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Autore: Lilith_and_Adam    26/10/2016    2 recensioni
Naruto è un ragazzo normale ossessionato dalla morte dei genitori e Sasuke è normale ragazzo invischiato nella Yakuza per colpa della sua famiglia. In una città che risucchia l'anima da ogni suo abitante si intrecceranno le storie di questi due ragazzi alle prese con una vita che non lascia spazio alla felicità.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Hinata Hyuuga, Karin, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Suigetsu | Coppie: Hinata/Naruto, Karin/Suigetsu, Naruto/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Nessun contesto
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Capitolo 2. Un randagio alla fine la trova una casa.


Sasuke posò il casco sul ripiano dell’armadietto, si sfilò la giacca nera in pelle e la appese con cura, il disordine non gli andava a genio. Ogni sera passava da un’uniforme all’altra, la sobria camicia bianca scolastica faceva spazio ad uno sgargiante gessato grigio con tanto di papillon e bretelle.
Deidara entrò velocemente nello spogliatoio. «Ah, sei arrivato finalmente. Sei in ritardo.»
«Scusa, ho dovuto recuperare un po’ di compiti.» Disse Sasuke finendosi di sistemare il grembiule grigio.
Deidara aveva una grossa macchia sulla giacca e stava cercando di toglierla, ma alla fine si arrese e la cambiò. «Non fa niente, non è poi così tardi, ma sbrigati, lì fuori è una bolgia.»
Nonostante tutta quella gente, Sasuke rimase apatico e l’unica cosa che pensò appena entrato nella sala fu uno svogliato “Si ricomincia.”
Sasori da dietro il bancone del bar stava pulendo annoiato un bicchiere di vetro. «Sasuke ti cerca il capo.» Si trasformò da pacato a psicotico in due secondi quando Deidara lo urtò mentre si dimenava da un lato all’altro del bar. «Ehi, idiota, sta’ più attento!»
«Se magari tu non stessi lì fermo senza fare niente!»
«Sto facendo il mio lavoro!»
«Aiuta almeno! Ti aspetti che serva io tutta questa gente?»
«Sei stato tu a chiedere di stare al bancone...»
«Basta voi due! Gestisco un club non un asilo!» Yahiko apparve da dietro il bar. «Sasuke, vieni con me.»
Sasuke avrebbe di gran lunga preferito stare a guardare Sasori e Deidara litigare, ma non si ribattevano gli ordini del capo.
 
La sala interna era appartata e insonorizzata, ma il suono ovattato della musica al piano di sotto che entrava dalla porta socchiusa era piacevole. Tutto intorno alle pareti era ricoperto di specchi e i divanetti appoggiati alle colonne centrali rendevano l’atmosfera incredibilmente informale, se non si contavano le luci rossastre e la desolazione.
Al centro, una donna dai lunghi capelli e l’abito blu scuro in velluto stava fumando appoggiata al bracciolo della poltrona. Appena vide entrare Yahiko gli fece posto abbracciandolo, le donne che sceglieva per lui erano sempre così aggraziate e, Konan in particolare, sembrava docile come un gattino, sembrava...
Sasuke si posizionò di fronte a lui, ma non dovette aspettare molto prima che i suoi due amici entrassero a fargli compagnia.
Appena vide il ragazzo, Karin andò ad abbracciarlo gridando e salutandolo, non si vedevano da un paio di giorni ma a lei erano sembrati due anni. Suigetsu la seguì annoiato con le mani in tasca.
Quando furono tutti di fronte al boss, Kisame uscì dall’ombra con una busta giallognola in mano, la consegnò a Karin e sparì ancora.
«Aprila.» All’ordine, Karin tirò fuori dalla busta la fotografia di un uomo dai capelli lunghi neri. Era un vecchio ma aveva un’aria giovanile, dietro di lui un ragazzo con gli occhiali gli stava sussurrando nell’orecchio. «È arrivata l’ora per voi tre di mostrare se potete davvero essermi utili. Quell’uomo e i suoi uomini stanno continuando a dare fastidio alle nostre ragazze, commercia donne da sempre, di solito provenienti dall’occidente, ma ora sta iniziando a fare compere anche nel nostro Paese. Tu, Karin, dovresti sapere tutto su di lui.» Karin aveva tenuto in mano la foto per tutto il tempo, fissandola come se stesse vedendo un fantasma. Quando era scappata da quell’uomo era solo una bambina, correndo per le strade malfamate della città aveva incontrato Konan e Yahiko, loro erano stati la sua famiglia, la sua prima vera casa. Si era ripromessa di non incontrarlo mai più, ma in quel momento aveva iniziato a pensare per la prima volta alla sua vendetta. «Tra qualche giorno daremo una festa qui, lui sarà tra gli ospiti. Fino a quel momento dovrete seguirlo, pedinarlo, conoscere perfino gli orari in cui quel fottuto bastardo va al cesso. Voglio prove concrete su quello che fa.» Konan vedendolo adirato iniziò a passargli la mano tra i capelli per farlo calmare, quella storia lo stava ossessionando.
I tre lasciarono la stanza poco dopo. Karin si poggiò alla porta sospirando.
«Va tutto bene?» Le chiese Suigetsu passandole una mano sulla spalla. Lei annuì semplicemente.
«Andiamo. Dobbiamo preparare tutto, ci serviranno macchine fotografiche, videocamere e registratori, non prendete nulla di digitale, non dobbiamo lasciare tracce.» Sasuke sembrava freddo, ma dentro stava davvero fremendo di paura all’idea di iniziare quella carriera, ma non c’era scelta. Yahiko aveva davvero aspettato che Itachi fosse fuori città per iniziarlo...
Karin dopo essersi calmata si rivolse a lui. «Ma come farai tu con la scuola?»
«Tranquilla, lo copriamo noi in quelle ore. La prima regola è non dare nell’occhio, no? Se salta per qualche giorno senza motivo ci ritroviamo i professori alla porta.» Suigetsu le rivolse un sorriso calmo, se solo fosse bastato per farla stare davvero tranquilla non avrebbe mai smesso.
«Va bene, allora siamo d’accordo. Trovate il necessario, inizierete già domani mattina, poi vi raggiungerò. Nel frattempo cercate di scoprire qualcosa in più sul suo conto.» Sasuke iniziò a togliersi il grembiule, si era fatta una certa ora.
«Agli ordini!» Dissero i due in coro con tono sarcastico.
Quando il compagno fu abbastanza lontano, Karin si rivolse a Suigetsu. «È di nuovo martedì...»
«Già... Ti da ancora fastidio?»
«Perché dovrebbe?» Karin guardava il corridoio vuoto pensierosa.
«Andiamo, sono anni che vedo come lo guardi. Ti piace.»
Suigetsu scansò un pugno. «Non mi piace! Gli sono solo grata...»
Quel corridoio le riportò alla mente vecchi ricordi.
 
Era appena uscita da quel salottino, la musica le invase ancora una volta le orecchie. Aveva solo undici anni e aveva vissuto già una vita fin troppo intensa. Quei vecchi pervertiti che la compravano ogni sera non le davano più fastidio, eppure cercava costantemente una via d’uscita. Si appoggiò come sempre alla porta per riprendere fiato, per far tornare la sua mente a quel falso mondo felice, lontano dalla realtà di quella stanza. Aveva raggiunto quell’isola felice solo da qualche mese, erano tutti gentili, tutti come una grande famiglia, faceva quello solo perché era l’unica cosa in cui era brava, ma poteva andare via, probabilmente. Almeno non era più solo una bambola vuota, aveva quasi ripreso la sua sanità mentale, alle volte riusciva persino a ricordare il viso di sua madre.
La porta si aprì all’improvviso facendola quasi cadere, l’uomo alle sue spalle la strattonò dai capelli. «Mi hai spaventato mocciosa! Sei ancora qui? Cosa vuoi altri soldi?» Cercò di scaraventarla a terra, ma una piccola mano gli fermò il braccio.
«La tua ora è finita. Va’ via vecchio.»
L’uomo fece un verso di repulsione vedendo il simbolo sulla collana del ragazzo. Andò via senza fare storie.
«Stai bene?» Sasuke le porse la mano in segno di gentilezza.
Karin annuì e si ricompose tenendo quella mano.
«Non capisco perché ancora lo fai. Il capo ha detto che avresti potuto smettere...»
Karin scrollò le spalle, non lo sapeva davvero, ma una piccola lacrima iniziò a scenderle sul viso. «Credo... sia perché... non so fare... altro...» I singhiozzi le bloccavano le parole, quel viso le aveva fatto eliminare ogni blocco, come se in quegli occhi potesse sfogarsi del tutto.
Sasuke la tirò via per il braccio.
«Dove mi stai portando? Ehi, Sasuke, non tirarmi!»
«Da Obito-Sama! Non dovrai più fare nulla, se glielo chiedo io non potrà dire di no!»
«Sasuke-kun...» Poteva davvero farlo? Poteva davvero darle la libertà? Sarebbe potuta andare via, iniziare un’altra vita... No, sarebbe rimasta con lui, le sarebbe rimasta per sempre debitrice.
Solo qualche tempo dopo Karin scoprì che qualcun altro aveva dovuto prendere il suo posto. Fu in quel momento che si rese conto che era il senso di colpa che la teneva incatenata a quel posto.
 
Erano le quattro di mattina quando Sasuke rientrò a casa, lasciò la moto parcheggiata male e le scarpe buttate alla rinfusa. Si sciolse sul divano per un paio d’ore.
Durante le lezioni riuscì a concentrarsi a mala pena e a pranzo andò di nuovo sul tetto, anche se non riusciva a dormire, lo rilassava vedere il cielo a quell’ora.
La porta si spalancò rumorosamente, qualcuno ci sfogò contro tutta la sua rabbia. Senza accorgersi di Sasuke, Naruto si andò a sedere dall’altro lato.
Da quando il biondo era arrivato in quella scuola, il tetto non era più stato solo suo, il suo luogo di pace era stato profanato. Eppure quella mattina sembrava stranamente silenzioso, gli dava fastidio anche così.
Nagato era tornato verso le sei del mattino, si arrese sulla soglia della porta e Naruto aveva dovuto portarlo a letto. Gli faceva rabbia che si annullasse così per il suo lavoro.
La campanella suonò rumorosamente echeggiando nelle orecchie stanche di entrambi. Quando furono l’uno di fronte all’altro iniziarono a fissarsi, avevano lo stesso sguardo, quello di chi sta per sfogarti contro ogni goccia di frustrazione.
Stranamente fu Sasuke a cominciare. «Vedi di non imbrattare più il muro del locale. Quella non è la tua zona, novellino
«Imbrattare? Quella è un’opera d’arte, Idiota!» Naruto mostrò un’aria fiera pensando al suo disegno e un’aria stupida secondo Sasuke.
«Come se uno scarabocchio possa essere definito arte!»
Entrambi si avvicinarono per guardarsi meglio negli occhi. «Dimmi un po’, hai voglia di litigare?»
«Mi sembra ovvio!» Sasuke scansò un pugno. «Volevi colpire me o l’aria?» Gli diede le spalle iniziando ad andare via. Naruto lo prese per il colletto della camicia e lo girò per vederlo in faccia. «Perché diamine ti do così fastidio?»
«La tua faccia spensierata mi irrita.»
Naruto lo lasciò andare strattonandolo e gli rivolse uno sguardo di pietà. «Almeno io non sono uno stronzo totale.» Questa volta fu lui ad andare via per primo.
 
 
   
 
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