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Autore: Yuki Delleran    16/11/2016    2 recensioni
"La tranquillità e la pace, si sa, non avevano mai condotto a nessun rinnovamento. Per giungere ad un cambiamento di qualunque tipo era necessario passare attraverso il conflitto,[...] eppure anche nel disordine stesso c'era un equilibrio e come tale andava mantenuto: se le forze che governavano l'universo si fossero sbilanciate, ad essere in pericolo sarebbe stata la stabilità stessa del mondo. Per questo, paradossalmente, un andamento placido era sempre il meno consigliabile."
(Fantasy AU ispirata al film Disney "Maleficent" con un pizzico di HQ Quest)
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 11

 

Mentre ancora era intento a parlare con il nobile Semi, Iwaizumi aveva sentito un gran trambusto provenire dal cortile e la voce concitata di Kageyama che si rivolgeva ai compagni all'esterno.
« É qui. » diceva. « Qui fuori. Ci sta pensando Hinata. Dobbiamo avvertire sir Iwaizumi e... »
Non ascoltò nemmeno il resto del discorso, quelle poche parole confuse furono sufficienti perché la peggiore delle ipotesi che aveva osato formulare nella sua mente si rivelasse confermata. Si voltò verso il suo interlocutore e nei suoi occhi lesse il medesimo timore.
« Stanno parlando di lui, vero? » disse Eita dando voce al sospetto di entrambi. « Il re dei demoni è venuto qui per te. »
« Quell'idiota! » imprecò Iwaizumi stringendo i pugni. « Perché non ragiona mai prima di agire? Se lo scoprissero scoppierebbe il finimondo. »
« Lo scopriranno, non ne dubito. La guardia è alta negli ultimi tempi, non passa neanche un topo senza che le sentinelle se ne accorgano. »
Quello che Semi aveva detto era vero, la situazione era tesa già prima della sua partenza ed era logico pensare che ora lo fosse anche di più. Era assurdo che quello stupido si fosse cacciato con le proprie mani nella tana del leone solo per... Per cosa? Per vederlo? Per dirgli addio? Non aveva senso. E lui aveva intenzione di rimanere lì disteso su quella branda come una principessina in attesa che l'amato principe giungesse in suo soccorso?
« Si caccerà nei guai. » borbottò tra sé, mentre una mano correva ad afferrare il braccio del consigliere già voltato verso la porta.
Se voleva fare qualcosa per aiutarlo doveva farlo ora.
« Portatemi alla torre! » esclamò. « Andiamoci adesso. Voglio che Oikawa riabbia indietro le sue ali  il prima possibile. »
Dall'espressione che vide comparire sul volto dell'altro capì che quello era stato all'incirca il suo stesso pensiero, quindi accettò con gratitudine la mano che gli veniva porta per aiutarlo ad alzarsi e la spalla a cui appoggiarsi per mantenere l'equilibrio.
Ora che era di nuovo in piedi, Iwaizumi si rendeva pienamente conto di quanto fossero precarie le proprie condizioni: lo aveva sempre saputo ma verificarlo in modo così diretto era ancora più penoso. La debolezza che gli pervadeva le membra rendeva faticoso ogni passo, un dolore sordo e insistente sembrava pulsare in ogni cellula del suo corpo, ma questo non avrebbe piegato la sua volontà. Oikawa gli avrebbe detto che era testardo, rifletté con un mezzo sorrisetto, e forse era così, ma se quello stupido lo aveva seguito allora non era da meno e ben presto avrebbe potuto rimbeccarlo.
Nel momento in cui aprirono la porta, si trovarono davanti proprio Kageyama, con la mano tesa ad afferrare la maniglia. Per un attimo sul suo volto aleggiò la confusione, come se non si aspettasse di vederli uscire, ma subito riacquistò la compostezza.
« Nobile Semi, io... » iniziò, ma Iwaizumi gli posò una mano sulla spalla troncando ogni discorso.
Ricordava fin troppo bene le parole di Kageyama durante il viaggio, la sua durezza, il suo astio verso le creature fatate, ma ricordava anche tutta l'ansia che l'arciere aveva provato per la sorte del suo compagno e il sentimento che lo aveva spinto a comportarsi in quel modo avventato.
« Kageyama, aiutalo, per favore. Per me è la cosa più importante. » disse fissandolo negli occhi con sguardo serio. « Noi andiamo alla torre dove si trova quello che Oikawa ha perso, nel frattempo ve lo affido. Cercate di non farvi ammazzare tutti quanti. »
Avrebbe potuto aggiungere molte cose, ma era certo che Kageyama avrebbe capito perfettamente anche così: se era venuto ad avvertirlo significava che gli era già sufficientemente chiaro da che parte stare.
Raggiungere la torre si rivelò faticoso per le sue poche forze, ma non particolarmente difficoltoso: le guardie, quando riconoscevano il nobile Semi, se ne tenevano ben alla larga, probabilmente intimidite dal suo rango e dalla sua posizione. Dal canto suo Eita si comportava con un'invidiabile nonchalance, come se stesse semplicemente accompagnando il ferito a prendere una boccata d'aria e in ogni caso ciò che faceva non fosse affare di nessuno. Iwaizumi ammirava il suo sangue freddo, non era da tutti riuscire a mantenerlo nella consapevolezza di stare mettendo in atto un tradimento.
Avevano appena varcato il pesante portone della torre, in cima ad una scalinata, quando nel cortile scoppiò il caos: le urla attirarono l'attenzione di entrambi, specialmente quell'esclamazione che risuonò nel silenzio della notte: « Un demone! »
Hajime s'irrigidì con un piede sullo scalino più alto e uno ancora su quello inferiore, resistendo all'impulso di correre indietro e frapporsi tra Tooru e tutto ciò che lo minacciava. Anche Eita tentennò di fronte alla sua esitazione, ma il cavaliere gli strinse il braccio a cui si appoggiava e tornò a guardare verso l'alto.
« Se la caverà. É più forte di quanto sembri e Kageyama e gli altri lo aiuteranno, ora anch'io devo fare la mia parte. »
La prima rampa di scale riuscì a percorrerla quasi agevolmente ma, una volta giunto in cima, le sue forze erano completamente scemate ed Eita dovette quasi portarlo di peso.
Il secondo portone che raggiunsero si aprì con un cigolio sinistro su una stanza ampia e polverosa, appena rischiarata dalla fredda luce lunare che filtrava da una vetrata di fronte. Al centro di questa si trovava una sorta di piedistallo sovrastato da una teca piuttosto grande. I lati erano in vetro, ma gli spigoli rinforzati in legno e metallo. Nella penombra non era possibile vedere distintamente al suo interno, ma si poteva intuire qualcosa dalla forma indefinita che si agitava e sbatteva contro le pareti.
« Non si sono mai mosse prima. » commentò Eita a mezza voce, stupito. « Immagino sia perché lui è qui. »
Iwaizumi non vi badò più di tanto e lasciò il braccio a cui era appoggiato per barcollare verso il centro della stanza. Scrutò la teca da tutte le posizioni ma fu ben presto chiaro che non sarebbe stato possibile semplicemente aprirla, per questo vi si appoggiò contro con tutto il suo peso.
« Non dovresti fare questi sforzi... » obiettò Semi in tono preoccupato, ma di nuovo Iwaizumi non vi badò più di tanto.
« Allora venite a darmi una mano. »
Lo vide avvicinarsi con un sospiro rassegnato e appoggiarsi a sua volta alla teca. La spinsero insieme finché non raggiunse l'orlo del piedistallo e non la sentirono ondeggiare, a quel punto bastò davvero un nonnulla perché si schiantasse a terra. Il fracasso dei vetri infranti e del legno spezzato coprì qualunque esclamazione e da essi emerse una sagoma scura e informe che prese ad agitarsi per la stanza, sbattendo contro le pareti alla ricerca di una via di fuga. Quando si abbatté contro la vetrata, mandandola in mille pezzi, precipitò all'esterno e scomparve dalla vista dei due.
Iwaizumi fece appena in tempo a sentire l'esclamazione stupita del consigliere, prima che le forze lo abbandonassero, inducendolo a piegarsi prima su un ginocchio e successivamente a crollare a terra. Non ce la faceva più, il dolore si era fatto troppo intenso ed era completamente stremato. Attraverso la nebbia della sofferenza poteva sentire Semi chiamarlo e scuoterlo, ma non aveva la forza nemmeno di riaprire gli occhi.
« No! No, sir Iwaizumi! Non mollare adesso! Devi vedere il r... Oikawa! É venuto qui per te! Tieni duro! »
Sentire il consigliere del re che chiamava il demone per nome lo fece sorridere, o forse immaginò solo di farlo. L'ultimo pensiero che attraversò la sua mente prima di abbandonarsi completamente al buio fu: « Almeno Oikawa riavrà le sue ali e non piangerà più... »

Dopo che Eita aveva lasciato la stanza così velocemente e senza dargli nessuna particolare spiegazione, re Ushijima era rimasto per qualche tempo ad attenderne il ritorno. Quell'ala del palazzo era silenziosa e a quell'ora di notte ogni rumore veniva amplificato, quindi tendendo l'orecchio era possibile avvertire ogni minima variazione. Grazie a questo si era reso conto dello scalpiccio e del borbottio concitato nei corridoi adiacenti. Da quello al rivestirsi per andare a controllare la situazione il passo era stato breve: Ushijima non era certo il tipo da restare con le mani in mano quando stava succedendo qualcosa e allacciare la spada al fianco gli era venuto spontaneo.
Il domestico a cui aveva chiesto spiegazioni, bloccandolo in mezzo ad un corridoio, aveva balbettato terrorizzato qualcosa a proposito di un improvviso attacco del re dei demoni al castello e, per quanto inverosimile, la cosa non lo aveva stupito per niente. Erano giorni che la situazione si era fatta strana, dopo l'organizzazione dell'ultima spedizione Eita era spesso teso e aveva quell'aria preoccupata che non presagiva nulla di buono. Dopo aver acconsentito alla sostituzione del comandante della compagnia su richiesta della creatura del caos, quell'atmosfera era addirittura peggiorata, al punto di fargli decidere di annullare la partenza. Eita aveva sempre dormito male le notti precedenti e anche se questo non portava a visioni definite o che potessero essergli d'aiuto, Ushijima si preoccupava per la sua salute. La chiamata nel cuore della notte al capezzale del cavaliere ferito e quell'attacco improvviso erano stati il coronamento di quel periodo di tensione: se davvero era presagio dell'avvento dei demoni, allora era giunta la resa dei conti e avrebbe risolto tutto di sua mano.
Aveva attraversato a passo deciso tutto il castello, evitando di proposito di incrociare gruppi di soldati che lo avrebbero rallentato o addirittura avrebbero tentato di impedirgli di presentarsi. Voleva vedere con i propri occhi e guardare direttamente in faccia il mostro che aveva seminato il panico nel suo regno per anni, dopodiché lo avrebbe ucciso con le sue mani a monito per chiunque avesse ostato tanto.
Quando era giunto in cima a quella scala e il suo sguardo si era a tutti gli effetti posato sull'essere trattenuto in catene nel cortile, qualcosa era però scattato dentro di lui. Una sensazione che gli aveva permesso di ignorare gli sguardi attoniti rivolti nella sua direzione e di dirigersi direttamente di fronte al demone. Quella creatura prostrata e sanguinante ad un primo sguardo non sembrava altro che un giovane umano ferito, tutto quello che lo distingueva erano le corna appuntite che spuntavano tra i riccioli scuri. Quando si era avvicinato, rivolgendosi a lui con il tono che si conveniva ad un sovrano verso un nemico sconfitto, il demone lo aveva fissato con odio e solo allora Ushijima si era reso conto del colore dei suoi occhi, un rosso acceso e sanguigno che aveva attirato i suoi come una calamita. Nonostante non avesse palesemente speranze, quell'essere non aveva la minima intenzione di darsi per vinto, continuando a lottare al punto da ferirsi sempre più profondamente. Ushijima si era chiesto da dove venissero tutta quella determinazione, tutta quella forza e quella fierezza. Era davvero uno spreco dover eliminare un simile esempio di orgoglio, di potere e di grazia. Scrutandolo a fondo, anche attraverso i lineamenti delicati stravolti dalla furia, oltre il concentrato di rabbia e disperazione pronte ad esplodere, il suo occhio attento poteva vedere tutta l'eleganza e la potenza di una creatura superiore. In quel momento si era reso conto davvero di cosa significasse la “fascinazione” che gli esseri umani provavano verso gli appartenenti alla stirpe fatata di cui Eita gli aveva parlato: era l'attrazione mista a reverenza che si provava verso qualcosa di incomprensibile, ma del tutto diversa dalla repulsione che gli suscitava lo spirito del caos. Vedere quel giovane di fronte a lui che, anche davanti ad una sorte all'apparenza già decisa, alla sua stessa proposta di alleanza, non si arrendeva e continuava a lottare per qualcosa che, forse, non si limitava ad un mero oggetto fisico, aveva provocato in lui una sorta di ammirazione. Ushijima si era chiesto, osservandolo, cosa fosse per lui tanto importante da mettere in gioco la propria vita e, in un angolo remoto della propria mente che non osava rivelare nemmeno a sé stesso, lo aveva invidiato.
L'arrivo inaspettato dello spirito del caos creò scompiglio, ma Ushijima non ne fu intimorito. Provò piuttosto fastidio per essere stato interrotto, anche se non avrebbe potuto impedirlo.
« Esponi dunque le tue richieste. » concesse con voce neutra, sperano di cavarsela velocemente e liberarsi di quell'essere una volta per tutte dopo che lo aveva tenuto in scacco per troppi anni.
Lo spirito oscuro ghignò soddisfatto, spostando lo sguardo sul re dei demoni e leccandosi le labbra come di fronte ad una gustosa pietanza.
Quest'ultimo indietreggiò di un passo, reggendosi a stento sulle gambe ma per nulla intenzionato a cedere. Era spaventato, ora, Ushijima lo vedeva dai suoi occhi, ma non avrebbe dato ai suoi nemici nessuna soddisfazione.
« Trovate così apprezzabile questo demone, maestà? » chiese lo spirito in tono provocatorio.
Il sovrano tornò ad incrociare le braccia, trovandosi a sperare, chissà perché, che la richiesta non avesse niente a che fare con il re dei demoni.
« Questa domanda ha qualche implicazione con il tuo compenso? » chiese dunque ostentando distacco.
La creatura oscura si lasciò sfuggire un piccolo sbuffo ed un risolino.
« Siete sempre così serioso, vostra altezza. No, il mio compenso non ha nulla a che vedere con lui o con quello che ne pensate. Ciò che voglio sono le catene che lo legano. »
Quelle parole lasciarono tutti di stucco, Ushijima compreso. Liberare il re dei demoni avrebbe significato mettere in pericolo tutti, poiché di certo si sarebbe scagliato sui suoi aguzzini, il sovrano in primis. Le guardie che lo tenevano bloccato iniziarono ad agitarsi, qualcuna addirittura protestò, ma quella che avevano ricevuto non era una richiesta a cui si poteva rispondere negativamente. Persino il demone stesso lo fissava incredulo, spostando lo sguardo ripetutamente da lui a Ushijima.
Tuttavia, dopo alcuni istanti di smarrimento, il sovrano di Shiratorizawa non poté far altro che annuire.
« Così sia. » decretò nello stupore generale.
Lo spirito del caos sfoggiò un'espressione soddisfatta, addirittura euforica, mentre esclamava: « Molto bene! É stato un piacere fare affari con voi! »
Con uno schiocco di dita fece scomparire le catene che imprigionavano il re dei demoni, facendole riapparire nelle proprie mani, dopodiché tornò ad avvolgersi nel proprio mantello e con un passo indietro scomparve nell'oscurità.
La rapidità del gesto lasciò tutti basiti, Oikawa per primo, che, trovandosi privo di sostegno, per poco non crollò di nuovo a terra. Impiegò poco più di un istante a riprendersi e si rivolse nella direzione del sovrano: tra le sue dita crepitavano già le fiamme verdi e Ushijima mise mano istintivamente alla spada. Questa volta era certo che sarebbe stato attaccato, certezza che coinvolgeva anche le guardie circostanti che fecero cerchio attorno a lui per proteggerlo. Oikawa tuttavia non li colpì, utilizzò il fuoco magico solamente per aprirsi la strada e ignorò completamente il sovrano per correre in direzione della torre alle sue spalle. Quell'agire insensato indispettì Ushijima, il quale non poteva certo tollerare che qualcuno glissasse in quel modo su uno scontro con lui, e si apprestò quindi a gettarsi all'inseguimento. Si era liberato dello spirito del caos, ma i demoni stavano ancora invadendo la sua casa, e in ogni caso non poteva accettare di venire ignorato in quel modo.
Fu in quel momento che uno schianto di vetri infranti attirò l'attenzione di tutti e una sagoma informe e scura precipitò dalla cima della torre. La luce delle torce non era sufficiente ad illuminarla e ad identificare di cosa si trattasse, e l'unica cosa che il re distinse chiaramente fu il grido di sorpresa del demone quando quella massa nera si avventò su di lui.
In quell'istante un lampo di luce accecò tutti i presenti, illuminando a giorno l'intera corte. Quando recuperò l'uso della vista e spostò lo sguardo verso l'alto, Ushijima scorse qualcosa che non avrebbe mai dimenticato: sopra le loro teste volteggiava una creatura alata luminosa e bellissima. Dovette strofinarsi gli occhi un paio di volte perché la visione si ridimensionasse al re dei demoni, circondato da una pallida aura dorata, residuo del lampo di luce precedente, sulla cui schiena ora si spiegavano le ali che per anni aveva custodito con tanta cura come un talismano.
I loro sguardi s'incrociarono e questa volta Ushijima lesse in quelle iridi scarlatte tutta la forza della magia che scorreva nel suo sangue e l'indomabilità di una creatura selvaggia. Quasi senza rendersene conto, si ritrovò ad abbassare la spada in un gesto non di sconfitta ma di comprensione. Aveva desiderato incatenare e possedere quel potere, piegare al suo volere delle energie con cui gli esseri umani non avrebbero mai dovuto avere a che fare e quello era il risultato: la natura in tutta la sua maestosità che si ribellava e gli mostrava quanto superiore potesse essere. In quel momento, ai suoi occhi, Oikawa rappresentava proprio questo: lo spirito della foresta che mostrava ai piccoli esseri umani la sua grandiosità e allo stesso tempo, il suo essere inafferrabile e selvaggio.
La spada gli scivolò dalle mani e cadde a terra con un tonfo.
« Lasciateli andare. »
La sua voce risuonò inusualmente stanca, ma comunque determinata, tanto che non fu necessario ripetere l'ordine e i tafferugli nel cortile cessarono non appena venne riportato ai comandanti.

Recuperare le proprie ali in quel modo e all'improvviso fu uno shock per Oikawa: non si sarebbe mai aspettato che succedesse né era preparato, in quel momento era l'ultimo dei suoi pensieri sebbene potesse avvertirne la vicinanza con ogni fibra del suo corpo. Non aveva provato dolore, solo un istante di paura quando aveva visto quella massa informe piombargli addosso, poi la luce lo aveva avvolto e per la prima volta da anni si era sentito di nuovo completo. I suoi muscoli si erano mossi in automatico e quando aveva riaperto gli occhi stava osservando il teatro dello scontro da diversi metri d'altezza. Il suo sguardo incrociò quello di Ushijima e un istante dopo lo vide abbassare la spada: il suo atteggiamento non esprimevano sconfitta, tutt'altro, ma c'era qualcosa nei suoi occhi che gli fece capire che non l'avrebbe più attaccato. Quando infine vide che anche Hinata e gli altri erano stati liberati, voltò le spalle al campo di battaglia e in un paio di battiti d'ali raggiunse la cima della torre.
Atterrò nel vano della vetrata rotta e si chinò in avanti per mantenere l'equilibrio, ripiegando le ali sulla schiena. L'interno era buio e il contrasto con il cortile illuminato dalle torce per un istante gli impedì di vedere distintamente. Solo quando i suoi occhi si abituarono all'oscurità notò due sagome accucciate a terra accanto ad una grossa teca in frantumi. Non si pose nemmeno il problema di cosa fosse quell'oggetto, la sua attenzione si focalizzò completamente sulla figura distesa.
« Iwa-chan... »
Balzò dalla finestra e lo raggiunse in un paio di falcate.
« Iwa-chan! »
Il cavaliere giaceva sul pavimento, completamente inerte.
Oikawa si chinò su di lui, quasi strappandolo dalle braccia dell'altro giovane, che si ritrasse intimorito dal tanta irruenza.
« Iwa-chan, rispondimi! Guarda, le mie ali sono tornate! Sei stato tu, vero? Iwa-chan! Iwa... cha... n... »
La sua voce si spezzò, mentre si chinava in avanti a posare la fronte su quella dell'altro: la sua pelle era fredda, così fredda... e Tooru sentì il proprio cuore andare in pezzi. Era arrivato tardi, tutto quello che aveva fatto era stato inutile. Che importanza aveva aver recuperato le ali se non erano servite a raggiungerlo in tempo? Anzi, peggio ancora, Hajime gli aveva fatto quell'enorme regalo e tutto quello che lui era riuscito a fare era stato ricambiarlo con l'odio. Hajime se n'era andato senza che potesse scusarsi con lui, senza che potesse dirgli quanto lo amava.
Hajime se n'era andato...
Una dopo l'altra, grosse lacrime si formarono agli angoli dei suoi occhi, scivolando sulle sue guance e cadendo sul petto del cavaliere, trasformandosi gradualmente in un pianto disperato. Faceva male, faceva così male che Tooru avrebbe voluto porre fine alla sua stessa esistenza in quell'istante, come pronosticato poco prima ad Ushijima. Lì, in quella torre buia, su quel pavimento freddo, con la fronte premuta sul petto immobile del suo unico amore e le grandi ali ormai inutili ripiegate sulla schiena, il re dei demoni desiderò mettere fine a tutto.
Quando alzò la testa aveva lo sguardo vitreo e i suoi occhi scarlatti percorsero la stanza senza davvero vederla fino a quando si posarono sui resti della teca in frantumi. I rinforzi laterali erano metallici, notò con un certo distacco, con un po' di fortuna ci sarebbe stato abbastanza ferro. Allungò una mano e constatò che sì, in effetti l'asta appuntita scottava sotto le sue dita, proprio quello che faceva al caso suo. L'afferrò con decisione, ignorando il dolore che gli provocava, e la sollevò quel tanto che bastava perché avesse slancio sufficiente, al resto ci avrebbero pensato la gravità e la sua disperazione.
« Oikawa! Fermati, dannazione, mi vuoi ascoltare?! »
Solo in quel momento Tooru si rese conto che l'altro giovane presente nella stanza lo stava strattonando bruscamente nel tentativo di fargli abbassare l'arma improvvisata. Fino ad allora non aveva badato minimamente a lui, né si era chiesto il motivo della sua presenza, ma ora che lo chiamava per nome e si sforzava di attirare la sua attenzione con tanta veemenza, non poteva più ignorarlo. Si risolse quindi a voltare lo sguardo nella sua direzione, infastidito: non voleva lasciargli nemmeno il privilegio di una morte onorevole? Voleva forse che fosse il suo re a passarlo a fil di spada come era nelle sue intenzioni iniziali?
Quando l'altro si rese conto di avere finalmente la sua attenzione, proseguì con un tono di voce che tradiva tutto il suo nervosismo e la sua ansia.
« Calmati, ti prego. Non compiere gesti inconsulti. É vero che il veleno stava uccidendo sir Iwaizumi, ma non è ancora morto. »
Oikawa se lo scrollò di dosso con un gesto brusco sia del braccio che dell'ala.
« Ti stai prendendo gioco di me? » lo apostrofò con voce rotta. « Voi umani non avete idea di cosa sia la pietà!»
L'altro scosse la testa e finalmente Oikawa notò la sincerità del suo sguardo e l'affanno del suo respiro.
« Sei il re dei demoni, sovrano della Brughiera e delle creature fatate, ti porto rispetto fosse anche solo per la metà del mio sangue. Non mi permetterei mai di essere meno che serio su una cosa del genere. » continuò. « Mi chiamo Semi Eita, sono il consigliere personale di sua maestà Ushijima, ma da mia madre ho ereditato alcune capacità magiche. Sir Iwaizumi non è morto, sono riuscito ad indurre in lui un sonno incantato che ha bloccato l'agire del veleno. Dormirà in eterno e non vi sarà differenza con una morte effettiva se non troveremo un antidoto efficace, ma sono certo che una magia di portata superiore alla mia possa salvarlo. »
Oikawa lo scrutò da capo a piedi, percependo finalmente in lui il potere della Brughiera: quel ragazzo era un mezzosangue, intuì, la madre doveva essere uno spirito dei boschi. Quel pensiero lo colpì e lo commosse: ciò a cui lui e Hajime aspiravano da piccoli dopotutto esisteva già, la convivenza tra le due razze era possibile. Se solo Iwaizumi avesse potuto saperlo...
« Una magia superiore...? » si ritrovò a mormorare, ancora sconvolto.
Semi gli restituì uno sguardo fermo.
« Esattamente. E non esiste magia superiore alla tua. »

 

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