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Autore: SherlokidAddicted    18/02/2017    7 recensioni
- John, tu chi sei per me? – Si asciuga le lacrime con il palmo della mano. Mi sembra di guardare un bambino indifeso e impaurito. E quel bambino indifeso ha bisogno di qualcuno che lo aiuti e che lo sostenga, ed anche se non mi riconosce voglio essere io quel qualcuno che lo prende per mano e lo guida. Accenno un sorriso ed abbasso lo sguardo sulla punta delle mie scarpe.
- Vuoi davvero saperlo? – Lui annuisce. Il velo di paura nei suoi occhi sta pian piano svanendo, sembra ricominciare a fidarsi di me. – Ci arriverai da solo, con calma. -
Cosa mi passa per la testa, dite?
Perché non ho semplicemente detto “Sherlock, io sono tuo marito”?
Non lo so. Ho come l’impressione che questo sia il modo giusto per affrontare la cosa. In fondo non sa chi sono, credo che avrebbe reagito male se avesse saputo già da subito la verità. E questo non è mentire! Semplicemente lascerò che sia lui a capirlo… o spero a ricordarlo.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il gioco è cominciato
 



Ho avuto un’idea malsana questa mattina. È proprio vero che la notte porta consiglio, perché ho sognato di fare tutto questo e adesso lo sto mettendo in atto. Forse è la cosa più smielata che avessi mai potuto fare ma devo ammettere, non per vantarmi, che è a dir poco geniale.
Mi sono alzato prima di lui. L’odore forte del bagno schiuma a ricordarmi del nostro bagno insieme, ciò mi fa sorridere. Era presto, non si è alzata nemmeno l’alba. Ho subito pensato: “Mi serve Mycroft Holmes”, e non ho esitato a chiamarlo. Mi ha preso per pazzo per l’orario ma poi, visto che si trattava di suo fratello, ha acconsentito al mio piano e siamo diventati immediatamente complici. Ma non c’è solo lui ad aiutarmi: la signora Hudson, Molly, Lestrade, perfino Angelo e Anderson… tutti al seguito di questo povero, sciocco innamorato.
Ho preparato tutto nell’arco della giornata. Sherlock ha deciso di non spremersi le meningi sul caso e di prendersi un’intera giornata di pausa, così, con la scusa di una rimpatriata al lavoro per decidere quando ricominciare con i miei turni, ho sistemato ogni cosa.
Il piano consiste nel fatto che io debba restare con Mycroft, nel suo studio, accanto a lui, di fronte agli schermi che ha preparato per me. Il mio telefono deve stare immobile sulla scrivania e deve essere toccato soltanto nel caso io veda il suo nome sullo schermo. Sono le 9.30 del giorno dopo quando succede ed io ho le gambe tremanti mentre mi precipito a rispondere.
- Pronto? – Mycroft accanto a me non dà segni di interessamento.
- Dove diavolo sei, e che vuol dire questo biglietto? – Sorrido silenziosamente e nella mia mente si ricrea l’immagine di me stesso che lascia quell’appunto proprio sul cuscino accanto a lui.

 
Buongiorno. Sai… mi annoiavo.
Vuoi metterti alla prova con me?
Il gioco è cominciato.
Chiamami se puoi.
Se non puoi chiama comunque.

 
- Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere fare un gioco. –
- John, non mi piace svegliarmi da solo. – Ed eccola, la batosta che per un attimo mi fa sentire in colpa, ma il suo tono è scherzoso e so che non è sua intenzione, quindi continuo a raccontare.
- Lo so, ma so anche che vuoi ricordare. –
- Non voglio ricordare tutto, voglio solo ricordare te. –
- Bene, è quello che faremo oggi. Non posso farti ricordare tutto Sherlock, il tuo cervello non reggerebbe. Ma ti farò rivivere passo passo ogni nostro momento e volevo trovare un modo originale. – Non sento niente per dei secondi che sembrano interminabili, nei quali io faccio silenzio e mi limito a fissare un punto davanti a me, sentendo lo sguardo indagatore di Mycroft addosso.
Deglutisco rumorosamente quando ciò succede, poi mi decido a reclamare la sua attenzione.
- Sherlock, sei ancora lì? –
- Sì… -
- Dì qualcosa! – Ancora silenzio, poi un sospiro e il rumore delle coperte e del letto cigolante.
- Grazie, John, davvero. – non dico niente, ma so che ha già dedotto il mio sorriso, perché ha imparato a conoscermi, sa che sto sorridendo e non ho bisogno di aggiungere altro. – Cosa devo fare? –
- Adesso la nostra conversazione finisce qui, devi vestirti e andare in cucina, li capirai subito cosa devi fare. –
- Va bene ma… John, come hai fatto ad organizzare tutta questa cosa? –
- Ho i miei collaboratori. – La mia affermazione lo fa ridere, forse anche perché ho usato un tono fintamente misterioso, poco credibile e poco convincente per lui, ma decide di lasciarmelo passare. Mette giù e la chiamata finisce. A questo punto il telefono mi serve per i messaggi, quindi lo posiziono di nuovo al centro della scrivania mentre, dietro di me, Anthea mi sistema con cura il microfono e l’auricolare. Davanti a noi gli schermi proiettano Baker Street, precisamente l’entrata del 221b. Mi sono ricordato della prima volta in cui Mycroft ha tentato di spaventarmi, quando ha iniziato a manovrare le telecamere pubbliche per scoraggiarmi. Quindi perché non usufruire del suo stesso potere?
- Hai capito come manovrare le telecamere? –
- Sì, è piuttosto facile. – Rispondo mentre Mycroft si alza dalla sua sedia e compie il giro attorno alla scrivania.
- Direi che per me è il momento di andare. Non voglio assistere alla vostra smielata caccia al tesoro. –
- Non ti interessa? – Chiedo leggermente contrariato dalla sua improvvisata. Lui mi lancia un sorrisetto ironico e afferra l’ombrello poggiato alla parete, stringendo possessivamente il manico.
- Questa è una cosa che dovete fare da soli. In più se ci saranno progressi me lo farai sapere. – Dice con sciolta naturalezza mentre si avvia a passo lento verso la porta, con un cenno dell’ombrello richiama l’attenzione di Anthea che, dopo avermi sistemato per bene, lo raggiunge. – La macchina di sotto è arrivata, quando sei pronto… - Lascia la frase in sospeso ed io annuisco deciso, poi la porta si chiude ed io sono finalmente solo nell’ufficio del Governo inglese. Sono seduto al posto di Mycroft Holmes e non posso fare a meno di sorridere fiero della mia posizione, anche se temporanea.
So che lui si preoccupa per Sherlock, che finge di provare disinteresse verso questo piano di riabilitazione che ho messo in atto, ma con me non attacca più. Gli Holmes sono diventati la mia famiglia, li conosco molto bene ormai e sono capace di leggerli come un libro aperto. Uscendo dalla stanza ha solo fatto in modo che io e mio marito avessimo la privacy che ci spetta. Gliene sono grato, sotto un certo aspetto… anche perché non avrei voluto lasciarmi sfuggire delle smancerie in sua presenza e vederlo quindi roteare gli occhi dal disgusto.
Passa qualche minuto prima che senta effettivamente la voce di Sherlock provenire dal mio auricolare, e ciò che sento sono una serie di imprecazioni che mi fanno ridacchiare sommessamente.
- Hai trovato tutto, a quanto pare. –
- Non riesco a mettere questo dannato microfono. –
- Devi appuntarlo alla giacca. – Sento il frusciare dei vestiti e il tintinnio della molletta del microfono, poi ancora altre imprecazioni, infine un sospiro di sollievo.
- Non era meglio continuare a stare al telefono? – Mi chiede poi, io sto per rispondere ma lui mi deduce infallibilmente. – No, giusto, devi parlare con i tuoi complici. –
- Esatto. –
- Avevi detto che non ero ancor pronto per sforzare il mio cervello con degli enigmi. – Io inizio a tamburellare con le dita sul legno chiaro della scrivania, mentre i miei occhi non si spostano un attimo dalla telecamera che inquadra alla perfezione il nostro appartamento.
- Questa è la tua riabilitazione, e gli enigmi sono facili. –
- Certo, li hai fatti tu. – C’è qualche secondo di silenzio, ma temendo di avermi offeso non esita a correggersi. – Nel senso… non sei una mente criminale folle, quindi i tuoi enigmi non sono… John, insomma. –
- Tranquillo, Holmes, ho capito. – Dico con un sorriso di circostanza, riuscendo a vedere perfino da qui la sua espressione mortificata. – Hai trovato il biglietto? –
- Sì, l’ho trovato. –

 
Per scrivere una buona storia è necessario un prologo.
Un punto d’inizio.

 
Bene, lo ammetto, molte delle frasi non sono mie. Certo, alcune vengono dal mio cuore, dalla mia testa, dalla mia “infallibile” mente contagiata dal genio di Sherlock, ma per rendere il tutto ancora più enigmatico ho preferito rivolgermi al maggiore degli Holmes, che a mistero ed enigmi non è poi del tutto nuovo. Questa frase è sua, niente da nascondere. Il fatto è che non riuscivo a trovare un modo adatto per suggerirgli la prossima mossa in modo misterioso, come piace a lui.
- Un prologo... –
- Non posso suggerirti niente. –
- Lo so che non puoi, sto pensando. – Incrocio le dita sul mio grembo e poggio comodamente la schiena alla spaziosa ed accogliente sedia di Mycroft.

Mi sento potente seduto qui, lo ammetto.

- Se si parla di noi allora il prologo si riferisce al nostro primo incontro… -
- Mh… -
- Me ne hai parlato, del nostro incontro. – Rimango ancora in silenzio, perché mi rendo conto che sentire la sua voce mi rilassa e mi fa sentire bene, sentirlo dedurre e ragionare è ciò di cui non riesco a fare a meno. La sua mente indebolita che si cimenta a risolvere i miei enigmi da quattro soldi. Prima avrebbe capito al volo, senza esitare, ora ha bisogno di più tempo ma riesce comunque ad affascinarmi e a farmi venire voglia di essere lì con lui a guardarlo, ad osservare le sue rughette di concentrazione, a guardare i suoi occhi mentre sfrecciano sull’elemento sotto esame. Guardarlo mentre deduce è come vedere gli ingranaggi della sua mente lavorare, è come vedere lo schermo del computer mentre elabora ed analizza i dati, come osservare un treno che sfreccia e squarcia la tranquillità di una stazione vuota, un uragano in un’oasi tranquilla. Lui è la potenza, la meraviglia, la forza, il fascino in questo mondo così banale.

Lo ammetto, fin dalla prima volta le sue deduzioni lo rendevano estremamente attraente ai miei occhi.

Già, non l’ho mai detto.

- Mi hai detto che ti ho scioccato quella volta. –
- Sapevi già chi fossi, mentre io non sapevo niente di te. –
- Ho capito. –
- Cosa? –
- Ho capito cosa vuoi che faccia. Devo andare al laboratorio. – Io sorrido e non rispondo, ma so che ha percepito l’incurvarsi delle mie labbra alla sua affermazione, e che ha quindi capito di aver dato la risposta esatta. Lo guardo uscire dall’appartamento mentre rispondo ai messaggi sul cellulare ed avverto Molly dell’arrivo di Sherlock. Le ho detto di mettere il rossetto, perché mi è rimasta impressa la scena in cui Sherlock si lamentava delle labbra troppo piccole della nostra amica. Un particolare futile, forse, ma i minimi particolari sono importanti, perché possono essere quelli a fare la svolta positiva nella vicenda. Lei ovviamente ha trovato la cosa buffa, ma ha acconsentito alla mia idea.
- Hai già chiamato il taxi… -
- Certo che ho già chiamato il taxi. Ti aspetta lì da quasi quindici minuti. –
- John Watson, sei proprio una sorpresa. – Sorrido di nuovo mentre lo vedo salire sulla macchina, facendo svolazzare elegantemente il suo cappotto lungo. – Scommetto anche che riesci a vedermi. –
- Sì, ti vedo. – Non risponde, non dice altro fino a quando non arriva al Bart’s, dove mi è fortunatamente possibile osservare l’esterno grazie alla telecamera sulla quale riesco ad ingrandire la visuale, permettendomi di vederlo scendere dalla macchina. Quando entra nell’edificio cambio subito telecamera e mi concentro su quella che ho fatto indossare a Molly, appuntata fedelmente al camice bianco. Ho calcolato tutto in una sola giornata ma avevo l’aiuto specifico del Governo inglese. Con lui tutto è possibile nel giro di un attimo.
Sherlock si avvicina a lei, che è proprio dove le avevo chiesto di essere, ovvero davanti alla porta del laboratorio.
- Ciao Molly. – Le dice con un leggero sorriso mentre porta le braccia dietro alla schiena. Purtroppo non sento nessun commento sul rossetto che le ho detto di indossare, ma in fondo non posso aspettarmi chissà cosa.
- Ciao… sono gli occhi di John. Tu devi solo entrare e osservare. – Gli comunica Molly, indicando la piccola telecamera con un dito, oscurandola per un attimo. Sherlock annuisce titubante, poi attraversa la porta e vedo che Molly lo segue all’interno della stanza, ma si ferma vicino all’ingresso come da istruzione, in modo che io possa avere la visuale della stanza.
- Quindi è qui che… -
- Già, è qui. – Si guarda intorno come se vedesse quel posto per la prima volta ed io mi mordicchio le labbra. Finalmente nota ciò che ho fatto lasciare sul bancone al centro della stanza. C’è un microscopio, accanto ad esso una tazza nera e ancora fumante di caffè, nero con due zollette. Poggiato poco più in là c’è il mio vecchio telefono, quello con cui Sherlock era riuscito a leggere tutta la mia vita. Col tempo avevo cambiato sia il cellulare che la scheda telefonica. Tutto ciò che ero io in quel periodo si trova all’interno di quell’apparecchio.
C’è una sedia poco vicino, Sherlock cerca di afferrarla senza guardare e la avvicina in modo da potersi sedere.
- Questo è… quel telefono? –
- Sì, è proprio quello. – Lo vedo annuire ed io mi permetto di zoomare sulla sua figura confusa e persa.
- E questo è il caffè che prendo di solito. – Io annuisco, ma poi mi rendo conto che non può vedermi e mormoro un sussurrato sì. – Lo bevevo anche quella volta? –
- Sì. – Dico di nuovo, e mi sembra di essere la voce preregistrata di una segreteria telefonica che continua a dire sempre la stessa cosa. – Bevilo, se vuoi. – Lui mi prende alla lettera e afferra la tazza, mandando giù qualche piccolo sorso, prima di soffermarsi finalmente sul telefono. Il caffè viene di nuovo abbandonato sul bancone, riesco a sentire il rumore della porcellana che tocca la superficie bianca. Ha degli attimi di esitazione prima di toccare quell’oggetto, ma poi finalmente lo prende e lo tiene sul palmo della mano come se fosse fatto di cristallo, con la paura folle che possa rompersi o danneggiarsi. So che non dedurrà nulla da quel telefono, perché io gli ho già raccontato tutto quello che aveva dedotto quella volta su questo apparecchio, del modo in cui mi aveva stupito, ma riesco a vedere il suo sorriso soddisfatto dallo schermo.
- Sì, sono stato bravo a capire tutte quelle cose. – Dice mentre se lo rigira fra le mani, studiando la scritta sul dorso, i graffi vicino alla presa del caricabatteria, e i segni dovuti alle monete e alle chiavi nelle tasche. Poi lo apre facendo scorrere lo schermo verso l’alto e scoprendo la tastiera. Prova a premere i tasti e si lascia sfuggire un sospiro. – Bene, direi che non lo usi più da molto tempo ormai, i tasti sono duri ed inutilizzati, direi ormai da quasi quattro anni. Lo hai cambiato quando il lavoro in ospedale ha dato i suoi frutti e sei riuscito a permetterti un telefono più costoso e funzionale. Questo lo hai spento, gettato sul fondo di un cassetto e mai più toccato. Buttarlo non ti sembrava una cosa carina da fare, dato che apparteneva a tua sorella e, nonostante provi ancora rabbia nei suoi confronti, hai preferito tenerlo come ricordo. –

Non ci credo.

Quest’uomo è una macchina pensante, non si riesce a tenerlo a bada in nessun modo, ogni cosa che vede deve dedurla.

Lo amo da morire.

- Ho ripulito quasi del tutto il telefono. – Dico dopo un momento di silenzio. – Ho lasciato solo qualcosa all’interno. –
- Quindi dovrei accenderlo. – Afferma più a sé stesso che al sottoscritto. Lo fa, lo accende e data la sua faccia so che si è accorto che in effetti il telefono è vuoto. Non capisce subito a cosa io mi stessi riferendo, almeno finché non vedo la sua espressione cambiare in sorpresa, allora capisco che è andato a controllare nella casella dei messaggi inviati, o almeno lo spero.
- Cosa vedi? –
- Un messaggio. Solo uno. –
- Leggilo. –
- Se il fratello ha una scala verde arresta il fratello. – Io non dico nulla ed aspetto di vedere la sua espressione indecifrabile cambiare nuovamente, e non devo aspettare molto perché lo faccia. Il telefono scivola sulla superficie del bancone e vedo la telecamera sobbalzare: probabilmente Molly si è preoccupata di quella reazione, e lo stesso faccio io nel vederlo tremare.
- Sherlock? Tutto ok? –
- L’ho scritto io. – Mormora dopo un po’ di tempo, poi si alza e fa il giro completo del bancone, raggiungendo il lato opposto e fermandosi in un punto preciso, ad osservare il microscopio che troneggia sugli altri oggetti presenti.
- Stai ricordando? – Chiedo speranzoso, sollevandomi dalla sedia e portando le mani a puntellarsi sulla scrivania.
- Sì, cioè… è molto confuso ma… ricordo quel caso. – Dice, balbettando ancora e senza staccare gli occhi da quello strumento. – E ricordo quando l’ho inviato, ero proprio qui. Tu eri dietro di me. – I miei occhi sono diventati inavvertitamente lucidi e sento le palpitazioni aumentare per la gioia che sto provando in questo preciso momento.
- Mi hai chiesto… -
- Afghanistan o Iraq? – Dice, finendo la frase per me, ed io allora mi lascio sfuggire una piccola lacrima che velocemente percorre la mia guancia fino a raggiungere il mento e precipitare sulla scrivania di legno di Mycroft. Gli avevo già parlato del nostro primo incontro ma non avevo mai specificato cosa ci fossimo detti, né gli avevo mai parlato della domanda che mi pose quel giorno. “Beh sai, hai capito subito tutto del mio passato militare”, avevo detto solo quello, mai avevo accennato a quel quesito. – John… - Non dico nulla, non riesco a trovare le parole perché una delle mie mani raggiunge il mio occhio ed asciuga quell’altra lacrima che solitaria stava per sfociare lungo il percorso della precedente. – John, ci sei? –
- Sono qui. – Mormoro dopo essermi schiarito la voce con una finta tosse.
- Stai piangendo. –
- No. –
- Sì che stai piangendo. – Mi sfugge l’ennesimo sorriso.
- Ricordi altro? –
- No, niente. –

Va benissimo così Sherlock, stai andando comunque benissimo.

Il dottor Portman aveva ragione: fargli rivisitare i luoghi dei suoi momenti più importanti aiuta la sua memoria ad elaborare i suoi ricordi.
- C’è un post-it qui, non l’avevo visto. – Guardo nuovamente lo schermo e torno a sedermi mentre mi concentro sulla figura slanciata di mio marito che stacca il bigliettino dal microscopio.

Oh sì, mi ricordo quando ho fatto quello. Mi sento un po’ un idiota perché a disegnare sono veramente pessimo.

Il foglio è di un’improbabile tonalità di rosa, sopra c’è disegnato malamente un bastone. Lui lo studia per un attimo, ed ancora riesco a vedere i suoi ingranaggi mettersi in funzione.

Su Sherlock, pensa.

- Lo studio in rosa, ovvio. Ma perché il bastone? – Dice mentre si rigira il post-it tra le falangi magre e lunghe. – Che tra l’altro non sei capace a disegnare. –
- Finiscila. – Dico ridacchiando, riuscendo a farlo sorridere leggermente.
- So che quel giorno hai dimostrato di non averne bisogno solo perché me lo hai detto tu, quindi vuoi dirmi di raggiungere il luogo in cui lo hai abbandonato senza nemmeno accorgertene, vero? – Oh, quest’uomo non smette mai di stupirmi!
- Perché non lo verifichi? – Lui sorride e non risponde, lancia uno sguardo di sfida alla telecamera che Molly ha appuntata sul camice, poi la raggiunge mettendo il mio vecchio telefono nella tasca del lungo cappotto.
- Ti sta bene il rossetto, Molly. – Aggiunge prima di uscire dalla porta. – Le tue labbra non sembrano così piccole adesso! – Mi lascio sfuggire una risata, e sono contento del fatto che Molly non mi senta, perché non è carino ridere così di lei… quando me ne rendo conto faccio di tutto per sforzarmi di smettere, riuscendoci con successo. Sullo schermo Sherlock è scomparso oltre l’angolo.

Ha detto la stessa cosa di quella volta, ma probabilmente, anzi sicuramente, non la ricorda davvero.

Mando un sms a Molly e la ringrazio, dicendole che ha fatto tutto alla perfezione. Con lei ho finito per oggi, adesso devo contattare un altro mio amico. Ma prima ho bisogno di vedere mio marito uscire dall’ospedale e vedere la sua faccia quando si renderà conto che un secondo taxi lo aspetta quasi davanti alla porta.
Ovviamente si lascia sfuggire l’ennesimo sorrisetto, ma non dice nulla e sale semplicemente in macchina. Non ha bisogno di comunicare la destinazione, il tassista sa già dove dirigersi.
- John! – Mi chiama dopo un po’, distraendomi mentre mi cimento ad inviare i messaggi al mio prossimo complice.
- Sì? –
- Perché piangevi? – Lo schermo del telefono si spegne perché sono rimasto immobile ed in silenzio per troppo tempo, poi mi schiarisco di nuovo la voce ed accenno un sorriso, riuscendo finalmente a trovare le parole adatte per rispondere alla sua domanda.
- Perché sono fiero di te. –
- John… - Dice poi, dopo un interminabile manciata di secondi, riempiti solo da un silenzio assordante ed insopportabile.
- Sì? -
- Io ti… - Non riesce a finire la frase perché il tassista ha annunciato l’arrivo al posto, e finalmente anche io posso vederlo sull’immagine proveniente da un’altra telecamera.

“Io ti”?

“Io ti” cosa, Sherlock?

Lo penso ma non lo dico, forse non voleva davvero comunicarmi qualcosa, dato che non si è affrettato a terminare la frase nemmeno dopo che è sceso dal taxi, aggiungendo solo un “quindi è questo Angelo’s!”.
Non ci mette molto ad entrare, e dalla telecamera poggiata sul tavolino riesco finalmente a vederlo mentre prende posto davanti alla vetrata, proprio come quella volta, proprio come quella “prima” volta.
Sulla panca dove ero seduto io ho fatto mettere il mio bastone. Lui lo nota perché adesso sta sorridendo. Angelo (il mio complice), ha subito portato la candela e… sì, forse riderete per questo, un palloncino rosso attaccato ad una cordicella su cui mi sono divertito a disegnare una faccina che secondo me mi somiglia. Il ristoratore nostro amico lo poggia proprio sulla panca accanto al bastone come da istruzione, poi se ne va ed io mi godo, con una fragorosa risata, la faccia basita di Sherlock quando incrocia lo “sguardo” del mio amico fatto di elio.
- John, che diavolo è? –
- Un palloncino. –
- Questo lo avevo capito anche io. –
- Il mio sostituto. –
- Cosa? –
- Già. –
- Non potevi venire tu? –
- E chi dirigerebbe il gioco se fossi lì? – La risposta lo stupisce positivamente, perché posso sentirlo ridere e vederlo scuotere la testa.
- Ora capisco perché ti ho sposato. -




Note autrice:
Hola ragazzi. Una settimana esatta e sono di nuovo qui! Che ve ne pare dell'idea di John? Abbastanza creativa?
Non ho altro da aggiungere ma vi volevo almeno ringraziare perchè in poco tempo siamo divenati in tantissimi. Perchè signori e signore siamo a 83 seguiti e 26 preferiti. Grazie davvero.
Spero che questo capitolo vi piaccia.
Un bacio!
  
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