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Autore: Nirvana_04    30/12/2016    4 recensioni
"All’inizio furono creati per servirli, e per un po’ di tempo lo avevano fatto anche bene. Poi una strana luce si accese nei loro occhi; la malvagità, simbolo della razza umana, si riversò anche sulle loro parti metalliche e iniziò a scorrere lungo i cavi e fili che li componevano. Infine scoppiò la guerra, e il mondo si spaccò ancora una volta."
Aisha e Kamul crescono insieme, ma le loro scelte e le differenze di classe li portano ad allontanarsi e a perdersi di vista.
Quando, però, il sedicesimo squadrone cade preda del nemico, il giovane non esita a correre incontro a una regione ostile e a una città, nascosta dal ghiaccio, che nasconde una strana forza racchiusa tra i suoi freddi androni. E, chissà, forse è proprio quel segreto che manca a Kamul per comprendere fino in fondo il potere dello strano pugnale che conserva gelosamente al suo fianco.
Genere: Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 2
Punto di collisione
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il ghiaccio aveva lo strano vizio di riflettere la luce e ingigantirne il potere: un effimero raggio che perforava una nube poteva diventare un prisma di luci accecanti, se colpiva una stalattite; un lampo poteva trasformarsi in fuoco contro un iceberg.
La volta che aveva fatto il suo primo volo oltre i confini di Solear a bordo del Boldercraft, Aisha era rimasta estasiata da quello spettacolo: i freddi raggi invernali, bianchi e rari tra le nevi perenni di Anverra, avevano sprigionato un tripudio di colori a contatto con la terra innevata, le stalattiti avevano dato vita a un caleidoscopio di sfumature, colori che non esistevano in città e che l’uomo, pensava lei, non potesse ricreare. Adesso quegli stessi bagliori erano illusioni che celavano ai suoi occhi il nemico, un’arma naturale che proteggeva le macchine al di là del ponte.
La bellezza del volo si era persa nella battaglia e nella quotidianità di quelli interminabili giri di ricognizione, dove tutto era appiattito in una nivea brughiera o ogni cosa abbagliava e tramortiva con i suoi riflessi.
Gli attacchi degli androidi si erano fatti più pressanti e minacciosi. Sotto ordine degli Intellettuali, intorno a Solear furono innalzate alte mura di zinco, una lega metallica a cui erano state miscelate altre composizioni chimiche. I giganti di ferro attaccarono le mura brandendo il fuoco e le mura evaporarono, e con essi le sostanze, fondendo e bucando gli ingranaggi del nemico e abbattendoli. La città, non più porto sicuro per l’uomo, divenne una discarica di pezzi carbonizzati e rotelle di ottone fuse e contorte, circondata da gas nocivi e vittima giorno e notte delle sirene d’allarme. Solear, una volta la dama più bella del nord, si era tramutata in una vedova nera vestita del sudario madreperlato della morte e della malattia. Un cancro incurabile si era impossessato delle sue strade, e oramai la gente era una cacofonica folla di automi che vagava attraverso vapori e nevischio; i soldati degli squadroni armati erano ombre smorte tra i fumi saturi degli scontri, che si sollevavano da carcasse di ferro e carbone, o qualche volta da corpi inceneriti e scheletrici di vittime o, peggio, malati terminali.
Aisha era una delle tante figure in tenuta grigia che marciava per le strade della periferia. Il fuoco dei suoi capelli si era spento tra la polvere e sporcato con i fumi. Il suo viso era pallido e i suoi occhi incavati. La sua pausa pranzo la passava da sola, contro un muretto o in un angolo non ancora occupato da qualche mendicante. La sua famiglia era partita su un areotreno verso il cuore di Gea, al sicuro per ora da quell’orrore. Pochi, invero, erano i civili rimasti a Solear.
Ella camminava senza una meta, vagolando con la mente spenta tra quelle strade che una volta conosceva come le sue tasche e che, forse, le sue gambe riconoscevano; ma i suoi occhi si rifiutavano di guardarle in quello stato decadente. Ancora una volta si ritrovò ai piedi della scaletta di rame che portava alla terrazza, la loro terrazza. Stanca di resistere, salì.
Non lo vide subito: i suoi occhi vagarono sulla piana di rottami fumanti sulla soglia della città, e per un attimo il suo animo vacillò. Fu lo stridio della lama contro i mattoni a crudo a farla girare. Guardò confusa la figura del giovane rannicchiato sul bordo, senza riconoscerlo.
“Aisha!” esclamò Kamul, imbarazzato. Anche lui sembrava esitare. “Non pensavo venissi.”
“È la mia terrazza!” sbottò sulla difensiva.
Quella era stata la sua terrazza, l’abitazione della sua famiglia una volta era al piano inferiore; questo, però, prima che si trasferissero nei quartieri dei minatori che il governo di Gea aveva messo a diposizione delle famiglie di chi lavorava in quelle fosse, come suo padre.
“Posso andarmene, se vuoi…” strascicò l’ultima parola.
Ella storse la bocca e l’osservò con sguardo truce. “Ancora a cincischiarti con quella lama?”
Kamul abbassò gli occhi e li riportò sull’oggetto che si rigirava istintivamente tra le mani. Restò in silenzio a rimirarlo nervosamente.
“Cosa pensi che possa fare una lama contro un gigante di ferro?” lo provocò.
“Non si tratta di logica o di una teoria da confutare. Questa è magia, l’arma di chi, prima di noi, ha creato e dominato il mondo per secoli. Se ritrovassimo la fede che…” s’interruppe bruscamente. Aisha lo guardò accigliata, e la sua espressione sembrò divertirlo. “Mi è sembrato di star ancora a parlare davanti ai membri del Consiglio degli Intellettuali. Le stesse vane parole” sillabò frustrato.
Le sue mani si serrarono intorno al manico del pugnale. Aisha sospirò, i suoi occhi fissarono lo sconforto che spadroneggiava in quelli di lui, e infine gettò la spugna. Si avvicinò a lui e gli si sedette affianco.
Lanciò un’occhiata mordace verso la lama, e poi domandò: “Mi spieghi perché te la porti sempre a zonzo se è così importante per il nostro futuro?” Suo malgrado, non riuscì a trattenere il sarcasmo.
Kamul sbuffò. “Perché non è altrettanto importante per gli Intellettuali o le fazioni radicali dell’Accademia.”
“L’Accademia ha fazioni?” si sorprese.
“Tsk, passano più tempo a osteggiarsi l’uno con l’altro che a collaborare.”
“Pensavo le stessero studiando” la indicò con un cenno.
“Per un po’ l’hanno fatto: la lega del materiale li aveva incuriositi. Sono scienziati: analizzare la materia che li circonda è ciò su cui si basa la loro esistenza. Ma quando sono venuti fuori termini come “magia” o “fede” hanno abbandonato il progetto.”
Aisha alzò una mano e la poggiò sul suo avambraccio. Mormorò: “Tuo padre cosa ne pensa?”
Kamul ridacchiò mestamente. “Mio padre ha detto: “Le polveri della periferia hanno annebbiato la tua capacità di raziocinio”. Lui è tra i primi a spalleggiare per i vecchi metodi; sperano ancora di poter controllare le macchine.” Spostò il suo sguardo sul suo viso e aggiunse, greve: “Ma saranno gli androidi a schiavizzarci. Noi siamo umani, la nostra mente è soggetta ai sentimenti; loro sono ferro con un’intelligenza artificiale, e fanno ciò che risponde a un ragionamento logico. Sono la parte peggiore di noi uomini, non hanno freni.”
“Conoscono l’odio, però” si rabbuiò lei.
Kamul fece spallucce. “Conoscono la guerra e la logica che vi sta dietro, anche se non possono comprenderla.” Dinanzi allo sguardo titubante dell’amica, spiegò: “Gli Intellettuali le hanno costruite per combattere a loro posto, insegnando loro concetti come “potere” e “dominio”; hanno mostrato loro l’avidità e l’invidia, e le macchine le hanno trasformate in impulsi logici e autoctoni, su cui basare la loro specie. Ma sono solo questo: concetti. Se riempissi una macchina con generosità e amore… beh, forse questi non li capirebbe” concluse con un sospiro mesto. “È più facile comprendere il male, che condividere un atto di bene.”
I loro sguardi si incrociarono per un lungo istante, poi scivolarono sull’orizzonte innevato. Nonostante l’ora di punta, i raggi del sole erano una luce fantasma che veniva smussata dai vapori e dalle nuvole. Un nuovo fulmine scrosciò tra le tormente più a nord, saettando sopra il Ponte di Anverra come presagio di guerra.
“Devo tornare alla base” saltò su Aisha. Corse alla scala e nel girarsi per scendere vide gli occhi dell’amico ancora concentrati sulla lama brillante. “Kamul” lo chiamò. L’altro voltò il capo verso di lei, occhi spalancati e desiderosi di più di una risposta. “Sono felice che sei venuto, alla fine” disse solo.
Il viso del giovane si aprì in un confortevole sorriso, ed ella poté correre verso il suo turno di volo con una nuova speranza nel cuore: qualunque cosa fosse accaduta, niente li avrebbe separati.
 
 
 
 
Il Boldercraft sorvolò i ghiacciai di Forstnolth, affrontando il viaggio di rientro dai territori occidentali di Anverra. Nonostante le scaramucce degli ultimi giorni, la ricognizione di quella mattina si era svolta nella più relativa calma e il loro squadrone aveva ripiegato in perfetto orario verso la base.
“Giusto in tempo per il pranzo” si stiracchiò Marty, ai comandi in seconda.
Aisha se ne stava seduta al suo posto, gli occhi chiusi. Gli ultimi giorni erano stati un continuo via vai di generali e soldati, le strade della sua città si erano svuotate, molte costruzione della periferia erano crollate e, infine, le ultime persone che erano rimaste erano state invitate a mettersi in viaggio verso le congreghe delle cittadine del centro di Gea. Tornare a Solear, un agglomerato di case e ferraglia fumante, non portava più il sollievo di una volta: ad aspettarla c’era solo il freddo della sua cella spartana che condivideva con altre due camerate, e il pasto insipido che servivano alla mensa.
Il Boldercraft atterrò da manuale, e Aisha sbrogliò la cintura di sicurezza. Un fischio impudente di Marty le fece sollevare il capo: Kamul stava risalendo la rampa del velivolo, puntando nella sua direzione.
“Due visite in una settimana” sorrise lei, felice di rivederlo. “Stai cercando di farti perdonare qualcosa?”
L’amico rimase in silenzio, stringendosi nelle spalle. Ella conosceva quell’espressione, era la stessa che aveva avuto quando le aveva annunciato il suo ingresso in Accademia.
Si allontanarono in silenzio dagli occhi indagatori degli altri e fecero un po’ di strada verso le recinzioni elettriche che delimitavano la pista dell’esercito.
“Che succede?” si accigliò, guardinga.
Kamul scacciò una pietruzza con rabbia e mise le mani nelle tasche, aggrottando la fronte. “L’Accademia non reputa Solear un luogo sicuro. Ha ordinato l’evacuazione.”
Aisha si rilassò un po’. “Lo so.” L’altro le lanciò un’occhiata di sbieco, sorpreso, e lei gli sorrise tristemente. “Ormai la popolazione è quasi tutta partita, la nostra città sta per diventare un fantasma, verrà ricordata solo dalle leggende metropolitane.”
“No, Aisha. L’Accademia si prepara all’evacuazione” la contraddisse, serio.
Il sorriso si spense sulle labbra rosee di lei. Il messaggio fu chiaro, ma dirlo ad alta voce fu come far cadere un’ascia tra loro, a spezzare la corda sfilacciata che li teneva ancora uniti. “Stai per andartene.”
Kamul annuì a testa bassa.
“Lascerai… Solear.” Stava per dire che si prestava a lasciare lei!
“Ais!” Il suo lungo viso s’incavò mentre, tristemente, risucchiava le guance e si preparava per aggiungere qualcos’altro.
“Kami!” Aisha lo chiamò con il suo diminutivo, sconvolgendolo ancora di più. “Cosa ha in servo l’Accademia per l’esercito?”
Il ragazzo boccheggiò e i riccioli sopra la sua testa tremarono, scossi dalla sua esitazione. Abbassò di nuovo il capo. “Dovrete rallentare l’avanzata delle macchine, più che potete.”
“Dovremo morire per voi” tradusse, cinica.
“Vieni con me!” L’afferrò per un polso e strinse forte, fino a farsi sbiancare le nocche.
“Mi stai chiedendo di disertare?”
“Io…”
“Io non ti chiederei mai di abbandonare l’Accademia.” Liberò il polso torcendo il braccio, e sbatté i piedi per fare dietrofront.
“Peccato, io lo farei per te. Se me lo chiedessi, abbandonerei gli Intellettuali. Se me lo avessi chiesto, mi sarei fatto ripudiare dalla mia famiglia molti anni fa.”
Il sussurro della sua calda voce solleticò le sue orecchie, bloccandola sul posto. Il vento boreale aveva fatto cadere il suo cappuccio e aveva liberato i suoi capelli al vento, fiamme che si incendiarono contro il viso di lui. Le sue braccia, lunghe e fredde, l’avevano stretta in un abbraccio, lo stesso in cui lei lo aveva bloccato anni prima alla morte di sua madre: voleva dire che lui c’era e ci sarebbe stato, nonostante il muso duro e lo sguardo di ghiaccio.
Aisha chiuse gli occhi per un attimo, assaporando il suo profumo intenso e pungente, quella fragranza di pino e miscuglio di sostanze chimiche che, però, su di lui non nauseavano. Poco dopo un Boldercraft che rientrava alla base fischiò sopra le loro teste, ed entrambi si allontanarono. Nessuno dei due aggiunse un’altra parola; Aisha non rispose alle sue parole che, di comune accordo, affidarono alla discrezione e all’indifferenza del vento.
In silenzio, tornarono alla caserma di comando, lei per fare rapporto e lui per riunirsi al suo gruppo.
“Kamul!” La voce del dottor Dermar li fece sobbalzare.
Squadrò la sua figura dall’alto in basso; disdegnandola con una smorfia, si concentrò su suo figlio. “L’esercito ci mette a disposizione due squadroni per il viaggio. Andiamo!”
Aisha rimase immobile, una statua di marmo sull’attenti: quell’uomo aveva la capacità di farla sentire in colpa solo perché esisteva e osava respirare; in sua presenza, si sentiva fuori posto, sbagliata. Sentì addosso lo sguardo supplichevole dell’amico, ma non spostò gli occhi e, alla fine, ascoltò i suoi passi che, ubbidienti, seguivano il padre sulla pista, di nuovo all’aperto.
“Aisha! Ti muovi?” la redarguì Derek.
Spaesata, alzò lo sguardo e cercò il compagno nella marea di divise che si rincorrevano nella caserma.
Qualcuno le mise una mano sulla spalla, scuotendola un po’.
“Che fai? Ti addormenti in piedi?” ghignò Marty. La sua postura pareva caustica mentre la trascinava di nuovo fuori. Capì il perché quando disse: “Abbiamo l’ordine di rimetterci subito in volo. Addio pranzo!”
“Perché non festeggi? Un panino mangiato sul Boldercraft è meglio di quella brodaglia giallognola nelle scodelle di latta” borbottò con una smorfia disgustata Valter.
Marty lo incendiò con un’occhiataccia. “Meglio la brodaglia a quest’ingrato compito. Scortare i damerini nel proprio letto. Per cosa ci hanno scambiato? Aisha!” si esasperò, alzando gli occhi.
Il suo braccio, sulle spalle della ragazza, lo aveva costretto a fermarsi quando ella aveva piantato i piedi per terra.
“Siamo stati chiamati a scortare i membri dell’Accademia?” si sconcertò, in cerca d’aria.
Marty stava per ribattere quando la sua mano venne fatta volare via e Derek batté sulla spalla di lei. “Andiamo. Prima finiamo con questa pagliacciata, e prima potremo tornare ai nostri doveri.”
Doveri! Aisha annuì, e riprese a rigidamente camminare.
L’abitacolo del Boldercraft era gelido e il suo fiato si condensava velocemente in nuvolette biancastre che lasciavano un senso di umidità sul viso e sul collo. Valter attese il via libero della torre di controllo, poi si alzarono in volo. Sorvolarono le lande a sud-est di Solear, affiancandosi alla sinistra del Falco12 che traportava le alte cariche del governo. Ella poteva quasi sentire il fiato di Kamul alitarle addosso, sopra la spalla, caldo e confortevole; tutto ciò stava per essere depositato nel cuore di Gea, miglia lontane dalla sua pelle e dai suoi occhi. Quel conforto stava già diventando un tocco gelido che le pressava la giugulare.
“Calma piatta a nord” decretò Marty con un’occhiata veloce. Fece ruotare la sedia. “Tutto bene, Aisha?”
Annuì, deglutendo e evitando di incrociare il suo sguardo.
“Quelle nudi a ovest si avvicinano in fretta” osservò Derek, dalla lastra di spionaggio.
“Squadrone tredici a Falco12. Nubi in avvicinamento da ovest. Meglio scendere di quota se vogliamo mantenere la massima visibilità” comunicò Valter.
La voce metallizzata rispose: “Ricevuto, squadrone 13. Copriteci il fianco.”
Valter eseguì la manovra come richiesto, impeccabile.
“Quelle nuvole vanno parecchio veloci!” esclamò Derek, stringendo il fucile tra le mani.
“Rilassati, bestione” la buttò lì Marty, con voce tartagliata dalla noia, “sono solo vittime di questo stramaledetto vento, come noi.”
“Piantala, Marty, e dà un’occhiata.”
Marty sbuffò…
“Ci sono addosso!” vociò il compagno, pronto alla battaglia.
Aisha ebbe appena il tempo di aggrapparsi a una cinghia di sicurezza quando il Boldercraft entrò in contatto con la massa minacciosa di nubi. Qualcosa, al suo interno, doveva essere parecchio solido, perché una delle ali si spezzò con un boato, i monitor impazzirono e il velivolo cominciò a roteare in aria senza controllo. Derek era volato all’interno dell’abitacolo, mentre Valter tentava di ripristinare l’assetto del velivolo.
“Aisha, ci sei?” La voce di Kamul esplose dalla radio, spaventata.
“Marty, il carello!”
“Dannazione!”
“Derek!” chiamò Aisha.
Un secondo schianto, un colpo di frusta e il Boldercraft si arenò nel mezzo dell’aria. Alcuni secondi di placido silenzio… All’improvviso una scossa li fece rivoltare come bollicine all’interno di una bottiglia shakerata; volarono e si scontrarono contro il duro metallo, fino quando la lamiera dell’aeromobile non si piegò pericolosamente verso l’interno, schiacciandoli tra placche metalliche e cavi elettrici scintillanti.
“Aisha, rispondi!”
L’ultima cosa che ella vide prima di perdere coscienza fu il lampo di luce vermiglia che per un istante riverberò dai finestrini di comando frantumati.
   
 
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