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Autore: Berry Depp    12/02/2017    5 recensioni
Dal quinto capitolo:
-Non potrebbe...- tentò Judy, imbarazzata –Essere tuo figlio?
-Eh?- Nick sobbalzò –Sei impazzita?
-Beh, sai... magari tu hai...
-Io non "ho" un bel niente!
-Ne sei certo?
-Se ti dico che non è mio figlio, puoi stare certa che non è mio figlio- terminò Nick, al limite tra l’imbarazzo e l’incredulità.
-Okay, okay, rilassati- fece lei, sollevando le zampe in segno di resa.
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Un vecchio caso non risolto ed una novità piuttosto scomoda. Il passato di Nick, quello del capitano Bogo ed un'agghiacciante verità. Il mio tono serioso perché fa figo. Questo e molto altro in "Like father like son".
Genere: Azione, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitan Bogo, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lost
Easter Eggs n°: 0

Sei davanti la tv e tua madre continua ad intimarti di andare a letto da un quarto d’ora.
-Ti conviene fare come ti dico, prima che papà torni e ti trovi sveglio- esclama la volpe con tono di rimprovero.
-Ma mamma! Devo fare vedere a papà il modellino che ho costruito!- ti lamenti tu girandoti su un fianco. Hai sempre voluto fare tutto di testa tua.
-Niente “ma”, signorino! Puoi benissimo fargli vedere la nave domani mattina. Fila a letto ora, o non vengo a rimboccarti le coperte.
Ti alzi sbuffando e trascinando la nave in compensato come fosse fatta di cemento, quando suonano alla porta. Un largo sorriso ti dipinge il musetto e corri ad aprire, per trovarti davanti tuo padre in giacca e cravatta, nella zampa sinistra tiene stretta per il manico una ventiquattrore. Non ha il suo solito odore, quello del sigaro che piace a te, è un altro ed è fastidioso. Ignori questo particolare perché non resisti dal mostrargli il modellino della nave, ma qualcosa ti blocca ed è il sangue che gli sgorga copioso dal muso e gli imbratta la camicia bianca. Non l’avevi notato subito a causa della penombra, ma ora una cosa è certa: non stai più sorridendo.
-Che ci fai sveglio a quest’ora?- non usa quasi mai quel tono. È arrabbiato, ma anche preoccupato e sembra si senta in colpa perché l’hai visto ridotto a quel modo.
-Robin- mormora la mamma.
-Non è nulla, Marian. Nicholas, vai a dormire- poche parole, voce atona.
Ti ha chiamato Nicholas, non lo fa mai: di solito ti chiama Nick, Nicky o Tartufo, ma mai col tuo nome intero. Corri in camera tua e chiudi la porta. Hai paura del buio e la lasci sempre socchiusa così da permettere ad uno spiraglio di luce di entrare dalla cucina, ma in questo momento il buio è più rassicurante di qualunque cosa sia successa là fuori. Resti appoggiato alla porta per cercare di cogliere qualche parola. Ti tremano le zampe.
-È stato lui?- chiede la mamma. Sembra sul punto di piangere.
-È tornato e non sembra volersene andare- risponde papà.
-Ma la polizia lo cercava, cosa vuole ancora? Non gli basta quello che ha fatto?
Ora c’è silenzio. Forse si stano abbracciando. Non lo saprai mai e decidi che per quella sera i misteri bastano e avanzano. Hai paura, ma forse, se dormi, passerà tutto. Ti infili nel letto tremando, per terra lasci il modellino.
La mamma non è venuta a rimboccarti le coperte.
 
Nick si svegliò lentamente e si chiese perché non fosse nella sua cameretta, perché non avesse il modellino della nave accanto al letto e perché le coperte non fossero rimboccate. Deglutì a vuoto e, una volta appurato che era nella camera dei suoi genitori, nella sua camera, prese un profondo respiro e si massaggiò le tempie. Aveva un forte mal di testa e si sentiva frastornato, come se si fosse svegliato dopo dieci o undici ore di sonno. C’era qualcosa che non andava. Aveva completamente rimosso quel ricordo e ora il suo subconscio glielo riproponeva come sogno. Ma perché ora, perché così? Si rese conto di star tremando come quella notte, automaticamente si girò per vedere se Ron era lì accanto che dormiva nella sua cesta e il cuore gli guizzò in gola quando non lo vide. Ignorando il mal di testa, si alzò di scatto e si guardò intorno, prese la sveglia che teneva sul comodino. 1.45 pm. Allora aveva davvero dormito tutto quel tempo. Cercò di tranquillizzarsi, probabilmente Ron Ron si era svegliato ed era andato a giocare in giro per casa, o magari Judy era arrivata e non volendolo svegliare l’aveva portato con sé. Forse gli aveva scritto un messaggio. Prese il telefono, sul display comparvero dodici chiamate perse, otto di Judy, tre dei Simo e una di Matthew. Alzandosi e tenendosi la fronte, chiamò Judy, mentre barcollava in giro per la stanza.
-Nick, grazie al cielo!- esclamò Judy –Si può sapere che fine hai fatto?
-Mi sono... svegliato ora- biascicò lui. Aveva la bocca impastata dal sonno, gli veniva da vomitare.
-Lo sento- quel tono di rimprovero era così tremendamente, insopportabilmente simile a quello di sua madre. Avrebbe voluto lanciare il telefono contro il muro.
-Sei passata a prendere Ron?
-Ron?
Fu in quel momento che Nick vide una cosa che avrebbe pagato, pur di non vedere. Tra le lenzuola di Ron c’era un sigaro.
-No, perché me lo chiedi? Non è lì con te?- ora Judy sembrava allarmata e probabilmente lo divenne ancora di più – ma questo Nick non poteva saperlo – quando la volpe lasciò cadere il cellulare per terra provocando un tonfo che risuonò nelle orecchie della coniglietta.
In una frazione di secondo, Nick scorse tra le sue coperte un pezzo di cotone, lo prese e lo annusò, per poi gettarlo di nuovo sul letto, schifato. Cloroformio. Corse in soggiorno dove, con orrore, trovò la porta d’ingresso aperta. Nient’altro sembrava essere stato toccato, chiunque fosse entrato aveva semplicemente forzato la serratura, l’aveva anestetizzato e aveva rapito Ron. Ed era già stato a casa sua quel pomeriggio, il sigaro era il suo marchio. Corse di nuovo in camera per prendere il telefono e non seppe perché, forse sperava disperatamente di sbagliarsi, ma osservò quale tipo di sigaro fosse e i suoi presentimenti si rivelarono fondati: Montecristo Cubano anche quello. Judy stava richiamando proprio in quel momento, rispose senza lasciarle il tempo di parlare: -Judy, ha rapito Ron.
-Cosa? Chi?
-Il tipo del sigaro, mi ha anestetizzato e l’ha preso- le parole gli uscivano dalla bocca come l’acqua da un fiume in piena, aveva il fiato corto ma non riusciva a prendere boccate d’aria –Cosa faccio?
Judy sapeva che se fosse uscito di casa in quel momento Nick si sarebbe perso come un cucciolo o avrebbe picchiato qualcuno come un pazzo maniaco, senza vie di mezzo, perciò cercò di mettere ordine ai suoi pensieri e di mantenere la voce calma: -Resta lì, chiamo la polizia e vengo.
-No, non la polizia!- scattò Nick, come se il colpevole della sparizione di Ron fosse lui e avesse paura degli agenti in divisa blu –Chiama i Simo. Bogo, al massimo.
Perché volesse Bogo, questo Judy non lo sapeva, ma obbedì. Spiegò velocemente la situazione a Rocky e scoprì che il capitano era già lì a casa dei due cani, decise che quello non era il momento di fare domande. Una ventina di minuti dopo erano tutti a casa di Nick, che faceva avanti e indietro davanti al suo letto mangiucchiandosi gli artigli. Era tanto preso da quello che era successo che aveva persino dimenticato di indossare una maglietta.
-Chi può essere stato?- chiese Adrien, preoccupata tanto quanto la volpe.
-Lui- rispose secco Nick lanciando un’occhiata al sigaro –Chiunque sia, lui. Quello che ha lasciato un sigaro davanti la mia porta questo pomeriggio, quello che ha picchiato mio padre nel padiglione, quello che l’ha ucciso. È stato lui.
-Come fai a saperlo?- chiese Judy.
-Non lo so!- sbottò lui –Non lo so, so solo che è stato lui.
-Una cosa è certa- disse Rocky sbucando in quel momento dal salotto con  il pomello di una porta in mano –E cioè che ieri pomeriggio non è stato qua solo per lasciarti quel regalino. Ha manomesso la serratura, pensavi di aver chiuso la porta per la notte, ma lui è potuto entrare senza fare troppo rumore.
-Quindi il campo si restringe ai mammiferi capaci di manomettere serrature e che probabilmente vedono al buio- concluse Bogo con tono ironico –Siamo a buon punto.
-Mi viene in mente Edward Ipkiss- buttò là Adrien. Questi era un procione la cui fedina penale era paragonabile a quella di Nick e che era molto famoso tra i membri della polizia di Zootropolis, nonché di quella internazionale. Nick e Judy avevano avuto modo di conoscerlo tempo prima, se il loro incontro fosse stato piacevole o meno, questa è un’altra storia.
                -Quel tipo trent’anni fa ciucciava ancora il latte dalla tetta della mamma- borbottò Nick a denti stretti –E comunque non avrebbe motivo di rapire Ron. In fin dei conti è un alleato.
                -Lui è un alleato- ripeté Rocky –ma avrai pure dei nemici che lo farebbero, no?
                -Nemmeno questo restringerebbe il campo, Rocky- commentò la volpe riprendendo a camminare avanti e indietro. In ogni caso chi avrebbe saputo di Ron? Era stato visto in giro col passeggino, forse qualche malintenzionato l’aveva adocchiato. Dubitava che Finnick avesse parlato: era uno stronzo, ma non gli avrebbe fatto questo solo per soldi, dopotutto avevano vissuto insieme per tanti anni e non erano stati solo partner, ma amici.
                Sospirò passandosi una zampa fra le orecchie, in preda all’angoscia. Teneva ancora stretto tra le dita il sigaro, lo osservò per alcuni secondi e corrugò le sopracciglia. Senza dire una parola si diresse in cucina lasciando gli altri in camera e confusi, aprì tutti i cassetti e vi frugò dentro – tagliandosi con un coltello, infilò il dito in bocca in cui sentì il sapore del proprio sangue – finché non trovò due pacchi di fiammiferi, gettò alle sue spalle quello vuoto e ne afferrò uno in cui ne erano rimasti tre, il primo che grattò sul piano cottura si spezzò, lui ringhiò e grattò l’altro che si accese e che utilizzò per accendere il sigaro. Sotto gli occhi stupiti di Judy, che l’aveva raggiunto, e digrignando i denti per il fastidio che gli dava, diede un tiro e tossì subito dopo, ma annusò l’aria attorno a lui.
                Inspirò a fondo.
                Gli venne la nausea.
 
                Bussano alla porta, guardi l’orologio: è presto perché torni papà. Va ad aprire mamma, da quando papà è tornato conciato in quel modo, tre giorni fa, ti hanno entrambi proibito di aprire la porta. Guarda dallo spioncino, anche quella è un’abitudine che ha preso da quel giorno. Mamma resta immobile per qualche secondo, poi si gira lentamente e guardando per terra, in un soffio, ti ordina: -Vai in camera tua e non uscire finché non te lo dico io.
                Tu obbedisci, non osi fare il contrario dopo quello che è successo, ma hai il terrore che papà si sia di nuovo fatto male, quindi accosti la porta della tua stanza e cerchi di vedere il più possibile dallo spiraglio. Hai la vista sul tavolo della cucina.
                Senti mamma aprire la porta e mormorare un secco: -Che ci fai qui?
                -Quale accoglienza, mia cara- non è la voce calda e rassicurante di papà: è quella di un maschio, ma è sottile e pungente, affilata come un coltello, hai l’impressione che possa tagliarti le orecchie –Non mi inviti a entrare?
                -Potrei impedirtelo?
                -Conosciamo entrambi la risposta- la sua calma e docile sicurezza ti mette addosso un’inquietudine che non ti dà pace dalla prima parola che ha pronunciato. Li vedi entrare ma non sedersi al tavolo, restano là in piedi davanti ai tuoi occhi, lui ha le zampe lungo i fianchi, lei le tiene incrociate sul petto. È una volpe e tu vorresti sbagliarti, ma è identico a papà.
                -Dov’è Robin?- chiede il nuovo arrivato guardandosi intorno con movimenti lenti e calmi.
                -Sei stato tu- quella di mamma non è una domanda e tu sai che si riferisce a chi ha fatto del male a papà
                -A fare cosa?- sta sorridendo, lo senti dal suo tono di voce.
                -Lo sai. Tre giorni fa. Al padiglione.
                -Conosci anche la risposta a questa domanda, Marian- si limita a dire lui –Dimmi, piuttosto: tu come stai? E il pargolo?
                -Come fai a sapere di Nick?- ora mamma sembra allarmata.
                Lui si fruga nella tasca del cappotto nero e ne esce una scatolina, la apre per prendere un sigaro uguale a quelli che fuma papà e lo accende. Non ci vuole molto perché il suo odore, così fastidioso in confronto a quello dei sigari di papà, ti giunga alle narici con insistenza.
                -Le notizie girano, Marian- risponde la volpe con sufficienza –E non pensare che non mi informi su di voi.
                -Ci spii?
                -Non io. Qualcuno. Per me. Ma non devi avere paura, dolcezza- lo vedi allungare una zampa verso il muso della mamma, ma lei si scansa –Non ne hai, vedo. Sei cambiata, sei più sicura di te. Saresti disposta a sfidarmi per salvare tuo marito o tuo figlio. E la cosa non mi piace.
                -Impara a fartela piacere, Thomas. Non sono più una ragazzina.
                -No, certo. Ma sai, io non mi accontento, se voglio una cosa devo averla a tutti i costi. Questo lo capisci, Marian?
                -Cosa vuoi? Non sono più alla tua mercé- la voce di mamma non trema come quando è preoccupata.
                -No, non te. Non più. Non in quel senso.
                Nessuno dice altro, cala il silenzio, senti Thomas tirare su col naso e dirigersi alla porta. Mamma non lo segue per aprirla, prima di chiudersela alle spalle la volpe aggiunge: -Ma arriveremo anche a questo.
                Mamma resta sola. Solo adesso si accascia su una sedia e si prende il muso tra le zampe, disperata.
Vorresti sapere cosa sta succedendo, vorresti tranquillizzarla.
Lo vorresti davvero tanto.
 
Nick sbatté ripetutamente le palpebre e guardò Judy, che gli si era avvicinata, poi gli altri tre, che chissà da quanto lo osservavano.
-Stai bene?- chiese la coniglietta, preoccupata –Hai fissato il vuoto per alcuni secondi e non mi hai risposto più.
-So chi è- sillabò con voce tremante.
-Come?
-So chi è stato. Ad uccidere mio padre e rapire Ron. Dobbiamo andare- agguantò una felpa blu lasciata su una sedia e corse verso la porta di casa, gli altri quattro lo seguirono senza proferire parola. Judy sapeva che questa volta c’erano arrivati. Se lo sentiva, sapeva che Nick non poteva avere torto: se diceva di saperlo, potevano star certi che fosse così.
Seguendo le indicazioni della volpe, Judy guidò fino al padiglione in periferia, durante il tragitto lei, Bogo e i Simo si fecero spiegare cosa gli fosse preso.
-Si chiama Thomas- cominciò Nick –Ma non conosco il cognome. Mia madre lo conosceva, ecco perché non ha voluto che le indagini terminassero, sapeva che è stato lui a uccidere mio padre.
-Era un amico di famiglia? Un parente?- chiese il capitano.
-Non si direbbe. O almeno, non ne ho idea, ma di certo non andavano d’accordo.
-Come fai a saperlo?- domandò Judy senza staccare gli occhi dalla strada.
-Il sigaro. L’odore mi ricordava qualcosa, ma non sapevo cosa. Ero troppo piccolo, è come quando riconosci un odore ma non sai quando e dove l’hai sentito. Risentirlo con la stessa intensità di quella volta che Thomas è venuto a casa mia ha come risvegliato in me il ricordo che avevo cancellato.
-Il Montecristo cubano?- chiese Adrien.
-Era questo il dettaglio che mi sfuggiva- riprese la volpe –Nel rapporto avevate scritto che il sigaro trovato sulla scena del crimine era cubano ed era così, giusto?
-Certo.
-Io ero convinto aveste fatto un errore, perché mio padre fumava il non cubano. Ma mi sbagliavo, il sigaro ritrovato era di Thomas, non di mio padre.
-Nick- intervenne Judy.
-Che c’è?
-Non sai perché tua madre abbia lasciato che Thomas l’avesse vinta. Deve esserci un motivo.
-Lo scoprirò oggi- tagliò corto lui. Judy decise di non insistere: era troppo determinato a finirla là.
-Sono certo che abbia lui Ron Ron e che sia al padiglione- continuò –È quello che vuole, attirarmi lì. Non so perché, ma è il momento di capirlo.
Quando arrivarono, lui fece per entrare di corsa, ma Rocky lo trattenne per la spalla.
-Non facciamo mosse avventate- disse –Se è qui e ha il cucciolo di certo non ha buone intenzioni.
Entrarono cautamente, Bogo per primo, poi Judy e Nick e infine Rocky e Adrien, le pistole strette tra le zampe. L’aria era fredda e odorava di vecchio, ma si percepiva anche un leggero residuo dell’odore del sigaro.
-Thomas!- chiamò Nick –So che sei qui. Volevi me, hai fatto di tutto per attirarmi qui. Ora ci sono. Vieni fuori!
Nessuno rispose, ma il silenzio venne interrotto dal verso strozzato di un cucciolo: -?
Nick trattenne il fiato e così fece anche Judy.
-Ron Ron?- esclamò la coniglietta –Ron Ron, dove sei?
-Ah, è così che si chiama, allora- disse una voce graffiante che risuonò nel rimbombo del grande spazio. I cinque puntarono le pistole in punti diversi, all’erta.
-Che nome buffo, avrei detto glielo cambiassi in “Robin”- continuò la voce. Nick sapeva che era quella di Thomas.
-Fatti vedere!- quasi ringhiò Nick –Dove hai messo Ron?
-Oh, lui sta bene- rispose Thomas –Io mi preoccuperei per te.
Thomas sbucò con la sua andatura molleggiante dall’impalcatura su cui era salito Nick il giorno prima e quando lo videro, a quattro metri da terra, a Judy e Nick gelò il sangue nelle vene: lui pensò che era identico a suo padre; lei che era identico a Nick.

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Cabina del Capitano:
E il premio per la categoria suspense va a... Berry Depp!
*Applausi*
Grazi, grazie, troppo buoni. Dico davvero, Dio solo sa quanto ancora dovrete aspettare per sapere come continua la storia, data la mia fama per la pubblicazione sconnessa. Eheh. Mi sento in colpa.
Comunque, che ve ne pare? Ricordi, flasback, colpi di scena... come trovate che sia il ritmo, adeguato? Fatemi sapere, io cercherò di non tenervi sulle spine troppo a lungo, visto che ormai... *rullo di tamburi* ...ci siamo.
Olè. Ci si legge. Cià.
BD
  
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