Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: AvalonGirl    22/05/2009    4 recensioni
E' facile essere genitori nella giungla urbana di New York City? Per Judith Ferrante, yankee ventitrenne italoamericana, di certo no...specialmente se hai una suocera che fa invidia alla strega di Biancaneve, un marito super bello, super intelligente, super tutto e corteggiato da qualunque essere femminile (ma anche maschile, eh!) nel raggio di cinquecento metri, una famiglia che più stramba non si può e la laurea alle porte...riuscirà a far conciliare il tutto con la sua gravidanza?
Vedremo, vedremo...
Genere: Generale, Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
bimbo
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Come e quando dire nonni
2° Parte


 
 
 
 
-…è andata oltre ogni mia aspettativa.- stava dicendo Andrew.
Erano quasi le sette e stavamo rientrando. Bloccati nel traffico di Lafayette Street (era l’orario di punta) analizzavamo tutto quello che era successo in quella lunga, estenuante ma memorabile giornata.
16 settembre 2008, una data da ricordare, mi dissi mentalmente.
C’ero riuscita; l’avevo accettato completamente e…ne ero felice. Poco meno di una settimana prima mi sembrava una catastrofe.
-Già, - concordai –ma molto probabilmente nel giro di qualche giorno lo saprà mezza New York.-, non che mi desse fastidio, ma ci tenevo alla nostra privacy.
-Anzi, credo che arriverà anche oltre l’oceano.- considerai pensando a mia nonna in Italia. La mamma aveva preso da lei.
Andy rise di gusto –Per me non c’è nessun problema.-.
Per lui non c’era nessun problema, ovvio, d'altronde sembrava toccare il cielo con tutta la mano da due giorni; io da qualche ora.
M’immaginai la mia coscienza annuire soddisfatta dei miei pensieri. D’altro canto era merito suo.
Andrew aveva assolutamente ragione, la reazione dei miei era stata più inaspettata del previsto; naturalmente in positivo.
Mia madre mi aveva tartassato di domande per tutto il giorno: è stato un incidente? (imbarazzo); ma la ginecologa è buona?; qual è stato il giorno del concepimento? (super imbarazzo!).
Aveva chiuso il ristorante e non ne aveva voluta sentire ragione.
Era un giorno speciale, non lo avrebbe sprecato a lavorare. Poi si era attaccata al telefono, parlando un italiano così fitto e veloce che ebbi difficoltà a capirla; aveva chiamato mia nonna, mia zia, mio zio, i suoi cugini…probabilmente tutti i membri in vita sull’albero genealogico erano stati informati, in barba a mio padre, che gia abbaiava per i costi delle chiamate internazionali.
Anche se toccato, papà aveva preso la notizia con molta nonchalance …il che voleva dire che non aveva iniziato a saltellare per il ristorante come, invece, aveva fatto qualcuno, alias mia madre.
Andrew ed io li avevamo osservati divertiti mentre si battibeccavano sulla possibilità di appendere un”annuncio” nel ristorante, del tipo “donna gravida in sala.”
Ne sarei morta di vergogna.
Fortunatamente sia mio padre, sia Andy riuscirono a farla demordere nel suo diabolico intento.
Questo non voleva dire che non avrebbe trovato un modo diabolico e imbarazzante per permettere a tutti di congratularsi con lei circa il suo futuro ruolo di nonna.
-Non è un fenomeno da baraccone!- aveva replicato mio padre, che mi era parso come la voce della ragione in mezzo a tanta follia.
Mia madre lo aveva guardato shockata con espressione traducibile in un indignato: “Come-puoi-pensare-una-cosa-del-genere-?” e gli aveva messo il broncio; che durò all’in circa un decimo di frazione di secondo, perché poi era tornata a sorridere tutta felice.
Papà si era passato una mano sulla faccia, scuotendo il capo.
Il clou della giornata era arrivato quando le mie sorelle e mio fratello erano rientrati. Mamma non mi aveva fatto neanche parlare, si era fondata su Claudia e Lily e le aveva raccontato vita e miracoli della mia neogravidanza, aggiungendo particolari che non avrei giurato di non aver mai detto.
La lascia fare…almeno fin quando non se ne uscii con la frase -…lo spara spermatozoi a raffica ci è riuscito, finalmente!- chiaramente riferito a mio marito, che, povero, avrebbe preferito sotterrarsi con una vanga sotto lo sguardo accigliato di mio padre.
Un sussurrato –Mamma…non esagerare…- era stato d’obbligo.
Claudia aveva spalancato gli occhi, boccheggiato per un po’ e in fine, aveva fatto cadere la cartella, incredula; Lily mi aveva abbracciato congratulandosi. Lo avevo sempre detto io che era la più normale della famiglia.
Vincent mi guardò la pancia, per poi aggiungere –Ma io non vedo niente di diverso!-.
Eravamo scoppiati a ridere; il resto della giornata era passata in modo analogo.
Quando mia madre decise di lasciarmi andare (cosa che non fu per niente facile…) erano ormai le sei del pomeriggio.
-Ogni giorno che passa diventano sempre più pazzi…- considerai scherzando.
Beh…effettivamente un po’ strambi lo erano.
-Naaa…non credo, sai?- aveva replicato Andrew, -sono semplicemente felici. E’ il loro primo nipote, amore…è naturale che siano agitati.-.
Il loro primo nipote, vero.
-Il nostro primo figlio…- avevo sussurrato con tono sommosso.
-Mmmm…mi piace come suona l’aggettivo “nostro” vicino alla parola “figlio”.-.
Era in momenti come quello che mi convincevo di essere la ragazza più fortunata al mondo.
Riuscimmo ad arrivare a casa solo venti minuti dopo, che erano ormai le sette e venti. Parcheggiammo la macchina nel viale di fronte alla nostra bella palazzina a mattoni rossi.
Andrew scese per primo dalla macchina e mi aprì molto elegantemente lo sportello, mormoro un fine –Madam…- e mi afferrò per mano.
Lo amavo, lo amavo!
Eccome se lo amavo!
Gli diedi un bacio veloce sulle labbra; bacio che poi si trasformò in qualcosa di molto meno casto.
Andrew mi afferrò in modo protettivo per un fianco; riuscimmo ad aprire la porta di casa ed entrammo continuando a baciarci.
Lanciai la borsa per terra, incurante, mentre le calde, familiari mani di Andy mi accarezzavano su tutto il corpo.
Mi appoggiai contro la parete dell’ingresso, mentre continuavamo a baciarci con passione e fervore crescente. Cercai di stringermi ancora di più a lui, per sentire meglio il suo calore, passandogli una mano tra i ribelli capelli biondi che amavo.
Così come amavo ogni più piccola parte di lui.
Sentii le mani di Andrew avventurarsi sotto la mia fine maglietta azzurrina, si soffermarono sul mio ventre accarezzandolo in modo dolce e delicato, poi salirono più su; io emisi un gemito soffocato.
Poi, improvvisamente, squillò il telefono.
Mi bloccai di colpo, infastidita dall’intromissione di quel suono.
-Lascialo stare.-mi sussurrò all’orecchio con voce roca.
Era quello che avevo intenzione di fare.
Dopo un altro paio di squilli l’apparecchio si zittii.
Riprendemmo a baciarci, sempre più rapiti l’una dell’altro; stavamo per salire in stanza da letto quando quel maledetto telefono rincominciò a squillare.
Desideravo scomparisse.
Sbuffai scocciata, sotto il suono prepotente che ci aveva interrotto.
A malincuore mi staccia da Andy, che mi guardò con espressione delusa.
-Sei una strega…- mi mormorò seduto sulle scale.
Gli feci una linguaccia rispondendogli con un sarcastico –Ti amo anche io.- e corsi nella vicina cucina per rispondere all’aggeggio infernale, Andy mi seguì.
Con tutte le probabilità doveva essere mia madre, pensai scocciata.
-Pronto?- la mia voce doveva apparire un po’ seccata, perché il mio interlocutore tentenno per qualche attimo.
-Judith?-
La bocca mi si prosciugò improvvisamente. Dovevo anche aver cambiato espressione, perché, Andrew mi guardò interrogativo.
-Pronto? Riesci a sentirmi?-
Recuperai la mia facoltà di parlare e risposi.
-Si…ehm…riesco a sentirla Dottor Allen.-.
Andrew si alzò dalla sedia immediatamente e mi si avvicinò.
-C’è mio figlio in casa?- il Dottor Allen era fatto così, puntava direttamente al sodo.
Forse era arrabbiato perché da due giorni Andrew non si presentava in ufficio; lo guardai preoccupata, lui mi rispose nel medesimo modo.
-Andrew?...ehm…-.
Il suddetto incominciò a mandarmi chiari messaggi di fumo; scosse il capo in senso negativo e mi guardò implorante.
Nonostante la visita dai miei fosse andata più che bene, non dimenticavo che mi ci aveva portato con l’inganno. Dai miei occhi intuì cosa stessi pensando.
-Si. E’ proprio qui. Ve lo passo.-risposi in fine.
Allungai la cornetta verso Andy, che mi guardava come se lo avessi appena tradito e schiacciai il tasto del vivavoce.
-Papà?- chiese titubante.
-Per quale motivo manchi da due giorni? Ricordati che ti pago!-.
Andy sospirò –Scusa papà, ci sono state delle…ehm…questioni.-.
-Va tutto bene?- la voce aveva cambiato tono.
-Si, si- si affrettò a rispondere –nulla di negativo.-.
-Bene. Volevo dirvi che domenica sera siete inviati a cena da noi.-.
Andrew trattene il fiato, io divenni una maschera d’orrore.
Una sola parola, un solo nome, fluttuava nella mia testa: Evangeline Allen.
La figura eteria e gelida di sua madre che mi squadrava con occhi di ghiaccio dalla testa ai piedi, che puntualizzava ogni mio piccolo difetto, che continuava a volergli presentare ragazze nonostante fossimo sposati da due anni (!), mi congelò il fiato.
Raramente andavamo a casa dei suoi, e altrettanto raramente ci invitavano; quando succedeva c’era sempre una ragione.
Evangeline adorava, letteralmente, mettermi alla prova. Mi faceva sentire sotto pressione, giudicava ogni mio comportamento e amava mettermi a confronto con le ragazze ricche e anoressiche che spopolavano nell’Upper East Side.
Probabilmente sperava di cogliere in noi un qualche segno che dimostrasse che il nostro rapporto non funzionava.
Ero certa che teneva gia pronte le carte per un eventuale divorzio.
In conclusione…mi odiava. In tutti i sensi più negativi nella parola, che gia di se era più che abbastanza negativa.
Non ero certa di riuscire a sopportare il suo, neanche tanto ben celato, odio verso di me, questa volta.
-Allora? Cosa rispondi?-.
Andrew cercò il mio sguardo, -Ehm…vedi, papà…non creo che sia una “buona” idea…-.
Certo che non lo era! Quella vipera sarebbe stata capace di farmi abortire con un solo sguardo ancora prima che potessi rivelare di essere incinta!
Andy ti amo, pensai, anche se non gli avevo dato ascolto quando mi aveva silenziosamente supplicato di non passargli il telefono, mi stava appoggiando.
Questo si che era amore incondizionato!
O forse, più semplicemente, neanche lui era molto entusiasta all’idea di rivedere la strega.
-Forse non hai capito.-riprese duramente la voce del Dottor Allen –non è un invito. E’ un ordine. Tua madre vuole vederti. Vi aspettiamo per le sette.-e staccò.
“Tua madre vuole vederti.” è certo! Come poteva essere altrimenti?!
Andrew posò il telefono e guardò la mia espressione cerea.
-Amore…- mi disse piano -…non agitarti ok?-.
Come potevo non agitarmi? Non potevamo non presentarci, infondo il Dottor Allen era una specie di “capo di lavoro” oltre ad essere suo padre e mio suocero; era grazie allo stipendio (abbastanza alto) che dava ad Andrew che andavamo avanti!
-Sto bene.-mormorai a bassa voce.
-Mi dispiace tanto!- riprese lui.
-Shhh…- lo zittii abbracciandolo -…non hai fatto nulla!-, mi guardò con espressione dolce, dopodiché mi sollevò e mi portò direttamente in camera da letto.
Sospirai affranta ma sicura che c’e l’avremmo fatto a superare anche questa.
Non ci avevamo pensato, ma prima o poi avremmo dovuto dirlo anche a loro.
Il problema era che quel “prima” sarebbe venuto più in fretta di quanto ci immaginassimo.
 
 
Mi guardai allo specchio per l’ennesima volta, chiusa in bagno.
Non era mai stata un tipo vanitoso, né mi ero mai particolarmente soffermata sul mio stile d’abbigliamento; un jeans, una camicia, un paio di Nike e il gioco era fatto.
Odiavo il trucco in ogni sua forma, il fondotinta mi dava allergia e il mascara mi faceva venire le lacrime; avevo, quindi, rinunciato a qualsiasi forma di cosmetico che superasse una semplice linea a matita sugli occhi o il burro cacao sulle labbra.
Nell’occasione in cui il Dottor Allan ci invitava a cena, sotto costrizione della malefica moglie, i miei dubbi riguardo al mio aspetto affioravano sostanziosi. Imprecavo contro la banalità del mio fisico non troppo alto e un po’ troppo esile.
Eravamo sicuri che fossi realmente mediterranea?
Erano questi i miei pensieri mentre fissavo la mia appena accennata seconda. Chissà se sarei riuscita ad allattare con un seno tanto piccolo.
Sbuffai scocciata. Il pensiero di rivedere Evangeline scatenava in me i miei più piccoli e disperati dubbi.
Ad ogni modo, ero immobile da quasi dieci minuti a fissare la mia figura allo specchio. Per “l’occasione” avevo indossato un vestito verde bottiglia, carino e senza pretese particolari, che arrivava un po’oltre il ginocchio, con ghirigori neri sull’orlo della gonna morbida; un paio di ballerine e un copri spalle nero.
Avevo lasciato i miei capelli ricadere in modo naturale nel loro caschetto sfilato e avevo rinunciato a truccarmi; avrei sicuramente sudato, quindi lasciai stare anche la matita sugli occhi.
Tutto sommato stavo abbastanza bene, ma ad Evangeline non sarebbe di certo bastato. Ero più che convinta del fatto che si fosse preparata i commenti da rivolgere a bassa voce e in modo del tutto casuale nei miei confronti per poi mi guardarmi con la sua solita espressione glaciale uscendosene con un –Scusa, cara. Forse ti sei offesa…- per poi tornare a voltare le faccia dall’altro lato della sala.
Mi venivano i brividi.
Bussarono alla porta del bagno –Ju sei pronta?-.
Non mi restò che dire si.
Anche Andrew sembrava abbastanza agitato, dover stare con sua madre e con suo padre ore in più del necessario lo infastidiva.
Inizialmente, quando l’avevo conosciuto, stentavo a credere nel modo in cui parlava dei suoi genitori, così come mi stupiva che non sentisse alcun bisogno di vederli; per me, che ero cresciuta circondata da fratelli pestiferi, sorelle rompiscatole e genitori iperaffettuosi, era incomprensibile.
Quando li conobbi, o meglio, quando la conobbi mi sembrò tutto più chiaro; non potevo non biasimarlo.
Lo guardai attentamente, pensando quanto fosse folgorante e soprattutto, bellissimo.
Anche lui si era vestito in modo abbastanza elegante, ma non aveva rinunciato ai soliti jeans strappati. Forse voleva infastidire sua madre.
Sopra ai jeans indossava una camicia bianca a maniche lunghe, leggera, e una giacca nera. I capelli sembravano ancora più indomabili del solito, considerai.
Sembrava appena uscito da una rivista di bellezza.
Perché mi sentivo così semplicemente normale?
-Sei bellissima…- mi disse sfiorandomi con lo sguardo, evidentemente lui non la pensava come me.
-Guarda chi parla.-me lo sarei mangiato, metaforicamente, con gli occhi.
Uscimmo da casa che erano le sei un quarto; da Greenwich Village all’Upper East Side erano circa due chilometri, considerando il traffico ci avremmo messo quasi un’ora.
Sperai di non arrivare tardi.
Durante il viaggio non parlammo molto. Entrambi, a modo nostro, ci stavamo preparando mentalmente per direi ai suoi genitori e quindi ai miei suoceri che presto sarebbero diventati nonni; dubitavo fortemente che l’avrebbero presa con tutto l’entusiasmo dimostrato da mia madre.
Il Dottor Allen perché era quel genere d’uomo che non mostrava mai apertamente i suoi sentimenti, in tutta la sua vita Andrew affermava che le volte che ricordava d’essere stato abbracciato da suo padre erano davvero limitate.
Evangeline avrebbe sottoposto a un test di paternità il nostro bambino appena fosse nato.
Mi portai le mani in modo protettivo sul ventre; era un gesto insolito e istintivo che avevo scoperto di fare solo da qualche giorno, quando mi sentivo agitata o pensavo al nostro bimbo.
La parola “bimbo” mi faceva sorridere divertita, non sapevo perché ma era così.
Comunicherò io la notizia.- disse Andrew all’improvviso, mentre si fermava a un semaforo rosso all’inizio della Quarantesima strada –Quindi non preoccuparti.-.
Inutile dire che mi sarei preoccupata comunque, ma mi sentii enormemente sollevata. Infondo era normale che volesse essere lui a comunicare la bella notizia, così come io avevo voluto darla personalmente ai miei. Quindi mi limitai ad annuire in silenzio, continuando a guardare la colorata e attiva New York con il vento che entrava dal finestrino aperto, sul viso.
Superammo la Cinquantasettesima strada e deviammo per la Quinta Avenue, una delle strade più belle e ricche dell’Upper East Side di New York, quella, dove affacciava il lato est di Central Park, la strada dell’Empire State Building e della cattedrale di San Patrick, per dirne qualcuno.
La strada dove Andrew era nato e vissuto e dove residevano ancora i suoi genitori.
L’imponente palazzo che ospitava l’attico della famiglia Allen si ergeva distintivo all’inizio della grande via.
Il “Golden Building” era uno degli edifici più lussuosi della Quinta Avenue: alto quasi venti piani, in stile liberty, fu edificato all’inizio del 1900 ma durante la grande depressione cadde in rovina, fu riacquistato alla fine degli trenta da Robert Golden; il nonno di Evangeline e il bisnonno di Andrew.
Ci fermammo con l’auto vicino al grande portone d’ingresso e la affidammo al valletto vestito di rosso scuro con tanto di berretto.
Scesi dalla macchina, io e Andy ci guardammo. Lui mi sorrise incoraggiante e ci prendemmo per mano.
Mi sembrava tanto il dejà vo di quando mi presentò ai sui per la prima volta.
Speravo, però, che quella volta andasse meglio. Il nostro primo incontro non fu proprio dei più idillici, ma comunque non ci furono morti superflue.
-Bentornato signor Allen.- a parlare era stato l’anziano uomo all’entrata delle Golden Building, quello che apriva e chiudeva le porte quando qualcuno doveva entrare o uscire.
-Signora Allen.- si levò il cappello a segno di saluto, io abbozzai un sorriso.
-Buona sera Louis. E’ da molto che non ci vediamo.-.
-E’ sempre un piacere rivederla, signore.- era un uomo dall’espressione molto gioviale, il tipo di zio simpatico che tutti vorrebbero avere e che, nonostante l’età, aveva lo spirito di un vero ragazzino.
Mi era sempre stato simpatico.
Salutammo Louis, che ci aprì la porte di vetro sulla quale brillava la scritta “Golden Building. 1938” ed entrammo.
L’atrio era grande, molto grande, arredato finemente. Di fronte a noi c’era la portineria, quando gli addetti ci videro, si alzarono dalle loro postazioni e ci salutarono educatamente, Andrew era il figlio del proprietario di quel posto ed io sua moglie, quella sorta di rispetto non mi piaceva…era come d’obbligo.
Sempre tenendoci per mano attraversammo tutto l’ampio salone, fino ad arrivare agli ascensori.
Salimmo in quella privata, che portava direttamente agli ultimi due piani del palazzo, quelli abitati dalla famiglia Allan – Golden, in cui Andrew era cresciuto.
-Ti prego, dimmi che ami…- gli dissi d’un tratto, aggrappandomi quasi al suo braccio intrecciato col mio.
Lui mi guardò tenero, sussurrandomi il –Ti amo.- di cui avevo bisogno.
L’ascensore produsse il familiare dlindlon, segno che eravamo arrivati. Deglutimmo contemporaneamente, mentre le porte della macchina si aprivano.
-Siete in ritardo.-.
L’austera figura del Dottor Allan ci aspettava nella solita postura composta e rigida davanti all’ascensore.
Era un uomo alto, possente, con espressione un po’ dura. I capelli castani chiari erano stirati di bianco nelle tempie e alla radice, così come lo erano i baffi. Indossava un completo giacca e cravatta nero, con camicia grigia.
Tutta la sua figura era di una serietà sconcertante e trasudava fierezza da ogni poro. Lo stimavo molto, e, nonostante affermasse l’esatto opposto, sapevo che anche Andy era della mia stessa opinione.
-Scusa, papà. Abbiamo incontrato traffico.- cercò di giustificarsi, la sua voce era leggermente diversa; anche la sua postura lo era. Cambiava sempre atteggiamento quando c’era suo padre nei paraggi.
Il Dottor Allen squadrò suo figlio per un po’, quando poi decise che la scusa del traffico era sufficiente, rivolse la sua attenzione verso di me.
-Judith, è un piacere rivederti.-.
-Anche per me, Dottor Allen.- e in parte era falso, se non fosse stato per sua moglie.
Poi notai che non c’era traccia di Evangeline in giro, e mi chiesi che cosa stesse tramando.
Andy fu della mia stessa opinione, -Dov’è mia madre?-.
-Scenderà tra poco.-disse soltanto suo padre –intanto perché non ci accomodiamo in sala da pranzo? Sono gia le sette e mezzo.-e ci fece segno di seguirlo.
L’attico degli Allen era, e sarebbe sempre stata, la casa che avessi mai visto in tutti i miei ventitré anni di vita.
Era enorme, arredato con gusto ed eleganza con mobilia classica. La sala da pranzo, ad esempio, era un ampio salone circolare con un grande tavolo in vetro al centro, sedie simili a poltrone e un lampadario a soffitto che cadeva proprio sul centro tavola.
Non mi sarei mai abituata alla magnificenza di quella casa.
Ero ancora in contemplazione, quando la voce mi arrivò forte e chiara, nel suo tono cristallino e calmo.
-Buona sera, tesoro.- disse la voce.
Evangeline, eterea come sempre, entrò dalla parte opposta alla nostra, elegantemente fasciata in un vestito bianco a tubino e stivali alti neri. Altissima e bellissima, non avrei scommesso un dollaro sui suoi quarantasette anni; aveva lunghi e vaporosi capelli biondi che le incorniciavano il viso perfettamente ovale, labbra sottili e proporzionate, mani curate e due occhi verdi così simili a quelli di Andy in modo impressionante.
Camminò in modo elegante nella nostra direzione, mentre io iniziai a sudare freddo.
Erano due i comportamenti che assumeva in mia presenza: primo, iniziava a tartassarmi dal momento in cui mi vedeva, commentando inizialmente il mio abbigliamento per poi passare ad ogni più piccola parte del mio corpo che, da come lo vedeva lei, era pieno di difetti; secondo, mi ignorava completamente, limitandomi a squadrarmi o a farmi qualche sorriso tirato, per poi voltare il viso perfetto e fingere che io sia una piccola mosca invisibile spiaccicato sul parabrezza in cristallo della sua vita.
Quella sera scelse il secondo metodo.
Mi lanciò un’occhiata di sufficienza, arricciò le labbra in quello che doveva essere una parvenza di sorriso e si girò verso il figlio e il marito.
Abbracciò Andrew portandolo il più lontano possibile da me, in modo che dovette lasciare la mia mano.
-Sto bene mamma, grazie.-stava rispondendo Andy alle sue domande.
-Non vieni mai a trovare la tua cara mamma! Lo so che sei molto occupato e che mandi da solo avanti la casa, senza aiuti da parte di nessuno, escludendo me e tuo padre. Evidentemente c’è chi preferisce scarabocchiare…-.
Un’allusione?
Il Dottor Allen guardò la moglie con sguardo critico, forse prima del nostro arrivo le aveva fatto un discorso del tipo “Sii umana con tua nuora.”, cui aveva ribattuto sicuramente con un “Non ho nessuna nuora, per quello che mi riguarda.”.
Si prospettava proprio una piacevole serata.
-Vedrai, tesoro mio,- perché calcava quel genere di parola? –la mamma ha una bella sorpresa per te!-.
-A proposito, - tentò di dire Andrew, -…ehm…anche noi abbiamo una sorpresa…vedete…- ma prima che potesse concludere la frase Evangeline lo fermò; fin quando il soggetto della frase avrebbe sarebbe stato noi non le sarebbe interessato.
-C’è tempo per parlare. Ora andiamo a tavola.- e trascinò Andy a sedere.
Il Dottor Allen mi sorrise nel suo particolare modo e m’indicò il mio posto. Lo ringraziai educatamente e mi sedetti.
Ero seduta proprio d fronte ad Andrew, che mi guardava con espressione preoccupata.
Forse si stava chiedendo cosa pensassi o perché me ne stava tutta zitta e in silenzio; semplice, meno avrei attirato l’attenzione di Evangeline su di me, meglio sarei stata.
La suddetta era tutta intenta a parlare a proposito di qualcosa che non conoscevo e che di sicuro non m’interessava, sempre più intenzionata a ignorarmi.
Non le avrei dato certo un motivo per smettere di farlo.
Considerai che una volta che avrebbe saputo che ero incinta di suo nipote avrebbe dovuto guardarmi per forza.
Sospirai.
-Tutto bene, Ju?- mi domandò Andy.
-Si…ehm…sono solo un po’ affamata.- e sorrisi accondiscendono. Bugia. Non avevo per nulla fame.
-Giusto, - intervenne il Dottor Allan e ordinò di servire la cena.
Appoggiarono sul tavolo un arrosto enorme, di quelli che sarebbero bastati a sfamare una famiglia con otto figli. Mi feci la porzione più piccola, ma prima che potessi iniziare a mangiare, l’ascensore suonò. Evangeline si esibì in uno dei suoi più meravigliosi sorrisi (brutto segno), -E’arrivata la bella sorpresa!- e si alzò.
Posammo tutti le posate e aspettammo che ritornasse; solo che non era da sola.
La prima cosa che pensai quando vidi quella ragazza fu: troppo luminosa.
Esattamente…sembrava brillare di luce propria. Rimasi un po’ a bocca spalancata mentre Evangeline le faceva segno di sederi proprio accanto a mio marito.
Aveva capelli rossi che le arrivavano alla vita, grandi occhi verde scuro e un viso a forma di  cuore. Avrebbe potuto essere a tutti gli effetti una modella.
La ragazza salutò educatamente tutti.
-Lei è Rosie Colerine, - la presentò Evangeline –ci ha gentilmente onorato della sua presenza. E’ un’ospite molto gradita, lei.-.
Ed io no, ovviamente.
Il Dottor Allen guardò la moglie con espressione indecifrabile, tutto mi lasciava pensare che neanche lui fosse informato di questo piccolo cambio di programma.
Andrew invece indurì i lineamenti del volto, serrando la mascella. Feci un bel respiro e contai mentalmente fino a dieci.
-Sapete, - continuò –la cara Rosie frequenta la Columbia University, è stata ammessa con uno dei punteggi più alti!-.
La ragazza arrossì leggermente, -Ho solo studiato molto, niente di che. I miei ci tenevano molto.-, aveva anche una bella voce.
-Però ora hai ottenuto un permesso di sei mesi per frequentare un corso di musica di rilievo presso la Juilliard! I tuoi devono essere molto orgogliosi di te!-.
Arrossì nuovamente, non mi sembrava una cattiva ragazza.
Sia mio suocero sia mio marito erano immobili, con la stessa espressione.
Le loro facce sembravano chiedere “da quando la nostra cena di famiglia è diventata uno show sulla vita di sconosciuti?”.
Erano proprio identici.
-Rosie è la nipote più piccola della signora Miller.- continuò a spiegare. –Come sta tua nonna, cara?-.
Mi ricordavo di Miranda Miller, era venuta anche al nostro matrimonio. Era una signora anziana, con la faccia gentile, completamente fissata per il viola.
-Mia nonna sta bene, grazie.-rispose educatamente Rosie –Mi hai chiesto di salutarti, Eva.-.
-Ohh…delle che io, mio marito e mio figlio ricambiamo il saluto.-.
Ed io chi ero? Un granello di polvere insignificante.
-Certo, - ricambiò la ragazza, poi mi guardò stranita, forse anche lei si era accorata che Evangeline mi aveva bellamente ignorato.
Lo sguardo di Andrew era della consistenza della pietra; il Dottor Allan continuava a fissare la moglie serrando la mascella.
Era una cena e nessuno stava mangiando…in realtà nessuno aveva toccato cibo.
Avrei dovuto aspettarmi una svolta del genere.
L’aria intorno alla tavola si fece pesante e per qualche minuto nessuno disse una parola.
-Ehm…grazie per avermi invitato…-cercò di dire la ragazza, sorridendo. Lo sguardo un po’ stranito le conferiva un espressione dolce. Era proprio bella.
-Figurati, - prese parola il Dottor Allan, -la tua visita improvvisa è ben accetta.-.
-Grazie. Eva mi ha detto che ci teneva tanto che venissi, non ho potuto rifiutare.-.
Come poteva essere altrimenti?
Evangeline fece uno sguardo soddisfatto e la guardò con gli occhi pieni d’approvazione.
Ritornò il silenzio.
Un cellulare squillò all’improvviso, Rosie tirò fuori il suo Iphone dalla borsetta e lo fissò.
-Ehm…se potete scusarmi cinque minuti…- chiese timidamente.
-Certo, certo, cara! Fai pure!- le disse incoraggiante, mia suocera. La ragazza si alzò dalla tavola e si diresse verso l’ingresso.
Appena fu uscita dalla sala da pranzo, Evangeline si girò raggiante verso Andrew.
-Allora?- chiese impaziente –cosa ne pensi? E’ bella, vero?-.
Questo era sicuramente troppo; lo capì (beh, non ci voleva molto per arrivarci) anche il Dottor Allen, che fissò la moglie con astio.
-Perché non sono stato avvisato di questa intromissione?- la sua voce era dura e inflessibile.
La moglie lo fissò confusa, come se non avesse afferrato il problema.
-Cosa c’è di male? E’ un’ospite così gradita, lei.-affermò semplicemente, poi ripose la sua attenzione nuovamente su Andy, che era rimasto in silenzio, -Allora, tesoro? Non pensi sia fantastica?-.
Mi sentivo male.
Avrei tanto voluto intromettermi…magari anche spaccarle la faccia, perché no?
Eppure rimasi ferma al mio posto, le braccia sul ventre e lo sguardo basso.
-Allora?- continuò insistente.
E Andrew scoppiò.
Lanciò in malo modo la forchetta sul tavolo, e guardò la madre con occhi di fuoco.
Il Dottor Allen non si scompose per niente, rimase perfettamente immobile, l’espressione neutra, mentre guardava la reazione del figlio.
Il suo sguardo sembrava dire “Era ora!”, e lo pensavo anch’io.
Evangeline sbatté le palpebre un paio di volte.
-Proprio non ci arrivi, vero?- le domandò Andrew sorridendo in modo poco rassicurante.
-Cosa? Non ho fatto nulla di male, tesoro! Ti ho solo chiesto cosa pensassi di quella ragazza così carina!-.
Andy scoppiò a ridere in modo cattivo, -Appunto. Dimentichi che sono sposato, mamma.-.
-Ah.- lei fece un espressione contrariata.
-Gia, - riprese Andrew, -perché dovrei guardare altre donne quando ho una moglie che amo e un figlio in arrivo?-.
Trattenni il fiato rumorosamente.
Ci volle un po’ affinché interpretassero il significato di quella frase.
La testa del Dottor Allen si voltò immediatamente verso di me, con espressione stupita.
Anche Evangeline fu costretta a rivolgermi la sua attenzione, come avevo previsto, per la prima volta in tutta la serata. Non le avevo mai visto un’espressione simile: era un misto d’incredulità, confusione, disprezzo e…rabbia.
Il suo bel volto era quasi trasfigurato.
-E’ vero, Judith?- mi chiese gentilmente il Dottor Allen, con voce spezzata.
-Ehm…- mi guardai attorno, Rosie stava per rientrare nella sala, ma fece marcia in dietro. Non sapevo se aveva assistito a tutta la scena, ma la ringraziai mentalmente.
-Si, è vero.-affermai in fine; Andy mi guardava soddisfatto.
Il volto di Evangeline divenne ancora più terrificante.
Sapevo bene quello che stava pensando: un bambino avrebbe legato me Andrew molto di più di quanto avrebbe potuto fare un certificato di matrimonio in cui giuravi su Dio di passare il resto della vita assieme.
-Posso chiederti di quanto sei?- mi domandò sempre gentilmente mio suocero.
Io e Andy rispondemmo in simultanea -Un mese e quache giorno.-.
Il Dottor Allen sorrise, forse stava per congratularsi, forse stava per farmi qualche altra domanda…in ogni modo non lo seppi mai, perché la voce affilata e tagliente di Evangeline lo interruppe, rivolgendosi ad Andrew.
-Non avrai mica intensione di tenerlo?-.
Mi colpì come uno schiaffo in piena faccia. Anche se avevo avuto paura, anche se non sapevo quello che mi stava aspettando, non avevo mai, MAI, preso in considerazione l’idea di uccidere il mio bambino.
Perché era quello, che in sostanza, Evangeline stava chiedendo.
-Andrew, non vorrai mica tenerlo, voglio sperare!- continuò con voce squillante.
Il volto del Dottor Allen era una maschera d’orrore. Fissava la moglie come se fosse il demonio (e forse lo era).
Andrew si alzò di colpo, talmente in fretta che la sedia si rovesciò.
Venne in fretta verso di me, mi fece segno d’alzarmi e mi prese per un polso. Anche il Dottor Allen si era alzato e ora guardava preoccupato il figlio.
Andy fissò la madre con tanto odio che stentai a riconoscere gli occhi che tanto amavo sotto a quell’espressione.
-Sei un mostro.- sibilò soltanto e uscimmo dalla sala, avviandoci verso l’ascensore.
Sentii distrattamente mio suocero chiamare il suo nome e, altrettanto distrattamente, vidi Rosie che ci guardava con espressione dispiaciuta.
Quando arrivò ed entrammo nell’ascensore, stavo già piangendo.
 
 
 
 






 
 
Terzo capitolo! Spero di aver risposto positivamente alle attese!
Ringrazio pirilla88, AlessandraMalfoy, e Purple per le recensioni!
Un bacione a tutte^^












  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: AvalonGirl