Film > Star Wars
Segui la storia  |       
Autore: Arva    14/09/2016    0 recensioni
Torus, un giovane mandaloriano che "di giorno" fa l'armaiolo e il mercenario, nel tempo libero si diletta nell'esplorare asteroidi e durante una spedizione in quel del campo di Vergesso fa una scoperta che lo costringerà, molto probabilmente suo malgrado, a riallacciare legami che pensava di avere seppellito da tempo.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Breve premessa!
Intanto, questo è il primo capitolo in cui intervengo “personalmente” quindi “Yay” per me per essere riuscito ad arrivare fin qui senza averne bisogno xD
Come immagiuino abbiate avuto modo di leggere negli episodi precedenti, la piega che Torus sta prendendo non è un gran che: triste, depresso, mani che prudono, etc. E’ un piagnone? Orpo che sì! Ma, d’altronde, tutti prima o poi bisogna passare da quella fase.
 

Intanto, vorrei lanciare un avvertimento a chi è molto sensibile, chi somatizza, chi è un bacchettone, insomma, avete capito: in questo capitolo, finalmente, si picchia. Da dungeon master prima e da aspirante scrittore poi, quando scrivo o descrivo di risse, botte, morti e, in generale, violenza tendo a farlo in modo molto grafico, senza troppi veli e, soprattutto, cerco di essere il più verosimile possibile.
Si spezzano ossa, aprono arterie, fratturano spine dorsali, etc, il tutto segnato da un comune denominatore: il senso.

 

Durante i conflitti di cui scrivo, il mio scopo non è essere splatter, perché quello sarebbe fin troppo facile (oltre che, a mio avviso, poco elegante, ma questa è una mia opinione); cerco, piuttosto, di essere clinico e mi rendo conto che sia un approccio che non a tutti piaccia, ad alcuni dia fastidio e ad altri semplicemente faccia accapponare la pelle. Se siete lettori a cui piace un livello basso di violenza in ciò che legge, allora questo capitolo potrebbe non fare per voi, dato che è da qui che la storia prende il rating arancione (ero addirittura tentato di metterlo rosso).

 

Seconda cosa, se fino a ora non fosse sembrato chiaro, quella mandaloriana è una cultura che ha un rapporto molto strumentale con la guerra e, più in generale, la violenza: non la incoraggia quando non è necessaria, ma sa che quando serve, serve e bisogna essere in grado di dare il massimo anche lì. Riporto le loro opinioni, non necessariamente le mie, sono temi delicati e appunto per questo ne scrivo: per capire.

Spero di avere fatto una pappardella eliotropica per nulla, ma non si sa mai xD



 

§ ° §

 

Con lo scatto di un fulmine scagliato dallo stesso Kad Ha’rangir nell’Akaanati’kar’oya, la Guerra della Vita e della Morte, Torus aveva preso il volo, alzato in aria dalla possente spinta di tre volte la forza gravitazionale locale, per angolare verso la barricata la traiettoria nel suo punto di massima altezza.
Accompagnato dagli scarichi del gravpack, fiamme azzurre e spettrali dovute all’assenza di carburante liquido di un più comune jetpack, e dal suo vibrare come una vespa impazzita come volesse affondare le zanne nei nemici del suo padrone, il mandaloriano era piombato sullo zabrak con la forza di un maglio idraulico.

 

In barba a tutto, aveva deciso: non aveva senso continuare a combattere una battaglia interiore che lo avrebbe logorato e lasciato poi scoperto per quella che invece stava per infuriare fuori da sé. Tanto valeva risolvere quel conflitto inutile per poi dedicarne le energie a quello vero, quello nella strada, a farlo finire prima; così aveva divinato dallo stormire frenetico delle foglie di veshok che si agitavano in preda alla frenesia della guerra nel sottofondo della sua coscienza.
Eppure, nonostante tutto, quel poco che era rimasto di lui sentiva di avere fatto una concessione di troppo a Darasuum, la stagnazione, l’eternità. Non era riuscito a continuare a combattere la vera battaglia, quella per l’anima di guerriero, e si era ritirato lasciando che altri la conducessero al suo posto.

 

Aveva così tanto bisogno di uccidere… di disperdere quel calore tossico che si stava accumulando dentro di lui e, soprattutto, di scaricare la rabbia che sentiva insinuarsi nel suo cuore per il fallimento; doveva buttare fuori.
Aveva bisogno di una Crociata.

 

Sentì, come se il tempo avesse rallentato e ogni suono fosse filtrato da quattro elmi uno sopra l’altro, lo sparo ovattato del fucile blaster del nero accompagnato dal lampo rossastro della canna e da un improvviso quanto sorprendentemente lontano impulso doloroso alla gamba sinistra prima di avvertire contatto sotto la mano meccanica.
Sentì che incontrava resistenza, prima morbida, poi più rigida sebbene sempre leggermente flessibile, che però non fu abbastanza: cedette con lo schiocco dell’osso che si spezza, seguita dalla familiare sensazione di affondare in una ciotola di gelatina mentre una serie vagamente regolare di punte più o meno affilate grattavano sulla blindatura esterna dell’avambraccio.

 

Quando effettivamente guardò ciò che aveva appena fatto, si vide con il pugno chiuso affondato fino al polso nel cranio dello zabrak, il corpo dell’alieno percorso da un ultimo attacco di convulsioni dovute alla violazione così veloce del suo centro nervoso che aveva mandato in corto l’intero corpo, l’espressione mista fra sorpresa, terrore e l’asettica indifferenza della morte. Sentì anche, Torus, questa volta interiormente, le vibrazioni dei servomotori interni alla spalla meccanica che assorbivano e disperdevano la forza inversa che, se avesse avuto ancora il suo braccio organico, avrebbe dovuto semplicemente sfondargli tutte le articolazioni fino all’attaccatura dell’omero e forse oltre.
L’altro, quello ancora buono, era aggrappato al parapetto dal quale erano stati apostrofati mentre si puntellava con le gambe; quel poco di raziocinio che era rimasto in lui gli urlava a piena voce di togliersi subito da una posizione così esposta prima che gli altri razziatori reagissero, eppure per qualche istante si trovò a contemplare l’idea di non dargli ascolto e indulgere ancora qualche momento nei propri bisogni.

 

Estrasse la mano cercando di non toccare la materia grigia che colava dal buco che vi aveva aperto all’altezza delle tempie, osservando però con sorpreso distacco il proprio operato: non era contento di ciò che aveva fatto, non ne traeva godimento, e almeno quello faceva sperare in bene quella piccola vocina che cercava disperatamente di aggrapparsi a qualunque cosa per guadagnare un appiglio e tornare a combattere Darasuum.
Si sentiva leggermente meno peggio, se aveva senso un pensiero del genere: un pochino meno pieno di bile e rabbia tossica; da quello a sentirsi bene, tuttavia, passavano mari e galassie.

 

Rapido come aveva attaccato, al punto quasi da non riuscire a tenere consciamente traccia dei propri movimenti, estrasse la corta lama da combattimento che teneva assicurata all’altezza dell’osso sacro e diede un’altra spinta col gravpack, stavolta indietro, per atterrare in mezzo ai due rodiani.
Il primo si ritrovò con mezzo metro di duracciaio vibrante affondato parallelamente alla spina dorsale partendo dal cranio per arrivare direttamente a un polmone e, a giudicare dalla velocità con cui era stato percorso dallo spasmo della morte, almeno un’arteria. Torus non aveva nemmeno sentito ossa e carne opporre resistenza alla vibrolama, poco erano protetti.

 

Il secondo, invece, non era stato altrettanto fortunato: per qualche fortunata coincidenza era riuscito a gettarsi a pesce da un lato sfuggendo al gomito corazzato che gli avrebbe probabilmente accartocciato la spina dorsale non tanto per la forza del proprietario, solo leggermente maggiore della media, ma per l’altezza della caduta accelerata. Il mandaloriano si limitò a degnarlo di uno sguardo fugace intanto che la sua mente entrava nella disposizione della macchina da guerra, riconosceva l’impossibilità di prenderlo senza esporsi troppo e puntava all’umano senza un altro pensiero. Se non era stato ucciso subito, il rodiano superstite sarebbe solamente morto più stanco del consanguineo.

 

L’umano pallido, invece, era riuscito a riprendersi dallo shock iniziale e gli stava correndo contro come un gamorreano caricherebbe un rivale durante uno dei loro patetici duelli di presupposto onore.
Era completamente esposto a un eventuale fuoco di risposta, ma la distanza era talmente poca che travolse Torus con la forza di una valanga, costringendolo con le spalle al muro entro poche frazioni di secondo; il mandaloriano non aveva idea di come avesse fatto ad avere anche il minimo sentore di ciò che sarebbe successo di lì a poco, perché si trovò con le suole degli stivali ben piantate contro la barricata, il corpo parallelo alla strada intanto che cercava di opporsi alla massa titanica dell’umano che, invece, cercava di schiacciarlo contro la costruzione di scarti. Nonostante anni sul campo e come artigiano lo avessero dotato di una discreta muscolatura a propria volta, era abbastanza lucido da sapere di non potere competere con quella insensatamente sviluppata di quel colosso, che con tutta probabilità era un gladiatore nelle fosse ancora più giù.

Non aveva alcuna possibilità contro impianti cibernetici ai limiti dell’illegale e cocktail di droghe e stimolanti da combattimento tali da uccidere dopo pochi usi, così accese nuovamente il gravpack per darsi quella ventina di chili di spinta in più che gli servivano per rovesciare la situazione.

 

Assordato dalle urla stridenti delle piastre antigravitazionali poste sotto stress ben maggiore di quello per cui fossero tarate e inondato dal dolore dei pistoni del braccio meccanico che a malapena riuscivano a non slittare nel lubrificante e sfondare l’intera struttura interna tanto era lo sforzo a cui erano sottoposti, si lasciò sfuggire un ruggito di sofferenza e muta rabbia mentre notava con cupa soddisfazione di stare gradualmente arrivando a una posizione di vantaggio.
Fu in quel momento che, finalmente, si sentì vivo: stava sudando per ottenere qualcosa, stava rischiando per arrivare a un risultato e per un breve momento era stato in una posizione sottomessa, ma non più.
Con uno sforzo titanico che era sicuro gli avrebbe spezzato le spalle, riuscì ad aprire le braccia all’avversario, portandogliele ai fianchi, mentre un’altra voce interiore, il tono tronfio e arrogante di un tiranno che assiste gongolante alla sconfitta del campione nemico per opera del proprio, gli diceva di continuare, di non opporre resistenza alla fisica.

 

Fu lì, che la ragione riuscì a prendere per qualche istante il controllo, riuscendo a fargli urlare nei confini claustrofobici del buy’ce il comando giusto per aumentare la spinta oramai al limite del gravpack e angolare la traiettoria dell’elmo perché il suo intero corpo, oramai privo di ostacoli a trattenerlo, sfrecciasse in avanti investendo con la furia di un treno in corsa la parte alta del tronco dell’umano.
Non sentì nemmeno il rumore dell’osso del collo che si spezzava, solo lo spostamento d’aria della propria massa che, accelerata a velocità che non voleva sapere, spingeva quella oramai inerte del proprio ultimo nemico per ciò che gli parve almeno una dozzina di metri in avanti.

 

Quando riuscì a rialzarsi, si sentiva come se un masso di almeno sette quintali gli fosse caduto sul cranio in un doposbornia di rum corelliano con pestaggio, rallentato, farraginoso e indebolito.
A malapena gli era possibile muoversi, risalire in piedi, come accompagnato dalla risata di scherno di Hod Haran, la fortuna ingannevole; sapeva che c’era qualcosa che non andava, sia fuori che dentro di sé, sentiva il retrogusto di bile in bocca intanto che constatava di essere apparentemente ritornato in controllo delle proprie facoltà.

Non capiva cosa fosse successo, ma era sicuro sul fatto che non gli piacesse, al che gli occhi gli caddero sull’ultimo membro rimasto della banda di predoni: la twi’lek rossa, tenuta sotto minaccia dalla spada laser verde di Ko’Lun che improvvisamente doveva avere tirato fuori gli artigli mentre Torus era impegnato nel proprio massacro.

 

La ragazza, inginocchiata con le mani dietro la testa a un lato del marciapiede, era un cumulo di tremori, gemiti di paura e terrore: poteva sentire il suo vento che faceva fremere all’impazzata le foglie dei veshok intorno a sé.
L’unica reazione che ebbe fu pena per la povera creatura, talmente impaurita da non riuscire nemmeno ad aprire bocca per formulare parole coerenti… non avrebbe avuto senso ucciderla: aveva già fatto abbastanza cose strane e si sentiva stranamente spossato.

 

“Lasciala andare, ragazzino… non ci è di alcun uso morta.”

 

Con cautela, sebbene stranamente non apparisse spaventato, il togruta fece segno alla twi’lek di andarsene, probabilmente mosso a pietà anche dalla parentela fra le due razze, e si avvicinò con aria seria al mandaloriano prendendolo per un braccio e attirandolo a sé.
Torus si sentiva indebolito e vuoto al punto da non riuscire a opporre resistenza.

 

“Calas, ascoltami.”

 

L’armaiolo chiamò a sé quante più energie poteva per opporsi alla scelta del nome, ma la sua anima sembrava non rispondere.

 

“Hai idea di cosa hai appena fatto?!”

 

Torus scosse la testa.

 

“Onestamente? Ori’e Mand’alor’e, no!”

 

Ed era tutto vero: per lui era stato come essere sbattuti in un corpo che agiva per conto proprio senza dare minimamente retta a ciò che avrebbe dovuto controllarlo. Ko’Lun, tuttavia, pareva sapere qualcosa che a lui era negata, perché lo vide annuire pensieroso quando gli ebbe risposto.

 

“Forse ho un’idea, ma prima mi servono dati in più. Da quanto tempo hai smesso di percepire la Forza?”

 

Nonostante Torus avesse una vaga idea di dove volesse andare a parare, era troppo confuso per seguire attivamente il ragionamento del padawan… o di preoccuparsi di come facesse ad avere un intuito così affilato.

 

“Da qualche mese, dopo che ho avuto l’incidente dove ho perso il braccio… perché?”

 

Il togruta annuì nuovamente, lanciato nel proprio ragionamento; fosse stato in condizioni migliori, Torus avrebbe quasi potuto vedere gli ingranaggi della sua mente macinare.

 

“Come è avvenuto?”

 

Sprofondando con un gemito di stanchezza misto a dolore su un cumulo di rottami e detriti, il mandaloriano si tolse l’elmo per guardarlo in volto, esausto anche per dare il comando al visore di ripulirsi dal sangue e la materia grigia.

 

“Una taglia mi fece crollare una fermata del treno magnetico addosso, lasciandomi laggiù sotterrato per almeno un paio di giorni.”

 

C’erano cose che, tuttavia, anche nel triste stato in cui versava in quel momento non poteva non dimenticare: si erano marchiate così a fondo nella sua anima che semplicemente non riusciva a fare altrimenti.

 

“Ricordo di avere fatto incubi dopo l’esplosione, in cui affrontavo un guerriero con l’armatura verde avendo a disposizione solo il braccio sinistro e nessun’arma. Non so quanto sia durata, ma non ho mai preso legnate così forti da quando sono nato, alla fine.”

 

Infine, con un altro sforzo che gli parve titanico, riuscì ad arrivare fin dentro l’elmo e premere il pulsante della polarizzazione tergicristallo, che semplicemente fece scivolare via lo sporco dal vetro antiblaster.

 

“Il verde è il colore che associate al dovere, vero?”

 

Torus annuì, segretamente sorpreso che un nayc’manda, un non mandaloriano, al Tempio si fosse preso la briga di studiarli anche solo in parte.

“E ha vinto lui… e quando ti sei svegliato?”

 

“Non sentivo più Kot… la Forza. Ero in una stanza di ospedale, a Keldabe, credo. C’erano Torque e sua figlia sedute in corridoio ed è entrato il medico per i controlli di routine. Mi vuoi dire cosa ti passa per la testa o devo garantire per te ai servizi segreti?”

 

Ko’Lun parve sorridere al complimento nemmeno tanto velato, per poi decidere di gettare la maschera e giocare a carte scoperte: aveva abbastanza informazioni da riuscire a mettere insieme un quadro coerente… e altrettanto interessante, se ciò che rimaneva un sospetto era accurato.

 

“Durante il coma, hai usato la tua connessione con la Forza per rimanere vivo, anche se per fare questo l’hai consumata: per tenerti su, il tuo spirito ha combattuto una battaglia tale che lo ha lasciato prosciugato di ogni energia, per così dire. Quando hai scoperto il frammento dell’holocron, invece, è come se un fiume deviato avesse riscoperto un proprio letto passato, finendo per scorrerci nuovamente; deve avere catalizzato una qualche reazione che ti ha ‘riacceso’, se mi passi il termine.”

 

Torus gli rivolse uno sguardo sommamente confuso: non era settimana di certezze, quella.

 

“E ciò come si connette con ora?”

 

“Dato che sei passato da svariate situazioni di forte squilibrio, ho il sospetto che la tua connessione con la Forza abbia bisogno di assimilarne entrambi i lati per stabilizzarsi. Prima è come se tu avessi assorbito il Lato Oscuro, subendone una sorta di overdose.”

 

Il mandaloriano lo squadrò per qualche secondo, i suoi neuroni che con estrema lentezza iniziavano a carburare a propria volta. Detestava ammetterlo, ma il discorso stava in piedi.

 

“Mi stai dando del tossico, ragazzino?”

 

Scosse subito la testa, ridendo di sé stesso e della propria reazione.


“Certo che sì… è quello che è successo, in fondo. Ho… fallito.”

 

L’espressione del padawan parve addolcirsi mentre si sedeva accanto a lui.

 

“No, hai semplicemente mosso il primo passo di una serie necessaria che dovrebbe riportarti all’equilibrio. Non sai quanti Cavalieri e Maestri ci passano e non si rialzano più: tu, invece, adesso, sei ancora qui e ciò non è poco.”

 

Torus si rialzò di scatto, sebbene fosse evidente che il suo spirito e il suo corpo non ne fossero in grado; si rimise l’elmo, riprese la propria lama dalla strada e diede un’ultima controllata alla mappa.

 

“Andiamo. Meno stiamo in questo covo di feccia, meglio mi sento.”

 

Lasciandolo andare avanti, Ko’Lun ascoltava la Forza intorno a lui: non sentiva rabbia, non prevalente, ma paura e dolore. Sentiva vergogna nei confronti della ragazza coi capelli blu e una bambina bionda di non più di dodici anni.

 

Torus aveva anche perso una battaglia, ma la guerra per la sua anima era ancora tutta da combattersi e il giovane togruta non riusciva a togliersi di dosso la sensazione di essere a malapena un agente di un potere ben maggiore, un osservatore.

 

Aveva sospetti su quale sarebbe stato il ruolo di quella guerra nei giorni a venire e, se da un lato era contento per l’effetto sul mandaloriano, dall’altro era preoccupato di vedere un altro guerriero soccombere.

 

Note di commiato!

Bene, dame e gentilalieni, questo era l’ultimo capitolo di Giù per il tubo, anche se la storia del (mica tanto) buon Torus, della sua variopinta collega e del (davvero) buon Ko’Lun è lungi dall’essere finita ;) ci vorrà un po’, ma alla fine continuerà!

 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Star Wars / Vai alla pagina dell'autore: Arva