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Autore: AstreaA    18/12/2016    2 recensioni
Mini-long suddivisa in quattro capitoli.
Si può davvero vivere di solo rancore? Un avvenimento inaspettato cambierà irrimediabilmente la vita di Ran. Saprà perdonare? Che ruolo avrà Shinichi in tutto questo?
« Ti dirò una cosa Ran, una cosa importante: è meglio perdonare che vivere di rancore e rabbia come fai tu! L’odio è la cosa peggiore che possa infettare un essere umano. Lo uccide lentamente, è il peggior veleno che esista. Nessuno ne è immune, ma il perdono a volte può essere l’antidoto »
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Kogoro Mori, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Trascorsero cinque lunghi anni da quell’addio. Il cielo era colmo di stelle, la luna invece, era tristemente assente da giorni. Il vento trasportava via foglie, polveri e barlumi di ricordi.
Ero in piedi, vicino l'ampia finestra del lussuoso albergo dove io e Shiho Miyano 
alloggiavamo da anni. Solitario, osservavo le luci degli innumerevoli grattacieli di New York.
Mi svestii lentamente; con un sospiro, sbottonai i primi bottoni della camicia. Contemplai le vistose cicatrici sul petto che svettavano quasi fossero trofei. Ero ormai ritornato me stesso e l’Organizzazione sembrava da tempo solo un remoto ricordo.  Eppure erano trascorsi solo quattro mesi dalla nostra vittoria.
Mi guardai allo specchio. Malgrado fossi ritornato adulto da tempo - due anni prima di affrontare gli Uomini in Nero!- mi scoprivo a volte, ancora terrorizzato al pensiero di rivedere da un momento all’altro il mio corpo nuovamente bambino.
Conan non esisteva più, eppure non riuscivo quasi a farmene una ragione, sebbene ne fossi contento.
Conan ero io.
Io che fingevo, che ingannavo, che proteggevo.
Conan era un bambino sveglio, intelligente, con strane passioni e con degli amici.
Sorrisi tristemente, ripensai ai lunghi abbracci e alle lacrime sincere versate della piccola Ayumi all’aeroporto, il giorno della mia partenza e a quelle di Genta e Mitsuhiko che ingenuamente, non seppero trattenersi. Ripensai a me stesso, alla mia vera infanzia. Nelle vesti di Shinichi mai avevo stretto un rapporto così forte con qualcuno, eccetto con Ran.
Trattenni il respiro nell’oscurità della stanza.
Qualcosa sembrò comprimermi bruscamente il cuore e lo stomaco.
Mi scoprii inspiegabilmente affaticato, affranto. Mi sforzai di non pensarla. Che illuso!
Non c’era giorno che la mia mente non vagasse su di lei.
Mi sedetti a terra, le spalle rivolte al muro. Strinsi le mani attorno alle ginocchia, avevo ancora la camicia aperta. Dopo quella che sembrava un’Odissea, l’indomani sarei ritornato finalmente a Tokyo. Numerose faccende e testimonianze mi attendevano lì. Forse solo quelle, in realtà.
Portai una mano alla fronte, strofinando gli occhi stancamente.
Avevo messo da parte tutto e tutti per sconfiggere L’Organizzazione.  Avevo interrotto per anni persino ogni legame con i miei genitori. Avevo fatto soffrire anche loro: una volta giunto in America, avevo preso la situazione unicamente sul piano personale. Quasi una questione privata, d’orgoglio. Ero stato sul punto di morire, colpito da una scarica di proiettili. Fin dalla partenza ero stato infatti, più che certo di morire. Con quella prospettiva, con quanto egoismo avrei potuto chiedere a Ran di aspettarmi?
Strinsi i pugni con rabbia. Non riuscivo a non pensare a lei. Non potevo! Ormai sapevo poco o niente su di lei. Solo sporadiche informazioni che di tanto in tanto rubavo al Dottor Agasa.
In realtà per ben tre anni gli vietai completamente di parlarmi di lei, glielo imposi con rabbia.
Non avevo diritto, non dovevo… lo facevo anche per proteggere lei e per proteggere me.  Poi preso dalla tentazione, un giorno di due anni fa, ricominciai a chiedere di lei.  

E’ bellissima, Shinichi! Bella e in gamba, la più promettente dell’università…

Anche la più corteggiata immaginai…
Quel pensiero mi provocò una sorta di nausea. Strinsi gli occhi, sospirando.
Che stupido! Non ero più nessuno, non avevo diritto di essere geloso…

Pensa che ha vinto una borsa di studio per Londra, ma a quanto pare, ha preferito restare accanto a suo padre.

Un altro colpo in pieno petto. Mi sentii come se mi avessero sparato nuovamente.

Goro.

E lui… come sta, Dottore…?

Bene! Molto bene! Ha chiuso l’agenzia investigativa come saprai da quando tu… te ne sei andato. Ha tuttavia lasciato innumerevoli interviste ed è ancora spesso ospite in televisione. Ran invece è cresciuta molto in questi anni. E’ una donna forte, combattiva, forse anche più di sua madre Eri. Credo che il tuo abbandono abbia giocato un ruolo fondamentale nella sua maturazione. A volte sembra così diversa da come la ricordavo: spensierata, allegra, solare. E’ più taciturna e chiusa in se stessa. A tratti quasi rigida. Io credo che le farebbe molto piacere rincontrarti… 

E… cosa sa della sua vita sentimentale, Dottore?

Era la domanda che forse, più egoisticamente mi opprimeva da anni.

Beh… mi è giunta voce (forse infondata, non le darei troppo credito, figliolo!) che uscisse con un aspirante medico, un po’ più grande di lei, ma potrebbe anche essere solo un amico…

Un amico, certo.
Non mi sfuggì tuttavia, la nota di disagio nella sua voce.
Deglutii faticosamente. Contrassi le labbra e strinsi ulteriormente i pugni. Una rabbia crescente, mi morse il petto.
Mi alzai e andai a sedermi su una sedia, dinanzi il camino acceso. Mi versai del brandy, sorseggiandolo lentamente, ad occhi chiusi, nelle ombre piatte della stanza.
Poi, d’improvviso, udii dei passi alle mie spalle. Li riconobbi subito, anche senza voltarmi.

«Brindi da solo, Shinichi?»
Sorrisi amaramente. Riposi il bicchiere di cristallo sul ripiano di legno, scoccandole un’occhiata spossata. Lei mi guardò con un sorriso dispettosamente canzonatorio. Aveva ormai lunghi capelli mossi, ramati. Un fisico esile e adulto. Attraente.
Sostava sull’uscio della porta dell'anticamera. Avanzò lentamente verso di me. Avevo ancora la camicia sbottonata e lei sembrò notarlo. Imbarazzato, la riabbottonai subito.  Shiho – non mi sarei mai abituato a chiamarla così!- ritornò adulta solo un anno dopo di me. Presi com’eravamo dall’Organizzazione, ci eravamo quasi arresi alla triste sorte di dover restare intrappolati nei nostri corpi fanciulli, quando una notte tutto cambiò, almeno per me.
Inspiegabilmente e dolorosamente, il mio corpo riprese l’aspetto consueto. L’esatta dinamica era ancora in fase di studio; ma a quando sembrava, l’APTX4869, raggiunto il suo apice di durata nel mio organismo, aveva finalmente perso la sua influenza e funzione. Mi ritrovai così, nuovamente adulto, quasi inspiegabilmente. Ritrovai il mio corpo, ma non la mia vita. Quella sembrava inafferrabile come una cometa. Cercai il suo sguardo. Si avvicinò ulteriormente a me, versandosi il liquore nel bicchiere. Notai la sua mano vacillare, come una foglia mossa dal vento.
«Quella mano ha un pessimo aspetto, dovresti medicarla più spesso!»
Mi rivolsi severamente, alzandomi.
«Tanto non potrò mai più usarla come prima»
Fu la sua infelice risposta. La fronteggiai e la costrinsi a sedersi sul mio letto. Nello scontro a fuoco con l'Organizzazione, era stata ripetutamente colpita alla mano destra, perdendone purtroppo, quasi l'uso. Estrassi dal cassetto l’occorrente per una medicazione. Assorto, mi sedetti accanto a lei, cominciando a tamponarle accuratamente e ad avvolgerla con bende pulite.
«Se fallirai come detective, potrai accedere senza difficoltà alla facoltà di infermieristica!»
La sua voce era profondamente sarcastica.
Le sorrisi con sufficienza, continuando il mio lavoro, poi, la sua voce, assunse una nuova interessante sfumatura.
«Domani tornerai a Tokyo… » La sua voce mutò in un sussurro. Non risposi subito, immaginando dove volesse andare a parare. «Non vedi l’ora di vederla, di spiegarle tutto…» trattenni il respiro. Alzai gli occhi. Sostenne il mio sguardo con durezza, poi un piccolo sorriso, illuminò di un’insolita dolcezza il suo viso. Qualcosa tremò improvvisamente nel suo sguardo. Mi sentii a disagio.
«E’ giusto che tu torni da lei, non ti accoglierà a braccia aperte, certo, ma sono sicura che ti ama ancora…e  che non ha mai smesso di farlo… »
Incassai quelle parole come un pugno in pieno stomaco. Desideravo egoisticamente e ardentemente che fossero vero, ma un presentimento vigeva in me. Con un sospiro, abbassai lo sguardo, la sua mano era ancora stretta nella mia.
«Come fai ad esserne sicura?» chiesi in realtà più a me stesso che a lei. «Tu continueresti ad amare un uomo anche se non si facesse più vedere e se deludesse te e un tuo caro?» Quella domanda non aveva senso. Almeno rivolta a lei. Tuttavia, cercai i suoi occhi.
«Sì, Shinichi, malgrado tutto, io lo farei» lo disse con un filo di voce. Una lacrima ricadde lungo la sua pallida guancia. Posò una mano sul mio petto. La guardai confuso, stupito. Credevo ormai di conoscere tutto di lei, ma mi sbagliavo enormemente. Avvicinò velocemente il suo viso al mio. Toccò le mie labbra, dapprima in un bacio fugace, per poi mutarlo in uno ardente, quasi malizioso. Quel gesto mi stordì per qualche istante, poi mi allontanai bruscamente.
«Ma cosa…? »
Ero certo di essere rosso in viso, quasi senza voce. Tremendamente imbarazzato.
Era forse impazzita?

«Era da tanto che desideravo farlo, prendilo come un ringraziamento per esserti preso così premurosamente cura di me e non arrossire, non sei più un bambino!»
Si alzò con un sorriso, avviandosi verso la porta.
Si voltò.
«Ti auguro tutta la fortuna del mondo con lei… e quando vorrai… vorrete tornare, io ci sarò sempre»
Quel bacio – seppur insensato, almeno per me- più che un addio, suonò come un arrivederci.
 

 
 
 
 
 
 
   
 
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