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Autore: starsfallinglikerain    01/02/2017    4 recensioni
Ciò che inizia come un rapporto di ospitalità e aiuto fra l'ateniese Alexander e lo spartano Magnus nell'estate del 429 a.C. rapidamente deraglia in un sentimento molto più impetuoso, nonostante entrambi riconoscano la pericolosità del cedere all'attrazione reciproca, soprattutto in un'epoca in cui le due grandi poleis sono impegnate nella Guerra del Peloponneso.
Red rain è la storia di un amore che cresce rapidamente, giorno per giorno, sfidando le insidie della guerra e l'aggressività delle circostanze infauste.
Genere: Angst, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 5 - Pioggia rossa1
 
10 giorni dopo, Atene


Alexander sollevò l'angolo del labbro, sornione, sentendo le dita di Magnus correre fra i suoi capelli e le sue labbra calde e morbide sfiorargli delicatamente la tempia sinistra nell'accenno di un bacio. Probabilmente il sacerdote credeva che stesse dormendo ed Alec glielo lasciò credere, restando immobile a bearsi delle carezze dell'amante.
Amante.
Da quando avevano unito imprescindibilmente i loro corpi e i le loro anime, Alec si era sentito rinascere, si era sentito vivo, di una sensazione soverchiante, nuova ed inebriante, come se potesse lambire ogni astro e stringere fra le dita ogni stella del cielo. Sentiva il cuore battere come mai prima d'allora, si sentiva strano ed ubriaco di quella folle felicità di cui non avrebbe più potuto fare a meno.   
Erano trascorsi solamente dieci giorni da quando Magnus era andato a trovarlo in piena notte per accertarsi delle sue condizioni ed avevano finito per fare l'amore, eppure il tempo aveva preso un corso bizzarro: ripensandoci, Alexander ricordava ogni istante di quella notte come se l'avesse appena vissuta e, al tempo stesso, quasi faticava a rimembrare la sua vita prima che lo spartano vi piombasse dentro, con i suoi sorrisi maliziosi, il suo fare teatrale e i suoi felini occhi ammalianti.    
Erano trascorsi solamente dieci giorni dalla prima volta che l'ateniese e lo spartano si erano uniti e, da allora, ogni notte, dopo essersi accertati che ognuno nell'abitazione fosse caduto fra le braccia di Morfeo, si incontravano nella stanza dell'uno o dell'altro per rinnovare la loro promessa d'amore.            
«Alexander» disse piano Magnus, tracciando con l'indice delle linee sul petto di Alec, che mugolò qualcosa d'incomprensibile, prima di voltarsi su un fianco e seppellire il volto nel petto del sacerdote.        
«Sei sveglio allora» commentò quello, ridacchiando piano, stringendo a sé l'ateniese.        
«Forse» ribatté Alec, lasciando un bacio sulla clavicola sinistra di Magnus, per poi risalire piano lungo la sua gola, indugiando ad ogni contatto. Avvertì il respiro di Magnus cambiare, accelerare e sorrise quasi inconsciamente contro la sua pelle: la capacità di causare quelle reazioni nell'altro erano un'assoluta novità per lui.  
«E' quasi l'al- Ah...» s'interruppe Magnus, artigliando la schiena di Alexander, che poggiò finalmente le labbra sulle sue, intimandolo a tacere. Non era pronto a separarsi da lui, non ancora.    
«Shhh» disse l'ateniese, approfondendo il bacio, lasciando che le loro lingue s'incontrassero, così come i loro bacini. Alec poteva sentire le ossa sporgenti di Magnus contro il suo basso ventre, le sue costole
sotto le mani.  
 «Qui qualcuno è in preda all'Eros2...» commentò malizioso lo spartano, fra un bacio e l'altro, Alexander sorrise sulle sue labbra. «Eros ha scosso la mia mente / come il vento che giù dal monte / batte sulle querce3» recitò allora Magnus, accarezzando dolcemente il volto dell'amato, lasciando scorrere le sue dita sui suoi capelli folti, neri come la notte e spettinati, sugli zigomi sporgenti e sulla pelle candida, sulle labbra rosee e gonfie per quei baci.    
Alexander rise: «Reciti versi come la prima volta che ci siamo incontrati?».           
Magnus annuì: «Ti ho notato nell'esatto istante in cui hai messo piede in quella taverna. Non riuscivo a credere che il giovane che lo stesso Tiresia mi aveva mostrato in sogno fosse giunto a Sparta».   
«Eppure eccomi lì, a cercare vanamente di passare inosservato e finendo per recitare il ditirambo di Archiloco» ricordò Alec: gli sembravano passati secoli da allora, non poche settimane. 
Magnus si lasciò sfuggire una risata gorgogliante, che fece tremare il suo petto e così Alexander, sopra di lui; affondò la testa fra i cuscini e si voltò ad osservare la città, fuori dalla finestra. Le case bianche erano una distesa silenziosa, dal momento che ancora la maggior parte degli abitanti dormiva, solo le guardie vegliavano su quella pace; al di là del Pireo, il mare calmo lambiva dolcemente le mura ed il porto, all'orizzonte una soffusa e pallida sfumatura rosa lasciava intuire che le prime luci del mattino erano giunte.
Col loro arrivo, anche i due amanti erano costretti, seppur a malincuore, a separarsi. Era ormai questione di attimi, lo sapevano.       
«Devo andare» disse infatti svogliatamente Magnus.            
«No...» protestò debolmente Alexander, stringendosi più forte al suo fianco, lo spartano sorrise mestamente e lasciò un dolce bacio sulle labbra dell'ateniese, prima di divincolarsi dall'amplesso e mettersi a sedere, con le lenzuola bianche che fasciavano la parte inferiore del suo corpo tonico.         
«E se... Se lo dicessimo ai miei genitori?» chiese Alec, rompendo il silenzio nella stanza.  
Magnus si voltò, titubante: «Sai che vorrei urlare il nostro amore di fronte a tutti, umani e Dei, Alexander... Ma la guerra imperversa, la peste pure, e nonostante tutto sono pur sempre uno spartano. La mia presenza qui è tollerata solo per l'aiuto che vi ho offerto e poiché i miei genitori erano, a loro volta, una spia di questa città. Non credo che sia il momento più propizio, ora...».          
Ovviamente, il sacerdote aveva ragione ed Alec lo sapeva: come poter dichiarare il loro amore, di fronte agli uomini e agli Sacri Dei, in cotali terribili ed infauste circostanze? Pericle era morto da pochi giorni, la città era in preda al caos e il consiglio ancora non riusciva a trovare un valido sostituto che ripristinasse l'ordine perduto.      
La peste continuava a mietere vittime ed a gettare anime innocenti nell'Ade, come un antico e temibile presagio di una imminente distruzione che si sarebbe abbattuta su di loro, viventi nel continuo timore di un attacco spartano in una simile situazione di vulnerabilità.
«Promettimi che, quando tutto questo sarà finito, saremo ancora insieme» chiese Alexander, mentre l'amante si accingeva a rivestirsi per tornare nei propri alloggi.  
Magnus si sporse nuovamente sul letto per baciarlo: mise in quel bacio tutta la riluttanza del doverlo abbandonare, tutto l'amore che avrebbe voluto dargli alla luce del sole. Alec lo ricambiò disperatamente, aggrappandosi al sacerdote, desideroso di non lasciarlo mai andare, nelle viscere l'improvvisa paura di ciò che sarebbe potuto succedere.      
«Sei giunto, ti bramavo / hai dato ristoro alla mia anima / bruciante di desiderio3» sussurrò sulle sue labbra, prima di obbligarsi a staccarsi da lui. Magnus sorrise, baciandolo un'ultima volta e accarezzandogli i capelli.
Si avviò verso la porta che dava sul corridoio e si fermò sulla soglia, osservando Alec rigettarsi a peso morto fra le lenzuola che avevano accolto tutto il loro amore, i loro baci, i loro sospiri, i loro gemiti. Lo osservò guardare la silenziosa Atene fuori dalla finestra, proprio come aveva fatto egli stesso poco prima.       
«Alexander?» lo richiamò, prima di andare.
«Sì?» disse quello, lanciando un'occhiata al sacerdote.        
«S'erò4» mormorò solamente, prima di uscire e chiudere la porta alle sue spalle.     
Le labbra di Alec si incurvarono istantaneamente in un sorriso.       
S'erò, aveva detto.     
Ti amo anch'io, Magnus.

 
***


Magnus aveva lasciato la stanza da pochi minuti quando il segnale d'allarme frantumò la quiete notturna, facendo balzare in piedi Alexander.    
Corse verso la finestra, sporgendosi per vedere cosa stesse accadendo - le guardie, dopo aver dato l'allarme, cominciavano a gridare, incitando i cittadini ad armarsi: gli Spartani stavano marciando, diretti verso Atene.
Una morsa serrò lo stomaco di Alec, sapeva quel che stava per succedere: lo stavano cercando. Stavano cercando Magnus, il traditore, la spia.   
Senza perdere tempo, nonostante le mani che tremavano febbrilmente, indossò degli indumenti; stava terminando di vestirsi quando il suo fratellastro, Jace, e Isabelle si precipitarono nella stanza.      
«Gli Spartani stanno per attaccare» disse Jace, con tono duro, già imbracciando la spada. Alec annuì, guardando il metallo risplendere con balenii dorati sotto la luce delle torce appese alle pareti.    
«Lo so» rispose, sollevando le braccia, affinché Jace l'aiutasse ad indossare l'armatura.    
«Alec...» disse Isabelle, prendendogli il volto fra le mani e guardandolo intensamente negli occhi.           
Alec le accarezzò i capelli corvini, cercando di mettere in quel gesto tutta la delicatezza e la determinazione che riuscì a raccogliere, «Non lascerò che ti facciano ancora del male» affermò deciso.           
«Nessuno Spartano riuscirà a nuocerti, non senza aver gettato la mia anima nell'Ade» rincarò Jace, stringendo le cinghie e assicurando l'armatura al busto muscoloso del fratellastro.            
Alec si affrettò a raccogliere le sue armi, prendendo l'arco e la faretra; lanciò anche uno sguardo alla spada, abbandonata sopra ad una cassa di legno, e decise di appenderla alla sua cintura.              
«Sei sicuro?» chiese Jace. Dopotutto, Alec si era sempre distinto come arciere. Si limitò ad annuire, appoggiando la mano sull'elsa ruvida della spada e stringendola fra le dita callose.  
Nell'attraversare i corridoi dell'abitazione, Alec sentiva il cuore farsi sempre più pesante: il presagio che aveva avvertito prima che Magnus lasciasse la sua stanza gli sembrava ora terribilmente reale, pronto ad abbattersi e a schiacciarli tutti come esseri deboli, vulnerabili. Mortali.       
Il loro padre, Robert, li aspettava sulla soglia, al suo fianco stava la moglie, circondata dalle ancelle. Anche Magnus stava accanto alla porta, con espressione grave, lo sguardo felino rivolto verso il terreno. Alzò lo sguardo quando sentì i loro passi e le sue iridi giallo-verdi si posarono sul corpo di Alexander: si limitò ad osservarlo in silenzio, senza poter dire nulla. Del resto, cosa dire in tale circostanza? Cosa dire, dopo avergli dichiarato poco prima che l'amava?    
Anche Alec lo guardò senza proferire parola, cercando però di trasmettere col suo sguardo che anch'egli l'amava. Non era riuscito a rispondergli, a dirglielo, ma sì, l'amava.           
Quello fu il suo ultimo pensiero, prima di seguire Jace ed il padre fuori dall'abitazione, diretti al campo di battaglia.
 

 
***
 

Le parti erano schierate, ogni oplita5 perfettamente allineato, le falangi pronte.        
Sotto al sole cocente, il campo di battaglia ancora non era stato impegnato dagli eserciti. Si studiavano a vicenda, ognuno pronto ad attendere il primo passo dell'altro, pronto ad attendere un fallo dell'altro.
Giungendo al campo, Alec era rimasto paralizzato per un breve istante nel vedere la falange nemica predisposta ad attaccare, con le lance affilate parallele al terreno polveroso, le creste sugli elmi che ondeggiavano al fievole alito di vento proveniente dal mare e gli scudi bronzei scintillanti su cui capeggiavano massicce lambda6 
rosso cremisi.    
Cremisi come il sangue che, come pioggia rossa, di lì a qualche istante sarebbe scorso a fiotti su quel terreno di guerra, sotto agli occhi degli Dei.       
I suonatori di flauto7 spartani incominciarono a suonare e gli opliti cominciarono a marciare, invadendo il campo di battaglia. Avanzavano, compatti, apparentemente indistruttibili, pronti a travolgerli.           
All'urlo del generale, anche la fanteria ateniese cominciò ad avanzare, mantenendo gli arcieri nelle retrovie, le frecce incoccate e puntate contro il nemico.            
Nel giro di poco tempo, i due eserciti si scontrarono, cercando di penetrare l'uno le difese dell'altro; Alec scoccava dardi, fieramente, come aveva sempre fatto: raramente mancava il bersaglio. Continuava, implacabile, ad abbattere, a uccidere, pur di salvare la sua patria; quando, però, nella furia della battaglia intravide il fratellastro, Jace, venire sfregiato dalla lama di una xiphos8 e urlare di dolore, non riuscì a proseguire.
«Jace!» urlò, come se l'altro potesse udirlo. Era un grido disperato, il suo.  
Abbandonò il suo arco, imbracciando la spada, pesante fra le sue braccia, non abituate a reggere l'arma; si gettò nella battaglia, colpendo, dilaniando, ferendo, massacrando: chiunque intralciasse il suo cammino veniva falciato via. I suoi occhi dardeggiavano, mentre si faceva strada in quel caos, diretto verso il fratello, che, nonostante fosse ferito, continuava a combattere strenuamente.         
«Che diavolo ci fai qui, Alec?!» gli urlò Jace quando lo vide arrivare, rubando una lancia spezzata ed intrisa di sangue dal cadavere di un giovane spartano ai suoi piedi. Alec lo ignorò e continuò a colpire, senza alcuna pietà.
Ben presto, furono chiare le sorti della battaglia: nonostante l'attacco a sorpresa, nonostante il momento di debolezza, Atene era riuscita a resistere.
Jace ed Alec avevano combattuto fianco a fianco, schiena contro schiena, proteggendosi a vicenda, proprio come parabatai. Jace tagliò la gola ad un ilota9, il cui sangue schizzò ad impregnare la sua pelle e a rendere scivolosa la sua presa sulla spada; si scostò i capelli biondi dagli occhi e si voltò ad osservare il fratello, che stava finendo a sua volta un ilota, quando vide un soldato sbucare alle sue spalle.      
«Alec!». Le parole uscirono dolorosamente dalla sua gola, urlate, mentre osservava impotente la spada dello spartano trapassare il corpo di Alexander e sbucare dal suo petto, lacerando la carne. Alec abbassò lo sguardo, mentre il sangue si diffondeva rapidamente attraverso il tessuto. Le sue gambe cedettero, collassò a terra.
Jace corse verso di lui, uccidendo il soldato che l'aveva ferito, e s'inginocchiò accanto al fratello, sollevandolo, tenendolo fra le braccia.        
«Alec... Alec, sono qui...» continuava a ripetere, accarezzando il volto di Alec, scostando le ciocche nere dalla sua fronte pallida e sudata, incurante di macchiare la pelle diafana con le sue mani sporche di sangue.
Sul suo volto, il sangue sembrava pioggia rossa.       
La macchia cremisi continuava ad allargarsi sul suo petto, che si alzava ed abbassava velocemente, mentre un gorgoglio provenne dai polmoni quando tentò di parlare.         
«Alec... Alec, shhh...».          
«M-Ma... Magnus...» mormorò Alec, alzando gli occhi celesti e puri su Jace.         
«Non mi lasciare, Alec, non mi lasciare...» lo pregò quello, sentendo la disperazione invaderlo mentre la forza vitale lasciava rapidamente le membra dell'altro.    
«Mag-gnus... D-Digli... D-Digli che lo amo...» riuscì a dire a stento Alec, prima di abbandonarsi esausto fra le braccia del parabatai. Una piccola scia di sangue uscì dalle sue labbra e scese lungo il suo mento candido, mentre esalava l'ultimo respiro, le labbra sollevate nello spettro di ciò che sembrava essere un sorriso al pensiero del suo amato.            
Jace urlò. Urlò tutto il suo dolore e la sua devastazione nel sentire la vita scivolargli fra le dita come sabbia: Alexander era morto.
 

 
***
 

I corpi giacevano sulle pire, pronti ad essere bruciati dopo l'epitaffio ai caduti celebrato dal successore di Pericle, Cleone10.           
Magnus era ai piedi della pira su cui si trovava Alexander. Il suo corpo era stato preparato per la cerimonia dalla madre e dalla sorella, era stato lavato e aveva ricevuto l'unzione con le erbe sacre, sulla sua lingua era stato posto l'obolo affinché potesse pagare il traghettatore che l'avrebbe condotto nel Regno dei Morti11.
Durante quei tre giorni che erano intercorsi fra la morte dell'amato e il funerale, Magnus non aveva proferito parola. Non da quando aveva appreso ciò che era accaduto, quando Jace e Robert erano tornati dalla battaglia, trasportando il corpo inerte del giovane ateniese su uno scudo.       
Silenzio.
Eppure, Magnus dentro di sé urlava. Era corso al tempio, ad implorare, a pregare. Aveva addirittura imprecato contro tutti gli Dei quando si era fatta strada in lui la consapevolezza che era tutto vero ed Alexander non sarebbe più tornato.           
Deglutì, sentendo gli occhi pizzicare, mentre ricordava ciò che gli aveva riferito Jace: le ultime parole di Alexander erano state per lui. Il suo nome. La risposta alla sua dichiarazione. «Magnus... Digli che lo amo».
Si amavano e non erano nemmeno riusciti a dirselo. Non erano riusciti a dichiararselo, l'uno di fronte all'altro. Non erano riusciti a dimostrarlo alla luce del sole, a qualunque essere umano o divino. Erano stati costretti a consumare il loro amore di nascosto, alla sola luce della luna, come un qualcosa di deplorevole.
Sentì il cuore spezzarsi definitivamente quando Robert appiccò il fuoco alla pira e le fiamme divamparono, avvolgendo il corpo di Alec. Il vuoto l'aveva invaso e un subdolo ricordo si fece strada nella sua mente.

«Promettimi che, quando tutto questo sarà finito, saremo ancora insieme».           
«Sei giunto, ti bramavo / hai dato ristoro alla mia anima / bruciante di desiderio».           
«Alexander?». 
«Sì?».
«S'erò».


Non erano più insieme, Alexander aveva infranto quella promessa che egli stesso aveva richiesto. Ciononostante Magnus sapeva che, nonostante non fosse più lì, non l'avrebbe lasciato.     
Alexander. Il salvatore di uomini12.      
L'avrebbe dimenticato? Mai.  
L'avrebbe amato? Sempre.

 
Note dell'Autrice: 

1. Pioggia rossa: il titolo di questo capitolo (e di questa fanfiction) si riferisce all'omonima canzone di Peter Gabriel, che mi ha dato l'ispirazione per questa storia.
I ripetuti paragoni fra il sangue e la pioggia rossa presenti nel capitolo sono voluti.
2. Eros: nell'Antica Grecia, Eros è il dio dell'amore fisico e del desidero. E' a ciò che allude Magnus. In realtà, nella cultura Greca, Eros non rappresentava solo la divinità, ma anche il principio divino che fa muovere verso qualcosa e che spinge alla bellezza, così come sarebbe stato teorizzato e spiegato dal filosofo Platone nel Simposio.
3. Citazione da una poesia di Saffo. Saffo fu una poetessa greca e visse fra il 630 e il 570 a.C. La sua poetica era incentrata principalmente sulla passione e sull'amore. Della sua produzione oggi non restano che frammenti. Nella citazione da me riportata, ho cambiato "sei giunta" in "sei giunto", essendo i personaggi maschili.
4. S'erò: è esattamente la traduzione del nostro "ti amo". In senso più affettivo, sarebbe stato Se filò ("ti voglio bene"), mentre in senso più carnale S'eramai.
5. Oplita: soldato della fanteria pesante.
6. Lambda: la lettera lambda (Λ) era usata dagli spartani come simbolo politico-militare; essa faceva riferimento al primo nome della città Lacedemone e veniva dipinta sugli scudi.
7. Suonatori di flauto: in battaglia la fanteria aveva il compito di non muoversi in modo scomposto e disordinato, in modo da garantire il perfetto funzionamento dello schieramento a falange. Il ritmo dell'avanzata era pertanto dettato dalla musica. 
8. Xiphos: la xiphos era la spada utilizzata dalle forze di fanteria nell'Antica Grecia. Aveva impugnatura ad una mano e la lama, a doppio taglio, poteva anche raggiungere una lunghezza di circa 60 cm. Gli opliti spartani ne svilupparono una variante più corta (circa 30 cm) da utilizzare durante le mischie della fanteria pesante.
9. Ilota: soldato della fanteria leggera.
10. Cleone: politico e militare ateniese, protagonista della guerra del Peloponneso. Fu eletto come successore di Pericle dopo la sua morte.
11. Funerale: nell'Antica Grecia, la cerimonia funebre era molto importante. Si credeva, infatti, che le anime di coloro che non avevano ricevuto sepoltura (o cremazione, nel caso delle famiglie aristocratiche) fossero condannate a vagare per mille anni senza la possibilità di trovare la pace. Il corpo veniva quindi lavato e cosparto di essenze, gli occhi venivano chiusi e nella bocca veniva posto un obolo, affinché il defunto potesse pagare il traghettatore, Caronte, che l'avrebbe portato nel Regno dei Morti. 
12. Alexander: il nome Alexander (in greco Alèxandros) significa "protettore di uomini".

Hello everyone! 
Mio Dio, è passato così tanto tempo... Avevo detto che, per mancanza di tempo, avrei pubblicato questo ultimo capitolo dopo la maturità, ma non pensavo che sarebbe trascorso così tanto tempo prima di riuscire a concludere questa storia. Il punto è che evidentemente il mio cervello lavora di fantasia solo quando sono in periodo di esami e dovrei studiare ç_ç 
Allora, che dire? Mi sento una persona orribile. Appena ho finito di scrivere il capitolo e ho messo il punto finale un enorme WHAT HAVE I DONE mi è passato per la testa, anche se ho sempre immaginato così la trama di questa fanfic, da quando per la prima volta, mesi e mesi fa, ho aperto un nuovo documento su Word e ho iniziato a scriverla. 
Io stessa, nella foga della scrittura, mi sono lasciata andare a qualche lacrima nei momenti salienti di questo ultimo capitolo. Inoltre, reduce dalla visione della 2x05, con Alec vestito di bianco, che piange al funerale, non potevo di certo scrivere una roba allegra non sto assolutamente cercando di scusarmi per aver massacrato un personaggio, NO. Anzi, questo capitolo è stato un vero e proprio sacrificio: l'ho scritto e riscritto e riscritto non so quante volte, non ne ero mai soddisfatta, è stato molto frustrante e probabilmente la cosa più difficile che mi sia trovata a produrre in tutta la mia esistenza da fanwriter - tuttora ho molti dubbi sull'effettiva riuscita di questo capitolo. 
Era la prima volta che scrivevo di una battaglia e non avevo idea di come rendere la confusione di questi due eserciti che si scontravano. 
Inoltre, so che rispetto all'ultimo capitolo Alec è molto più intraprendente con Magnus e la cosa potrebbe risultare OOC, ma ho pensato che, dopo varie notti in cui i due amanti si congiungevano, fosse ormai accettabile una certa intraprendenza e confidenza, senza più alcuna barriera fra di loro. A causa di questo, ho anche deciso di cambiare il "voi" in "tu" nel dialogo fra i personaggi. 
E insomma, nonostante tutti i dubbi, le possibili incongruenze e gli scleri vari, eccolo qui. Fine. 
Dico la verità, questa storia mi ha dato davvero tanto e spero che, almeno in minima parte, sia così anche per voi. 
Ci tengo pertanto a ringraziare tutti voi, che avete letto e recensito, scrivendomi delle cose bellissime. A tutti voi che avete seguito questa storia mettendola fra le preferite/seguite/ricordate: siete davvero tanti e non mi immaginavo minimamente una cosa del genere. E un grazie enorme anche a voi che avete letto silenziosamente: I know you're there.
Grazie alla fantastica mente di Cassandra Clare per aver partorito questi due bellissimi cupcakes.
E un grazie anche alle mie amiche che hanno sopportato la mia frustrazione per non riuscire a scrivere un epilogo perlomeno decente.
Last but not least, un grazie immenso anche a heartbreakerz che grazie al suo contest Concludi la tua long e ricevi un premio! sul forum di EFP è riuscita a darmi quella spinta che mi serviva per dare un finale a questa storia.
Credo di aver finito le cose da dire... Di nuovo, a tutti, GRAZIE. Davvero.
A rileggerci presto, spero. E non odiatemi troppo per questo finale. Kisses,
Starsfallinglikerain.

   
 
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