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Autore: ChrysTheElf    26/08/2016    0 recensioni
Quel dannato corridoio! Quindici minuti che girava in tondo, e sembrava essere sempre nello stesso punto. E chi l’aveva progettata quella scuola, Peter Griffin? Quel posto non aveva nessun senso!
Svoltando a sinistra per l’ennesima volta, vide finalmente qualcuno. Un ragazzo, probabilmente uno studente. Stava quasi per chiedergli aiuto, ma una volta vicina, si accorse che il tipo sembrava spaesato quanto lei. “Evviva!” pensò sarcastica “Primo giorno e già in ritardo. Almeno avrò un compagno di sventura.”
-Mi chiamo Kate Evans. Ma gradirei mi chiamassi solo K.-
-Oh, piacere! Io mi chiamo Leonard, Leonard Edison! Se preferisci puoi chiamarmi solo Leo, però!- Cavolo. Certo che quel tipo sembrava davvero entusiasta, per averla appena conosciuta. Doveva essere un sempliciotto, pensò K.
-Comunque- Riprese -Tu che tipo di magia usi?-
Genere: Avventura, Comico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucy Heartphilia, Natsu, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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E quindi guarda un po' chi è tornato! Sarà destinata a durare questa cosa? E chi lo sa, chi può dirlo! Nel frattempo... divertiamoci!

La spesa. Una noia assoluta, o almeno per lui. Il supermercato, peraltro era a venticinque minuti di cammino dall’albergo, e Mera aveva rotto un sacco dicendogli che per tre settimane non sarebbe valsa la pena noleggiare una macchina.
“E dov’è il problema?” Gli aveva chiesto Leo “Possiamo sempre rubarla!”, ma l’amico non aveva voluto sentire ragioni.
Almeno, tornando a casa si fermò a fare due chiacchiere con un fantasma che vagava per il cimitero, chiedendogli perché invece non volesse andare in Paradiso e, come si aspettava,saltò fuori che quello spirito  stava aspettando qualcuno. Leo decise che non era il caso di obbligarlo a lasciare questo mondo; in fondo non faceva male a nessuno, e prima o poi se ne sarebbe andato da solo.
Rientrato in albergo, una scena gli fece raggelare il sangue. I suoi amici in un angolo, parzialmente cementati al muro; la stanza totalmente in disordine, con cassetti rovesciati a terra e oggetti di ogni genere sparsi sul pavimento; tre ragazzi giacevano al suolo in stato di incoscienza, mentre altri tre girovagavano per la stanza in cerca di qualcosa. Si accorsero di lui non appena varcò la soglia.
-Hey! E tu chi sei, un loro compagno?!
Dall’altra parte della stanza, nell’angolo, K mormorò qualcosa.
-Leo... non...
Il cuore del ragazzo sembrò fermarsi alla sua vista: la maglietta lacera lasciava intravedere i graffi su entrambe le braccia; il piede sinistro stava piegato in una angolazione innaturale, come se la caviglia si fosse dimenticata quale fosse la posa corretta; un rivolo di sangue le scendeva dalla tempia destra lungo la guancia.
Tutti i sentimenti negativi di Leo si concentrarono in un unico punto a quella vista. L’odio per chi aveva fatto quello, la rabbia mai sfogata per la morte di Yupika, persino -non ne andava fiero- una strana invidia nei confronti dei suoi compagni. K poteva evocare un avatar d’acqua di sei metri; Mera scatenava cicloni tropicali e trombe d’aria al solo pensiero; persino Martina era in grado di rinchiudere una persona in una gabbia magica da cui era impossibile uscire. E lui? Finora non aveva fatto altro che evocare di tanto in tanto degli spiriti che combattessero al posto suo. Ma ora basta.
Urlò, e tutta la stanza esplose.
 
Quando rinvenne tre ore dopo, gli raccontarono com’era andata. Lui riusciva a ricordare solo degli sprazzi qua e là, tra cui la raccapricciante immagine di sé stesso che lanciava un urlo disumano.
Gli raccontarono che un esercito di scheletri era uscito dai muri e dal terreno, iniziando a distruggere qualsiasi cosa. Si erano fiondati addosso ai corpi a terra e a due dei tre ragazzi ancora in piedi, mentre con quello che gli aveva rivolto la parola appena entrato, se l’era presa lui personalmente. Gli dissero che gli aveva persino afferrato la faccia con una mano e l’aveva sollevato da terra, prima di rendersi conto di quel che stava facendo. Infine, si era girato verso di loro ed era svenuto. Quando ebbero finito di raccontarglielo, Leo si alzò e disse di dover prendere una boccata d’aria, e Mera si offrì di accompagnarlo.
Non appena furono fuori, Leo iniziò a parlargli.
-Non ricordo esattamente quello che è successo, vedo solo delle immagini ogni tanto. Ma una cosa mi rimane in testa: stavo perdendo il controllo. Gli scheletri stavano per uccidere quei ragazzi, e poi se la sarebbero presa con voi. Ma la cosa peggiore- Gli tremò la voce -La cosa peggiore è che...
-Ti stavi divertendo- Concluse Mera. Leo non si chiese come facesse a saperlo -Ti capisco, sai? La sensazione che si prova... sapere di poter togliere la vita con un solo gesto... E’... difficile combatterla. Tu come hai fatto a resistere?
-E’ stato merito di K. Lei mi ha guardato mentre sorridevo, mentre sorridevo al pensiero di uccidere quei ragazzi. Mi ha fissato negli occhi. Ma non era arrabbiata. Era delusa. Era spaventata. Da me.
Entrambi tacquero per qualche momento, mentre Leo cercava disperatamente di cacciar giù quelle lacrime che gli stavano bagnando gli occhi. Non ci riuscì.
-Volevi sapere come mi ero fatto quello cicatrice?- Chiese singhiozzando con la faccia coperta dalle mani.
-Leo, non sforzarti. Se non vuoi...
-No, va bene. È giusto che te lo dica adesso. Ha a che fare con quello che hai appena visto. Avevo sette anni- Singhiozzò di nuovo -All’epoca, la mia famiglia aveva una cameriera, a Filadelfia; si chiamava Madelene. La adoravo. Al contrario, mio nonno la odiava, forse perché non era americana ma francese, non lo so. Ma comunque sia, all’epoca mi allenavo nella negromanzia, non sapevo ancora controllare del tutto i miei poteri...
-Aspetta, fammi capire un momento- Lo interruppe Mera, scioccato -I tuoi facevano esercitare un bambino di sette anni nel controllo dei morti?!
-Non era così traumatico come sembra- Rispose l’americano asciugandosi le lacrime -Mio padre mi diceva di esercitarmi solo un paio di volte a settimana, e solo con scheletri di animali di piccola taglia. Diceva che farlo troppo spesso, o con cadaveri umani, avrebbe potuto portarmi alla pazzia. Ma, tornando a noi, avevamo questa cameriera. Un giorno mio nonno venne a trovarci- Fece una breve pausa mentre cercava di asciugarsi le lacrime -Non so cosa successe di preciso, Madelene doveva aver rotto un piatto o qualcosa del genere, e mio nonno diede di matto. In quel momento io ero di fuori ad esercitarmi, ma dalla finestra potevo vedere tutto. Vidi mio nonno che le dava uno schiaffo. Vidi il suo naso sanguinare. E persi la testa. Mi hanno raccontato che a quel punto avevo iniziato ad evocare scheletri a casaccio, che distrussero tutto e se la presero con chiunque trovassero davanti. Eccetto Madelene.
Mera rimase in silenzio per un momento, allibito dal racconto dell’amico -Quindi... è stato uno dei tuoi scheletri a procurarti quella cicatrice?
Leo annuì, massaggiandosi la spalla -Un cane, o almeno così mi hanno detto. Quella è stata la prima volta in cui mi sono reso conto dei miei veri poteri. E’ stato orribile.
L’aeromante non aggiunse niente. Che cosa poteva dirgli? “Ti capisco”? Non sarebbe stato vero. Come poteva capire come si fosse sentito un bambino che vedeva picchiata una persona a cui voleva bene e reagiva evocando un esercito di scheletri? Decise di stare in silenzio, mentre Leo si asciugava la faccia, appiccicosa per via delle lacrime.
-Stai bene?- Gli chiese titubante.
-Non ti preoccupare- Rispose l’americano -Sto bene. Torniamo dentro, adesso. E, ti prego- Aggiunse con occhi supplicanti -Non dire a nessuno quel che ti ho raccontato. Nemmeno a K. Glielo racconterò io quando sarò pronto.
-D’accordo. Non dirò nulla.

Eh eh... devo dire che un po' mi erano mancati questi maghetti. Sono contento di rivederli dopo tanto tempo. Ma come ho detto all'inizio... chissà!
   
 
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