 

 

Terza parte – I volti del fuoco

 

 

  L'afa era aumentata a dismisura, in quei giorni, e Brandon si ritrovava a vagare per Alfea con dei semplici bermuda ed una canottiera indosso.

Beh, in realtà non stava vagando. Si stava dirigendo in un punto ben preciso, con la chiara intenzione di andare fino in fondo e riprendere un discorso che non aveva avuto modo di concludere.

Come sospettava, Tecna era sola nell'appartamento che divideva con le altre. Era l'unica a non essersi trattenuta all'ora di cena e quando entrò nella stanza di lei, accusò un duro colpo.

Sul letto della fata era spalancata una grossa valigia e accanto ad essa erano disposti molti degli strani macchinari tecnologici per cui la ragazza andava matta. Nella sua parte della camera regnava un caos che non avrebbe mai ritenuto possibile.

«Parti?» chiese, fermo sullo stipite della porta. Lei si voltò, aprendosi in un sorriso.

«Oh, sì. Mi piacerebbe restare per... domani» spiegò, mentre piegava accuratamente una felpa. «Ma le condizioni di Blade si sono aggravate e così partirò stanotte»

«Accidenti... mi dispiace davvero» e così, quelli erano i suoi ultimi minuti con Tecna.

Era buffo come fossero stati sufficienti pochi giorni in sua compagnia per permettergli di affezionarsi così. Perché, come negare di provare per lei un sentimento particolare? Si chiedeva come avrebbero potuto andare le cose, tra loro, se sin da subito avessero provato ad avvicinarsi.

Se Brandon non fosse sempre stato interessato solo a ciò che riguardava Stella, in che rapporti sarebbe stato, adesso, con quella fata che gli aveva svelato un mondo?

Le si avvicinò. «Posso aiutarti in qualcosa?»

Lei parve riflettere per qualche istante. Si guardò intorno. «Mi passeresti quello?»

«Cos'è?» chiese, studiando l'oggetto. «Una pistola a raggi laser? Una macchina che spara fulmini?»

Scosse la testa. «No. Si tratta di un banale fono per capelli e da qualche parte dovrebbe esserci anche un pettine... sempre che la tua fidanzata si sia degnata di restituirlo»

Il ragazzo sospirò.

La mia fidanzata...

Erano cambiate tante cose in così poco tempo...

È davvero questo, che vuoi?

«A proposito di questo, noi due... tu ed io...» e se avesse cambiato idea?

Se avesse deciso di cambiare le cose, di compiere quella follia che gli batteva forte nel petto quando pensava a Tecna, ai suoi occhi e al modo in cui lo completava. Se avesse deciso di provarci comunque e di seguirla; di amare lei?

Iniziò a rigirarsi il fono tra le dita, senza accorgersi di star gravitando sempre più vicino alla fata che, intanto, ripercorreva mentalmente tutto ciò che si era premurata di dirgli mentre credevano di essere ad un passo dalla fine. Erano state parole dettate dalla paura e dal momento; ma che fine aveva fatto, tutto quel coraggio?

«...Non abbiamo concluso quel discorso e...» non sapeva come continuare.

Erano lì, vicini. Sarebbero bastati pochi centimetri e si sarebbero trovati.

Qualcosa, nel cervello di Brandon, lo incoraggiava a compiere quel passo, a ripetere lo stesso gesto che nei film appare così naturale e che nella realtà provoca un'alchimia di emozioni incontrollabili.

Pochi centimetri e l'avrebbe incontrata, la sua voce della ragione, il suo grillo parlante; la figura che vedeva nei sogni, senza saperlo. Avrebbe incontrato quelle labbra sottili che non ne avevano mai assaporate altre, si sarebbe portato via l'ennesimo pezzo di lei.

Ma non poteva farlo, non poteva; non a Tecna. Perché le voleva bene, gli piaceva molto; ma non l'amava.

Quando pensava all'amore, pensava ad una risata gallinacea, sgraziata e forte, pensava a dei lunghi fili d'oro che oscillavano il vento illuminando la giornata ed impreziosendola con il loro dolce profumo; un profumo invadente e piacevole al tempo stesso, un profumo che non chiedeva ma otteneva ciò che voleva, senza prendersi ciò che non si era disposti a concedere.

Quando pensava all'amore, pensava a Stella, e solo a lei, al calore che si scambiavano e che presto sarebbe tornato ad illuminare le belle gote di lei; non pensava a Tecna. E non avrebbe potuto né voluto illuderla in quel modo. Era certo che anche lei, nel profondo, sapesse già a chi appartenevano i suoi pensieri.

Fu per questa ragione che l'abbracciò soltanto.

La strinse a sé come a volte aveva pensato di fare; ed era piacevole. Lei si adattava perfettamente a lui, e tra le sue braccia aveva quasi timore di romperla, per quanto era sottile.

La fata, dal canto suo, non riusciva a metabolizzare quello che stava accadendo.

Sentiva gli occhi sgranarsi ed il respiro mozzarlesi, come se fosse stata sul punto di morire. E non era forse così? Perché non poteva semplicemente affogare in quell'abbraccio che la proteggeva, anche se lei aveva sempre pensato di non averne bisogno?

Era così bello, anche se strano, anche se avvertiva un fono per capelli premerle sulla schiena... ma tutto ciò non le apparteneva, non nel modo che chiunque, vedendoli così, avrebbe potuto pensare.

Quello era un abbraccio fraterno, che infondeva sicurezza e, allo stesso tempo, la cercava in qualcuno che, forse proprio a causa della loro diversità, avrebbe potuto capirlo. Adesso comprendeva le parole di Bloom, e sapeva che aveva avuto ragione nel suggerirle che potesse trattarsi di un'amicizia un po' più profonda, di un sentimento coinvolgente che lei aveva erroneamente scambiato per altro.

Fu in quel momento, quando Brandon le lasciò un bacio in fronte, che realizzò di aver soppresso troppo a lungo quel che accadeva nel suo cuore. Era cresciuta così e non aveva mai considerato la possibilità di cambiare; ma le persone che aveva incontrato quell'anno le avevano mostrato quanto fosse umana, senza rendersene conto.

Si allontanò da lei con lentezza, godendosi il momento e schiacciando quella sciocca vocina che suggeriva di non lasciarla. Entrambi celavano lo sguardo tenendo le palpebre chiuse per assaporare il loro addio; e Tecna percepì il proprio cuore.

Mantenne gli occhi chiusi ancora un po', fino a che non sentì i passi di lui allontanarsi. Quando li riaprì, Brandon stava lasciando la stanza. Aveva posato il fono sulla scrivania ormai vuota.

«Brandon» sbuffò, rompendo la magia. Il tono scocciato non prometteva nulla di buono.

«Sì?»

«Mi pareva di averti chiesto di passarmi quel fono!»

 

*

 

La brezza le scompigliava leggermente i capelli, ma non rinfrescava l'aria.

Maria sedeva su un balcone con le gambe a penzoloni, abbandonandosi ad una dolce nostalgia di quei tempi in cui lei ed i suoi compagni di orfanotrofio condividevano i loro segreti.

«Non hai fame?» Vera la raggiunse.

Non avevano avuto molte occasioni di parlare, ma la Specialista le doveva la vita e non aveva potuto non notare l'inquietudine che la perseguitava da quando li avevano liberati.

La strega scosse flebilmente la testa, abbassando lo sguardo quando l'altra si sedette accanto a lei. Anche per la nipote di Saladin quel gesto aveva un significato particolare; quante volte si era trovata così, in compagnia del ragazzo che aveva amato e che si era sacrificato per suo fratello.

Ma andava bene anche così.

«Non ti si rovinerà la linea» rise, cercando di fare un po' di spirito. La guardò, ammettendo, con una punta d'invidia, di non aver mai visto una ragazza più bella.

Perfino con quel sorriso mesto e quell'espressione rassegnata la sua bellezza non diminuiva. «Maria-»

«Ti prego, non dire nulla» la zittì.

Perché? Perché non si era mai accorta di quanto fosse sciocco il suo desiderio?

Era quasi un controsenso che una come lei, che dell'ordine aveva fatto il suo potere, aver avuto quella visione della vita; ma era sempre stato così: credeva che nella sua esistenza le cose sarebbero andate diversamente, avrebbero sconvolto e sfatato il luogo comune per cui una strega sarebbe stata capace solo di causare guai.

Eppure, non aveva fatto nulla di concreto. Aveva semplicemente rischiato la vita come una streghetta alle prime armi, senza neppure elaborare un piano e condannando i suoi compagni; e se erano usciti vivi da quella situazione lo dovevano solo alla prontezza di spirito di Tecna.

«Posso almeno avvertirti che qualcuno ti sta osservando, da laggiù?» fece Vera, indicando un punto sotto di loro. C'era Jared. «Sembra che quel ragazzo abbia urgenza di parlarti»

Maria si strinse nelle spalle, mantenendo lo sguardo fisso nel vuoto. Non le interessava, non più; o, almeno, cercava di convincersi di non volerne più sapere nulla, di lui.

Quando il suo amico d'infanzia chiamò il suo nome, avrebbe voluto sotterrarsi, volare lontano. Non era riuscita a dimostrare quanto valesse a se stessa, figuriamoci a lui.

«Maria» e adesso che cosa voleva, Vera? Per quale ragione l'aveva seguita e ora non le permetteva di crogiolarsi nella sua desolazione?

Perché è così che fanno gli amici. Lei non è mia amica, ma lo fa ugualmente; tiene a me?

«Maria, tu mi hai salvata. Se non fosse stato per te, Musa e Flora forse non avrebbero mai concluso nulla e questo non si può dimenticare» disse l'altra. «Hai agito per il bene di qualcun altro»

«Ti sbagli» affermò, con decisione. «L'ho fatto solo per realizzare il mio desiderio, per dimostrare che non tutte le streghe sono destinate a seguire la via del male e muoversi solo in funzione di ciò che fa comodo loro ma, così, non mi sono distinta in alcun modo» rifletté. «Non ti ho aiutata per una questione di altruismo; quello è subentrato dopo»

«Sei tu che ti sbagli. Il tuo desiderio ha già in sé l'altruismo, Maria» fece notare, lasciando l'altra di stucco.

Era davvero così?

«Hai messo le cose apposto, Maria. Tu ti occupi di questo, no? Ora, non so se sia successo qualcosa tra te e quel poveretto qui sotto ma...» rise. «...di qualsiasi cosa si tratti, sei ancora in tempo per sistemarla»

Si zittì, chiudendo gli occhi e cercando con i sensi l'arietta che iniziava a muoversi e che le solleticava il collo. In quel momento, udì il fruscio dell'abito leggero di Maria, e i piccoli passi di lei correre con leggiadria. «Grazie, Vera»

Sono io che ringrazio te. Per quello che mi hai mostrato e per quello che mi hai restituito, insieme alle altre.

Ora cominciava a spirare un po' di vento, e alcuni ciuffi più corti sfuggirono dalla coda di cavallo.

Per i ricordi che mi hai ridato.

Levi, il nonno, Miele ed Helia.

E per quelli che ancora devono venire.

Musa, Tecna, Stella, Bloom e Flora. Ed Helia.

Helia ci sarebbe sempre stato, per lei; ma adesso era il caso che ci fosse anche per qualcun altro, qualcuno a cui non aveva mai avuto il coraggio di avvicinarsi per troppo tempo.

Vera riaprì gli occhi e lo vide molto più in là, ad osservare le aiuole insieme alla fata della natura.

Lei gli mostrava i vari fiori, lo aiutava a ricordare il nome di ciascuno di essi. Di tanto in tanto, ne faceva sbocciare qualcuno di soppiatto.

Poteva leggere l'emozione negli occhi del ragazzo, che si animavano di sorpresa ad ogni incantesimo; proprio come avrebbe fatto un bambino. Per un anno intero aveva girato una dimensione senza mai soffermarsi sugli splendidi dettagli che lo circondavano; eppure, diverse volte si era ritrovato in mezzo a piante ed arbusti colorati.

Ma Flora aveva questo potere: gli mostrava il quotidiano e lo faceva brillare di novità.

«Mi piacerebbe riuscire a fare quello che fai tu» ammise lui, mentre la guardava accarezzare il petalo di un tulipano appena sbocciato.

«Chiudi gli occhi, allora» sussurrò, fronteggiandolo.

Helia la guardò, scettico. «Flora, io non so fare le magie»

Ne hai fatta una nel momento in cui sei arrivato in questa scuola...

«Ti fidi di me?» gli chiese allora, stringendogli una mano tra le sue.

Lui annuì, facendo come gli era stato detto. Percepì la ragazza avvicinare le loro dita unite al gambo di un fiore; lo sfiorarono e al tatto sembrava appassito. «Cosa vuoi fare, Flora?»

«Ti fidi di me?» ripeté.

Si fidava di lei?

«Concentrati» bisbigliò.

Sì, si fidava di lei. Era la sua memoria, la sua luce.

All'improvviso, il contatto tra le loro mani si fece più profondo ed Helia avvertì un formicolio inebriargli la mente di una fresca e piacevole sensazione. Riaprì gli occhi, e scoprì che il fiore era rinato.

«Hai visto? Puoi fare qualsiasi cosa» rise la fata, allontanandosi appena.

Posso iniziare ad amarti davvero, d'ora in poi?

«Davvero? Qualsiasi?» domandò lui. Flora annuì, non capendo esattamente dove volesse andare a parare. «Chiudi gli occhi, allora» dov'è che aveva già sentito quella frase?

Lo guardò, perplessa.

«Ti fidi di me?» era in vena di imitarla, per caso?

Lei rise piano, ripensando a tutto ciò che aveva maturato in quei mesi e, in particolare, in quei giorni. Si fidava di lui?

Sì.

Chiuse gli occhi ed Helia le si avvicinò.

 

*

 

«Quindi, secondo te dovrei parlarle?»

«Secondo me dovresti»

«Ne sei sicura?»

«Ne sono sicura»

«E se poi-»

Oh, santo cielo!

«Non puoi saperlo se non ci provi, Jared!» esclamò Musa, un po' esasperata.

Era già un'ora buona che andavano avanti così. Lei tentava di infondergli coraggio e lui accampava le sue migliori scuse per rifiutarlo.

Poteva capirlo. Lei stessa non era esattamente una maga della conversazione, specie se si trattava di chiudere questioni in sospeso; però non avrebbe fatto tutte quelle storie. O forse sì?

«Guarda!» gli indicò la porta-finestra di un balcone che si stava spalancando. In lontananza, la fata vide uscirne la bella Maria. «Va' a parlarle»

«Non... non posso. Lei... mi manderà al diavolo, e ne ha tutte le ragioni» rispose Jared, sconsolato.

«Non lo farà» assicurò, spingendolo in avanti. «Sbrigati!»

Lo vide allontanarsi con aria afflitta e le venne da sorridere. Si era creato così tanti scrupoli da non considerare l'ipotesi che la sua amica d'infanzia non provasse davvero rancore, nei suoi confronti.

«Non è ancora troppo tardi» sussurrò al vento.

Si scostò una ciocca che era sfuggita ad uno dei codini e nel mentre udì dei passi familiari avanzare nell'ombra. Più che passi, sembravano una pesante zavorra che veniva trascinata in avanti, come un peso indistruttibile.

«Ci stavi spiando?» domandò, senza voltarsi. L'idea la lusingava e la infastidiva insieme.

Riven grugnì di dissenso. «Certo che no. Perché avrei dovuto farlo?»

Non lo so. Sei più strano del solito, ultimamente.

Si strinse nelle spalle. «Meglio così» disse, allacciandosi le braccia dietro la nuca.

Era stanca, e l'avventura su Chameleon l'aveva provata come nessun'altra missione. Aveva visto se stessa in Icy, nel suo gesto d'affetto profondo e deleterio; e il fallimento della strega le aveva ricordato, ancora una volta, che nemmeno sua madre sarebbe tornata in vita.

Il bambino che la sua nemica aveva incontrato era lo stesso che aveva aiutato Bloom e che si era rivelato essere il Grande Dragone; ma come Griffin, il suo aiuto sarebbe consistito in qualcosa di puramente mentale, proprio come aveva fatto per la custode della Fiamma del Drago e per Helia.

Niente avrebbe potuto riportare indietro qualcuno che aveva già finito i suoi giorni in quel mondo.

«Aspetta» si sentì chiamare, in un modo che esprimeva imbarazzo, incertezza e la tacita preghiera di andare in contro a quel burbero ragazzo che pareva perennemente in conflitto con il mondo.

Chissà se anche Riven aveva perso qualcuno. Come doveva essersi sentito, nel momento in cui la realtà dei fatti era stata ribadita?

Si voltò, rendendosi conto di quante cose fossero cambiate. Non si sentiva quasi più in preda al panico, quando si trattava di parlare con lui; no, aveva sostituito l'ansia con un'emozione viva e accesa, benché si fosse imposta di smettere di considerarsi la sua salvatrice.

«Che cosa c'è?» gli chiese.

Lo Specialista abbassò lo sguardo, come un cucciolo bastonato. I suoi occhi saettarono da lei alla figura di Jared che, proprio in quel momento, stringeva a sé Maria.

Sembravano tutti felici, quella sera. Tutti in vena di festeggiamenti, perché il peggio era passato.

Ma Riven non sapeva come rendere se stesso e Musa partecipi di quella felicità, e andava sempre più convincendosi che lei l'avrebbe trovata proprio con quel ragazzo che in quegli istanti si stava riconciliando con sua sorella, la sua amica, la sua fidanzata o qualsiasi cosa fosse.

«Tu e lui...» borbottò, calciando un sassolino. «Voi... avete una certa intesa. Lui...»

«...Mi piace?» concluse al posto suo. «Non lo so, forse. È un problema?»

Continuò a camminare, sapendo di avere gli occhi di lui fissi sulla schiena. Non si aspettava che rispondesse; era già tanto che fossero riusciti a scambiarsi più di dieci parole.

Rimase sorpresa, quando articolò la voce.

«Sì» disse all'improvviso, facendola raggelare sul posto. «Sì, è un problema»

Non lo ha detto per davvero.

Per quanto le piacesse considerarsi estremamente diversa dalle altre ragazze, c'era qualcosa che Musa non riusciva proprio a trascurare e che la rendeva, purtroppo per il suo io, uguale a tutte le coetanee: i film mentali.

Tutti la consideravano una fata dallo stretto senso pratico e, in parte, era così; ma quando si trattava di amori e ragazzi tendeva a costruirsi castelli per aria, per poi risvegliarsi bruscamente e rendersi conto di essersi saziata di un'illusione. Ebbene, nei suoi sogni aveva spesso immaginato una scena del genere e più volte si era data della stupida.

Certe cose accadevano solo nei racconti, o alle ragazze veramente belle come Stella; di certo non a lei. Ma forse Riven scherzava, si stava prendendo gioco di lei un'altra volta.

D'un tratto, ricordava quell'emozione vagamente rassomigliante alla rabbia che si era fatta vivo nel momento in cui aveva saputo, aveva visto e sentito i suoi sentimenti calpestati; la stessa rabbia che ora diventava frustrazione. Alla fine, l'unica persona con cui avrebbe potuto prendersela era se stessa, per non essere in grado di perdonare la propria stupidaggine, i propri errori e Riven.

Perdono... si torna sempre lì...

«Per me non lo è affatto» ribatté, poco convinta.

«Io dico che lo è, invece» insisté lui, accelerando il passo per starle dietro, dato che lei aveva invano cercato di seminarlo nel cortile. In lontananza scorsero Flora ed Helia, cui la serata sembrava senz'altro filare meglio.

Quei due erano come legati da un sottilissimo filo, che aveva voluto farli incontrare e poi separare, con lo scopo finale di permettere ad entrambi di maturare qualcosa che giaceva già dentro di loro. Lui aveva qualcosa di Riven, ora che Musa ci rifletteva.

Era misterioso, piuttosto riservato e tormentato; eppure, non aveva perduto la sua luce nemmeno un istante, neanche quando i ricordi erano venuti meno. Helia si era perdonato.

E lei? Sarebbe mai riuscita a perdonarsi?

«E io dico di no!» sbottò, tentando di allontanare quei pensieri. In un guizzo, lo Specialista l'aveva raggiunta ed afferrata per un polso. «Che cosa vuoi, Riven?» chiese, provando a divincolarsi.

Riven non potrà mai perdonarsi.

«Voglio... vorrei...» disse, rinsaldando la presa. «Che tu mi perdonassi»

Ma forse... forse posso farlo io per lui.

Alcune persone vedono negli altri il loro specchio, il riflesso della serenità; per questa ragione stanno bene insieme. Altre, invece, hanno bisogno di qualcuno che sia diverso, qualcuno che le aiuti a rimettersi in piedi dopo una grave caduta.

Così aveva sempre creduto Musa; perciò, aveva abbandonato da un po' l'idea di poter essere per Riven ciò che Flora era per Helia, di poter avere con lui quel che avevano Stella e Brandon.

Ma adesso aveva capito. Non voleva essere come loro.

«Non so di cosa parli» rispose in un sorriso, liberando il braccio dalla mano di lui. Conosceva già quel tocco, l'aveva salvata dal gelo. «Non c'è proprio niente, da perdonare»

Riprese a camminare, ridendo tra sé e sé, mentre lui la chiamava a gran voce.

Possiamo cadere e rialzarci insieme, no? Sì, mi piace. Io ti sosterrò e tu mi sosterrai. E ci perdoneremo l'un l'altro, insieme.

 

*

 

  Tra tutti i colori, il nero era quello che le era sempre piaciuto di meno.

Dalle sue lezioni di arte passate ricordava che non si trattava neppure di un colore, esprimeva assenza di luce; perfino Stella aveva ammesso di non amarlo particolarmente.

Il nero esprimeva tutto ciò che Bloom aveva creduto di poter dimenticare, quel che non aveva potuto salvare. Perché, alla fine, in parte era colpa sua se quel giorno tutti erano vestiti di nero.

«È permesso?» la voce calma di Helia, accompagnata dalle sue nocche, ruppe il silenzio colmo di tutte le parole che vorticavano nella mente di lei.

Entrò, trovandola di fronte ad un grande specchio che doveva aver evocato per rimirare l'immagine della sconfitta. Avevano vinto, ma a che prezzo? «Quel colore ti sta proprio male» le disse, con un sorriso.

Con i capelli corti, un'espressione di dura maturità ed un'insolita tristezza nello sguardo, la trovò molto cambiata da quella ragazza che aveva incontrato in una grotta. Eppure, nell'acqua dei suoi occhi poteva ancora leggere la stessa sincerità ed innocenza di prima, anche se lei forse non sarebbe più stata capace di accorgersene.

«Speravo proprio che tu me lo dicessi» ribatté, voltandosi verso di lui. Lo specchio scomparve e Bloom gli si avvicinò, sospirando. «Se aspetti Flora, è già scesa»

«Lo so» disse. «È stata proprio lei a chiedermi di accompagnarti giù»

Le sorrise di nuovo, come aveva fatto la prima volta che si erano visti. Lei ricambiò il gesto, decidendosi a scendere le scale e percorrere quel breve tratto che la separava dal ragazzo per cui aveva provato emozioni forti come mai prima.

Diversamente da quel che ci si sarebbe aspettati, i funerali del principe Sky non si sarebbero tenuti su Eraklyon, ma nell'accademia per fate che portava il nome di Alfea, dal momento che Fonterossa era inagibile. Era stata presa tale decisione in virtù del fatto che egli non era il solo ad aver perduto la vita in un brutto incubo ormai passato.

Cortigiani, funzionari, servi ed alleati del grande regno che il giovane avrebbe dovuto ereditare erano tutti riuniti nell'ampio cortile della scuola che, per l'occasione, pareva ancor più grande del solito.

Uno stuolo di figure in nero entrava dai cancelli che si chinavano al passaggio di coloro che andavano a rendere omaggio a quei ragazzi e quelle ragazze caduti in battaglia e dormienti in giacigli cosparsi di petali che avevano con sé il profumo della vita.

Non vi fu un vero e proprio discorso commemorativo, un'omelia per piangere i morti; perché avrebbe conferito all'evento un'aria farsesca, un po' come in quei telefilm a cui Bloom era abituata in cui le vecchie e ricche signore di buona famiglia piangevano lacrime da coccodrillo, benché spesso non sapessero nulla del defunto.

No, nell'aria regnava un'atmosfera di profondo rispetto e di solidarietà, di vicinanza perfino tra sconosciuti. La custode della Fiamma del Drago stava in disparte, dietro ad una colonna del porticato.

Osservava le lunghe processioni sfoltirsi man mano che si avvicinavano a chi volevano salutare; ma una in particolare, tra quelle bare, richiamava la sua attenzione. Sky veniva salutato dalla più vasta gamma di persone, amici e parenti che lei non aveva mai visto e delle cui storie si interrogava.

Chi era quel bambino paffutello che ora poneva un fiore sul petto del bel biondo? Chi era quell'anziana che gli carezzava la fronte? I suoi cari sfilavano e piangevano; ma c'era una ragazza che fece qualcosa di inaudito. Anche da lì, Bloom riuscì a vederla sorridere.

Non in modo sarcastico o perfido, ma colmo di tenerezza e di bontà. Risaltava come una margherita in un campo di rose, perché quella luce nel suo sguardo e quei colori chiari che indossava, diversamente da chiunque altro, illuminavano la giornata. Quando si voltò, rivolse a lei lo stesso sorriso, avvicinandolesi.

Dovevano avere più o meno la stessa età, anche se quella che si rivelò una principessa pareva molto più matura. Era veramente alta e, dal modo in cui il suo abito ne modellava la figura, s'intuiva un corpo tonico ed esplosivo.

Incastonati tra dei duri lineamenti color dell'ebano ed incorniciati da una cascata di ricci scuri, brillavano due occhi di un blu in cui sembrava di ritrovare il mare, di vederlo crescere ed infrangersi a riva.

Era davvero bellissima.

«Ciao» esordì, tendendole una mano. Bloom si sentiva un moscerino, al confronto. «Mi chiamo Aisha»

Cortese, cordiale e dal tono deciso; così doveva essere una vera principessa.

Aisha... sembra il suono delle onde...

«Io... sono Bloom e...» strinse la mano, abbozzando poi un inchino.

L'altra rise di cuore, rassicurandola. «Non c'è bisogno di queste rimostranze, Bloom! Sono una ragazza proprio come te» fece, sincera.

La fulva annuì, sentendosi in imbarazzo. Perché quella splendida principessa le rivolgeva la parola? Faceva davvero così pena, vista da fuori?

«Conoscevi il principe Sky?» le domandò la nuova venuta.

Annuì. «Io ero...»

Che cos'era? Un'amica? Una fidanzata?

Forse non ero proprio nulla; è per questo che adesso c'è Diaspro, a piangerlo...

«...Ero una sua amica. Ci siamo conosciuti quest'anno per... delle amicizie in comune» spiegò. Amicizie in comune... quante volte ne aveva sentito parlare? La loro storia sembrava quasi quella di sedicenni qualunque che, proprio come succedeva a Gardenia, si sorridevano e poi si parlavano, si invitavano al ballo di fine anno ma poi non si mettevano insieme.

«E tu? Sei una sua parente?» le chiese, intenzionata ad evitare accuratamente la parentesi in cui avrebbe dovuto confessare che, se quel bel giovane giaceva in un letto di fiori, era a causa sua.

Aisha scosse la testa. «No, anzi... quasi non lo conoscevo. Avevo giocato con lui e un altro un paio di volte, quando eravamo piccoli. I nostri genitori dovevano discutere questioni che rientravano nell'interesse di entrambi i regni, e così finii per trascorrere un pomeriggio in compagnia del principe Sky e del suo fratello adottivo» raccontò. «Erano anni che non lo vedevo. Mi è dispiaciuto molto venire a sapere di questo»

Bloom lo immaginava, ma preferì non dire nulla. Quella ragazza sembrava forte e, in quel momento, tutto ciò che desiderava era un po' della sua forza.

Perché, come lei, non si era vestita di colori? Perché, come lei, non cercava di comunicare che la vita sarebbe andata avanti e che proprio quei colori lo confermavano?

«Ti va di mostrarmi la scuola?» domandò la principessa, ad un tratto. «Non ne ho mai avuto l'occasione, ma so che Alfea gode di un'ottima reputazione!»

Le venne da sorridere. Quell'emozione, di fronte all'ingresso di una scuola per fate, la rimandava a pochi mesi prima, a Varanda di Callisto e alla pizza; a Tecna, che la prendeva in giro per il suo stupido telefonino terrestre, e all'anello di Stella; alle Trix, ad Icy e alla pace che sperava potesse trovare ora.

Ma adesso Tecna era partita, Stella era costretta tra le file di Solaria e le altre sembravano scomparse in quel manto nero. Era rimasta sola?

Guidò Aisha per i corridoi alti, per le aule spaziose; le mostrò la biblioteca e le cucine. Arrivò poi ai dormitori, e l'altra era quasi incredula all'idea che gli studenti potessero riposare direttamente nell'istituto.

Le piaceva, il loro appartamento. Come vi mise piede, Kiko zampettò verso di lei, curioso; la principessa rise e ammise di sentirsi strana, di provare un senso di accoglienza... come si sentisse a casa sua.

Bloom le propose d'impulso di iscriversi lì, l'anno successivo. Subito dopo, pensò di aver avuto un'idea sciocca: perché mai una come lei avrebbe avuto bisogno di frequentare una scuola, quando poteva ricevere un'istruzione privata? Era così ingenua, a volte...

«Potrei farlo» valutò l'altra, sorprendendola. «Anche in un giorno triste come questo, Alfea sembra gioiosa»

Chissà; come avrebbe reagito, Aisha, sapendo la verità? Provò a confessargliela diverse volte.

Mentre camminavano, la fulva fu più volte sul punto di parlare, di ammettere che Sky era morto aspettando lei; ma era difficile, perché sembrava che la principessa già sapesse e che cercasse di distrarla dai sensi di colpa. Pareva capirla bene; quasi come facevano le sue amiche.

Eppure, le sue amiche proprio non si trovavano. Bloom aveva detto ad Icy che non era sola, che non lo sarebbe mai stata; lo aveva detto pensando alla propria esperienza, a ciò che aveva capito nel suo vagabondare.

Nessuno avrebbe potuto vivere da solo; e ora, nel momento in cui aveva più bisogno di loro, come la brava egoista che sapeva di essere, le sue amiche non c'erano.

Forse era giusto così, le sue amiche dovevano allontanarsi da lei. Sì, Stella poteva passare più tempo con il suo fidanzato e Flora sembrava aver trovato qualcosa di altrettanto bello e fresco.

Musa rifletteva e stava bene anche così, nonostante le occhiate che si scambiava con qualcuno; e Tecna non c'era e, dopo quel momento di condivisione, non aveva più menzionato l'argomento. Le altre due ragazze, Vera e Maria, non le erano così vicine ma, nonostante questo, anche la loro lontananza la turbava.

Bloom non voleva restare sola, ne aveva paura. Stando sola, avrebbe pensato e non doveva, non doveva affatto. Era egoista, ne era consapevole; ma come si poteva non cercare di distrarsi, quando si aveva su di sé il peso di svariate morti?

«Hey, Bloom» la voce di Aisha, l'ennesima persona che forse si sarebbe avvicinata un po' a lei e che poi l'avrebbe abbandonata. «Penso che quella ragazza stia cercando di venirti in contro»

Davvero?

Stella stava lottando con un gruppo di persone radunatesi intorno a suo padre, e guardava nella direzione delle ragazze.

Lei non mi abbandonerà, vero?

«Oh, Bloom» Musa e Flora la raggiunsero da un corridoio sotto il porticato. «Dov'eri finita? Ti stavamo cercando... ha telefonato Tecna. Sembra strano, detto da lei, ma si annoia senza di noi. Ti saluta»

Loro sono con me?

«Ah, ecco Vera... c'è anche Maria! Pensavo fosse tornata dai suoi genitori» fece la fata della musica, mettendosi in punta di piedi e sbracciandosi per salutare le due giovani. «Ma lei chi è?»

«Piacere di conoscervi. Mi chiamo Aisha» sorrise a ciascuna di loro. «Sono un'amica di Bloom»

Sul serio?

No, Bloom non era sola; non più.

Fino ad allora era riuscita a sopravvivere; ma adesso, adesso poteva iniziare a vivere.

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni europei > Winx / Vai alla pagina dell'autore: Applepagly