Fanfic su artisti musicali > The GazettE
Segui la storia  |       
Autore: EmilyW14A    06/09/2016    3 recensioni
Succede spesso di convincerci che le persone ci guardano e critichino ogni singola cosa che facciamo, ma non è così. La verità è che gli esseri umani sono tutti perfettamente egoisti e non hanno tempo da dedicare agli altri, anche se si tratta di uno sconosciuto seduto nel sedile davanti sul treno. Noi ci convinciamo che gli altri passino il loro tempo a commentare i nostri abiti, i nostri capelli, i piercings, i tatuaggi, i nostri lineamenti, il nostro fisico; in realtà nessuno si sofferma veramente a giudicare cosa fanno gli altri. Nonostante ciò, in questo momento non riesco a togliermi di dosso la sensazione che tutti i passeggeri della metropolitana si siano accorti di quello che ho appena fatto e mi stiano fissando con sguardo indagatore. Cerco di darmi velocemente un contegno, sistemo la camicia e la giacca, e proseguo nel mio cammino. Controllo l'orologio e mi accorgo che tra meno di due ore devo iniziare il turno a lavoro. Decido di fermarmi qualche fermata prima per pranzare in un posto tranquillo. Ho bisogno di riflettere da solo su tutto quello che è appena successo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Reita, Ruki, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
II.








Guardo il mio riflesso allo specchio abbottonando l'ultimo bottone della camicia e mi sistemo i capelli alla meglio. Sempre così. Quando sono in ritardo i capelli non si pettinano mai nella maniera corretta. Cerco di sottometterli al potere della mia spazzola ma inutilmente. Ci provo altre due volte ma sembro proprio non avere successo. Opto alla fine per uno stile casual e così mi passo la mano tra il lungo ciuffo di capelli portandomelo all'indietro.
'Non sono poi così male' penso compiaciuto specchiandomi. 
Osservo il mio corpo coperto dalla stoffa degli abiti e mi accorgo dei risultati dell'ultimo mese passato in palestra. Da qualche anno ho iniziato ad allenarmi seriamente e ho messo su molta massa muscolare. All'inizio non notavo niente di strano, ma quando sono arrivato a dover cambiare la taglia delle mie camice mi sono reso conto che stavo facendo un ottimo lavoro. Adoro allenarmi e prendermi cura del mio corpo. Passo molte ore in palestra in sala attrezzi. Lavoro sui bicipiti, sui pettorali, gli addominali, i trapezi e i dorsali. Mi sono accorto col tempo che andare in palestra ha i suoi lati positivi: ascolti la musica mentre ti alleni, osservi gli uomini nudi sotto le docce degli spogliatoi e le persone si soffermano più facilmente a parlare con te se sei alto e muscoloso. Non mi considero un divo hollywoodiano ma ammetto di essere un bell'uomo. Il mio corpo è la mia casa, il mio tempio, e dedico gran parte della mia giornata a curarlo.
Me lo merito dopo tutto quello che è successo.
Corro in cucina e finisco di bere il mio caffè ormai freddo. Recupero le ultime cose e chiudo la borsa infilando dentro ogni tipo di cosa che possa servirmi per affrontare la giornata. Ritorno in cucina preparandomi un bicchiere di acqua abbondante. Ingoio due pasticche troppo amare e ingurgito molta acqua per non sentirne il sapore.
Esco di casa infilandomi gli auricolari nelle orecchie per non sentire il rumore della città appena sveglia. Le note di 'I Wanna Be Sedated'* mi risvegliano dal torpore e dal sonno. Mi dirigo veloce a prendere la metro. Alle 6.05 i treni sono affollatissimi e non c'è nemmeno spazio per respirare. Odio i luoghi dove ci sono molte persone, in particolare il giovedì mattina mentre sto andando a lavoro. Prendo il mio iPhone e controllo la mia posta elettronica mentre aspetto di scendere alla mia fermata. Mi accorgo di non aver ancora risposto a Kouyou che mi ha invitato ad una gita fuori porta per trascorrere un'intera giornata insieme. Gli rispondo velocemente e sovrappensiero chiedendogli quando sarà disponibile e se useremo le nostre moto.
Dopo poco scendo dal vagone e aumento il passo verso le scale mobili. Solo quando arrivo in superficie mi accorgo di essere estremamente in anticipo e così cammino per le strade di Ikebukuro perdendomi ad osservare qualche vetrina. Alla fine prediligo un altro caffè e così mi rintano in un piccolo ma accogliente Starbucks dove ordino un cappuccino extra large e un panino bello grosso.
Mi accomodo su una poltrona di pelle nera e osservo le notizie in prima pagina sul giornale ripiegato sul tavolino di fronte a me. Addento la mia colazione mentre osservo attentamente gli articoli di attualità. Ho molta fame e mangio spesso durante il giorno. Sono sempre stato un uomo goloso, ma a causa di tutte le medicine che ingurgito giornalmente sono costretto a mangiare più spesso di una persona normale. Le pasticche che mi hanno somministrato i medici sono molto forti e mi causano spesso un forte senso di fame e di spossatezza. Avere una malattia ha anche i suoi effetti positivi. Posso mangiare quanto mi pare e avere sempre un bel corpo.







È successo tutto otto anni fa. Avevo ventinove anni e avevo una vita tranquilla e spensierata. Avevo una fidanzata a quel tempo, le cose non stavano andando bene e infatti poco dopo che arrivò la notizia la lasciai. Un peso in meno.
Giocavo a calcio ed ero piuttosto bravino. Frequentavo un corso di pasticceria in un'accademia poco distante da casa mia e vivevo le mie giornate come ogni ragazzo di quell'età. Capitava troppo spesso che tornavo a casa da una partita con enormi lividi sul petto e sulle gambe. Chiazze così grosse da sembrare gli effetti di una violenta aggressione da parte di una bestia feroce. Capitava anche che tornassi a casa con tagli e ferite nonostante avessi passato quasi tutta la partita seduto in panchina. Spiegai la cosa a mia madre che mi consigliò immediatamente di lasciare il calcio prima che mi succedesse qualcosa di grave. Io ero contrariato ma ammisi a me stesso di sentirmi strano e che forse mia madre aveva ragione. Iniziai ad ammalarmi sempre più spesso. Una volta presi una bronchite in piena estate e fui costretto a letto per settimane. A quel punto decisi di farmi vedere da qualche dottore all'ospedale. Mi fecero molti esami e molte radiografie. Mi prelevarono il sangue e analizzarono ogni singolo fluido del mio corpo. Dopo numerosi accertamenti fui chiamato dall'ospedale con forte urgenza. Io mi presentai senza pensarci troppo su. I medici furono diretti e senza giri di parole mi dissero quello che avevano scoperto. Leucemia linfoblastica acuta. Ero malato da quasi un anno e le cellule tumorali si stavano diffondendo su gran parte del corpo. Mi sentii sprofondare e mancare il respiro in quel momento; penso che non lo scorderò mai. La dottoressa dai capelli castano ramato mi guardava con aria fredda e professionale. In fondo lei stava solo facendo il suo lavoro, mentre io sentivo la terra mancarmi sotto i piedi. In quel momento tutto svanì come in un sogno. Avrei voluto fermare il tempo e riflettere e forse cercare un qualche appiglio per non crollare. Ma cercai di farmi forza immediatamente e chiesi ai dottori cosa potessi fare. Mi suggerirono immediatamente una radioterapia: due sedute a settimana per tre mesi; se la cura avesse reagito bene allora avrei potuto iniziare a prendere altri medicinali meno potenti per il corpo ma altrettanto efficaci. Iniziai la cura il prima possibile. Non avevo tempo per piangermi addosso, nemmeno quello. Informai mia madre e mia sorella. Nessuno – a parte loro due – sapeva della malattia. Non volevo che si sapesse in giro né tantomeno che la gente mi fermasse a chiedermi come stavo. Solite frasi del cazzo da dire in certe circostanze perchè stare in silenzio è da maleducati e chiedere troppo è da impiccioni. Da quel momento imparai a chiudermi in me stesso. Non parlavo con nessuno ed uscivo solo per andare a fare la spesa o comprare qualcosa di urgente. Anche se avessi voluto non avrei avuto la forza di fare altro. Terminai il corso di pasticceria con un prestigioso attestato che per un po' sarebbe finito nel primo cassetto della scrivania perchè i medici mi dissero che non avrei potuto lavorare durante la terapia. Inizialmente non sentivo così tanto il peso delle cure, ma dopo qualche settimana mi accorsi che al termine di ogni seduta di radioterapia ero spossato e vivevo costantemente con la nausea e il mal di testa. Dopo quattro lunghi mesi di terapia le radiazioni terminarono, tuttavia mi somministrarono delle pasticche molto potenti da prendere ogni giorno. Dopo una lunga agonia il tumore si arrestò, ma il mio corpo era uscito sconfitto da quella lunga battaglia durata otto mesi. Le radiazioni avevano distrutto ogni cosa dentro di me.
“Signore, lei ha bisogno di un trapianto di midollo osseo” fu tutto quello che mi disse il dottore. Sarei riuscito ad affrontare anche questo? E perchè proprio a me? Ma soprattutto...perchè mi sentivo obbligato ad accettare? Non potevo semplicemente prendere una Smith&Wesson 686 e puntarmela alla tempia e bam! Sarei sparito per sempre. Riflettei molto in quel periodo. Avevo sopportato tanto e non ero sicuro di reggere un'operazione del genere. In quei momenti sentivo come se qualcuno mi avesse rapito e mi avesse nascosto in un casolare abbandonato e dimenticato da tutti. Ero stato rapito dalla mia famiglia, dalle mie amicizie, dal mio lavoro, dal mio sport preferito, dalle cose che amavo. Ero stato rapito dalla mia vita. La malattia mi aveva portato via tutto: le persone, i sogni, i progetti e la speranza. Mia madre mi disse di farmi forza. Lei non avrebbe potuto donarmi il midollo osseo a causa della sua salute precaria e mia sorella in quel periodo era incinta e non avrei mai voluto sottoporla ad un rischio del genere. In fondo perchè avrei dovuto egoisticamente approfittare di un altro essere umano per avere salva la vita? Nessuno ci aiuta. Tutti noi ci salviamo da soli.
I dottori cercarono di tranquillizzarmi ma io ero già tranquillo. Non provavo niente. Facevo solo quello che mi dicevano. Ascoltavo ed obbedivo.
“Se nessun componente della sua famiglia può aiutarla in questa cosa, temo proprio che l'unica cosa che le resta è la speranza signor Suzuki.” il dottore che mi rivolse quelle parole era un dottore giovane. Era nuovo, non lo avevo mai visto in giro. Tuttavia mi stava simpatico. Era sincero e mi fece capire che solo un miracolo mi avrebbe potuto salvare in quella situazione. I donatori di midollo compatibili sono molto rari e io non potevo certo essere baciato dalla fortuna. Sono sempre gli altri quelli più fortunati. Mi arresi e me ne tornai a casa, stanco di tutto, persino di me stesso.
Un giorno mi chiamarono dall'ospedale. Successe il miracolo. Avevano trovato un donatore. Mia madre pianse tutta la notte. Mia sorella mi raggiunse in ospedale alle 4 di mattina nonostante fosse stanca e con le occhiaie profonde sotto gli occhi.
L'operazione andò a buon fine e ne uscii più in forma di quanto mi aspettassi. Dopo pochi mesi ripresi la mia vita tranquilla. Mi era stata data una seconda chance, una seconda possibilità, un modo diverso di rinascere e andare avanti. Non potevo sprecare un secondo di tutto quello che qualcuno o qualcosa mi aveva donato.







Esco da Starbucks e mi dirigo verso il negozio. Cammino un paio di minuti a passo svelto lasciando la mente libera dai pensieri fino a che non vedo la scritta 'LOVELY DONUTS' darmi il buongiorno qualche metro sopra la mia testa. L'insegna rosa fluo è ancora spenta in quanto il negozio aprirà solo tra un paio di ore. Entro veloce dalla porta sul retro e corro a cambiarmi in camerino. Saluto Yuu, uno dei miei colleghi, mentre mi allaccio il grembiule dietro la schiena.
“Wow Suzuki, non è che hai esagerato un po' troppo con la palestra? Quella camicia si sta strappando a vista d'occhio!” esclama Yuu dandomi una pacca sulla spalla.
“Calma Shiroyama-san. Se hai capito che sono così forzuto, fossi in te non prenderei tutta questa confidenza.” dico ridendo.
“Oh capisco! Si trattano così i colleghi più vecchi?” mi sorride mentre ci dirigiamo in cucina. Yuu Shiroyama è uno dei colleghi con cui ho legato meglio. Anche se il nostro rapporto si basa spesso su battute sarcastiche e prese di giro continue, posso dire che mi piace la compagnia di Yuu. È un uomo a posto e mi regala sempre un po' di tranquillità. Non sembra una persona che si fa molti problemi e quando proprio è confuso, lo trovo nel cortile nel retro del negozio intento a fumare una sigaretta. Yuu è un uomo bellissimo per avere quasi quaranta anni: ha dei capelli neri lunghissimi sempre ordinati e pettinati in maniera impeccabile, è alto e ha un corpo asciutto e proporzionato. Ha anche delle bellissime mani e le sue dita sono magiche; non a caso è il migliore decoratore del nostro negozio. Ogni donuts, ogni cupcakes e ogni cioccolatino viene sempre accuratamente decorato da Yuu nel modo più perfetto possibile. Io e Masami, l'altra mia fedele collega, siamo due muratori in confronto alla raffinatezza che impiega Yuu in ogni piccola cosa che prepara.
Entro in cucina e mi guardo intorno. I colleghi dell'ultimo turno hanno lasciato tutto in splendido ordine. È quasi un peccato sporcare gli utensili e i piani cottura con zucchero, farina e glassa al cioccolato.
Mi metto immediatamente al lavoro. Prendo le uova dal frigo, il pesantissimo sacco di farina e anche quello di zucchero e inizio ad occuparmi delle solite mansioni che ormai compio meccanicamente da anni. Sbatto le uova in un grande recipiente, aggiungo la farina attentamente pesata, lo zucchero, il burro e il latte. Metto tutto ad impastare in un grande macchinario; nel mentre Yuu e Masami si occupano della crema, della panna e della glassa al cioccolato.
Dopo quasi due ore di lavoro inforno trecento muffin, ognuno nei rispettivi pirottini. Sistemo i vassoi nel forno e chiudo con uno slancio secco. Mi fermo ad osservare qualche minuto la cottura. Adoro perdermi in quei momenti in cui il composto cresce e lievita abbondantemente. Adoro l'odore di dolce appena sfornato, anche se ammetto che dopo tutto questo tempo che lavoro in pasticceria non sento più l'acquolina in bocca. Tuttavia la padrone del locale, la signora Wazuka, essendo a conoscenza della mia malattia mi ha dato ufficialmente il permesso di prendere un dolcetto ogni giorno a fine turno e di portarmelo a casa. Non vado matto per i dolci. Lo so, non ha molto senso, ma preferisco prepararli piuttosto che mangiarli. Preferisco una ciotola di ramen ad un vassoio di donuts; anche se preparare le ciambelle è un'arte così minuziosa e appagante che non è minimamente paragonabile al condire una zuppa calda con della pasta bollita.
Il negozio apre tutti i giorni alle 9 in punto e chiude alle 17.30 in punto. La signora Wazuka è così precisa che vuole la serranda abbassata alle 17.32. Un giorno capitarono due turiste che entrarono in orario di chiusura. Io e Yuu le servimmo senza troppi problemi. Ma alle cinque e mezzo erano ancora sedute al tavolino e non accennavano a volersene andare. La signora Wazuka ci tirò entrambi per le orecchie nel retro del bancone, ci fece una ramanzina così irritante e lunga che alla fine le due ragazze se ne andarono da sole. Una brava donna la signora Wazuka, ma molto, troppo, precisa.
Avendo iniziato con il turno della mattina, smetto di lavorare a mezzogiorno. Ripiego velocemente il mio grembiule e lo ripongo nel mio stretto ma ordinato armadietto. Saluto Yuu e Masami ed esco veloce dalla pasticceria. Non ho tempo da perdere.














* = canzone molto famosa della punk band Ramones.
~

Eccomi qua. Ho deciso di aggiornare così presto perchè ho visto che in solo due giorni ho raggiunto più di 100 lettori e quindi volevo fare una sorpresa a tutti quelli che si sono soffermati a leggere. Colgo l'occasione per ringraziare chiunque abbia letto, recensito, messo la storia tra le preferite. GRAZIE ♡ mi avete resa felicissima ;__; 
Beh che dire. Questo capitolo ci dice molte cose. Abbiamo scoperto qualcosa di molto importante sul passato di Akira e abbiamo iniziato a conoscere qualcosa della sua vita, del suo lavoro e delle sue relazioni sociali. Il nome della pasticceria, Lovely Donuts, è totalmente inventato, eppure mi piaceva troppo come suonava e così l'ho inserito nella storia. Come abbiamo visto Akira è un uomo molto ordinario, ha uno stile casual e vive una vita tranquilla. Tuttavia ha una grande passione per la musica punk proprio come il vero Reita. Nei prossimi capitoli scoprirete sempre più cose su di lui, ma soprattutto...la cosa più importante: dove sta andando così di fretta Akira? 

 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > The GazettE / Vai alla pagina dell'autore: EmilyW14A