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Autore: LeAmantiDiBillKaulitz    26/01/2017    1 recensioni
Prendete Chelsea e Alexandria, due migliori amiche particolarmente male assortite: una, rumorosa, casinista, molto oca e morbosamente ossessionata dal cinema, l'altra acida, nervosa, arrabbiata e decisamente pronta a picchiare tutti. Poi aggiungete Bill, antipatico, isterico, viziato ma terribilmente sexy. Mescolate con un'intervista ai Tokio Hotel per il giornalino universitario, con un Tom molto scemo, un Georg molto martire e un Gustav molto affamato. Il piatto è pronto: tra gaffes, incomprensioni, tacchi alti, litigi e romanticismo-fai-da-te, riusciranno le due ragazze a conquistare l'algido cuore del cantante?
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Threesome, Triangolo
Capitoli:
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CAPITOLO NOVE: DISAVVENTURE IN UN SOLAIO

Avevamo diciotto anni, Stenka aveva appena mollato Alexandria, io avevo appena rotto con Annika dopo che mi aveva praticamente falciato un orecchio con uno dei suoi coltelli, eravamo una coppia di depresse croniche che non facevano che urlare e dare pugni nei muri o fissarsi davanti alla tv a vedere “Love Story”, quello del 1970, di Arthur Hiller, con Ali MacGraw e Ryan O’Neal. Bene, era in quel tranquillo clima sociale, durante un gelido e mefitico inverno magdeburghese che quei due gran figli di troia dei miei fratelli Billy Terry e Charity Rebecca avevano avuto la geniale e acutissima idea di farci un simpatico scherzetto. La porta della soffitta, ovvero di camera mia, è sempre stata difettosa e quale migliore idea se non quella di chiudere dentro a chiave la povera sottoscritta con la sua nevrotica amica, spingendo contro la porta il vecchio baule dello zio Connie e lasciarle lì dentro a urlare e battere i pugni, optando anche per farlo la notte in cui c’era il temporale ed era saltata la corrente? Così avevano fatto, lasciandoci da sole nell’oscurità della mia stanza, con i lampi che illuminavano a stento il letto, una gran fifa (perlomeno, io avevo una gran fifa, soprattutto perché Alex aveva appena finito di raccontarmi un racconto di Edgar Allan Poe semplicemente terrificante), e costrette a udire i canti disarticolati, che sarebbero dovute essere le canzoni di Lady Gaga, di mia sorella Katie Crystal che pattinava ignobilmente di fronte alla porta chiusa senza sentire le nostra urla belluine. Ecco quello a cui penso non appena Bill si gira livido verso di noi comunicandoci che siamo chiusi dentro alla soffitta di casa Kaulitz senza possibilità di fuga. Ecco quello a cui penso quando realizzo che siamo in una soffitta piena di ricordi e gigantografie pericolose di ex ragazzi stronzi, seduti in circolo come se fossimo a un ritrovo di streghe di Benevento, con una megera in vestaglia, una con il logo dei Venom e un’altra con E.T. Ecco quello a cui penso, mentre Bill si mette a strillare come un gattino a cui hanno arrostito la coda e ci hanno fatto un arrosto con patate novelle, Alexandria comincia a tempestare la porta di calci rotanti e io attacco a mugghiare, in piena crisi adolescenziale di quando ancora vivevo a casa coi miei e la mia infinita fratellanza “Billy Terry, schifoso bastardo senza cuore, facci uscire di qui o dico a mamma che ti bruci tutti i tuoi dannati smalti!”.
-Bill, porca puttana, ma sei certo che non si possa aprire?!- sbotta la mia amica, dandoci ad entrambi uno scappellotto per farci tacere.
Il cantante più bello che ci sia la guarda un po’ con un certo astio dipinto in quegli occhi meravigliosi, astio però chiaramente rivolto al fatto che gli abbia scompigliato i fluenti capelli da Crudelia Demon.
-No, Alexandria. – oh, miracolati da San Patrizio, si è ricordato almeno il suo nome – Sono sicuro che la porta non si può aprire. È difettosa, ve l’ho detto.
-Quindi siamo tipo chiusi dentro per tutta la notte, da soli, al buio, e soprattutto senza televisione?!- strillo istericamente io. Io non posso vivere senza vedere un film, capitemi. Sono la mia bombola dell’ossigeno, il mio pacemaker, lasciatemi senza e morirò soffocata nel mio stesso vomito!  - Alex, Bill, non abbiamo la tv!
-Siamo chiusi all’umido e al freddo con i miei capelli in pericolo e senza le mie maschere notturne antirughe e i cetrioli per gli occhi e tu ti preoccupi di una dannata televisione?! Dico, ma sei scema, Birmingham?- Bill mi guarda con quei suoi enormi e meravigliosi occhi profondi come una galassia lontana, dove posso vedere incrociarsi miliardi di nuove Pleiadi, insieme al sanguigno rossore di Antares, il luccichio soffocato della Stella Polare, l’incrocio dello Scorpione, il riflesso degli anelli saturnini, la nebulosa Aquila, l’intreccio della Cintura degli Asteroidi. Sono occhi che ti soffocano e ti trascinano dentro al loro orrore senza riuscire a farti uscire, catene che ti soffocano e ti si avviluppano attorno, catene che nessuna chiave potrà mai aprire; sembra di finire nelle oscure grinfie di una personale Lorelei, trascinato in fondo a un lago nel cui affogherai e da cui nessuno ti tirerà mai fuori, oppure sembra di venire risucchiati in buco nero che divora tutto quello che gravita nelle sue vicinanze, insieme a gomitoli di energia interstellare che si dipanano come corde lucenti e ti legano, drogandoti con la loro polvere di stelle e accecandoti con la polvere del sogno dei vecchi ricordi, soffocandoti col profumo di rose avvelenate e di sete impregnate di profondi incensi orientali, chiuse nella gabbia di un avvenente principessa di passaggio a Samarcanda.
-A parte che mi chiamo Chelsea, e poi chi cazzo se ne frega dei tuoi capelli splendidi e del tuo viso assurdamente perfetto quando a me rischia di venire un infarto prima che ci tirino fuori da qui!- strepito, perché Chelsea Sienna Spiegelmann è brava, dolce, tranquilla, ridanciana, amorevole ma non quando è a corto di cinema.
-Te lo faccio venire io un infarto se non la smetti di fare casino, Chess!- mi urla Alex, dandomi uno strattone terribilmente doloroso a un dread rosa. Poi si gira digrignando i denti verso Bill e si limita a ringhiare – E tu, signorinella in vestaglia, tieniti i tuoi capelli come sono e non rompere le palle, chiaro?
Noto con un certo stupore che nemmeno in questo indecoroso frangente gli ha tirato un ceffone, cosa che avrebbe fatto a chiunque fosse stato qui con noi, anche a Jared Leto, per capirci. Dio, qui stiamo impazzendo tutte e due, io che perdo il controllo, lei che non picchia: il nostro equilibrio sta venendo duramente scombussolato da questa meraviglia divina con la voce intossicante.
-Beh.- intervengo io, nascondendomi previdentemente sopra a un vecchio baule, troppo in alto perché Alexandria non mi strappi un altro tubo – Nessuno ha un cellulare o una radio, o un walkie-talkie per chiamare gli altri tre che vengano a tirarci fuori?
Perfetto, ho calcolato male. Ok, Alex sarà alta un metro e un tappo come la sottoscritta, quindi per l’appunto non ci arriva a picchiarmi dalla cima del baule. Peccato che Bill invece sia un palo telegrafico con tanto di tacco 15 e plateau 10 quindi riesce senza problemi a prendere le veci della coinquilina e a tirarmi il dread rosa con una forza che non credevo possibile in quelle braccia anoressiche. Mentre io volo giù dal baule ululando di dolore, però mi rendo conto che Bill non mi ha ancora mollato i capelli. Ora, immediatamente nella mia mente perversa viene proiettata una scena post apocalittica:
 
Inquadratura frontale, telecamera mobile, un leggero soffiare di vento tra le macerie funge da colonna sonora, non si sente altro. La telecamera comincia a muoversi, rapida, come se stesse strisciando per questo paesaggio catastrofico, mantenendo un’inquadratura frontale, quasi fosse un cyborg che deve battere il territorio prima di dichiararlo inagibile. Vengono inquadrati resti di quelle che potevano essere case, scheletri di automobili, mulinelli di sabbia grigiastra che vorticano mollemente nell’aria, spingendo grossi gomitoli di rovi che rimbalzano uno contro l’altro, i resti di elettrodomestici dimenticati tutt’attorno, scenario distrutto, un cielo marroncino senza sole e senza luna, né buio ma nemmeno luminoso, semplicemente spento, come fosse un Inferno in via di restauro. La telecamera rallenta la sua corsa, svolta violentemente in quella che forse prima poteva essere una piazza e inquadra due figure. Una alta, con lunghi capelli corvini e bianchi, vestita di pelle nera stracciata e impolverata, una katana appesa alla cintura e un mitra appeso alla schiena, l’altra figura bassa, una strana capigliatura rosa e bianca, seminuda e ricoperta di sangue, un fucile a pompa in una mano e una fascia con appese delle granate penzolante da una spalla. La telecamera si avvicina, e il vento scema vagamente d’intensità. Le figure, una maschile e una femminile vengono inquadrate perfettamente, mostrando il trucco rovinato e i graffi sulla pelle di lui, le cicatrici sanguinanti e il sorriso smorto di lei. Si ferma l’inquadratura e si concentra sui due ragazzi, uno di fronte all’altra, marmorei nella triste luce di un giorno senza notte e senza meriggio. Momento di calma, telecamera fissa, un leggero soffiare di vento in sottofondo e poi lui le accarezza i capelli e lei sussurra “Sei tornato, finalmente”. Lui mormora, avvicinando le rispettive labbra “Dovevo vederti prima di morire”. La telecamera inquadra il bacio dolce e disperato che consegue questa frase, mentre lei molla il fucile per terra e appende le mani al suo collo, mentre lui le stringe il retro della nuca. Comincia a sfumare la scena lasciando impressa negli occhi degli spettatori questo bacio che sa di morte tra i due protagonisti. Potrebbe finire che fanno l’amore in quella desolazione apocalittica, oppure che si separino e non si rivedano mai più. Forse lui sta morendo.
 
Essendo che i registi surrealisti non vengono mai compresi da buona metà della popolazione, così accade anche a me, venendo infatti brutalmente strattonata come una bambola dalla mia amica che fa crollare tutto il sogno hollywoodiano e costringendomi a cacciare un urlo di dolore, perché Bill il dread rosa mica lo molla.
-Ahia, per favore, mollami i capelli.- piagnucolo, e lui mi risponde con un tiro più deciso e uno strillo virile quanto Cenerentola e conseguente pianto isterico
-Oh mio Dio, Toooom, aiutami! Fai qualcosa!
-Ma si può sapere che Cristo state … oh, cazzo.- Alexandria ha la faccia letteralmente sconvolta. Lei, che non si è sconvolta manco quando le avevo fatto vedere “Lanterne Rosse”, anno 1991, regia di Zhang Yìmòu, con Gong Li e Caifei He.
-Ma cosa sta succedendo?- chiedo terrorizzata, cominciando a sudare.
-La mia unghia è rimasta incastrata nei tuoi capelli e non riesco a toglierla.- balbetta Bill, cereo come la morte.
-Mi state prendendo in giro, vero?- li guardo tutti e due, scoppiando a ridere sonoramente delle loro occhiate sconvolte e della loro terribile, idiota paura. – Chi cazzo se ne frega se hai un’unghia incastrata nei miei dread!
-Senti, Sheffield, vorrei pure evitare di girarti appeso alla schiena, cosa ne dici?- abbaia isterico Bill, dandomi uno strattone da piangere e cominciando a singhiozzare come una bambina a cui hanno vietato le Lelly Kelly.
Io e Alex ci scambiamo una delle nostre occhiate telepatiche con cui ci comunichiamo fin l’impossibile e leggo chiaramente nei suoi occhi orgogliosi “Aspetta, ora potrei incastrare le mie unghie nei suoi capelli e così potremmo stare tutti insieme come la triade indù”. Ci penso un secondo e poi rispondo “Fallo Alex! Veloce, prima che la Delfina riesca a liberarsi di me!”
Che io non sia mai stata quello che la gente chiama “una ragazza intelligente e sveglia”, lo si sapeva da sempre. Ma che anche la coinquilina Hannibal scadesse così miseramente come la Full Metal Cinema sottoscritta, questo proprio è grave come quando è morto Robin Williams, per intenderci. Una perdita per il cinema mondiale e qui una caduta di stile inequivocabilmente dettata da Bill per lei. Perché per l’appunto lei è rapidissima ad afferrare la capigliatura corvina della Delfina e provare a incastrarsi a sua volta nei piccoli dread bianchi. Peccato che lei non abbia gli artigli da paura di Bill e sia decisamente troppo gnomica per potersi attaccare con decisione, così l’unica cosa che si becca è un’occhiata di fuoco e una scrollata di spalle che la fa capitombolare lontano da me e lui.
-Comunque, che problema c’è?- continuo, cercando di fare gli occhi dolci a Bill e a lanciare un’occhiata ammonitrice ad Alexandria prima che gli salti addosso come sta per fare la sottoscritta e lo violenti di brutto qua in soffitta. Cioè, la vestaglia che gli sta scivolando giù dalla spalla e i capelli vagamente arruffati insieme al trucco pesantissimo sono qualcosa di troppo sensuale per poter essere legale. Bill intero è troppo sensuale per essere legale, non c’è storia. Mi chiedo come mai nella Costituzione tedesca non ci sia un articolo con su scritto “E’ severamente punibile con l’ergastolo chiunque porti un Bill Kaulitz al di qua della frontiera”. È droga allo stato puro, questo ragazzo, una coltellata in pieno petto ogni volta che ti parla, un’emozione continua e irripetibile. Oh, e ovviamente se è vietato tenere un Bill al di qua della frontiera, io e Alex lo faremo volentieri, perché noi siamo quelle due cattive ragazze da cui la mamma ti tiene lontano, siamo quelle che urlano “Fuck the police” in faccia all’agente di turno, che fomentano risse nei bar periferici, che vanno a sedersi sui cavalcavia di notte fonda a tirare le pietre a quelli di sotto, che fanno graffiti sui muri dei palazzi, che buttano all’aria il bucato delle nonne immergendoli nella vernice nera, che rubano le caramelle ai bambini dell’asilo, che girano con i coltelli nella borsa e che si fanno beffe di tutto e di tutti. Siamo quelle che non sono belle, ma che hanno il fascino dei perduti, non sono edotte ma lo sembrano anche fin troppo, non sono fini ma le chiamano “principesse”, non sono altro che rigetti di periferia e proprio per questo piacciono un casino. Siamo quelle che vanno perché in fondo nessuno le vuole. – Basta tagliarmi il pezzo di dread dove c’è la tua unghia e poi così la puoi liberare senza raparmi la testa.
-Ma Londra, tesoro, lo sai cosa stai dicendo?- Bill mi guarda sfarfallando gli occhi.
-Beh, credo di sì.- mi gratto la guancia lentigginosa, cercando un aiuto psicologico nella mia amica che pare più perplessa di me.
-Già sei una specie di puttana malvestita e disordinata, ci manca solo che ti rovini quella capigliatura fallita dagli anni 80’!- strilla lui, mettendosi l’altra mano nei capelli e sbuffando – Coco Chanel, aiutami tu!
-A me non sembrava una brutta idea, quella di Chess.- mi spalleggia stranamente Alexandria, aggiustandosi i boccoli dalla parte non rasata – Tanto è già un cesso arruffato e irlandese così com’è, non penso che senza un pezzo peggiori più di quanto già non sia peggiorata.
Ecco. Mi pareva troppo bello che non mi insultasse. Ora mi chiedo, ma perché li ho accompagnati e non me ne sono rimasta giù a chiacchierare con Tom su quale film di fantascienza avventurosa degli anni 2000 è il migliore?! No, ovviamente l’oca irlandese doveva mettersi a fare il leprecano mancato e seguire i due mostriciattoli per mettersi poi brillantemente nei casini.
-Ho capito, anche perché forse è davvero l’unico modo.- sospira teatralmente Bill, con fare svenevole, sventolandosi melodrammaticamente – Mi raccomando, Donatella Versace, proteggi questa piccola e insulsa scemo rasta dal disastro a cui sta andando incontro.
-Ma se vuoi, per me non è affatto un problema rimanere legati a vita, eh.- interrompo sorridendo – Forse è un po’ perversa come cosa ma …
Il sordo ceffone che Alex mi molla sulla guancia mi fa desistere dall’attaccarci il pippone su qualche film dimenticato da Dio che solamente i grandi estimatori di cinema come la sottoscritta e il fido Obelix a dieta possono conoscere. Comincio a seguire con lo sguardo la mano perfettamente curata della Delfina cercare qualcosa nelle tasche della vestaglia e la vedo poi riemergere con un paio di forbicine da manicure che avvicina pericolosamente al mio dread rosa.
-Santo Scorsese, Bill sei fottutamente uguale a Johnny Depp in “Edward Mani di Forbice”, quello di Tim Burton del 1990, con Winona Ryder!
-Sei una drogata di cinema.- commenta la mia amica, inesorabile come la morte, per poi girarsi verso di lui e continuare, tetra come la miseria – Tu sei un drogato di moda.
Il momento in cui io e Bill ci guardiamo, occhi violetti e ridenti dentro occhi neri e dannati, è qualcosa che probabilmente segnerà a vita sia me che lui. Ci riconosciamo di quel legame archetipico che va contro ogni legge delle fisica e della chimica, quel sentimento che unisce gli uomini anche dal Burundi all’Alaska, l’incrocio che mischia razze diverse in barba all’estrazione sociale e alle culture, la passione di ritrovarsi tutti dallo stesso fronte. In noi posso riconoscere due soldati, sì, due semplici  soldati semplici, magari giovani, due ragazzi del ’99 che si sono trovati a combattere su fronti opposti ma che ora sono entrambi persi in trincee piene di sangue, senza più nessuno e che invece di spararsi addosso si abbracciano piangendosi addosso polvere da sparo e lacrime di sangue, lasciando cadere i fucili nel massacro e aspettano che qualcuno li uccida così, abbracciati di fronte all’orrore in cui hanno preso parte. Posso riconoscere due vecchi compagni dell’IRA che si ritrovano seduti in uno squallido bar di Lambeth a guardarsi negli stanchi occhi opacizzati, con due birre che sanno di piscio davanti, indecisi se cominciare a ricordare i vecchi ma sempre fulgenti ricordi della rivolta irlandese oppure ignorare il fatto che in realtà si sentono due sporchi traditori della causa, loro, che servivano l’Irlanda sopra a tutto e che ora sono schiavi di loro stessi e della dannata Inghilterra che li ha fagocitati. Posso riconoscere due cloni del prossimo futuro appena scappati dal terribile regime schiavista in cui sono stati creati e che si sono incontrati così, sotto a un vecchio ponte romano dimenticato e mangiato dalla Natura, spaventati e schivi ma che si uniscono per fuggire insieme da quel nemico comune che è il sistema, cercando di confondersi inutilmente nella folla, consci del loro pericolo ma fieri di poter dire che sono ribelli e che sono insieme contro tutti. Posso riconoscere due punk convinti della bollente Londra degli anni ’80 che si stanno lanciando a cambiare il mondo con le loro creste, e i Sex Pistols nelle orecchie, e le mazze in mano, pronti a fare casino, a farsi valere a volere buttare giù il mondo, il coraggio che scaturisce dai loro occhi, mentre si tengono per il polso e cantano “God Saves The Queen” sotto a Buckingham Palace e vengono cacciati a calci ma loro se ne fregano e se ne vanno verso il sole, ubriachi di sogni e speranze già morte ancora prima di venire alla luce. Posso riconoscere due donne che un tempo lontano erano state amanti e che ora si ritrovano in una metropoli americana e si guardano con ansia, non sapendo bene come uscire da quella situazione, entrambe a una festa della ditta per la quale entrambi sgobbano, e vedono le fedi alle rispettive dita, e se ne rendono conto che ora hanno famiglie, con un lavoro che annoia, due mariti che non amano, figli adolescenti che non sentono loro, una vita fallita che avrebbero potuto evitare se avessero resistito insieme contro al mondo, ma alla quale hanno rifiutato, forse per orgoglio, forse per vergogna. Posso riconoscere tutto questo nello sguardo che io e Bill ci scambiamo quando prendiamo un profondo sospiro e ci giriamo in coppia verso Alexandria, abbaiando in sincronia perfetta
-E tu sei drogata di acidità!
La coinquilina Hannibal ci strafulmina, e io mi sento il solito vomito di piccione, mentre la Delfina sembra ignorarla amabilmente e con un taglio netto e secco taglia il pezzetto di capelli rosa. Finalmente posso staccarmi dalla sua morsa d’acciaio e mi massaggio la povera testa tirata e malmenata, mentre lui riesce finalmente a liberarsi l’unghia chilometrica.
-Tò, manco fosse così complicato!- diciamo noi due ragazze, quando sentiamo tre voci ben conosciute fuori dalla porta. E finalmente, direi.
-Ci siete? È successo qualcosa? Un infarto fuori programma?- urla Georg, battendo i pugni sulla porta.
-Sì, già che ci siamo un attacco di colera fulminante!- commenta acidamente Alexandria, dando un calcio amichevole alla povera e sfruttata porta.
-Vi state ingozzando alle nostre spalle!- barrisce Gustav, mentre mastica quelle che all’udito super sviluppato per il cibo della sottoscritta sembrano patatine al chili.
-Non abbiamo un cazzo da mangiare, camerate Gustav.- rispondo – Cioè, a meno che non divorino i miei chili in più, ovviamente.
-No, Bill! Ammettilo che te le stai scopando tutte e due in una botta! Ottimo lavoro, fratello, continua così, spompale!- esclama tutto allegro Tom e qui io e Alex ci lanciamo un’occhiata triste che può volere dire solo “e magari avesse ragione …”, ma no, perché puntualmente la Delfina strilla
-Dillo ancora e quando esco ti cavo gli occhi e me li mangio come fossero olive!
-Ma Bill, scusa, sei mica un estimatore del cannibalismo? No, perché prima hai proposto un panino farcito con le palle di Tom, ora gli stuzzichini coi suoi occhi … fai come in “Il silenzio degli innocenti”, di Jonathan Demme, del 1991 con Jodie Foster e Anthony Hopkins?
La mia intelligente uscita da regista in erba si merita un sonoro ceffone da parte del cantante più isterico del mondo e un ululato d’approvazione dal chitarrista più nerd che si sia mai visto.
-Bene, ora, razza di oche giulive con la gonorrea, pensate di poter tirarci fuori di qui?- si impone Alex, ruggendo come un leone arrabbiato.
-Scusa, ma siete chiusi dentro per tutta la notte. Non penso che potremo far molto.- commenta amabilmente il metallaro finto, perché in fondo lui mica deve avere paura, lui non è chiuso tutta la fottutissima notte insieme a una psicopatica e a una checca isterica.
-E ce lo dici così?!- strilliamo io e Bill, guardandoci con orrore e cominciando a tempestare di virile pugnetti la porta. Oh mia Delfina, porta almeno tu sollievo nel cuore sperduto della piccola Ippolita, non lasciarla al suo triste destino dell’impietosa Parigi. Ti prego, Delfina, soccorri l’anima della dolce Ippolita, almeno tu non perderti nell’incubo di questa notte ai limiti dell’osceno. Intercedi per noi, signora della miserabile morte della dannazione eterna dell’amore perverso.
-O provate ad aprirla, o non so cosa rimarrà di voi tre quando esco.- dice tranquilla Alexandria, cominciando ad affilare le unghie smaltate di nero sul muro. Mi ricorda vagamente la fine che avevano fatto quelli della band di Stenka dopo che avevano rotto. Siccome io non ero al momento disponibile per venire malmenata al posto di quel bastardo, troppo impegnata ad aiutare mia sorella Avery Aubrey con la sua raccolta di piante grasse (e di conseguenza impegnata a non farmi uccidere da suddetta Avery Aubrey per i miei tentativi di fare un secondo horror con le sue piante carnivore), lei aveva brillantemente pensato di sfogare la sua rabbia verso quei poveri Cristi del chitarrista, bassista e batterista di quella band di death metal sfigata a cui io dovevo fare i video e per cui dovevo fare il tifo anche se non mi sono mai andati giù. Ma ve l’ho già detto: io, per Alexandria, farei l’impossibile. Le andrei a prendere la luna, le sacrificherei un pollo spennato, le farei addirittura un poema in versi se me lo chiedesse. E ascolterei anche la band del suo ex, certo. Se questo non è essere un’amica coi fiocchi, signori, allora a sto mondo non c’è più religione. Mi pare piuttosto superfluo aggiungere che ovviamente, nonostante io mi sia sempre prodigata a dimostrarle il mio smisurato affetto, lei non mi scriverà mai un poema epico in versi, ecco. In compenso una volta mi ha comprato lo zucchero filato rosa al luna park visto che mia sorella Charlotte Chanel aveva piantato un casino per quello zucchero filato e alla fine glielo avevo dovuto cedere.
-Ok, tesoro, ora vi tiriamo fuori.- commenta tranquillo Tom, mentre io e Bill ci guardiamo e strilliamo in contemporanea perfetta, sfarfallando le ciglia e mettendo le mani a cuore
-Oh, nostro coraggiosissimo eroe che vieni a salvarci! La principessa ti aspetta qui nel suo letto di petali di rosa!
-No, scusa, Liverpool, ma l’eroe deve salvare me.- immediatamente Bill mi lancia un’occhiata bruciante, mettendosi le mani sui fianchi e scostandosi i capelli dal viso con un movimento studiato del capo. Dio, quant’è figo. – Io sono la principessina che aspetta nel suo bagno di petali di rosa e latte d’asina che arrivi il cavaliere dalla finestrella della torre a salvarla, e sempre a me capita un eroe fighissimo che mi fa vedere le stelle nella …
-Sì, checca isterica, grazie ma il porno gay ce lo evitiamo anche- ruggisce Alex, e mentre io tento inutilmente di dire che dai, anche io potrei fare la principessa rasta, d’altronde se esistono le principesse trans, ma vengo di nuovo zittita da un sonoro scontro alla porta e a una serie di bestemmie dall’altra parte della porta.
-Ma fare aggiustare sta merda di porta, intanto?- latra Georg – Non è la prima volta che ci tocca scartavetrarci le balle ad aprirla!
-Secondo me non l’apriamo mica.- borbotta tetro Gustav.
-Mo’ non portare sfiga tu.- cristo io da dentro, dando un pugno alla porta – Su, uomini, siamo tre fanciulle in pericolo, almeno fate finta! Che poi avete l’accollo di aver tre fantasmi che ululano tutta la notte.
Io e Alex cominciamo a tirare la maniglia, mentre loro spingono, ma non facciamo altro che bloccarla sempre di più, cristare, insultarci, e sentire lo sbuffo spazientito di Bill che ci fa cadere morti e sudati fradici dalle rispettive parti della casa
-Ma la piantate di ansimare come dei maiali gay che trombano con una giraffa arrapata senza una zampa?- strilla alterato il nostro cantante, scuotendo la folta chioma corvina – Se continuate così, sono sicuro che i vicini chiamano la Polizia!
-E’ vero!- esclama Georg di là – Possiamo chiamare il fabbro, quello che ha la fonderia all’angolo della strada.
Mentre tutti diciamo che sì, questa sì che è un’idea geniale, la Delfina si fa sentire con un urlo che avrebbe svegliato i morti della battaglia delle Ardenne e si avventa contro la porta con le unghie sguainate che Wolverine deve solo che imparare, i capelli elettrici che si dipanano come quelli di Malefica e un ringhio che farebbe impallidire il lupo mannaro più ganzo del mondo
-Georg Listing, prova anche solo a chiamare Jostein e io ti appendo a testa in giù facendoti sbranare dalle mie fan pitbull.
Come avrete capito, Chelsea Sienna Spiegelmann è anche sinonimo di Oca Giuliva Che Non Capisce Mai Quando Chiudere Quella Fogna Di Bocca, come mi chiamano amabilmente Alexandria e tutti i miei fratelli e sorelle. Per l’appunto, mentre di là Tom impreca coloritamente tra i denti, Gustav fa un verso strano e Georg sputa una scusa, di qua la mia amica mi lancia un’occhiataccia per farmi tacere ma non sarà di certo questo a farmi stare zitta. Io non sto mai zitta, nemmeno quando dormo.
-Chi è Jostein? Uno dei tuoi scopa amici?
E quasi mi pento di aver parlato quando Bill si gira lentamente verso di me, con le unghie che incombono pericolose e l’espressione più crudele che si sia mai vista. Quella che farebbe congelare Loki, farebbe spaventare la Regina Bianca, accecherebbe Sauron, smonterebbe l’autostima di Cersei Lannister, massacrerebbe Moriarty, accopperebbe Joker e farebbe pisciare sotto Voldemort. Sì, decisamente penso che scritturerò Bill per fare la parte del super cattivo nel mio film che vincerà l’Orso di Berlino e la Palma di Cannes. Sarò ricordata come la Grande Regista che ha usato l’antagonista più gnocco del creato.
-Stai zitta, troietta. Non sono cazzi tuoi.
-Allora c’ha azzeccato.- commenta tranquilla Alex, affilandosi le unghie. Uhm, sarò anche ricordata come la Grande Regista che ha usato la cattiva più terribile del mondo. Sì, Hollywood trema che sto arrivando. – Vediamo un po’ che problemi hai con questo Jostein. Se Tom ci vuole illuminare …
Anche Tom, come me, non brilla per furbizia, infatti sciorina subito
-No, sapete, Bill ha deciso che non vuole più farsi vedere da Jostein in situazioni diciamo “imbarazzanti” nel terrore che escano quelle foto …
-Che foto?!- trilliamo subito noi due, memori della rubrica di gossip che tenevano sotto falso nome a scuola. Siamo entrambe patite di gossip selvaggio, solo che per vari motivi non possiamo rivelare questa passione comune.
-Foto compromettenti.- conclude Georg – Bill, caro, vuoi illuminarci? Se no lo chiamo e ti attacchi al tram.
Bill ci guarda furibondo, sputando qualche insulto velenoso tra i denti prima di dire, contrito come un lama stitico con il tumore alla prostata
-Sono foto compromettenti, appunto. Non c’è bisogno di infierire su …
-Ma tipo foto di te nudo, o vestito in maniera sconcissima che fa delle cose proprio porche da fare impallidire YouPorn?- lo interrompo, pregustandomi già il personaggio porcello del mio prossimo film da Oscar e Grammy Awards.
-Grande Chess!- ulula Tom – Esatto! Sono davvero roba da porno spinto.
-Come hai fatto a capirlo?!- strilla alterato Bill, cominciando a scuotermi. – Mi hai stalkerato, confessa! Sei una spia degli sporchi comunisti! Una fottuta inviata da Mosca!
-Beh, l’ho intuito. Mio fratello Billy Terry si metteva sempre in casini simili. Tipo che si trascinava in casa i suoi amanti e si faceva fare delle foto che farebbero impallidire un politico. È una puttana nel cuore, lui, solo che almeno le foto se le teneva lui e insaccava sempre gli altri. Te mi sa che sei meno furbo di Terry.
-Ah, e così il nostro cantantucolo si è messo nei problemini con il ragazzino, eh?- sibila Alex, facendo il serpente tentatore – E ora si vergogna, piccino.
Bill ci manda a fanculo e comincia a insultare i tre musicisti, visto che nemmeno i pompieri si possono chiamare nel terrore di qualche scandalo.
-Va beh, coraggio, tanto è solo per una notte. Domani chiamiamo un altro fabbro che non sia Jostein.- dice tranquillo Gustav – Buonanotte.
La scena assolutamente da girare nel fantomatico film che sta prendendo forma nella mia testa da prodigiosa cineasta è praticamente perfetta. Una soffitta enorme e buia, se non per le luci della strada e delle stelle che fendono perpendicolarmente la finestrella dell’abbaino, casse e casse di ricordi che non vorrebbero mai venire alla luce, foto oscurate di cui si distinguono solo oscuri contorni informi, un vecchio divano sfondato che dorme in un angolo della stanza, una ragazza mezza rasata che fissa con aria di sfida e rabbia insita nel suo cuore la porta sprangata, una rasta che si gratta il collo e non sa bene che dire per alleggerire l’atmosfera e una checca che prega in silenzio Vivianne Westwood di venirlo a salvare. Sono quelle scene che poi rimangono nella storia del cinema, quelle che poi diventeranno l’antonomasia, pezzi che nessuno si scorderà come la scena di Casablanca, di Michael Curtiz, del 1942 quando Humphrey Bogart dice addio a Ingrid Bergman.
-Quindi siamo qui soli come tre sfigati qualunque?- sussurro, quasi spaventata di rompere questo silenzio religioso con uno sbadiglio rumoroso.
-Esatto, e io casco dal sonno, cazzo.- dice Alex, grattandosi la testa e sbadigliando a sua volta – Credo che mi butterò sul divano a dormire.
La guardo mentre si avvia verso il divano, ondeggiando dolcemente e mentre si lascia cadere poco finemente sui cuscini rosso fuoco, guardandomi e sbottando
-Dai, Chess, non rompere il cazzo e vieni a letto, su che ho sonno.
Giusto. Mi avvio ballonzolando verso il divano, saltellandole al fianco. Io e lei siamo abituate a dormire insieme, dai secoli dei secoli. Credo forse che appena nate fossimo anche vicine di culla. Siamo gemelle, a modo nostro. Mi raggomitolo sul bracciolo, con la sua testa sulle gambe, schiacciandomi un cuscino dietro alla nuca, cercando di aggiustarci per starci tutte e due e lasciare un po’ di spazio per Bill, sempre in piedi in preghiera verso Christian Dior. Ci guardiamo un po’ negli occhi, quando io le stampo un bacio sulla guancia, i soliti baci che lei odia, e trillo
-Buonanotte Alex!
-Fanculo, irlandese cretina bollita dei miei coglioni che da baci appiccicosi.- sbuffa lei, scuotendo la testa e dandomi a sua volta un bacino sulla guancia. Non ho mai capito che problemi abbia a darmi la buonanotte normalmente.
Ci diamo qualche pizzicotto e qualche insulto pesante dei nostri mentre tentiamo di addormentarci senza sbavarci addosso e senza darci dei calcioni nei denti, prima di cadere praticamente addormentate una sopra all’altra sbavando e dandoci calcioni nei denti come al solito. Eppure, potrei giurarci, un momento prima di cadere nelle braccia di Morfeo, vedo, con la coda dell’occhio sveglio, Bill che si avvicina al divano, sbuffa, e si raggomitola vicino a noi come un bambino, accoccolandosi vicino a noi due che infondiamo calore in questa notte gelida come l’inferno. Credo che se questo è un sogno, vorrei non svegliarmi mai più.

*** Ehiii siamo tornate scusate il ritardoooooo! Mi raccomando, lasciateci qualche commento che ora si entra nel vivo della storia*** Mi levo che non ho più voglia di scrivere. Kiss, Noi :D
   
 
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