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Autore: LoveLustHateDesire    09/09/2016    1 recensioni
"Quinn si passò una mano sulla viso, con un sospiro.
-Ho bisogno di un margarita.
-Oh, beh, okay. – Rispose lui, seguendola.
Quando furono seduti, l’uno davanti all’altra, lui decise di aprire bocca: - Mi ha chiesto di darti anche questa. – Le porse una busta, lei la prese e la mise nella borsa. –Credo che dovresti aprirla adesso."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Corcoran, Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray, Shelby Corcoran | Coppie: Puck/Quinn
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il sole splendeva alto.
Una mattina di maggio, il cielo terso, qualche nuvola, un vento debole, gli alberi in fiore, qualche petalo che cade per terra.
Quinn usciva dall’ultima lezione del mattino, con i libri tra le braccia e la risatina “alla Quinn”.
I capelli biondi, lunghi, brillavano sotto la luce del sole e si muovevano seguendo l’oscillare della sua testa mentre rideva. Indossava la solita gonna né troppo lunga né troppo corta e una camicia blu notte.
Lui la guardava da lontano con le mani nelle tasche, osservava il suo volto cambiare espressione ad ogni persona che le si avvicinava, osservava i ragazzi provarci con un’elegante discrezione e lei allontanarli con una discreta eleganza.
Parlavano una lingua, ma in realtà ne capivano un’altra.
Forse era per questo che Quinn funzionava così bene nel quadretto: lei era sempre stata così. Era nata per quell’ambiente. E lui era nato per pulire le piscine.
Semplice, lineare. Due linee parallele che non si incontreranno mai, fatta eccezione per una piscina sporca.
E allora perché era lì?
La sopracciglia di Quinn si aggrottarono, le labbra le si arricciarono a papera e la sua mano corse istintivamente al fianco. Lui sorrise beffardo.
L’aveva visto e, tipico di Quinn, gli stava andando incontro svogliatamente ma con decisione.
Arrivò davanti a lui, lo guardò per interminabili secondi, lui accennò una risatina e lei sospirò.
Si erano mollati pochi mesi prima, era evidente che tra loro non avrebbe mai funzionato, dopo tre anni di continui tira e molla, Quinn aveva preso la sua decisione, una scelta che avrebbe dato una svolta decisiva alla sua vita: chiudere con Noah Puckerman.
Quindi, ritrovarselo fra i piedi in un momento che tutto era, fuorché opportuno, non le andava molto a genio.
-Puck. Che ci fai qui?
-Devo darti una cosa da parte di Shelby. – Le rispose, mettendo la mano in tasca. Tirò fuori un test di gravidanza.
Quinn scosse la testa, come a dire che non capiva, ma sbiancò appena lui disse: - Non credevo che l’avessi conservato.
***
Incinta.
E’ il quarto maledettissimo test che provo e la barretta è sempre, inequivocabilmente, blu.
Merda.
Afferro il cellulare e digito il primo numero che mi viene in mente.
-Quinn?
Quando sento la sua voce, realizzo che non voglio che lo sappia. Realizzo che di Noah Puckerman non mi fido, che ho fatto una cazzata e che lui non lo deve sapere.
-Puck, perché mi hai chiamata?
-Eh? Ma che dici?
-Oh, ti sarà partita inavvertitamente una chiamata. Ci vediamo a scuola.
-Ehi, Fabray, non att.. – Premo il tasto rosso prima di poter sentire la sua voce chiedermi di non mettere giù e i miei occhi ricadono sul test.
Il telefono squilla, ma lo sento lontano, lontanissimo, quasi fossi in una bolla.
Mi accarezzo il ventre, ma appena capisco che quello è istinto materno ritraggo la mano, spaventata.
Stupida, stupida, stupida. Con Noah Puckerman?! Fra le tante persone, con Noah Puckerman?
Ma dove avevo la testa?
Nella mia mente si delinea un piano perfetto.
Abortisco.
Non lo viene a sapere nessuno.
L’incontro con Puck cade nel dimenticatoio.
Sposo Finn.
Perfetto. Peccato che Puckerman non sembri essere dello stesso parere.
-Cosa c’è? – Dico scocciata, rispondendo al telefono.
-Mi è partita inavvertitamente una chiamata? Ma davvero? Avanti, Quinn…
-Quando mai ho avuto bisogno di te io, eh? Cosa c’è adesso, ti faccio pena? No, Puckerman, ti ho detto che ti è partita inavvertitamente una chiamata? E allora ti è partita inavvertitamente una chiamata. Punto.
-Ehi, ma che hai? Stai bene?
-Ciao Puck. – Dico, lanciando il cellulare per terra e scoppiando in un pianto isterico.
Fanculo.
La mia vita perfetta, il mio ragazzo perfetto, la mia famiglia perfetta, il mio nasino perfetto, i miei capelli perfetti, i miei voti perfetti. Non è servito a niente!
Una vita all’insegna della popolarità e del non fare casini e poi?
E poi ti ritrovi a dover condividere il ventre con una cellula metà tua e metà di Noah Puckerman.
Che cosa imbarazzante.
Porto in grembo il discendente di Noah Puckerman, oh mio Dio.
Che poi come lo potrei spiegare a Finn?
“Mi sentivo grassa ed ero ubriaca, il tuo migliore amico mi ha fatto due complimenti e siamo finiti a letto”?
No, non è andata esattamente così.
Butto tre dei quattro test di gravidanza e corro in camera, poso il primo test nel cassetto del comodino, lo chiudo a chiave e scendo a cena.
***
Quinn si passò una mano sulla viso, con un sospiro.
-Ho bisogno di un margarita.
-Oh, beh, okay. – Rispose lui, seguendola.
Quando furono seduti, l’uno davanti all’altra, lui decise di aprire bocca: - Mi ha chiesto di darti anche questa. – Le porse una busta, lei la prese e la mise nella borsa. –Credo che dovresti aprirla adesso.
Il cameriere portò il margarita e il bourbon, li posò sul tavolo e lei ne bevve avidamente un paio di sorsi.
Frugò nella borsa e ne estrasse la busta bianca. Piccola, di una carta ruvida, apparentemente grezza, ma in realtà di quelle che costano davvero tanto.
La sfiorò con un dito, disegnandoci dei piccoli cerchi.
Lui la osservava, curioso di scoprire quando avrebbe trovato realmente il coraggio di aprirla, e si dipinse un sorriso sul suo viso, piccolo, appena accennato, ma lei se ne accorse e lo fulminò con lo sguardo.
Uno sguardo talmente cattivo, fulmineo e istantaneo che il sorriso gli si congelò sulla faccia trasformandosi in una smorfia.
Improvvisamente, espirò e l’aprì. Ne tirò fuori una foto. La guardò, e sorrise. Non uno dei soliti sorrisi di Quinn, quelli falsi, fatti per apparenza. Era molto meno appariscente, molto più dolce, una dolcezza che avrebbe fatto sciogliere chiunque, una dolcezza delicata che non vuole mostrarsi, quasi fosse timida.
-Ha i tuoi capelli. I tuoi occhi. La tua determinazione. E’ una piccola Quinn Fabray.
-No, non è una piccola Quinn Fabray. E’ Beth. – Disse, sovrappensiero, e Noah si stupì per la sua spontaneità. Lei continuò a osservare la foto, quasi volesse consumarla con gli occhi, -Dio, com’è cresciuta.
-La terza parola che ha detto è stata Puck. – Disse lui, in un impeto di sincerità improvvisa. Lei ne rimase ferita e intenerita al contempo. Alzò gli occhi verso di lui e lo guardò, uno sguardo indecifrabile, probabilmente cattivo, ma era troppo stupita da tutto per mantenerlo a lungo. – Vai da lei regolarmente?
-Una volta alla settimana. Sono solo due ore di auto.
Svuotò il bicchiere di margarita e si portò le braccia al petto, chiedendosi se davvero c’era voluta una bambina col suo sangue nelle vene per far smuovere Puck dal divano: - Bene, ora dammi il test di gravidanza, e puoi andartene.
-Veramente ero venuto per chiederti di venire con me alla sua festa di compleanno.
-No.  – Rispose, immediatamente.
-Sai oggi che giorno è?
-Sì.
-Quindi, vieni con me alla sua festa di compleanno. Ci saranno tante piccole bambole, bambine vestite di rosa, Beth riderà.. Vieni con me.
-No. – Disse, abbassando lo sguardo sulla foto della bambina.
 
Shelby aveva pensato proprio a tutto. Aveva acquistato una casa lontana dalla città, con un sacco di camere e un giardino ampio. E un’altalena, uno scivolo, un tavolino per prendere il the con i peluches.
-Ma in che secolo crede che siamo? – Sussurrò Quinn.
Puck rise e corse a bussare alla porta.
-Oh, Noah, sono contenta che tu.. Quinn. – Disse, facendo cadere uno striscione che stava aprendo dal celofan.
-Ciao Shelby. Posso? – Chiese lei, entrando in casa prima ancora che la donna le desse il consenso. – Posso aiutarti?
Lei rimase a guardarla, attonita.
L’ultima volta che l’aveva vista aveva provato a farle portare via la bambina e, d’istinto, il suo sguardo corse a Beth, che era sul divano a guardare i cartoni animati.
-Tanti auguri, piccola! – Esclamò Puck, sedendosi accanto a lei. La immobilizzò e cominciò a farle il solletico.
Quinn guardò la scena, la immortalò nella sua testa e un sorriso triste le si disegnò in viso.
-Puoi andare, sei vuoi. – Shelby si chiese dove avesse trovato la forza di pronunciarla, quella frase, ma decise di passarci sopra. Era una ragazzina, allora.
-Beth, ti presento Quinn, una mia amica. – Disse Puck, prendendola in braccio. La bambina gli sussurrò all’orecchio, con il fare di chi sta per chiedere qualcosa di importante: - E’ la tua fidanzata?
-Quinn, sei la mia fidanzata?
-Ma certo. – Rispose lei, sedendosi di fianco a lui e dandogli un bacio sulla guancia, con una naturalezza tale che lasciò Shelby a bocca aperta.
Puck e Quinn aiutarono Shelby ad agghindare a festa il giardino: festoni rosa, piattini rosa, bicchieri rosa, tovaglioli rosa, e, qualche minuto prima che scattasse l’orario d’inizio, la donna si accorse che tutto era perfetto, tranne Beth che era ancora in pigiama, con i capelli biondissimi in disordine e una macchia di cioccolato vicino all’angolo sinistro della bocca.
-Quinn, vuoi pensarci tu?
Gli occhioni verdi della ragazza si posarono prima su Beth, poi su Shelby e infine su Puck che annuì sorridendo. Tese la mano alla bambina e si lasciò guidare fino in camera sua, dove fu chiaro che era perfettamente autonoma. Corse in bagno, prese uno sgabellino, vi si arrampicò su e si lavò la faccia. Quinn, intanto, si guardò intorno e i suoi occhi incrociarono una foto, in ospedale. Una Beth appena nata, un Noah Puckerman con la cresta seduto sul letto d’ospedale, dove una Quinn Fabray da poco sedicenne rideva guardando il ragazzo che faceva le smorfie alla bambina. Era sudata, stanca, e Noah la guardava, con un’espressione quasi sognante. Si chiese cosa sarebbe successo se lei, all’epoca, si fosse accorta di come lui la guardava. “Probabilmente l’avrei baciato.” Pensò, ma poi capì che non l’avrebbe fatto in nessun caso: lei voleva Finn. O meglio, il suo obiettivo era Finn, se fosse stata sincera avrebbe ammesso che non si era mai soffermata su cosa volesse davvero. Non l’aveva mai fatto.
La foto era posta in alto, di sicuro la bambina non l’aveva mai vista, ma Shelby aveva voluto appenderla ad un chiodo nella sua cameretta. Istintivamente, sperò che Beth un giorno la vedesse e provasse a cercarla. Poi realizzò che non avrebbe saputo come affrontare la situazione e finse di non aver pensato nulla.
Rimase per parecchio tempo a fissare quella foto, non sapeva neanche che gliel’avessero scattata.. Puckerman bussò alla porta, lei non lo sentì neanche e quando lui la vide guardare quella foto, si avvicinò a lei e le cinse un fianco con un braccio.
-Che fai, Puck?- Chiese lei, allontanandosi.
-Ehi, sei la mia ragazza, ricordi?
Lei tacque e si lasciò abbracciare.
Beth uscì dal bagno e corse in camera dove aprì l’armadio e prese un fiabesco vestitino rosa, pieno di perline e brillantini. – Vi piace? – chiese a Puck e Quinn.
-E’ bellissimo! – Esclamò lei, battendo un paio di volte le mani e sollevandola per farla sedere sul letto.
Una volta vestita, fu il turno dei capelli. Quinn la pettinò con delicatezza, e le intrecciò i capelli come sua madre faceva con lei da bambina. Gli occhioni verdi di Beth si rimirarono i capelli acconciati come aveva visto solo nei cartoni animati allo specchio.
-Sembri una principessa.
-Cenerentola.
-Ma certo, sembri Cenerentola. – si corresse, accarezzandole la schiena.
 
Qualche ora dopo, Noah vide Quinn appoggiata ad un muro che guardava Beth prendere il the servito da Shelby con le sue amiche.
-Ehi bellezza.
Lei si voltò e cominciò a camminare verso un’altalena che aveva visto di sfuggita al suo arrivo. Il ragazzo la seguì. Si sedette e cominciò a dondolarsi delicatamente.
-Sai che penso? – Disse, rompendo il silenzio.
-Cosa pensi?
-Che neanche Jackie Daniels le sarebbe stato male come nome.
-Un nome da rockstar. – Disse lui ridendo.
-Teatralità. – Sussurrò lei, ricordandosi quella settimana al Glee club.
Aveva girato per la scuola vestita di rosa con delle ciglia finte lunghe almeno dieci centimetri e Puck.. Puck le aveva fatto capire che non era sola. Lo guardò per qualche istante, cercando di ritrovare in lui l’eco del Noah Puckerman con cui aveva dato vita alla piccola Beth.
In quel momento Puck si voltò verso di lei.
-Puck! Quinn! Volete fare una foto con Beth? – Il richiamo di Shelby li riportò alla realtà, corsero verso la bambina e si misero in posa.
Quinn si sentiva maledettamente fuori luogo in quella posizione, sorridente, la bambina seduta sulle sue ginocchia e lei stessa seduta sulle ginocchia di Puck. Come se fosse stato tutto veramente al posto giusto. Lo era mai stato? Solo adesso, Quinn si rendeva conto che lì, in quell’immagine, non c’era nulla di giusto.
Avrebbe tanto voluto che lo fosse, ma lei aveva abbandonato Beth, aveva detto a Puck cose che di peggiori non se ne sarebbero potute dire e, ciliegina sulla torta, aveva provato a far perdere a Shelby la patria potestà sulla bambina. Quindi no, non c’era nulla di giusto in quell’immagine.
Eppure, Quinn non riusciva a trovare la forza di rompere quell’idillio. Perché un po’ avrebbe voluto crederci.
La ragazza rimise Beth con i piedini per terra e lei corse verso le sue amiche.
-Si sta facendo tardi e io domani ho lezione. Puck mi accompagni?
-Oh no, tu resti qui ancora un po’.
Quinn lo guardò a lungo e male. Molto male. Lui prese a correre per scappare via, lei lo inseguì.
Corsero per interi minuti per il grande giardino della casa di Shelby.
Poi lui cominciò a correre all’indietro, per prenderla in giro. –Vedessi che capelli hai adesso..!
-Non avresti dovuto dirlo.. – Disse lei, accelerando improvvisamente, con il risultato di cadergli addosso.
In un istante, il tempo si fermò.
-Riusciremo mai a baciarci in santa pace? – Disse lui.
-Sono fidanzata.
-Non sarebbe la prima volta.. – Sussurrò lui, azzerando le distanze tra loro.
-Intendi dire che sono una facile?! – Disse lei, appena le labbra di Noah Puckerman si furono posate sulle sue. Rotolò per terra accanto a lui e balzò in piedi. –Allora? Avanti, rispondi!
Lui si alzò sospirando.
-Intendo dire che devi tapparti la bocca e lasciare che io ti baci in pace.
-Ti ho detto che sono fidanzata.
-Ti ho fatto ampiamente capire che per me non è un problema. – Disse lui, camminandole incontro, come per farla indietreggiare. Raggiunsero un posto nascosto.
Quinn lo guardò con disapprovazione, lui rise. Proprio come era successo all’inizio di quella giornata.
-Com’è il tuo ragazzo?
-E’ alto, intelligente, serio, ricco.. Con i soldi del divorzio potrei vivere per tutta la vita come una regina.
-E si arrabbierebbe se sapesse di tutto questo?
-Non sa neanche di Beth, quindi evita altri sopralluoghi inopportuni.
-Se non glielo dici tu, non glielo dirà nessuno. Ora posso baciarti in santa pace?
-Non sono sicura che.. – E lui la baciò.
Non se lo aspettava, non era nel suo stile cedere alla spregiudicata corte di Noah Puckerman, ma sembrava tutto così.. così.
Sembrava giusto, sembravano giuste le sue mani che passavano sotto la maglietta e le sfioravano la pelle che non toccavano da tanto tempo. Sembravano giuste le sue dita che tracciavano il contorno dei suoi addominali scolpiti. Sembrava tutto.. come le era sembrato cinque anni prima. Semplicemente privo di errori. Lui che le baciava il collo così delicatamente, lei che provava a far finta che non le importasse, ma che in realtà se avesse smesso non glielo avrebbe perdonato.
Tutto come cinque anni prima. 


Eccoci qua!
Pubblico presto il secondo capitolo della storia non per fretta ma perché penso che, per come l'ho scritto, sia un crescendo.
Spero vi piaccia, non abbiate remore a recensire!
Beatrice

 
  
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