Come e quando dire “nonni”
2° Parte
-…è andata oltre ogni mia aspettativa.- stava dicendo Andrew.
Erano quasi le sette e stavamo rientrando. Bloccati nel traffico
di Lafayette Street (era l’orario di punta) analizzavamo tutto quello che era
successo in quella lunga, estenuante ma memorabile giornata.
16 settembre 2008, una data da ricordare, mi dissi mentalmente.
C’ero riuscita; l’avevo accettato completamente e…ne ero felice.
Poco meno di una settimana prima mi sembrava una catastrofe.
-Già, - concordai –ma molto probabilmente nel giro di qualche
giorno lo saprà mezza New York.-, non che mi desse fastidio, ma ci tenevo alla
nostra privacy.
-Anzi, credo che arriverà anche oltre l’oceano.- considerai
pensando a mia nonna in Italia. La mamma aveva preso da lei.
Andy rise di gusto –Per me non c’è nessun problema.-.
Per lui non c’era nessun problema, ovvio, d'altronde sembrava
toccare il cielo con tutta la mano da due giorni; io da qualche ora.
M’immaginai la mia coscienza annuire soddisfatta dei miei
pensieri. D’altro canto era merito suo.
Andrew aveva assolutamente ragione, la reazione dei miei era stata
più inaspettata del previsto; naturalmente in positivo.
Mia madre mi aveva tartassato di domande per tutto il giorno: è
stato un incidente? (imbarazzo); ma la ginecologa è buona?; qual è stato il
giorno del concepimento? (super imbarazzo!).
Aveva chiuso il ristorante e non ne aveva voluta sentire ragione.
Era un giorno speciale, non lo avrebbe sprecato a lavorare. Poi si
era attaccata al telefono, parlando un italiano così fitto e veloce che ebbi
difficoltà a capirla; aveva chiamato mia nonna, mia zia, mio zio, i suoi
cugini…probabilmente tutti i membri in vita sull’albero genealogico erano stati
informati, in barba a mio padre, che gia abbaiava per i costi delle chiamate
internazionali.
Anche se toccato, papà aveva preso la notizia con molta nonchalance
…il che voleva dire che non aveva iniziato a saltellare per il ristorante come,
invece, aveva fatto qualcuno, alias mia madre.
Andrew ed io li avevamo osservati divertiti mentre si
battibeccavano sulla possibilità di appendere un”annuncio” nel ristorante, del
tipo “donna gravida in sala.”
Ne sarei morta di vergogna.
Fortunatamente sia mio padre, sia Andy riuscirono a farla
demordere nel suo diabolico intento.
Questo non voleva dire che non avrebbe trovato un modo diabolico e
imbarazzante per permettere a tutti di congratularsi con lei circa il suo
futuro ruolo di nonna.
-Non è un fenomeno da baraccone!- aveva replicato mio padre, che
mi era parso come la voce della ragione in mezzo a tanta follia.
Mia madre lo aveva guardato shockata con espressione traducibile
in un indignato: “Come-puoi-pensare-una-cosa-del-genere-?” e gli aveva messo il
broncio; che durò all’in circa un decimo di frazione di secondo, perché poi era
tornata a sorridere tutta felice.
Papà si era passato una mano sulla faccia, scuotendo il capo.
Il clou della giornata era arrivato quando le mie sorelle e mio
fratello erano rientrati. Mamma non mi aveva fatto neanche parlare, si era fondata
su Claudia e Lily e le aveva raccontato vita e miracoli della mia
neogravidanza, aggiungendo particolari che non avrei giurato di non aver mai
detto.
La lascia fare…almeno fin quando non se ne uscii con la frase -…lo
spara spermatozoi a raffica ci è riuscito, finalmente!- chiaramente riferito a
mio marito, che, povero, avrebbe preferito sotterrarsi con una vanga sotto lo
sguardo accigliato di mio padre.
Un sussurrato –Mamma…non esagerare…- era stato d’obbligo.
Claudia aveva spalancato gli occhi, boccheggiato per un po’ e in fine,
aveva fatto cadere la cartella, incredula; Lily mi aveva abbracciato
congratulandosi. Lo avevo sempre detto io che era la più normale della
famiglia.
Vincent mi guardò la pancia, per poi aggiungere –Ma io non vedo
niente di diverso!-.
Eravamo scoppiati a ridere; il resto della giornata era passata in
modo analogo.
Quando mia madre decise di lasciarmi andare (cosa che non fu per
niente facile…) erano ormai le sei del pomeriggio.
-Ogni giorno che passa diventano sempre più pazzi…- considerai
scherzando.
Beh…effettivamente un po’ strambi lo erano.
-Naaa…non credo, sai?- aveva replicato Andrew, -sono semplicemente
felici. E’ il loro primo nipote, amore…è naturale che siano agitati.-.
Il loro primo nipote, vero.
-Il nostro primo figlio…- avevo sussurrato con tono sommosso.
-Mmmm…mi piace come suona l’aggettivo “nostro” vicino alla parola
“figlio”.-.
Era in momenti come quello che mi convincevo di essere la ragazza
più fortunata al mondo.
Riuscimmo ad arrivare a casa solo venti minuti dopo, che erano
ormai le sette e venti. Parcheggiammo la macchina nel viale di fronte alla
nostra bella palazzina a mattoni rossi.
Andrew scese per primo dalla macchina e mi aprì molto
elegantemente lo sportello, mormoro un fine –Madam…- e mi afferrò per mano.
Lo amavo, lo amavo!
Eccome se lo amavo!
Gli diedi un bacio veloce sulle labbra; bacio che poi si trasformò
in qualcosa di molto meno casto.
Andrew mi afferrò in modo protettivo per un fianco; riuscimmo ad
aprire la porta di casa ed entrammo continuando a baciarci.
Lanciai la borsa per terra, incurante, mentre le calde, familiari
mani di Andy mi accarezzavano su tutto il corpo.
Mi appoggiai contro la parete dell’ingresso, mentre continuavamo a
baciarci con passione e fervore crescente. Cercai di stringermi ancora di più a
lui, per sentire meglio il suo calore, passandogli una mano tra i ribelli
capelli biondi che amavo.
Così come amavo ogni più piccola parte di lui.
Sentii le mani di Andrew avventurarsi sotto la mia fine maglietta
azzurrina, si soffermarono sul mio ventre accarezzandolo in modo dolce e
delicato, poi salirono più su; io emisi un gemito soffocato.
Poi, improvvisamente, squillò il telefono.
Mi bloccai di colpo, infastidita dall’intromissione di quel suono.
-Lascialo stare.-mi sussurrò all’orecchio con voce roca.
Era quello che avevo intenzione di fare.
Dopo un altro paio di squilli l’apparecchio si zittii.
Riprendemmo a baciarci, sempre più rapiti l’una dell’altro;
stavamo per salire in stanza da letto quando quel maledetto telefono rincominciò
a squillare.
Desideravo scomparisse.
Sbuffai scocciata, sotto il suono prepotente che ci aveva
interrotto.
A malincuore mi staccia da Andy, che mi guardò con espressione
delusa.
-Sei una strega…- mi mormorò seduto sulle scale.
Gli feci una linguaccia rispondendogli con un sarcastico –Ti amo
anche io.- e corsi nella vicina cucina per rispondere all’aggeggio infernale,
Andy mi seguì.
Con tutte le probabilità doveva essere mia madre, pensai
scocciata.
-Pronto?- la mia voce doveva apparire un po’ seccata, perché il
mio interlocutore tentenno per qualche attimo.
-Judith?-
La bocca mi si prosciugò improvvisamente. Dovevo anche aver
cambiato espressione, perché, Andrew mi guardò interrogativo.
-Pronto? Riesci a sentirmi?-
Recuperai la mia facoltà di parlare e risposi.
-Si…ehm…riesco a sentirla Dottor Allen.-.
Andrew si alzò dalla sedia immediatamente e mi si avvicinò.
-C’è mio figlio in casa?-
il Dottor Allen era fatto così, puntava direttamente al sodo.
Forse era arrabbiato perché da due giorni Andrew non si presentava
in ufficio; lo guardai preoccupata, lui mi rispose nel medesimo modo.
-Andrew?...ehm…-.
Il suddetto incominciò a mandarmi chiari messaggi di fumo; scosse
il capo in senso negativo e mi guardò implorante.
Nonostante la visita dai miei fosse andata più che bene, non
dimenticavo che mi ci aveva portato con l’inganno. Dai miei occhi intuì cosa
stessi pensando.
-Si. E’ proprio qui. Ve lo passo.-risposi in fine.
Allungai la cornetta verso Andy, che mi guardava come se lo avessi
appena tradito e schiacciai il tasto del vivavoce.
-Papà?- chiese titubante.
-Per quale motivo manchi da
due giorni? Ricordati che ti pago!-.
Andy sospirò –Scusa papà, ci sono state delle…ehm…questioni.-.
-Va tutto bene?- la voce
aveva cambiato tono.
-Si, si- si affrettò a rispondere –nulla di negativo.-.
-Bene. Volevo dirvi che
domenica sera siete inviati a cena da noi.-.
Andrew trattene il fiato, io divenni una maschera d’orrore.
Una sola parola, un solo nome, fluttuava nella mia testa:
Evangeline Allen.
La figura eteria e gelida di sua madre che mi squadrava con occhi
di ghiaccio dalla testa ai piedi, che puntualizzava ogni mio piccolo difetto, che continuava a volergli presentare ragazze
nonostante fossimo sposati da due anni (!), mi congelò il fiato.
Raramente andavamo a casa dei suoi, e altrettanto raramente ci
invitavano; quando succedeva c’era sempre una ragione.
Evangeline adorava, letteralmente, mettermi alla prova. Mi faceva
sentire sotto pressione, giudicava ogni mio comportamento e amava mettermi a
confronto con le ragazze ricche e anoressiche che spopolavano nell’Upper East
Side.
Probabilmente sperava di cogliere in noi un qualche segno che
dimostrasse che il nostro rapporto non funzionava.
Ero certa che teneva gia pronte le carte per un eventuale
divorzio.
In conclusione…mi odiava. In tutti i sensi più negativi nella
parola, che gia di se era più che abbastanza negativa.
Non ero certa di riuscire a sopportare il suo, neanche tanto ben
celato, odio verso di me, questa volta.
-Allora? Cosa rispondi?-.
Andrew cercò il mio sguardo, -Ehm…vedi, papà…non creo che sia una
“buona” idea…-.
Certo che non lo era! Quella vipera sarebbe stata capace di farmi
abortire con un solo sguardo ancora prima che potessi rivelare di essere
incinta!
Andy ti amo, pensai, anche se non gli avevo dato ascolto quando mi
aveva silenziosamente supplicato di non passargli il telefono, mi stava
appoggiando.
Questo si che era amore incondizionato!
O forse, più semplicemente, neanche lui era molto entusiasta
all’idea di rivedere la strega.
-Forse non hai capito.-riprese
duramente la voce del Dottor Allen –non è
un invito. E’ un ordine. Tua madre vuole vederti. Vi aspettiamo per le sette.-e
staccò.
“Tua madre vuole
vederti.”
è certo! Come poteva essere altrimenti?!
Andrew posò il telefono e guardò la mia espressione cerea.
-Amore…- mi disse piano -…non agitarti ok?-.
Come potevo non agitarmi? Non potevamo non presentarci, infondo il
Dottor Allen era una specie di “capo di lavoro” oltre ad essere suo padre e mio
suocero; era grazie allo stipendio (abbastanza alto) che dava ad Andrew che
andavamo avanti!
-Sto bene.-mormorai a bassa voce.
-Mi dispiace tanto!- riprese lui.
-Shhh…- lo zittii abbracciandolo -…non hai fatto nulla!-, mi
guardò con espressione dolce, dopodiché mi sollevò e mi portò direttamente in
camera da letto.
Sospirai affranta ma sicura che c’e l’avremmo fatto a superare
anche questa.
Non ci avevamo pensato, ma prima o poi avremmo dovuto dirlo anche
a loro.
Il problema era che quel “prima” sarebbe venuto più in fretta di
quanto ci immaginassimo.
Mi guardai allo specchio per l’ennesima volta, chiusa in bagno.
Non era mai stata un tipo vanitoso, né mi ero mai particolarmente
soffermata sul mio stile d’abbigliamento; un jeans, una camicia, un paio di
Nike e il gioco era fatto.
Odiavo il trucco in ogni sua forma, il fondotinta mi dava allergia
e il mascara mi faceva venire le lacrime; avevo, quindi, rinunciato a qualsiasi
forma di cosmetico che superasse una semplice linea a matita sugli occhi o il
burro cacao sulle labbra.
Nell’occasione in cui il Dottor Allan ci invitava a cena, sotto
costrizione della malefica moglie, i miei dubbi riguardo al mio aspetto
affioravano sostanziosi. Imprecavo contro la banalità del mio fisico non troppo
alto e un po’ troppo esile.
Eravamo sicuri che fossi realmente mediterranea?
Erano questi i miei pensieri mentre fissavo la mia appena
accennata seconda. Chissà se sarei riuscita ad allattare con un seno tanto
piccolo.
Sbuffai scocciata. Il pensiero di rivedere Evangeline scatenava in
me i miei più piccoli e disperati dubbi.
Ad ogni modo, ero immobile da quasi dieci minuti a fissare la mia
figura allo specchio. Per “l’occasione” avevo indossato un vestito verde
bottiglia, carino e senza pretese particolari, che arrivava un po’oltre il
ginocchio, con ghirigori neri sull’orlo della gonna morbida; un paio di
ballerine e un copri spalle nero.
Avevo lasciato i miei capelli ricadere in modo naturale nel loro
caschetto sfilato e avevo rinunciato a truccarmi; avrei sicuramente sudato,
quindi lasciai stare anche la matita sugli occhi.
Tutto sommato stavo abbastanza bene, ma ad Evangeline non sarebbe
di certo bastato. Ero più che convinta del fatto che si fosse preparata i
commenti da rivolgere a bassa voce e in modo del tutto casuale nei miei
confronti per poi mi guardarmi con la sua solita espressione glaciale
uscendosene con un –Scusa, cara.
Forse ti sei offesa…- per poi tornare a voltare le faccia dall’altro lato della
sala.
Mi venivano i brividi.
Bussarono alla porta del bagno –Ju sei pronta?-.
Non mi restò che dire si.
Anche Andrew sembrava abbastanza agitato, dover stare con sua
madre e con suo padre ore in più del necessario lo infastidiva.
Inizialmente, quando l’avevo conosciuto, stentavo a credere nel
modo in cui parlava dei suoi genitori, così come mi stupiva che non sentisse
alcun bisogno di vederli; per me, che ero cresciuta circondata da fratelli
pestiferi, sorelle rompiscatole e genitori iperaffettuosi, era incomprensibile.
Quando li conobbi, o meglio, quando la conobbi mi sembrò tutto più
chiaro; non potevo non biasimarlo.
Lo guardai attentamente, pensando quanto fosse folgorante e
soprattutto, bellissimo.
Anche lui si era vestito in modo abbastanza elegante, ma non aveva
rinunciato ai soliti jeans strappati. Forse voleva infastidire sua madre.
Sopra ai jeans indossava una camicia bianca a maniche lunghe,
leggera, e una giacca nera. I capelli sembravano ancora più indomabili del
solito, considerai.
Sembrava appena uscito da una rivista di bellezza.
Perché mi sentivo così semplicemente normale?
-Sei bellissima…- mi disse sfiorandomi con lo sguardo,
evidentemente lui non la pensava come me.
-Guarda chi parla.-me lo sarei mangiato, metaforicamente, con gli
occhi.
Uscimmo da casa che erano le sei un quarto; da Greenwich Village
all’Upper East Side erano circa due chilometri, considerando il traffico ci
avremmo messo quasi un’ora.
Sperai di non arrivare tardi.
Durante il viaggio non parlammo molto. Entrambi, a modo nostro, ci
stavamo preparando mentalmente per direi ai suoi genitori e quindi ai miei
suoceri che presto sarebbero diventati nonni; dubitavo fortemente che
l’avrebbero presa con tutto l’entusiasmo dimostrato da mia madre.
Il Dottor Allen perché era quel genere d’uomo che non mostrava mai
apertamente i suoi sentimenti, in tutta la sua vita Andrew affermava che le
volte che ricordava d’essere stato abbracciato da suo padre erano davvero
limitate.
Evangeline avrebbe sottoposto a un test di paternità il nostro
bambino appena fosse nato.
Mi portai le mani in modo protettivo sul ventre; era un gesto
insolito e istintivo che avevo scoperto di fare solo da qualche giorno, quando
mi sentivo agitata o pensavo al nostro bimbo.
La parola “bimbo” mi faceva sorridere divertita, non sapevo perché
ma era così.
Comunicherò io la notizia.- disse Andrew all’improvviso, mentre si
fermava a un semaforo rosso all’inizio della Quarantesima strada –Quindi non
preoccuparti.-.
Inutile dire che mi sarei preoccupata comunque, ma mi sentii
enormemente sollevata. Infondo era normale che volesse essere lui a comunicare
la bella notizia, così come io avevo voluto darla personalmente ai miei. Quindi
mi limitai ad annuire in silenzio, continuando a guardare la colorata e attiva
New York con il vento che entrava dal finestrino aperto, sul viso.
Superammo la Cinquantasettesima strada e deviammo per la Quinta
Avenue, una delle strade più belle e ricche dell’Upper East Side di New York, quella,
dove affacciava il lato est di Central Park, la strada dell’Empire State
Building e della cattedrale di San Patrick, per dirne qualcuno.
La strada dove Andrew era nato e vissuto e dove residevano ancora
i suoi genitori.
L’imponente palazzo che ospitava l’attico della famiglia Allen si
ergeva distintivo all’inizio della grande via.
Il “Golden Building” era uno degli edifici più lussuosi della
Quinta Avenue: alto quasi venti piani, in stile liberty, fu edificato
all’inizio del 1900 ma durante la grande depressione cadde in rovina, fu
riacquistato alla fine degli trenta da Robert Golden; il nonno di Evangeline e
il bisnonno di Andrew.
Ci fermammo con l’auto vicino al grande portone d’ingresso e la affidammo
al valletto vestito di rosso scuro con tanto di berretto.
Scesi dalla macchina, io e Andy ci guardammo. Lui mi sorrise
incoraggiante e ci prendemmo per mano.
Mi sembrava tanto il dejà vo di quando mi presentò ai sui per la prima
volta.
Speravo, però, che quella volta andasse meglio. Il nostro primo
incontro non fu proprio dei più idillici, ma comunque non ci furono morti
superflue.
-Bentornato signor Allen.- a parlare era stato l’anziano uomo
all’entrata delle Golden Building, quello che apriva e chiudeva le porte quando
qualcuno doveva entrare o uscire.
-Signora Allen.- si levò il cappello a segno di saluto, io
abbozzai un sorriso.
-Buona sera Louis. E’ da molto che non ci vediamo.-.
-E’ sempre un piacere rivederla, signore.- era un uomo
dall’espressione molto gioviale, il tipo di zio simpatico che tutti vorrebbero
avere e che, nonostante l’età, aveva lo spirito di un vero ragazzino.
Mi era sempre stato simpatico.
Salutammo Louis, che ci aprì la porte di vetro sulla quale brillava
la scritta “Golden Building. 1938” ed
entrammo.
L’atrio era grande, molto grande, arredato finemente. Di fronte a
noi c’era la portineria, quando gli addetti ci videro, si alzarono dalle loro
postazioni e ci salutarono educatamente, Andrew era il figlio del proprietario
di quel posto ed io sua moglie, quella sorta di rispetto non mi piaceva…era
come d’obbligo.
Sempre tenendoci per mano attraversammo tutto l’ampio salone, fino
ad arrivare agli ascensori.
Salimmo in quella privata, che portava direttamente agli ultimi
due piani del palazzo, quelli abitati dalla famiglia Allan – Golden, in cui
Andrew era cresciuto.
-Ti prego, dimmi che ami…- gli dissi d’un tratto, aggrappandomi
quasi al suo braccio intrecciato col mio.
Lui mi guardò tenero, sussurrandomi il –Ti amo.- di cui avevo
bisogno.
L’ascensore produsse il familiare dlindlon, segno che eravamo
arrivati. Deglutimmo contemporaneamente, mentre le porte della macchina si
aprivano.
-Siete in ritardo.-.
L’austera figura del Dottor Allan ci aspettava nella solita
postura composta e rigida davanti all’ascensore.
Era un uomo alto, possente, con espressione un po’ dura. I capelli
castani chiari erano stirati di bianco nelle tempie e alla radice, così come lo
erano i baffi. Indossava un completo giacca e cravatta nero, con camicia
grigia.
Tutta la sua figura era di una serietà sconcertante e trasudava
fierezza da ogni poro. Lo stimavo molto, e, nonostante affermasse l’esatto
opposto, sapevo che anche Andy era della mia stessa opinione.
-Scusa, papà. Abbiamo incontrato traffico.- cercò di
giustificarsi, la sua voce era leggermente diversa; anche la sua postura lo
era. Cambiava sempre atteggiamento quando c’era suo padre nei paraggi.
Il Dottor Allen squadrò suo figlio per un po’, quando poi decise
che la scusa del traffico era sufficiente, rivolse la sua attenzione verso di
me.
-Judith, è un piacere rivederti.-.
-Anche per me, Dottor Allen.- e in parte era falso, se non fosse
stato per sua moglie.
Poi notai che non c’era traccia di Evangeline in giro, e mi chiesi
che cosa stesse tramando.
Andy fu della mia stessa opinione, -Dov’è mia madre?-.
-Scenderà tra poco.-disse soltanto suo padre –intanto perché non
ci accomodiamo in sala da pranzo? Sono gia le sette e mezzo.-e ci fece segno di
seguirlo.
L’attico degli Allen era, e sarebbe sempre stata, la casa che
avessi mai visto in tutti i miei ventitré anni di vita.
Era enorme, arredato con gusto ed eleganza con mobilia classica.
La sala da pranzo, ad esempio, era un ampio salone circolare con un grande
tavolo in vetro al centro, sedie simili a poltrone e un lampadario a soffitto
che cadeva proprio sul centro tavola.
Non mi sarei mai abituata alla magnificenza di quella casa.
Ero ancora in contemplazione, quando la voce mi arrivò forte e
chiara, nel suo tono cristallino e calmo.
-Buona sera, tesoro.- disse la voce.
Evangeline, eterea come sempre, entrò dalla parte opposta alla
nostra, elegantemente fasciata in un vestito bianco a tubino e stivali alti
neri. Altissima e bellissima, non avrei scommesso un dollaro sui suoi quarantasette
anni; aveva lunghi e vaporosi capelli biondi che le incorniciavano il viso
perfettamente ovale, labbra sottili e proporzionate, mani curate e due occhi
verdi così simili a quelli di Andy in modo impressionante.
Camminò in modo elegante nella nostra direzione, mentre io iniziai
a sudare freddo.
Erano due i comportamenti che assumeva in mia presenza: primo,
iniziava a tartassarmi dal momento in cui mi vedeva, commentando inizialmente
il mio abbigliamento per poi passare ad ogni più piccola parte del mio corpo
che, da come lo vedeva lei, era pieno di difetti; secondo, mi ignorava
completamente, limitandomi a squadrarmi o a farmi qualche sorriso tirato, per
poi voltare il viso perfetto e fingere che io sia una piccola mosca invisibile
spiaccicato sul parabrezza in cristallo della sua vita.
Quella sera scelse il secondo metodo.
Mi lanciò un’occhiata di sufficienza, arricciò le labbra in quello
che doveva essere una parvenza di sorriso e si girò verso il figlio e il
marito.
Abbracciò Andrew portandolo il più lontano possibile da me, in
modo che dovette lasciare la mia mano.
-Sto bene mamma, grazie.-stava rispondendo Andy alle sue domande.
-Non vieni mai a trovare la tua cara mamma! Lo so che sei molto
occupato e che mandi da solo avanti
la casa, senza aiuti da parte di nessuno, escludendo me e tuo
padre. Evidentemente c’è chi preferisce scarabocchiare…-.
Un’allusione?
Il Dottor Allen guardò la moglie con sguardo critico, forse prima
del nostro arrivo le aveva fatto un discorso del tipo “Sii umana con tua
nuora.”, cui aveva ribattuto sicuramente con un “Non ho nessuna nuora, per
quello che mi riguarda.”.
Si prospettava proprio una piacevole serata.
-Vedrai, tesoro mio,- perché
calcava quel genere di parola? –la mamma ha una bella sorpresa per te!-.
-A proposito, - tentò di dire Andrew, -…ehm…anche noi abbiamo una
sorpresa…vedete…- ma prima che potesse concludere la frase Evangeline lo fermò;
fin quando il soggetto della frase avrebbe sarebbe stato noi non le sarebbe
interessato.
-C’è tempo per parlare. Ora andiamo a tavola.- e trascinò Andy a
sedere.
Il Dottor Allen mi sorrise nel suo particolare modo e m’indicò il
mio posto. Lo ringraziai educatamente e mi sedetti.
Ero seduta proprio d fronte ad Andrew, che mi guardava con
espressione preoccupata.
Forse si stava chiedendo cosa pensassi o perché me ne stava tutta
zitta e in silenzio; semplice, meno avrei attirato l’attenzione di Evangeline
su di me, meglio sarei stata.
La suddetta era tutta intenta a parlare a proposito di qualcosa
che non conoscevo e che di sicuro non m’interessava, sempre più intenzionata a
ignorarmi.
Non le avrei dato certo un motivo per smettere di farlo.
Considerai che una volta che avrebbe saputo che ero incinta di suo
nipote avrebbe dovuto guardarmi per forza.
Sospirai.
-Tutto bene, Ju?- mi domandò Andy.
-Si…ehm…sono solo un po’ affamata.- e sorrisi accondiscendono.
Bugia. Non avevo per nulla fame.
-Giusto, - intervenne il Dottor Allan e ordinò di servire la cena.
Appoggiarono sul tavolo un arrosto enorme, di quelli che sarebbero
bastati a sfamare una famiglia con otto figli. Mi feci la porzione più piccola,
ma prima che potessi iniziare a mangiare, l’ascensore suonò. Evangeline si
esibì in uno dei suoi più meravigliosi sorrisi (brutto segno), -E’arrivata la bella sorpresa!- e si alzò.
Posammo tutti le posate e aspettammo che ritornasse; solo che non
era da sola.
La prima cosa che pensai quando vidi quella ragazza fu: troppo
luminosa.
Esattamente…sembrava brillare di luce propria. Rimasi un po’ a
bocca spalancata mentre Evangeline le faceva segno di sederi proprio accanto a
mio marito.
Aveva capelli rossi che le arrivavano alla vita, grandi occhi
verde scuro e un viso a forma di cuore.
Avrebbe potuto essere a tutti gli effetti una modella.
La
ragazza salutò educatamente tutti.
-Lei è
Rosie Colerine, - la presentò Evangeline –ci ha gentilmente onorato della sua presenza. E’ un’ospite
molto gradita, lei.-.
Ed io no,
ovviamente.
Il Dottor
Allen guardò la moglie con espressione indecifrabile, tutto mi lasciava pensare
che neanche lui fosse informato di questo piccolo cambio di programma.
Andrew
invece indurì i lineamenti del volto, serrando la mascella. Feci un bel respiro
e contai mentalmente fino a dieci.
-Sapete, -
continuò –la cara Rosie frequenta la Columbia University, è stata ammessa con
uno dei punteggi più alti!-.
La
ragazza arrossì leggermente, -Ho solo studiato molto, niente di che. I miei ci
tenevano molto.-, aveva anche una bella voce.
-Però ora
hai ottenuto un permesso di sei mesi per frequentare un corso di musica di
rilievo presso la Juilliard! I tuoi devono essere molto orgogliosi di te!-.
Arrossì
nuovamente, non mi sembrava una cattiva ragazza.
Sia mio
suocero sia mio marito erano immobili, con la stessa espressione.
Le loro
facce sembravano chiedere “da quando la nostra cena di famiglia è diventata uno
show sulla vita di sconosciuti?”.
Erano
proprio identici.
-Rosie è
la nipote più piccola della signora Miller.- continuò a spiegare. –Come sta tua
nonna, cara?-.
Mi
ricordavo di Miranda Miller, era venuta anche al nostro matrimonio. Era una
signora anziana, con la faccia gentile, completamente fissata per il viola.
-Mia
nonna sta bene, grazie.-rispose educatamente Rosie –Mi hai chiesto di
salutarti, Eva.-.
-Ohh…delle
che io, mio marito e mio figlio ricambiamo il saluto.-.
Ed io chi
ero? Un granello di polvere insignificante.
-Certo, -
ricambiò la ragazza, poi mi guardò stranita, forse anche lei si era accorata
che Evangeline mi aveva bellamente ignorato.
Lo
sguardo di Andrew era della consistenza della pietra; il Dottor Allan continuava
a fissare la moglie serrando la mascella.
Era una
cena e nessuno stava mangiando…in realtà nessuno aveva toccato cibo.
Avrei
dovuto aspettarmi una svolta del genere.
L’aria
intorno alla tavola si fece pesante e per qualche minuto nessuno disse una
parola.
-Ehm…grazie
per avermi invitato…-cercò di dire la ragazza, sorridendo. Lo sguardo un po’
stranito le conferiva un espressione dolce. Era proprio bella.
-Figurati,
- prese parola il Dottor Allan, -la tua visita improvvisa è ben accetta.-.
-Grazie.
Eva mi ha detto che ci teneva tanto che venissi, non ho potuto rifiutare.-.
Come
poteva essere altrimenti?
Evangeline
fece uno sguardo soddisfatto e la guardò con gli occhi pieni d’approvazione.
Ritornò
il silenzio.
Un
cellulare squillò all’improvviso, Rosie tirò fuori il suo Iphone dalla borsetta
e lo fissò.
-Ehm…se
potete scusarmi cinque minuti…- chiese timidamente.
-Certo,
certo, cara! Fai pure!- le disse incoraggiante, mia suocera. La ragazza si alzò
dalla tavola e si diresse verso l’ingresso.
Appena fu
uscita dalla sala da pranzo, Evangeline si girò raggiante verso Andrew.
-Allora?-
chiese impaziente –cosa ne pensi? E’ bella, vero?-.
Questo
era sicuramente troppo; lo capì (beh, non ci voleva molto per arrivarci) anche
il Dottor Allen, che fissò la moglie con astio.
-Perché
non sono stato avvisato di questa intromissione?- la sua voce era dura e
inflessibile.
La moglie
lo fissò confusa, come se non avesse afferrato il problema.
-Cosa c’è
di male? E’ un’ospite così gradita, lei.-affermò
semplicemente, poi ripose la sua attenzione nuovamente su Andy, che era rimasto
in silenzio, -Allora, tesoro? Non pensi sia fantastica?-.
Mi
sentivo male.
Avrei
tanto voluto intromettermi…magari anche spaccarle la faccia, perché no?
Eppure
rimasi ferma al mio posto, le braccia sul ventre e lo sguardo basso.
-Allora?-
continuò insistente.
E Andrew
scoppiò.
Lanciò in
malo modo la forchetta sul tavolo, e guardò la madre con occhi di fuoco.
Il Dottor
Allen non si scompose per niente, rimase perfettamente immobile, l’espressione
neutra, mentre guardava la reazione del figlio.
Il suo
sguardo sembrava dire “Era ora!”, e lo pensavo anch’io.
Evangeline
sbatté le palpebre un paio di volte.
-Proprio
non ci arrivi, vero?- le domandò Andrew sorridendo in modo poco rassicurante.
-Cosa?
Non ho fatto nulla di male, tesoro! Ti ho solo chiesto cosa pensassi di quella
ragazza così carina!-.
Andy
scoppiò a ridere in modo cattivo, -Appunto. Dimentichi che sono sposato,
mamma.-.
-Ah.- lei
fece un espressione contrariata.
-Gia, -
riprese Andrew, -perché dovrei guardare altre donne quando ho una moglie che
amo e un figlio in arrivo?-.
Trattenni
il fiato rumorosamente.
Ci volle
un po’ affinché interpretassero il significato di quella frase.
La testa
del Dottor Allen si voltò immediatamente verso di me, con espressione stupita.
Anche
Evangeline fu costretta a rivolgermi la sua attenzione, come avevo previsto,
per la prima volta in tutta la serata. Non le avevo mai visto un’espressione simile:
era un misto d’incredulità, confusione, disprezzo e…rabbia.
Il suo
bel volto era quasi trasfigurato.
-E’ vero,
Judith?- mi chiese gentilmente il Dottor Allen, con voce spezzata.
-Ehm…- mi
guardai attorno, Rosie stava per rientrare nella sala, ma fece marcia in dietro.
Non sapevo se aveva assistito a tutta la scena, ma la ringraziai mentalmente.
-Si, è
vero.-affermai in fine; Andy mi guardava soddisfatto.
Il volto
di Evangeline divenne ancora più terrificante.
Sapevo
bene quello che stava pensando: un bambino avrebbe legato me Andrew molto di
più di quanto avrebbe potuto fare un certificato di matrimonio in cui giuravi
su Dio di passare il resto della vita assieme.
-Posso
chiederti di quanto sei?- mi domandò sempre gentilmente mio suocero.
Io e Andy
rispondemmo in simultanea -Un mese e quache giorno.-.
Il Dottor
Allen sorrise, forse stava per congratularsi, forse stava per farmi qualche
altra domanda…in ogni modo non lo seppi mai, perché la voce affilata e
tagliente di Evangeline lo interruppe, rivolgendosi ad Andrew.
-Non
avrai mica intensione di tenerlo?-.
Mi colpì
come uno schiaffo in piena faccia. Anche se avevo avuto paura, anche se non
sapevo quello che mi stava aspettando, non avevo mai, MAI, preso in
considerazione l’idea di uccidere il mio bambino.
Perché
era quello, che in sostanza, Evangeline stava chiedendo.
-Andrew,
non vorrai mica tenerlo, voglio sperare!- continuò con voce squillante.
Il volto
del Dottor Allen era una maschera d’orrore. Fissava la moglie come se fosse il
demonio (e forse lo era).
Andrew si
alzò di colpo, talmente in fretta che la sedia si rovesciò.
Venne in
fretta verso di me, mi fece segno d’alzarmi e mi prese per un polso. Anche il
Dottor Allen si era alzato e ora guardava preoccupato il figlio.
Andy
fissò la madre con tanto odio che stentai a riconoscere gli occhi che tanto amavo
sotto a quell’espressione.
-Sei un
mostro.- sibilò soltanto e uscimmo dalla sala, avviandoci verso l’ascensore.
Sentii
distrattamente mio suocero chiamare il suo nome e, altrettanto distrattamente,
vidi Rosie che ci guardava con espressione dispiaciuta.
Quando
arrivò ed entrammo nell’ascensore, stavo già piangendo.
Terzo capitolo! Spero di aver
risposto positivamente alle attese!
Ringrazio pirilla88, AlessandraMalfoy,
e Purple per le recensioni!
Un bacione a tutte^^