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Autore: Mignon    05/10/2016    3 recensioni
«Qualcuno non vede l’ora di sposarti» disse Pansy a mezza voce, «stiamo aspettando te per cominciare».
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Bisogna tornare indietro nella memoria per capire ciò che si è diventati; e in alcuni casi dimenticare tutto.
Draco ha sempre sottovalutato i ricordi, li ha sempre temuti.
Harry ne conosce la potenza, li rispetta. Li rispettava.
Harry ha sempre sentito di Auror che parlavano del "caso della vita", quel caso seguito che in fondo, la vita, davvero te la cambia; lui pensava di averlo già vissuto combattendo Voldemort, forse si sbagliava.
Come se non bastasse questi due ragazzi dovranno rivedere il significato delle loro azioni: ne discuteranno, ne litigheranno, ne faranno il loro vessillo d'orgoglio. E si ameranno, nella semplicità.
Ma l'amore non è mai a lieto fine per chi smette di crederci.
Alcuni si arrendono e voltano le spalle alla bellezza, e per cosa? Per timore? Per senso di inadeguatezza?
Forse se lo stanno ancora chiedendo.
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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Hogwarts stava per diventare un ricordo, certamente un pezzo di storia importante. Gli esami erano finiti e quel diploma, preso per amore di un’amica, era ormai nella sua tasca.
E il mondo non gli faceva più paura di così.
La guerra era stata un valido motivo per restare vivo, tutto era scandito dalle azioni già calcolate e decise da altri, servitegli su un piatto d’argento, bisognose solo di essere messe in pratica. In quel momento però Harry Potter era sperduto. La sua vita normale cominciava in quel momento; la sua come quella di tutti gli altri studenti intorno a lui.
Sapeva cosa avrebbe fatto uscito di lì, tutti lo sapevano e se lo aspettavano come si fa con la nebbia in autunno. L’accademia di Auror aveva già le porte aperte per lui.
Si girò un’ultima volta verso quelle mura ricostruite sulle anime e sul sangue dei caduti. Lo poteva sentire chiunque mettesse piede nel castello: la morte lo aveva reso più forte, più vivo.
Mentre i suoi occhi vagavano per l’ultima volta intorno al perimetro, scrutando i dettagli che sperava gli restassero per sempre nella memoria di eterno studente, si incuriosì nel trovare Draco Malfoy fare la stessa cosa.
Ciò gli suscitò una lieve risatina nervosa.
«Si sta ammattendo. La sua sanità mentale è durata fin troppo» sentenziò Ron, dando una leggera gomitata ad una Hermione impegnata a ricontrollare se tutti i suoi preziosi libri erano nel baule. Alle parole di Weasley la ragazza alzò gli occhi al cielo, pestando il piede al fidanzato: «Ronald».
Harry non li stava guardando, ma sorrise.
Si girò velocemente verso di loro «Adesso arrivo» disse con una certa urgenza nella voce.
Nessuno gli chiese dove stava andando. Non c’erano più pericoli.
Camminava con lentezza, calcolando quanti passi lo dividevano dal ragazzo biondo in parte al sentiero. Tutti ormai conoscevano la grandezza e la potenza di Potter: questo gli permetteva di agire come uno sprovveduto in ogni situazione.
«Sfregiato, ti sento respirare».
«Ti dispiace che sia ancora in grado di farlo?».
Gli occhi di Malfoy si posarono su di lui, con il solito sopracciglio alzato, e Harry si sentì quasi fortunato di avere la possibilità di guardarli ancora una volta.
Averlo salvato, avergli dato un’altra opportunità permettendogli di far vedere a quegli stessi occhi gelidi come il mondo desiderasse cambiare, era un piccolo traguardo che sentiva di aver raggiunto. Più per se stesso che per Malfoy.
«Cosa vuoi? Dovremmo continuare ad ignorare di esistere l’uno per l’altro. Quindi te lo richiedo, di grazia, che cosa vuoi Potter?» le parole erano lente e prive di qualsivoglia emozione.
Ma Harry non aveva perso ancora l’innocenza dei ragazzini spensierati, aveva lottato per tutta la sua vita per non perdere se stesso. Così, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se la guerra non fosse mai esistita e loro due non avessero mai fatto parte di fazioni opposte: sorrise.
«Niente». E se ne andò, ancora allegro, con più leggerezza.
 
L’adulto Harry Potter si svegliò al suono della sveglia incantata, uno degli utili regali di Hermione. Spense l’aggeggio con la mano, mentre con l’altra si stropicciava gli occhi.
Il sogno lo aveva confuso un po’. Quel ricordo era seppellito nella sua mente da anni ormai ed era buffo come la sua mente decidesse di fargli tornare alla memoria le cose più disparate.
Si alzò per andare verso il bagno e con sé portò un po’ di quell’allegria che aveva contraddistinto quell’ultimo giorno di scuola di quasi sei anni addietro.
 
Quella mattina aveva avuto un inizio quasi da manuale. Forse era la sua giornata.
Hermione gli aveva messo in testa quella strana storia: chiunque, almeno una volta nella sua vita, vivrà la sua giornata. In cui ogni cosa andrà per il verso giusto. In poche parole una normale bella giornata.
Per Harry era tutta questione di fortuna, ma che male c’era nel crederci?
Così non si meravigliò quando l’orologio attaccato alla parete della cucina di Grimmauld Place gli disse di fare pure con calma e di gustarsi la colazione «È stranamente in anticipo, Harry Potter».
«Grazie Clock» disse, rivolgendosi all’ennesimo regalo di Hermione. Quando in una delle cene a casa sua aveva chiamato per nome l’aggeggio incantato, Hermione gli chiese più volte che senso avesse chiamare “Clock” un orologio, fortunatamente Ron era dalla sua parte – «Geniale» aveva commentato l’amico­ – e Harry dovette passare l’ora successiva a sentire i due ragazzi litigare perché «Questa cosa non ha senso. Ronald». Tutto sommato era stato come tornare alle cene in Sala Grande.
Quella stessa mattina l’orologio, emozionato per il ringraziamento da parte di quell’umano sempre troppo di corsa perché lo guardasse, prese a cantare una strana melodia dettata dal ticchettio delle lancette.
Harry uscì di casa fischiettando quelle note, non prima di aver salutato calorosamente Kreacher.
Camminare per strada non era mai stato così piacevole, l’aria era umida, satura dell’imminente pioggia, ma le strade erano sgombre e la temperatura quasi sopportabile per essere la fine di novembre. Poté assaporare i rumori lontani dei bambini che attendevano l’arrivo dello scuolabus, il suono delle foglie umide sotto gli pneumatici delle auto in corsa. Aveva quasi voglia di sorridere. Guardò l’ennesimo orologio, regalato anche questo da Hermione, durante il periodo in cui era ossessionata dal tempo, e stufa dei continui ritardi Harry. Decise che era arrivato il momento di andare in ufficio; si infilò in una piccola via a pochi metri da un bar dove c'era un uomo che stava sistemando i tavoli per il servizio. Pochi secondi dopo all’ignaro Babbano era sembrato di aver sentito un piccolo crac in lontananza.
Decise di utlizzare l’entrata per gli ospiti per evitare la confusione, entrò nella cabina telefonica e inserì il codice, mentre la voce metallica gli dava il consueto buongiorno e benvenuto, il pavimento cominciò a scendere e in ben che non si dica si ritrovò al Ministero.
Non gli era capitato spesso di trovarsi a quell’ora nel grande palazzo, spesso e volentieri doveva far infuriare Shacklebolt per convincerlo ad aprire il passaggio della Metropolvere tra il camino di casa sua e quello del suo ufficio per evitare di tardare più del solito.
Ancora prima di trovare quella soluzione gli capitò, accidentalmente, di essersi Materializzato direttamente in ufficio, rompendo tutte le barriere e gli incantesimi del Ministero. Quel giorno pensò di dover assistere alla prematura morte del suo capo.
Ora, con Hermione Ministro della Magia, gli incantesimi di protezione si rivelarono anche a prova del grande Harry Potter.
Strizzò appena gli occhi quando vide proprio la sua amica che procedeva a passo spedito verso di lui, con quel cipiglio preoccupato che riservava solo per le grandi occasioni.
«Harry! Cos’è successo?» gli passò la mano sulla fronte, girandogli intorno per controllare che avesse ancora tutti gli arti attaccati al posto giusto. Harry provò ad aprire la bocca per ribattere ma lei era più svelta. «Oh mio dio, è Ron? Che gli è successo? Harry! È successo qualcosa a Teddy? Ginny sta bene? Harry parla!».
«Hermione, se smettessi di scuotermi, forse potrei dirti che stanno tutti bene e non è successo nulla. Perché una persona non può venire al lavoro tranquillamente?» rispose un po’ infastidito.
Questo non sembrò calmarla, però la fece tornare in sé e si ricompose, sistemando la gonna e allontanandosi dall’amico permettendogli di ricominciare a camminare verso gli ascensori.
«Oh» restò appena qualche secondo con la bocca aperta. «Allora che ci fai qui?».
«Sono il Salvatore del Mondo Magico e sono qui per compiere il mio dovere di Auror, Hermione».
L’ironia di Harry la fece rilassare, poi un pensiero le balenò nella mente; sembrava quasi decisa a lasciarselo sfuggire quando strabuzzò leggermente gli occhi e toccò di nuovo la tempia di Harry con fare materno, come per controllare se il suo amico fosse febbricitante.
«Sei in anticipo!» disse sollevata. «Oggi non riceverò nessuna visita di Shacklebolt. Grazie Harry, mi hai risparmiato un’ora di lamentele».
Harry alzò le spalle, guardò Hermione che aveva prontamente aperto l’agenda e stava segnando qualche altro nuovo impegno. «Vuoi un caffè?» chiese, deviando la strada verso il piccolo bar all’entrata.
«No, vai pure. Io devo tornare in ufficio. Ricordati della riunione Harry. Ci vediamo dopo!» non fece tempo a ribattere, l’ultima immagine che vide era l’angolo della tunica del Ministro che scompariva dentro ad un ascensore.
 
Quel giorno tutti sembravano preoccupati e si sentivano in dovere di osservare Harry per essere sicuri che stesse bene, così scelse di mettersi in un angolo del grande bancone di marmo, cercando di stare lontano da occhi troppo curiosi e sorpresi di vederlo lì.
Era forse la seconda volta che entrava in quel bar, fatto costruire da Hermione l’anno prima. La prima volta era stata all’inaugurazione.
Il barista gli servì il caffè e mentre girava distrattamente le pagine della Gazzetta del Profeta, qualcuno si mise vicino a lui.
«Harry!» la voce di Seamus gli fece distogliere l’attenzione dalla rubrica di Pansy Parkinson. La ragazza si era messa a scrivere per il giornale un paio d’anni dopo la faine della guerra, con un certo successo. La sua rubrica di consigli trattava gli argomenti più disparati, mantenendo toni schietti e ironici. In puro stile Serpeverde. A Harry non dispiaceva e in alcune occasione si era trovato a ridacchiare per le risposte della ragazza. «Pronto per questa giornata?» chiese il compagno.
«Ehi Seamus» rispose, allungandogli una pacca amichevole sulla spalla. «A che ora è la riunione?» chiese, un po’ preso dall’ansia. Chi l’avrebbe sentita Hermione se avesse tardato proprio quel giorno?
«Alle dieci in punto nella camera vicino all’Ufficio Misteri» rispose il ragazzo, togliendosi delle briciole dalla divisa. «Abbiamo il tempo di sistemare le carte dell’ultimo caso. Ieri sera il Capo ha mandato un gufo per ricordarmelo. Mi ha espressamente chiesto di obbligarti a finire il lavoro oggi» ridacchio.
Harry non poté far altro che annuire e allontanare la spiacevole sensazione di avere Shacklebolt con il fiato sul collo e la sua bacchetta puntata alle spalle. Era meglio mettersi al lavoro.
Chiuse il giornale, pagò e si allontanò con il collega.
 
L’ufficio era al buio, le finestre incantate erano chiuse, come prima cosa entrambi i ragazzi agitarono le bacchette per far entrare un po’ di luce nella stanza, gli occhi di Potter si spostarono sulla sua scrivania e gli si drizzarono i capelli.
Il tavolo era pieno di fogli sparsi, cartelle aperte e file che andavo riordinati per permettere agli archivisti di catalogare tutto.
Seamus lo guardò con comprensione e un briciolo di tenerezza, poi andò a sedersi alla sua scrivania, di fronte a quella di Harry, per cominciare a firmare l’altra metà dei documenti. Per un attimo ad Harry mancò Hogwarts e la bellissima sensazione che gli dava il pensiero dell’aiuto di Hermione quando aveva dei compiti che non aveva assolutamente la forza di cominciare. Forse avrebbe preferito scrivere un tema di cinquanta centimetri sul Distillato della Morte Vivente.
Chiuse gli occhi e ripensò all’inizio da manuale di quella mattina, così si rimboccò le maniche e dopo circa due ore tutto il lavoro era terminato, arretrati compresi. Forse la storia di Hermione aveva un qualche fondamento di verità.
Quando il capo entrò nel loro ufficio e vide tutti quei fascicoli ordinati quasi si emozionò, guardò la scena per qualche secondo per imprimersela nella memoria e con un grande sorriso salutò la coppia di colleghi.
«Potter, Finnigan. È arrivata l’ora della riunione, andiamo. Su, su svelti».
Così, seguito dai due suoi Auror si incamminò verso gli ascensori, in testa a loro, con passo spedito e l’orgoglio sulle spalle.
Anche per oggi Harry aveva fatto la sua buona azione.
 
Il nono livello gli procurava ancora qualche sussulto e dei brividi non molto piacevoli. Dopo l’esperienza nella Stanza delle Profezie cercava in tutti i modi di evitare il più possibile quel piano. Purtroppo per lui Hermione aveva scelto proprio quel posto per adibirlo a sala riunioni degli Auror; a passo spedito e testa alta uscì dall’ascensore appena le porte metalliche si aprirono davanti ai suoi occhi e seguì Kingsley dentro la stanza prendendo posto in una delle prime file.
Attorno a lui tante voci concitate si chiedevano di quale noioso argomento avrebbero dovuto discutere, altri rileggevano l’ordine del giorno per provare ai primi che tutto ciò che dicevano era solo una perdita di tempo perché avrebbero dovuto leggere la lettera inviata dal Ministro. La sala era spaziosa, qualche incantesimo era stato piazzato per renderla più grande e far entrare tutte quelle panche che potessero accogliere tutti gli Auror chiamati a presenziare.
Alle pareti erano state appese le foto dei dirigenti, dei capi del Dipartimento e in cima a tutto troneggiava la foto di Shacklebolt; nella parete di fronte ad Harry la foto di Malocchio, di Tonks, dei genitori di Neville e le facce degli Auror sconosciuti caduti per mano di Voldemort, lo scrutavano con aria solenne.
Il brusio della stanza s’interruppe quando Hermione fece il suo ingresso e si mise accanto a Shacklebolt che l’aspettava dietro la scrivania. Appoggiò le mani al tavolo di legno e diede inizio alla riunione.
«Buongiorno a tutti» la sua voce tradiva una certa urgenza e i suoi occhi cercavano quelli di Harry con preoccupazione. «Buttate pure l’ordine del giorno: abbiamo un affare più grande da risolvere». Harry sapeva che tra tutti i grandi maghi in quella stanza l’unica persona che avrebbe voluto al suo fianco per combattere di nuovo era proprio Hermione e il suo fidanzato. In pochissimi casi l’aveva vista in balia del panico, una tra quelle era stato in onore della sua nomina come Ministro, un anno fa. La ragazza non aveva mai dato peso ai commenti poco amichevoli e in alcuni casi offensivi sul suo stato di sangue, ma essere nominata l’avrebbe messa di nuovo sotto i riflettori, avrebbe dovuto mettersi a nudo di fronte ad obiettivi e infime penne prendiappunti pronte a cambiare le sue parole in base alla corrente di pensiero del giornalista. La sera in cui scoprì di essere nella rosa dei candidati avevano appena finito di cenare a casa dei Weasley. Lui e Ron ebbero bisogno di tutta la notte per convincerla a non rifiutare.
«Il nostro uomo si è rifatto vivo. Un’ora fa un nostro informatore ci ha riportato delle voci di strada. Si mormora che l’Obliviatore sia tornato in pista, che abbia trovato una tana sicura dove rifugiarsi, proprio qui a Londra. Ho allertato i Goblin e il Primo Ministro Babbano, ci terremo in contatto per discutere di altre possibili tracce. Appena tornerete in ufficio troverete un fascicolo aggiornato. Ogni qualvolta riceverò un’informazione, questa verrà aggiunta al file così che tutti possiate vederla». I suoi occhi si posarono nuovamente su Harry, lui annuì leggermente sentendosi di nuovo un ragazzino in compagnia sua e di Ron, nel caldo della Sala Grande. Hermione parve leggergli nel pensiero, annuì di rimando e riprese a parlare. «Leggete il fascicolo, dovrete essere tutti informati sul caso, ma sul campo voglio solo le squadre che già si sono occupate di lui; gli altri continueranno a seguire i loro casi. Se ci sarà bisogno di voi Kingsley saprà bene cosa fare».
La sala si rianimò, gli agenti più anziani uscirono di corsa dalla stanza, salutando con un cenno del capo Hermione ma con l’unico pensiero di rimettersi al più presto al lavoro. Le reclute cercavano speranzosi di ricevere altre indicazioni da qualcuno più in alto di loro, appuntando qualche parola qua e là sui loro taccuini, o sfogliando le pagine alla ricerca di qualche aiuto nascosto agli angoli delle pagine.
Harry si girò verso il suo compagno. Lui e Finnigan lavoravano insieme da tre anni; dopo la fine dell’accademia Shacklebolt li aveva mandati subito nella mischia. I loro risultati erano stati talmente soddisfacenti da lasciar passare inosservati il carattere e il temperamento un po’ troppo temerario di Harry.
Entrambi si avvicinarono al grande tavolo di legno scuro su cui i loro due capi avevano appoggiato un enorme fascicolo che sfogliavano a colpi di bacchetta.
«Potter, Finnigan. Ci vediamo nel mio ufficio. C’è bisogno di fare il punto della situazione» la voce profonda risuonò nelle orecchie di Harry. Il grande uomo fece educatamente segno di passare ad Hermione e scomparì insieme a lei dietro la porta, verso il corridoio illuminato.
 
L’ufficio dell’Auror era estremamente ordinato, ad una prima occhiata poteva sembrare quasi asettico, ma avvicinandosi alla scrivania si potevano notare una grande quantità di foto sugli scaffali addossati ai muri. In quell’ufficio faceva timidamente capolino una parte della vita di Kingsley Shacklebolt.
Hermione si era accomodata su una poltrona foderata di tessuto beige e non avendo mai perso l’abitudine di stringere a sé un libro teneva sulle gambe il grande fascicolo di poco prima.
Harry e Seamus occuparono un posto sulle poltrone accanto a lei che, nel mentre, tornava a sedersi composta.
«Allora… è tornato» cominciò Seamus, scambiandosi un’occhiata con Harry che finì la frase al suo posto «Avete avvisato Molly e Arthur?» chiese.
Hermione mosse nervosamente la gamba e annuì «Ho mandato un gufo a Ron, parleremo con loro non appena finito qui» disse infine. Shacklebolt continuava a dividere delle lettere in due grossi cumuli, attento a leggere ogni parola e prendere qualche appunto, con la sua grafia piccola e ordinata. Il capo degli Auror attese che Hermione finisse di parlare e si rivolse ai due agenti.
«È stato visto dalle parti di Nocturne Alley. Pensiamo stia bazzicando nelle zone della Londra Babbana vicino al Paiolo Magico. Ho bisogno di voi due di nuovo sul campo. Non vogliamo che si ripeta qualcosa di simile alla scorsa volta. Voglio solo delle persone qualificate su questo caso» disse grave. Poi puntò gli occhi scuri in quelli di Hermione «E nessun tipo di aiuto dal Ministero». Hermione abbassò la testa e cominciò a martoriare l’angolo di un foglio che teneva tra le mani.
«Spiegatemi il caso» disse il capo ai due ragazzi. Era una pratica ormai consueta per gli agenti. Shacklebolt voleva che tutti i suoi Auror conoscessero perfettamente il caso su cui erano impegnati.
«Agisce perlopiù durante la notte, non ci sono mai stati avvistamenti durante le ore di luce. Lavora da solo, sappiamo che padroneggia bene la Trasfigurazione umana e per questo non sappiamo che volto abbia precisamente. L’unico particolare sembra essere una grossa cicatrice sul viso, vicino al mento che non riesce a camuffare mai completamente» rispose Seamus. Harry sapeva che il collega aveva una grandissima capacità di memorizzare le informazioni e i particolari, cosa che si rivelava molto utile nel lavoro, ma quel particolare caso lo conosceva bene anche lui.
«Incanta le vittime e cancella ogni loro ricordo. Sembra che ne conservi alcuni; non ne abbiamo la conferma e non sappiamo neppure cosa potrebbe farne. Lo pensiamo perché sono state trovate delle ampolle vuote in uno dei posti in cui abbiamo ricondotto uno di primi attacchi. Gli abbiamo attribuito almeno cinque persone, ma stiamo ancora controllando i registri del San Mungo per controllare qualche caso analogo magari sfuggito». Le vittime non avevano niente in comune, non si conoscevano, il loro unico errore era stato quello di combattere una guerra. Quello era l’unico collegamento che avevano tra loro: aver fatto parte di qualche squadra, di qualche esercito durante la lotta contro Voldemort.
Il primo che avevano trovato era stato un Auror ormai in pensione. La seconda vittima era una ragazza poco più grande di Harry, ex studente di Hogwarts, il terzo era un Goblin.
Cercarono di trovare dei collegamenti con il Ministero, avevano indagato su alcuni impiegati, ma la pista si era rivelata infruttuosa. L’Obliviatore seguiva i loro progressi, questo gli Auror lo avevano capito, ma rischiò comunque di farsi catturare, e da quel momento cominciò ad essere più cauto e attento.
Per trovare l’ultima vittima erano passati dei mesi, in quel caso si trattava della figlia di un funzionario del Ministero che passava tutte le informazioni che poteva all’Ordine della Fenice.
Harry le aveva viste quelle povere vittime. Era stato al San Mungo, voleva essere sicuro di aver provato ogni cosa; era stato avvertito dai medimaghi che sarebbe stato difficile se non impossibile chiedere informazioni ai loro pazienti. Li aveva visti e li ricordava perfettamente: non erano più persone. Tutto era stato cancellato dalla loro mente, tutta la loro vita, il loro essere. Non ricordavano il loro nome, non riuscivano a parlare, a camminare, avevano dimenticato tutto. Se ne stavano distesi nel letto, con gli occhi aperti – Harry si chiedeva se riuscissero a vedere – senza capire cosa stava succedendo. Dimenticandosi di essere vivi.
Quelle stanze di ospedale, tutte quelle macchine e quei tubi che li tenevano in vita fecero parte dei sogni di Potter in modo molto vivido per molto tempo.
Harry prese parola. «Non è mai stato violento, fino a nove mesi fa, alla quinta vittima, che coincide con la sua scomparsa dai giochi, fino ad oggi almeno» si fermò per riprendere poco dopo. «A lui si attribuiscono il rapimento e l’omicidio di Percy Weasley».
Hermione emise un piccolo sbuffo come se avesse trattenuto il respiro fino a quel preciso momento. Harry fece in modo di non lasciarsi influenzare e riprese a parlare senza far trapelare nulla dalla sua voce. «Il 5 gennaio a casa Weasley è stato recapitato un pacco anonimo. All’interno c’erano la bacchetta di Percy e la sua tunica del Ministero macchiata di sangue. Un pezzo di pergamena riportava la scritta…».
«“Chi sarà il prossimo?”» recitò a bassa voce Hermione, terminando la frase di Harry. Teneva una mano davanti al volto, l’altra era stretta a pugno. Si lasciò cadere sulla poltrona, sospirando.
«Me lo ricordo come se fosse ieri, quel giorno» nessuno pensò che servisse aggiungere qualcosa.
L’aria era tesa, un velo di tristezza era sceso sulle spalle di tutti i presenti. Nella mente di Harry ed Hermione c’erano scolpite le lacrime e le urla di Molly, gli occhi sgranati di Arthur e l’incredibile compostezza dei fratelli. Ginny prese per un po’ le redini dell’intera famiglia, si era trasferita di nuovo alla tana, aiutava Hermione a tenere a bada Ron e non smetteva mai di essere presente per Harry. La loro storia continuava a rilento, ma resisteva. Ron si buttò a capofitto sul lavoro, aiutando Fred ad aprire altri negozi in alcuni villaggi di maghi, senza pronunciare mai più il nome di quel fratello perduto per la seconda volta.
In quel periodo Harry capì come quella famiglia fosse ormai legata indissolubilmente alla morte, e promise a se stesso di fare il possibile per alleviare le pene delle sue persone preferite.
Il silenzio regnava da alcuni minuti, quando bussarono alla porta. Un Auror chiese di parlare con il capo, così lui uscì e lasciò i tre da soli. Rientrò poco dopo nell’ufficio stagliandosi di fronte ai suoi due agenti. «Dovete andare. Vi voglio subito sul campo. Ci sono strani movimenti, sembra che il nostro uomo abbia voglia di rimettersi in gioco. Andate, vi daranno tutte le informazioni» disse con compostezza e una luce negli occhi tipica di chi riesce ancora a sperare.
Seamus fu il primo a congedarsi, mentre Harry si trattenne quel poco in più di tempo per tenere la mano di Hermione, come una tacita promessa.
«Stai attento Harry». Fece per rispondere quando dalla porta entrarono Ron e Ginny, accompagnati dai genitori. Molly Weasley andò ad abbracciare il ragazzo, prima di cominciare una dolorosa discussione con Shacklebolt. Harry si avvicinò a Ginny e le posò un bacio sulla fronte, incontrò i suoi occhi che capirono senza bisogno di una parola.
Harry era già lontano mentre lei sussurrava un lento ti prego, fai attenzione.
 
Si Materializzarono nel vicolo accanto ad una banca, a pochi isolati dall’indirizzo che gli aveva comunicato poco prima l’Auror a cui era arrivata la soffiata.
Vestiti in abiti Babbani, i due ragazzi presero a camminare in mezzo alla folla, in modo naturale, ma con la bacchetta pronta ad essere sfoderata in qualsiasi momento.
La giornata era tornata limpida e la temperatura si era un po’ rialzata rispetto alla mattina, allontanando il pericolo di pioggia. Gli Auror guardavano attorno, fingendosi interessati alle vetrine, continuando nella loro solita farsa di quando dovevano lavorare nel mondo Babbano.
Parlavano dell’ultima partita di basket o football, inventandosi famiglie che sarebbero esistite solo per la durata della missione.
Stavano per arrivare al punto indicato dal pezzo di pergamena quando delle urla accompagnarono un grosso boato; in un attimo una fiumana di persone correva verso di loro, in preda al panico, calpestando la strada e tutto ciò che si poteva trovare sotto alle loro scarpe. Harry e Seamus si trovarono costretti a lanciare incantesimi di protezione per salvare donne e ragazzi che urlavano e rischiavano di cadere a terra per la massa di corpi che continuava a farsi spazio per la via.
Corsero verso il punto dall’altra parte della strada in cui era scoppiato un incendio che cercava di inghiottirsi un negozio lì accanto. In lontananza si sentivano le sirene della polizia e dei vigili del fuoco e Seamus si limitò a compiere un gesto con la bacchetta per limitare l’agire del fuoco e non farlo rinforzare, dopodiché seguì il compagno verso i vicoli lì accanto.
«L’ho visto Seamus, sono sicuro che fosse lui» disse Harry con il fiato corto. «Andiamo».
Seamus sapeva di non poter far altro che fidarsi del compagno, del suo istinto. Seguirono il percorso del vicolo stretto che Harry aveva imboccato, nel rumore della gente si poteva distinguere il suono dell’acqua che domava l’incendio. Il vociare della gente diminuiva ad ogni passo che si permettevano di fare solo dopo aver controllato che la via fosse completamente libera.
Seamus andò in testa al compagno, sapevano coordinarsi perfettamente, entrambi si coprivano le spalle a vicenda, riuscivano ad anticipare gli uni le mosse dell’altro ed essere pronti al contrattacco in qualsiasi momento.
Ma in quella situazione non fu abbastanza.
Accadde tutto velocemente; un lampo di luce colpì il braccio di Seamus, ferendolo alla spalla. «Harry attento! È dietro quell’angolo!» ormai non c’erano più posizioni da mantenere segrete, il mago li aveva trovati e tesi in una trappola, e Finnigan lo capì in fretta, così urlo a Harry di abbassarsi, sperando che il compagno lo sentisse nonostante la voce rotta dal dolore al braccio che continuava ad irradiarsi in tutto il corpo immobilizzandolo. Non conosceva l’incantesimo con cui era stato colpito, non sapeva come rimettersi in piedi e la situazione in cui si trovava era talmente frustrante, che sentiva il nervoso ribollire nello stomaco. Harry si girò a controllare il compagno; davanti a lui non c’era nulla, si affacciava ai lati delle pareti, controllava verso il cielo, sulle finestre e sui tetti in lontananza. Ma non c’era nessuno.
Si avvicinò a Seamus, vide il suo braccio tumefatto e uno squarcio di una quindicina di centimetri che attraversava il cappotto e gli aveva lacerato la pelle. Richiamò alla mente qualche incantesimo curativo mormorandolo a mezza voce e sperando avesse effetto. Passò la bacchetta sulla ferita e la pelle si richiuse, facendo scivolare un sospiro di sollievo e gratitudine fuori dalle labbra di Seamus che fu in grado di ricominciare a muovere in modo sgraziato la parte superiore del corpo.
Harry stava mandando il suo Patronus al quartier generale quando alle sue spalle sentì Seamus gridare, non capì che parole stesse pronunciando: l’unica cosa che sentiva era un fischio acuto perforagli i timpani.
Si portò le mani alle orecchie, il dolore era insopportabile, gli sembrava di essere intrappolato sott’acqua.
Una luce bianca lo avvolse, il respiro smorzato nella gola. E un lancinante dolore. Il fischio era scomparso e al suo posto sentì una voce calda ed eccitata. «Bene, bene. Harry Potter…».
Cercò in tutti i modi di ritrovare la sua bacchetta, ma era intrappolato. Il mago avanzava lentamente verso di lui, dalla sua bacchetta uscì un fiotto di luce e poi più nulla. Harry perse conoscenza.
Forse quella non era più la sua giornata.




 

Buon pomeriggio, grazie per aver letto fino a qui.
Grazie anche a tutte quelle persone che hanno letto silenziosamente il primo capitolo, spero che questo appena pubblicato vi faccia venire voglia di farmi sentire lavostra voce :)
A presto!
  
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