Storie originali > Soprannaturale > Maghi e Streghe
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Autore: egypta    06/06/2009    1 recensioni
[...]
Sorrise. << Guarda >>, disse in perfetto americano, indicando con il dito una pittura sopra la scalinata, fra le altre.
Mi voltai, seguendo la direzione indicatami dal dito, per posare lo sguardo su una pittura in particolare, streghesca.
Stava indicando le Tre Lune, ovvero un simbolo streghesco. Erano effettivamente tre lune: una piena, perfettamente rotonda, al centro, e altre due dai lati, a forma di falci, con le punte che puntavano all'esterno.
Avevano il colore della vera luna, un grigio pallido, interrotto da macchie più scure, i cosidetti Crateri.
Era un simbolo vitale, raffiguarva infatti le tre fasi della vita: partendo da sinistra vi era la nascita, la crescita nel mezzo, e la morte la luna dopo, alla destra.
Delle volte, dentro la luna piena, vi era raffigurato il Pentacolo, ovvero la stella a cinque punte, un altro simbolo streghesco.
Se questo fosse stato il Medioevo, o il Rinascimento, a quest'ora saremmo stati sicuramente bruciati al rogo per stregoneria.
Ma, infondo, non eravamo quello che eravamo?
<< Siamo a casa >>
...
Lunabelle Rouge, una giovane strega francese dai begli occhi viola, approda con suo fratello a Chicago, in America. Un paese del tutto diverso dalla sua amata Francia, ma tanto diverso quanto sorprendente... Lì, infatti, incontrerà una persona, che con il passare del tempo diverrà molto, ma molto importante per lei... una persona, se così si può chiamare, che le farà provare per la prima e unica volta la gioia del primo amore...
Genere: Generale, Romantico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Black Rose


In effetti, quel palazzo di normale non aveva quasi nulla.
E di certo, non era normale che i soggetti dipinti dentro i quadri si muovessero, o parlassero o interagissero con l'esterno.
E non erano normali neanche le piccole lucciole dal colorito dorato che girovagavano per tutto l'edificio - che non erano altro che spiriti, anime, delle persone morte che non erano state portate nell'Aldilà, e che avevano trovato asilo nella nostra nuova casa, non sapendo dove andare.
I corvi e le civette svolazzavano sopra e dentro il palazzo, creando un atmosfera gotica e surreale, accompagnata anche dal silenzio tombale che regnava all'interno.
La poca luce che filtrava dalle lanterne era il minimo indispenzabile per vedere, e il pavimento era a dislivello, fatto di fredde pietre consumate dal tempo.

Un palazzo così antico poteva essere trasportato dall'Europa in America solo con mezzi meccanici o magici.
Anzi, nemmeno meccanici, visto che se l'avessero sollevato dal suolo sarebbe crollato come un casrello di carte fragilissimo.
Quindi, immaginai fossero ricorsi al novantanove virgola nove percento alla magia.

<< Io vado in camera a riposare. Tu che fai? >>, domandai, voltandomi verso Simòn.

<< Mi riposo anche io cinque minuti, poi preparo un po' di roba per la scuola e >>

Mi voltai di scatto verso di lui, sorpresa. << Per la scuola? >>.

Annuì, guardandomi e senza proferire parola, con sempre la sua solita aria da intellettuale diplomatico a mascherargli la faccia.

Mugugnai qualcosa, poi lasciai cadere con un sospiro sordo le spalle, in modo teatrale.
No, non era possibile.
Anche lì l'incubo scuola mi avrebbe perseguitata. Di nuovo.
Il sentirsi emarginati per la propria stranezza, gli sguardi curiosi e indagatori della gente, le domande inopportune sul colore degli occhi, le strane voci che avrebbero creato qualche mente fantasiosa, le storie che si inventavano su di noi e la nostra famiglia, le voci maligne della gente invidiosa...  
Ogni volta era sempre la stessa storia, ogni anno la stessa messa...
Avevamo sempre vissuto a Bordeaux, in Francia, e ogni anno di scuola era come la prima.
Gli umani cercavano di evitarci il più possibile, spinti dall'aura misteriosa e tetra che ci circondava, e che loro avvertivano, seppur in modo lieve.

Tutto di noi faceva impressione e paura ai loro occhi, e di certo gli strani ciondoli che portavamo al collo come ornamenti non aiutavano molto.
Fin dall'antichità esistevano quelle come noi, le cosidette Streghe, o Maghe o Fattucchiere, e l'uomo capendo che eravamo oltre al loro modo di pensare e di fare decise di eliminarci per sempre, inventando nel Medioevo il tribunale dell' Inquisizione, che serviva a mandarci al rogo.
Ovviamente dopo averci torturate.

Anche io ebbi questa condanna.
Dopo il periodo della peste dell'anno Mille, fui catturata, processata, e infine mandata al rogo con accusa di stregoneria.
Certo, il rosso rame dei miei capelli ovviamente non aiutò a salvarmi, ritenuto un colore negativo, tantomeno gli occhi viola.
Riuscii a salvare Simòn per un soffio - visto anche che lui era esattamente come me, tranne per il fatto che io ero femmina e lui maschio -, e fu proprio lui, dopo trent'anni a farmi resuscitare, riportandomi alla vita dall'Oltretomba.
Noi non invecchiavamo, ed era per questo che mio fretello stette nell'ombra, uscendo solo di sera per mangiare qualcosa, a studiare nei vecchi libri della nonna il rituale della Resuscitazione.
Eravamo eterni diciassettenni, belli e misteriosi, con un alone magico ad avvolgerci, e a fare da sfondo a chissà quante stupidaggini inventate dagli umani.

Con un sospiro sconsolato, salutai Simòn con un bacetto sulla guancia, e presa Bastet sotto braccio, e le valige nell'altro, mi avviai verso la mia camera.
Arrivata nella mia stanza - una camera perfettamente rettangolare, con un letto a baldacchino avente un piumone e delle tendine rosse, un armadio di legno in stile barocco, un cassettone e un piccolo bagno -, mi buttai direttamente sul letto, lasciando valige e gatta a terra.

Affondai il viso nel cuscino, sospirando pesantemente.
Sentii il materasso piegarsi leggermente alla mia destra, e dei piccoli passi avvicinarsi a me.
Allungai d'istinto una mano, andando ad accarezzare una testolina pelosa e morbida. Sollevai la testa da sopra il cuscino, e puntai lo sguardo sulla mia gattina, che si avvicinò subito a me leccandomi amorevolmente il naso.
Risi divertita, e mi avvicinai di più a lei, in modo da sdrusciare il mio viso col suo.
Dopo due minuti di coccole, gli depositai dolcemente un bacio tra gli occhietti verdi, e ributtai la testa sul cuscino, con una mano piegata dietro la nuca e una che continuava ad accarezzare la piccola Bastet sulla testa e sulla schiena.

Risospirai, forse per la centesima volta, e buttai un'occhiata fuori dalla finestra.
Il cielo era sereno, e i mille colori del tramonto illuminavano la volta celeste, creando un'atmosfera romantica.
Chissà come stavano le nostre altre sorelle streghe - ovviamente sorelle in senso metaforico, non biologico -, rimaste a Bordeaux.
Dovevamo restare tutte unite, coprendoci l'un l'altra per non svealare il nostro segreto.
Questa era la prima regola fondamentale per stare in stretto contatto con gli umani, non potevamo permetterci di rifare gli stessi errori delle nostre antenate - che per questo motivo le più finirono al rogo.

Sbuffai.
Mi alzai controvoglia e con passo strascicato andai verso il bagno.
Non era molto grande: una vasca di proporzioni piccole, un lavandino, un WC, e tutto ciò che serviva per l'igene personale.
Sopra la vasca, delle tendine con effetto vedo non vedo rosse svolazzavano spinte dalla leggera brezza che fuoriusciva dalla finestrella mezza chiusa, e un enorme specchio rotondeggiante arricchito con una cornice dorata a forma di rose intrecciate faceva la sua comparsa sopra il lavandino.
Mi avvicinai allo specchio, e con occhio critico cominciai a studiare per bene la mia figura riflessa.
Ero abbastanza alta, più o meno uno e settanta, snella al punto giusto, con i lunghi e ondulati capelli color rosso rame scuro e occhi di diverse sfumature viola.
Il nasiono alla francese, per fare onore alla mia Patria, le labbra piene, gli zigomi alti, e gli occhi grandi.

Mi avevano sempre detto che a prima vista il mio corpo sembrava delicato, e i lineamenti del mio volto erano dolci, come quelli dei bambini.
Sinceramente, non sapevo se quella era la verità, o la mia posizione di strega che illudeva gli uomini a qualcosa di surreale.
Immaginai fosse una via di mezzo tra i due.

Nel medioevo, ricordavo, dovevo coprirmi il più possibile, per non indurre il genere maschile alla tentazione, e per non farli invaghire di me.
Anche per quello si andava al rogo, ritenute tentatrici; spose del demonio, il tentatore per eccellenza.
Sciocchezze del genere umano, idiozie e assurde credenze.
Eravamo anche più credenti di loro, a qual tempo; quando i preti, e lo stesso papa, avevano più di un'amante, con figli al seguito.
Per torturarci ci facevano spogliare, rimandeno nude davanti a loro, a quei viscidi vecchiacci, che per via della loro posizione gli era proibito toccare le donne, e per trovare rimedio a questo usarono noi come valvola di sfogo.
Maledetti!

Strinzi di scatto i pugni, al ricordo di quello che avevo passato, all'umiliazione subita spogliandomi davanti a quei vecchi bavosi con gli ormoni più galoppanti degli stessi adolescienti, del dolore fisico che provai quando fui legata a quel palo, in mezzo a quella maledetta piazza, gremita di gente, e a quando darono l'odine di appiccare fuoco alla paglia sotto i miei piedi, agli occhi piangenti di mio fratello in mezzo a quella stessa folla, della sua disperazione quando capii che per me non poteva fare nulla...
Del sorriso d'incoraggiamento che gli donai, il meglio che avevo, quello riservato solo e solamente al mio fratellino...
E alla sorpresa quando, trent'anni dopo, mi risvegliai, di colpo, in mezzo a quel cerchio, tra le candele profumate, viola, con mio fratello accanto a me con un libro dalla copertina nera in mano, che mi sorrideva, con le lacrime agli occhi...

Uno continuo sdrusciare tra le mie gambe mi riportò di scatto alla realtà, palesemente sorpresa che ormai il tramonto fosse passato, lasciando spazio alla sera.
Abbassai la testa alla mia sinistra, e risi quando vidi la mia gattina giocare con i lacci sciolti delle mie scarpe.
Lasciai che si trastullasse ancora un po', ma quando decisi che era abbastanaza, la presi in braccio, e ritornando in camera l'adagiai sul letto.

Feci comparire uno zaino a tracolla scolastico, viola, e ci misi il minimo indispenzabile: un'astuccio con dentro penne e lapis, due quaderni e un diario.
Visto che non avevo niente da fare, e di mangiare non ne avevo voglia, presi da dentro la mia valigia il mio fedelo compagno di vita: il mio violino.
Ovviamente, rigorosamente custodito da una rigida custodia blu scuro.
Estrassi prima il Violino, studiandolo, in modo da vedere che non ci fossero state ammaccature da viaggio - che non trovai, fortunatamente -, poi presi l'archetto, e dopo aver fatto una breve scanzione anche a quello, cominciai a intonare qualche nota, per poi finire a suonare una delle mie composizioni preferite: Moonlight, del compositore giapponese Yiruma.

In realtà, era una composizione da pianoforte, che io però riadattai in seguito ad averla ascolata, per il violino , in modo da poterla comodamente suonare.
Era una melodia dolce, calma, ma anche un po' malinconica: un mix perfetto per creare un'atmosfera magica e fatata.
Faceva immaginare di essere in una radura, nel mezzo della notte, con al centro un laghetto, in cui si rifletteva la luna, chiarissima e illuminata di luce propria, con noi spettatori che ammiravamo la sua bellezza e immortalità.
Infatti, Moonlight voleva dire Chiaro di Luna.
Ed era per via della mia passione per questa composizione che mio fratello, a volte, mi chiamava "Mon petit Clair de Lune".

In più, quella composizione aveva un altro pregio: scacciava via dalla mia mente tutti i pensieri negativi, tutte le preoccupazioni, per lasciare spazio a una calma e serenità senza precedenti.
E se poi ci abbinavo anche una candela profumata, preferibilmente viola, il mio colore preferito, il risultato era eccezzionale.

Quando finii di suonare, ero soddisfatta di me. Mi sentivo rilassata, in pace con me stessa, come del resto accadeva ogni volta che finivo di suonare la melodia.
Metteva una tale pace da sembrare quasi irreale.

Sorrisi. Presi un panno pulito, e mi misi a gambe incrociate sul letto, e cominciai a strofinare il mio amato Violino, e il suo Archetto, lentamente, godendo del contatto con lo strumento.
La mia mente era libera, sgombra da qualunque pensiero, e mi augurai che rimanesse così anche il giorno dopo.



..Angolinoinoinoinoino..

Ecco il secondo capitolo, appena sfornato dalla mia testolina xD.
Ne approfitto per ringraziare con tutto il cuore Kajsa, che l'ha aggiunta tra le seguite, e per la sua mail, davvero grazie mille!! Questo capitolo lo dedico a lei, e spero di non averla delusa con il continuo!!xD
Be', che dire, ci vediamo con il prossimo capitolo,
kiss kiss
Egypta.
  
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