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Autore: koan_abyss    17/06/2017    4 recensioni
Il percorso di cinque giovani Serpeverde attraverso le influenze e le aspettative delle famiglie, della comunità magica, di alleati e rivali dai primi anni di scuola al culmine della II Guerra Magica.
Gli anni immediatamente precedenti e quelli narrati nei libri della Rowling visti dagli occhi di Severus Piton: le sue esperienze, i suoi legami, la sua promessa.
Mentre i suoi studenti sfogliano le canzoni dell'innocenza, si confrontano con le tradizioni, costruiscono a poco a poco la loro identità, Severus Piton, incastrato nel suo doppio ruolo di Direttore di Serpeverde ed ex-Mangiamorte, diventa suo malgrado una figura importante per loro e le loro scelte future.
La fanfiction non intende discostarsi dal canon, ma anzi seguire fedelemente la storia originale del punto di vista verde-argento.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Severus Piton, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Capitolo 2

 

La mattina dopo scesero a colazione di buon’ora, sapendo che avrebbero ricevuto gli orari delle lezioni e avrebbero dovuto cercare le aule.

Euriale si era addormentata quasi immediatamente, la sera prima. Se aveva tardato qualche istante era perché Madeline le aveva chiesto se era davvero inglese, e lei aveva raccontato che sua madre era francese. Suo padre lavorava all’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale e si occupava di tradurre documenti legali: aveva conosciuto sua madre in viaggio di lavoro.

“Mia madre viene dalla Spagna,” era intervenuta Isabel, “De Atienza è il suo cognome. Gascoyne è quello di mio padre.”

Isabel aveva continuato a chiacchierare per un po’, ma Euriale aveva chiuso gli occhi quasi subito. Quella mattina si sentiva riposata, ma immediatamente era ricominciata l’aggressione delle emozioni dei suoi compagni di Casa. Doveva concentrarsi per riuscire a ignorarle e allo stesso tempo fare caso a cosa le succedeva attorno. Era certa che entro sera sarebbe stata di nuovo esausta.

Will non sapeva che cosa pensare del suo compagno di stanza.

Lo aveva già conosciuto, anni prima: suo padre e sua madre erano andati a trovare i Warrington nella loro tenuta nel Galles, ma Will non era riuscito a farsi un’idea dell’altro ragazzino: tanto Will cercava di star appiccicato a suo padre, tanto Liam cercava di evitare il suo. Di conseguenza, si erano appena rivolti la parola, all’epoca.

La sera prima Liam era stato un po’ scontroso, almeno finché non aveva scoperto che anche Will giocava a quidditch. Avevano parlato delle loro squadre preferite mentre svuotavano i bauli. Quando Will aveva sistemato sul comodino una foto, Liam l’aveva presa, incuriosito.

“Cavalli?”

Will gliel’aveva tolta di mano prima ancora di rendersene conto.

“Non volevo mica strapparla,” aveva detto Liam, un po’ acido.

“Scusa. È che erano i cavalli di mio padre. Lui è morto l’anno scorso, ora sono miei. Ci occupavamo sempre di loro e andavamo a cavalcare assieme…” Rimise la foto al suo posto.

“Gli volevi bene?” aveva chiesto Liam.

“Certo,” aveva risposto lui, stupito.

L’altro ragazzino aveva annuito ed erano andati a dormire.

Isabel era di buon umore. Le sue compagne non le dispiacevano: erano così diverse da lei, Madeline biondo cenere e Euriale così pallida. Lei era senza dubbio la più carina e quella mattina, con la sua divisa su misura e i capelli legati da un fermaglio d’argento, non riusciva a smettere di sorridere. Aveva persino messo un po’ di profumo che le aveva regalato sua madre.

All’improvviso incrociò lo sguardo del fratello e si ricordò di essere ancora arrabbiata con lui dalla sera prima.

Si girò verso Madeline, che stava descrivendo il loro dormitorio ai ragazzi.

“È uguale al nostro,” fece Liam, addentando un pasticcino, “con le finestre che si affacciano sott’acqua.”

“È vero, credo di aver visto un pesce, stamattina!” intervenne Will.

“Secondo me era solo un’alga.”

Madeline era figlia unica, e anche se dividere la stanza con le altre per ora le sembrava interessante, aveva il dubbio che prima o poi avrebbe rimpianto la sua camera, off limits per il resto della famiglia. Inoltre, era abituata ad amici maschi, come i suoi cugini più piccoli e Will; e anche se parlava parecchio, Will non era paragonabile a Isabel.

Avevano appena finito tutti di mangiare che il Direttore della Casa si alzò e si diresse al tavolo di Serpeverde.

“Arriva il professor Piton,” fece Madeline. “Avrà i nostri orari.” 

Euriale alzò la testa e lo guardò avvicinarsi.

“Ora mi ricordo!” fece Will, “Era al funerale di mio padre, credo si conoscessero.”

“Non ha l’aria di uno che si cura molto,” commentò Isabel, sconcertata dai lunghi capelli untuosi dell’uomo.

Piton chiamò un ragazzo dell’ultimo anno: “Distribuisci gli orari. Se quelli del quinto o del settimo anno dovessero avere dei problemi possono venire nel mio ufficio.” Poi Piton si rivolse ai suoi studenti del primo anno, scrutandoli uno a uno come se potesse vedere loro attraverso. “Ho qui i vostri orari. Sarete sempre con un’altra classe, dato che siete così pochi. De Atienza,” Isabel sussultò, “anche se tuo fratello è stato nominato Prefetto, non è propriamente il miglior esempio da seguire.”

Isabel sorrise: lo aveva sempre detto, lei.

“Tuo padre sarà soddisfatto, Warrington.”

Liam gonfiò il petto.

Piton chiese a Madeline come erano imparentati gli AshenHurst e i Plimmswood e la bambina gli rispose arrossendo.

“McIver, se dovessi aver bisogno di parlare con tua madre di persona, fammelo sapere: userai il camino del mio ufficio.”

Will annuì.

“Heartilly…hai avuto problemi, ieri?”

“No, professore.”

“Ma?”

“È stato molto…stancante,” rispose Euriale.

Piton annuì: “Non sai ancora dosare le tue energie, e probabilmente ci vorrà un po’ perché ti venga spontaneo. Ritengo sia meglio cominciare subito le lezioni di Occlumanzia. Vieni nel mio ufficio dopo cena.”

Euriale mormorò un assenso, mentre tutti gli altri la fissavano incuriositi.

“Bene, con tutti gli altri ci vediamo dopodomani, alla lezione di pozioni. Non tollererò ritardi.”

Girò sui tacchi e si allontanò in fretta verso i sotterranei.

“Di cosa parlava?” chiese senza indugio Isabel.

“Del mio potere. Sono un’empate,” rispose Euriale.

“Che cos’è un’empate?” chiese Will.

“È un mago o una strega che riesce a percepire le emozioni degli altri,” spiegò Euriale.

“Davvero? Non ne avevo mai sentito parlare.”

“Leggi nel pensiero?” chiese Isabel ad occhi sgranati.

Liam si ritrasse un poco.

“No,” rispose Euriale, irritata, “sento solo quando uno è felice, o arrabbiato, o spaventato.”

“Cavolo, non si può mentire, con te,” fece Will, impressionato.

“O bisogna essere così convincenti da ingannare anche se stessi,” lo corresse Madeline.

L’idea parve rapirli tutti per un istante, poi Isabel, gelosa di tutta quell’attenzione, li risvegliò: “Avanti, dobbiamo andare a lezione, o arriveremo in ritardo!”

“Cosa abbiamo?” chiese Euriale, sollevata.

“Incantesimi.”

“Sììì!”

Eccitati all’idea di usare le loro nuove bacchette magiche si avviarono alla lezione.

Fu solo quando si ritrovarono in classe con i ragazzi del primo anno di Corvonero che si resero conto di quanto erano pochi, in confronto.

I Corvonero erano dodici, tra ragazzi e ragazze. Loro, solo cinque. Istintivamente si sedettero tutti vicini alla porta dell’aula, creando uno scoglio verde davanti a un mare nero-blu.

Quando il piccolo professor Vitious arrivò, notò subito il gruppetto occhieggiato con curiosità da tutti gli altri.

“Ah, vedo un po’ di disparità…ma non importa, non importa! Quando lavoreremo a coppie ci mischieremo per bene,” sorrise incoraggiante ai Serpeverde. “Cominceremo con alcuni semplici incantesimi piuttosto utili, per muovere o bloccare piccoli oggetti…”

Il professor Vitious spiegò loro l’incantesimo che voleva che eseguissero e il corretto movimento della bacchetta. Perse qualche minuto per rispondere alla domanda di uno studente Corvonero sul significato preciso della formula magica e poi per spiegare a Madeline qual era il corretto funzionamento della magia, ma verso metà ora tutti poterono sfoderare le bacchette e mettere in pratica le istruzioni.

Una ragazza di Corvonero fu la prima a spostare un dado da una parte all’altra del banco, ma Madeline fu la seconda.

Liam e Will si distrassero un po’ e spedirono una boccetta d’inchiostro a schiantarsi sul pavimento, ma non furono gli unici.

“Non è niente, non è niente! Alla prossima lezione impareremo un incantesimo di pulizia,” gridò Vitious, allegro.

Euriale riuscì a concentrarsi dopo qualche tentativo e il suo dado volò giù dal banco.

Isabel ebbe qualche difficoltà: sbuffò, con le guance arrossate, mentre tutti gli studenti che erano già riusciti nell’incantesimo si mettevano a fissarla. Anche Vitious le si avvicinò, pronto a suggerirle dove sbagliava, ma davanti a un pubblico, Isabel eseguì l’incantesimo alla perfezione.

Alla fine della lezione Vitious assegnò 5 punti alla ragazza di Corvonero e a Madeline per aver padroneggiato per prime la formula.

La lezione successiva, Storia della Magia, fu decisamente meno interessante, dopo lo spavento iniziale di vedere il professor Rüf entrare attraverso la lavagna e fluttuare alla cattedra.

Dividevano l’aula con i Grifondoro.

Liam riconobbe il ragazzino che si era seduto accanto lui sul treno e i due si scambiarono la medesima occhiata: sei finito proprio dove dovevi stare!

“Siete davvero pochi!” commentò un ragazzo con i capelli rossi e subito un altro ragazzo identico a lui aggiunse: “Meno male! Sembra che finalmente le Serpi stiano per estinguersi!”

Qualcuno ridacchiò.

“Noi saremo pochi, ma avrai notato che tra di noi non c’è nessun doppione,” ribatté Isabel.

I due ragazzi si scambiarono un’occhiata.

“Ha ragione,” fece uno all’altro, “non so se lo hai notato, ma tu e Jordan siete proprio due gocce d’acqua!”

“Spiritosi. Certo, se i Weasley si mettono a fare figli a due a due, Grifondoro sarà la Casa più numerosa da qui alla fine dei giorni,” fece Liam.

“Li conosci?” chiese Euriale.

“Tutti conoscono i Weasley,” le rispose Will. “Sono tipo un milione. Sono dappertutto, come le formiche.”

“Voi invece da che castello buio e umido siete strisciati fuori? Come ti chiami tu?”

“Liam Warrington,” ringhiò Liam, che si stava scaldando.

“E tu?”

“William McIver,” rispose Will, tranquillo.

“Warrington e McIver. Questo spiega tutto…”

“Che vorresti dire?” fece Liam, aggressivo.

Euriale sussultò, sentando la rabbia del compagno accendersi sul serio.

Ma in quel momento il professore fantasma aveva attraversato il muro e tutti si erano concentrati su di lui, anche se non a lungo; la noia aveva vinto la classe intera nel giro di venti minuti.

Alla fine della lezione era chiaro a tutti che le notizie sulla rivalità tra Serpeverde e Grifondoro non erano infondate.

Dopo pranzo andarono a Trasfigurazione, con la Professoressa McGranitt, di nuovo assieme ai Corvonero. Fu subito evidente che sarebbe stata una materia impegnativa e che la vecchia strega era severa ed esigente.

All’ora di cena, Euriale aveva la testa che fumava e doveva ancora andare da Piton.

Tuttavia, alla fine fu un sollievo sfuggire alle domande degli altri (“Che cosa farete?” “Come funziona?” “Perché non è una cosa che studiano tutti?”) per avventurarsi nei sotterranei deserti, dato che tuti erano a cena o già in sala comune.

Quando fu davanti alla porta dell’ufficio di Piton, Euriale esitò un attimo, cercando di sentire il professore dall’altro lato della porta. Era qualcosa che faceva spesso, a casa, per controllare se suo padre era nello studio, o se poteva entrare nel salotto di sua madre senza essere sorpresa a curiosare. Le parve di avvertire il groviglio dei pensieri e delle emozioni di Piton, perciò bussò.

“Avanti.”

Lo studio di Piton era incredibilmente strano, per lei: le pareti erano coperte di scaffali colmi di libri scuri e antichi, con rune azzurre o verdi incise sui dorsi; qua e là dei barattoli di vetro dai contenuti più disparati e rivoltanti riflettevano la luce delle torce e del camino dietro la scrivania.

Dopo qualche secondo, Euriale ricordò di essere una ragazzina e non un pesce, come diceva sua nonna, e si affrettò a chiudere la bocca e a salutare compostamente.

Piton era seduto. Fece un cenno a Euriale perché sedesse di fronte alla scrivania, mentre finiva di scrivere su un foglio di pergamena.

Euriale ubbidì, sbirciandosi discretamente intorno; ma dopo pochi secondi si ritrovò a fissare la mano di Piton che scorreva sulla pergamena, e l’altra aperta sul ripiano della scrivania. Del suo viso riusciva a scorgere praticamente solo il naso adunco che spuntava tra i capelli neri e pesanti. Dato che non riusciva a vedere la sua espressione, Euriale pensò di provare di nuovo a sondarlo, come aveva fatto prima di entrare nella stanza.

Ma Piton si bloccò e le scoccò un’occhiata di avvertimento.

“Qualcuno potrebbe trovarlo scortese,” disse gelido.

“Mi scusi,” borbottò Euriale, poi continuò, con tono indifferente. “Ho sempre avuto l’impressione che gli altri non se ne accorgessero nemmeno.”

Piton posò la penna e la guardò: “Occorre una certa predisposizione, una certa sensibilità che non tutti possiedono. Quando il tuo potere è passivo, passa inosservato praticamente a tutti. Senza che nessuno lo sappia, tu hai una percezione dell’atmosfera in una stanza, o del morale di una persona vicina a te.”

Euriale confermò con un cenno del capo.

“Ma quando usi il tuo potere in maniera attiva, come prima, esso diventa percepibile e qualcuno dotato di apertura mentale potrebbe notarlo. Questo ci porta a una domanda: vuoi che il tuo potere resti segreto?”

Euriale aggrottò la fronte: “Come se me ne vergognassi? No. E poi, i miei compagni già lo sanno.”

“Non mi riferivo ai tuoi compagni di Casa. Comunque, anche loro potrebbero temere intrusioni nei loro pensieri.”

Euriale rispose un po’ imbronciata: “È vero. Mi hanno chiesto se leggo nel pensiero. Quindi non dovrei usare l’empatia?” chiese, preoccupata.

Piton scosse la testa: “Il mio consiglio è di non sbandierare le tue capacità. Servitene solo se necessario: sarà il tuo asso nella manica.”

“Una mossa a sorpresa!” sorrise Euriale.

“Per così dire,” rispose Piton, sollevando un angolo della bocca.

“Gli altri mi hanno chiesto perché non tutti studiano Occlumanzia,” continuò Euriale.

Piton si fece pensieroso, poi rispose, lentamente: “L’Occlumanzia è una branca della magia che serve a difendere la mente dal tentativo di estrarre informazioni dai pensieri e dai ricordi di qualcuno, cioè dalla Legilimanzia. In sostanza, lo scopo dell’Occlumanzia è proteggere i segreti della mente da che voglia impossessarsene. Nel tuo caso, è utile per insegnarti a schermare la mente, ma né a te né ai tuoi compagni dovrebbe mai servire per celare segreti pericolosi.”

La ragazzina lo fissava affascinata: “E lei, professore, perché ha dovuto impararla?”

Piton la fulminò con lo sguardo: “Non ti farebbe male imparare anche un po’ di discrezione, Heartilly. Ora cominciamo.”

Euriale ebbe molte più difficoltà rispetto al primo tentativo, risalente a mesi prima.

Da un lato, la stanchezza mentale degli ultimi giorni e dall’altro l’ansia di sapere che cosa sarebbe successo, l’idea di sentire qualcuno che cercava di forzare i suoi ricordi, le rendevano difficile concentrarsi. In più, non era affatto abituata al fatto che un adulto non le lasciasse spazio appena dava segni di disagio.

Dopo ogni tentativo si sentiva più stanca e avvertiva il suo potere espandersi come in una risposta oltraggiata al tentativo di controllarlo. Era anche terrorizzata all’idea di percepire in Piton la delusione per i suoi fallimenti.

“Heartilly, te l’ho già detto una volta,” l’ammonì il professore, “non sondare me, concentrati!”

Fu con la forza della disperazione che riuscì alla fine a concentrarsi e a resistere all’incantesimo di Piton forse per un paio di secondi.

Dovette sforzarsi di non scoppiare in lacrime, quando il professore si interruppe e disse: “Va bene, per stasera basta.”

Piton le fece bere un sorso di Pozione Calmante.

“Non mi aspettava niente di meglio. Hai difficoltà perché è difficile.” La osservò con attenzione. “Perché ti è venuto in mente il signor Olivander?”

“Oh,” fece Euriale, concentrandosi sul pavimento dell’ufficio, “per una cosa che ha detto sulla mia bacchetta.”

Quando si sentì sicura rialzò gli occhi su Piton, che la fissava con le sopracciglia sollevate, in attesa che continuasse. Euriale bevve un altro sorso di pozione, facendo finta di nulla.

Il professore ne parve molto divertito: “D’accordo, allora. Vieni, ti riaccompagno al dormitorio.”

Camminando a fianco a Piton nei sotterranei, Euriale ripensò a quando aveva acquistato la sua bacchetta.

“Legno di noce scuro e corde di cuore di drago, dodici pollici e mezzo, piuttosto flessibile,” aveva annunciato il vecchio nel darle la bacchetta. Poi l’aveva avvertita: “Non uso spesso il legno di noce scuro. A volte si rivela un po’ umorale: se il mago perde fiducia anche la bacchetta ne risente.” Euriale aveva pensato che la cosa non l’avrebbe riguardata minimamente. Non le era mai capitato di non aver fiducia di riuscire in qualcosa, che ricordasse.

‘Non mi riguarda neanche adesso,’ decise tra sé e sé. Sarebbe riuscita nell’Occlumanzia. Concentrata e risoluta, si perse l’espressione soddisfatta di Piton.

 

L’orario del mercoledì era una specie di sogno, a sentire Liam.

Si cominciava con due ore di Pozioni e dato che il laboratorio era vicino alla loro sala comune e non dovevano prendere scale creative, avrebbero potuto dormire un po’ di più.

Poi si usciva nel parco del castello, al campo di quidditch per la prima lezione di volo, e probabilmente era questo che più di tutto metteva di buon umore Liam.

Dopo pranzo avevano Difesa Contro le Arti Oscure, che avrebbe dovuto essere interessante, mentre il resto del pomeriggio era libero.

Dopo cena, dalle 10 a mezzanotte, avrebbero fatto Astronomia in cima alla Torre Nord. 

Anche se se la presero comoda arrivarono al laboratorio in anticipo, memori dell’avvertimento di Piton sui ritardi. Sistemarono i calderoni, gli strumenti e gli ingredienti, mentre Euriale raccontava che l’ufficio di Piton era molto simile al laboratorio, tranne che per i banchi da lavoro riservati agli studenti.

Arrivarono anche i Corvonero, che occuparono i posti liberi. Nessuno occupò il posto accanto a Liam e Will. Will si incupì un poco, Liam scoccò ai Corvonero un’occhiata di derisione.

“Non serve che vi sediate davanti per essere i cocchi del professore,” disse un ragazzo in risposta al suo sguardo. “Piton è sempre di parte, con i Serpeverde. Dà voti solo in base alla Casa di appartenenza.”

“A me hanno detto che è un buon insegnante,” intervenne un’altra Corvonero. 

“Lo è,” confermò decisa Euriale.

Isabel annuì per solidarietà.

“Vedremo,” rispose scettico il ragazzo.

Ma dovette ricredersi in poco tempo, perché quando Piton entrò in aula e li introdusse all’arte delle pozioni, raccontando delle infinite possibilità di creare, della grandezza dei trionfi e delle terribili, e a volte mortali, conseguenze dei fallimenti, tutta la classe era in suo potere, ammaliata.

Poi il professore scrisse alla lavagna le istruzioni per la pozione che avrebbero preparato quel giorno e tutti si misero all’opera cercando di dare il massimo.

La lezione trascorse senza inconvenienti, a parte per Euriale, che si tagliò con il coltello d’argento. Il professore le applicò un unguento fatto con la corteggia dell’albero del tè, perché non le restasse un segno.

La lezione di volo era attesa con fermento sia dai Serpeverde che dai Grifondoro.

Le uniche un po’ scettiche erano Isabel, che aveva dichiarato che mai si sarebbe spostata a cavallo di una scopa, quando ci si poteva smaterializzare, ed Euriale, a cui i genitori non avevano mai permesso neanche di avvicinarsi a qualunque artefatto volante.

L’insegnante, Madama Bump, insegnò loro a chiamare i manici di scopa, anche se molti di loro avevano già volato. Poi chiese loro di fare brevi voli, salire, scendere, disegnare un circolo e così via.

Fred e George Weasley volavano davvero bene e ne diedero immediatamente prova, senza smettere un attimo di beccarsi con Liam.  

“Giochiamo sempre a quidditch, a casa.”

“Tra voi e i vostri fratelli riuscite a fare due squadre complete, vero?”

“Hai visto come vola bene, quel babbuino? Non è una cosa che si vede tutti giorni!”

In effetti anche Liam sapeva volare.

Anche se Madama Bump dovette richiamarli all’ordine ogni due minuti, era evidente che era soddisfatta del livello generale. Fece anche i complimenti a Will per l’equilibrio, mentre lui svolazzava con grazia perso nel suo mondo. 

“Uh? Oh, grazie, signora. È perché sono un cavaliere,” le rispose lui con un sorriso distratto.

Tornarono al castello eccitati per l’esperienza, anche se la rivalità con i Grifondoro sembrava cementata.

Difesa Contro le Arti Oscure era tenuta dal professor Grawely, che si diceva sarebbe andato in pensione entro un anno o due. Aveva una corta barba grigia e parlava a voce molto alta perché era quasi sordo: qualcuno diceva a causa dell’incontro con una banshee, mentre secondo i più maligni era a causa dell’età.

I Serpeverde dividevano la classe con i Tassorosso, stavolta. Isabel sussurrò qualche commento all’orecchio di Madeline su una ragazzina che si era presentata con i codini (“Neanche avesse cinque anni!”), ma nessun altro la sentì e dato che Liam era ancora preso a rimuginare sulla lezione di volo e sui Weasley, per una volta riuscirono a non litigare con nessuno.

La settimana trascorse tranquilla, con Will che li trascinava nel parco ad ogni intervallo per godere delle giornate assolate di settembre, con Euriale che si esercitava a usare il suo potere (Isabel si era offerta come cavia; Liam era inorridito), Madeline che eseguiva piccoli incantesimi per farli divertire, creando turbini di foglie e fiori o animando semplici disegni stilizzati sul suo quaderno degli appunti. A volte lei e Liam giocavano a dama muovendo i pezzi con i primi incantesimi che avevano imparato da Vitious.

Sabato mattina il tempo era ancora bello.

Liam e Will avevano dormito fino a tardi, ma dovettero ancora aspettare un po’ perché le ragazze scendessero per la colazione.

Dato che non doveva mettere la divisa, Isabel aveva indossato un maglioncino verde e una gonna tartan verde e blu. Sembrava molto più grande delle sue compagne.

In Sala Grande l’atmosfera era molto più rilassata che in settimana, notò Euriale. Dopo aver finito di mangiare gli studenti si attardavano con i compagni e qua e là c’erano gruppetti di studenti di Case diverse che facevano piani per il fine settimana o si raccontavano le novità degli ultimi giorni.

“Che cosa facciamo?” domandò Madeline.

“Potremmo fare una passeggiata intorno al lago,” propose Isabel.

“Voglio andare alla guferia, devo spedire una lettera,” si scusò Will. “Vieni con me?” propose a Liam.

“D’accordo,” acconsentì l’altro ragazzo, perplesso. “A chi scrivi?” chiese a Will mentre salivano alla guferia.

“A mia madre.”

“Di nuovo? Perché scrivi così spesso a casa?”

Liam aveva mandato una sola lettera, in cui diceva di essere stato smistato a Serpeverde. Aveva ricevuto un biglietto di risposta da sua madre, e basta.

Will si strinse nelle spalle: “Ora che io sono qui, lei è da sola, a casa. Voglio tenerle compagnia, per quanto posso.” Si grattò una guancia, pensieroso. “E puoi anche prendermi in giro, ma un po’ mi manca,” confessò.

Liam, che era abituato a stare per conto suo molto più di tutti i suoi compagni messi assieme, non poteva dire di capire.

“Be’, è normale, immagino,” rispose ugualmente.

Entrarono nella guferia cercando di non scivolare sul pavimento coperto di cacche (“Qualcuno pulirà mai, qui?” “Spero che tocchi a Gazza!”) e Will chiamò il suo gufo, Magog.

Mentre Will gli legava la busta attorno alla zampa parlandogli dolcemente, Liam andò a cercare il proprio gufo: non gli aveva portato il suo becchime, ma in tasca aveva un paio di biscotti presi a colazione.

Nel frattempo, Will aveva mandato via Magog e si era messo a studiare i barbagianni, le civette e gli allocchi appollaiati sui trespoli.

“Hai fatto?” chiamò Liam, pulendosi le briciole dalle mani con il fazzoletto.

“Oh, sì!” si riscosse Will. “Raggiungiamo le ragazze al lago?”

“Aspetta, voglio vedere se da quassù si vede il campo di quidditch,” propose Liam.

Si sporse da una delle gigantesche arcate da cui gli uccelli potevano entrare e uscire a piacere.

“Wow!”

“Accidenti!”

La vista era incredibile: si vedevano il parco e il lago a Ovest; in fondo in fondo la casetta del guardiacaccia era grande come un modellino; il campo da quidditch era ad Est, e oltre si estendeva, immensa, la Foresta Proibita.

I due ragazzi aguzzarono gli occhi.

“Non riesco a distinguere bene…” fece Liam, schermandosi gli occhi dal sole.

Will vedeva gli anelli e gli pareva che ci fosse qualcuno che volava! Forse qualche squadra aveva già cominciato gli allenamenti. Ma la figura che vedeva era oltre gli anelli, più indietro. Poi si fece più vicina, spostandosi verso il castello, ma volando al limitare della foresta, e Will poté vedere con chiarezza che non si trattava di una persona a cavallo di una scopa! Aveva scure ali cuoiose, come un drago, ma il corpo sembrava più quello di un cavallo.

“Guarda!” strillò, afferrando Liam. “Cos’è quello?”

Liam seguì il dito puntato: “Dove?”

Ma la ceratura si tuffò tra gli alberi della foresta e scomparve.

“Se n’è andato!”

“Ma cos’era?”

“Non lo so…una creatura con le ali. È scomparsa nella foresta.”

Liam lo guardò, eccitato: “Doveva essere uno dei mostri della Foresta Proibita! Ci sono un sacco di creature malvagie, lì dentro: vampiri, lupi mannari, spiriti vendicativi e chimere e gli erkling che mangiano i bambini…”

“Ma nessuno di questi vola!”

“Sì, ma chissà quali altre bestie si nascondono nella foresta!”

Si scambiarono un’occhiata.

“Dobbiamo andare a raccontarlo alle ragazze!”

 

“Sapete cosa ho notato?” fece Madeline la domenica sera, mentre finivano i compiti in sala comune. “Non siamo solo noi…tutte le classi di Serpeverde sono poco numerose, rispetto agli altri.”

Euriale osservò la sala, valutando le parole di Madeline.

Il coprifuoco era vicino, quindi quasi tutti gli studenti dovevano trovarsi in sala comune o già in stanza. C’erano parecchie poltrone occupate, soprattutto quelle più vicine ai camini; ai tavoli qualcuno studiava come loro, e la squadra di quidditch stava fissando i giorni per le selezioni e gli allenamenti.

Il fratello di Isabel, Olivier, e Ophelia stavano giocando con degli altri compagni a un complicato gioco di carte. Tyrell, inchiodato dalle sue responsabilità di giocatore, ogni tanto li adocchiava con desiderio.

C’era gente e c’era movimento, ma la sala appariva tutt’altro che affollata: sembrava abbastanza ampia da ospitare il doppio di loro, e per un attimo a Euriale parve di vederla riempita al massimo della sua capienza, popolata e vissuta da centinaia di ragazzi, che avevano calpestato quel pavimento e sonnecchiato sui divani e si erano affacciati dalle vetrate sul lago per pensare…la bambina rabbrividì e si affrettò a scacciare quel pensiero.

“Credo che tu abbia ragione…” mormorò rivolta a Madeline. “Dà l’impressione che una volta ci fossero più persone.”

“E allora?” chiese Liam, “Cosa cambia?”

“Be’, a te non interesserebbe sapere perché noi siamo solo in cinque?” insistette Madeline.

Isabel si strinse nelle spalle: “A me va bene così.”

“Però se fossimo di più non dovremmo sempre dividere le aule con quelli delle altre Case!”

“Ok, ma non possiamo farci niente, giusto?” rispose Isabel, buttando all’indietro i capelli con aria risoluta.

Madeline fece spallucce.

“Ero solo curiosa di sapere perché…ma non so a chi chiederlo,” aggiunse in un sussurro, sbirciando suo cugino Tyrell.

L’aveva praticamente ignorata dal primo giorno di scuola.

“Anche a me piacerebbe saperlo,” le disse Will. “Come lo scopriamo?”

“Potremmo chiederlo a Piton,” propose Euriale.

“Ehi! È un’idea!” approvò Will.

“Non potremmo semplicemente chiederlo a qualcuno dei più vecchi? Magari a Ophelia, lei è un Prefetto…” disse invece Liam.

Isabel si rabbuiò: quella ragazza era amica di suo fratello e chiedere aiuto a lei le sembrava troppo simile a chiedere aiuto a lui. Neanche morta.

“Meglio chiederlo a Piton. Mi sembra una cosa che è meglio chiedere a un adulto, non pensi?” domandò a Euriale.

“Lui di sicuro è qui da più tempo di qualsiasi studente…saprà tutto della Casa di Serpeverde,” le rispose l’altra ragazza.

“Allora chiediamolo a lui, se ci tenete tanto,” concluse Liam, sbadigliando.

La sera dopo, quando Piton ordinò ‘avanti’, si ritrovò davanti tutto il primo anno di Serpeverde e non solo Heartilly, che stava aspettando. Li scrutò tutti e cinque, chiedendosi quale fosse il problema.

“Avevi paura di venire da sola, Heartilly?”

“Buonasera, professore,” rispose la ragazzina. “Noi speravamo che potesse rispondere a una domanda…”

“Sempre che non disturbiamo,” borbottò Warrington, guardando il pavimento. Aveva l’aria piuttosto nervosa.

“Di solito quando aspetto uno studente per una lezione privata, mi aspetto che si presenti quello studente, e per parlare dell’argomento della lezione,” rispose gelido Piton.

Warrington rivolse agli altri un’occhiata risentita e quelli parvero demoralizzati. Heartilly continuò a fissarlo, in attesa.

“D’accordo, sentiamo questa domanda,” fece Piton, alzando gli occhi al cielo.

I bambini parvero stringersi attorno a Heartilly.

“Professore…perché siamo così pochi?” chiese lei, esitando e poi parlando precipitosamente.

Piton li fissò.

“Venite avanti,” disse alla fine.

I ragazzi entrarono timorosamente. Warrington, in particolare, aveva l’aria di aspettarsi una punizione.

Con un gesto della bacchetta, Piton fece apparire un divanetto e cominciò a passeggiare per l’ufficio, mentre i ragazzi ci si pigiavano: “Perché vi è venuto in mente di chiedermelo?”

“È solo…che abbiamo notato la differenza con le altre Case,” rispose AshenHurst.

Piton annuì: “È vero, i Serpeverde sono meno numerosi, da alcuni anni a questa parte. Col vostro anno poi, la cosa si è resa palese.” Fece una pausa. “Non c’è un’unica ragione, ma sono tutte collegate. La prima è molto ovvia e non riguarda solo Serpeverde, ma tutta Hogwarts: durante la Guerra sono nati molti meno bambini.” Si interruppe. “Sto parlando della Guerra Magica che Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, il Signore Oscuro, ha condotto contro i maghi provenienti da famiglie babbane, contro i mezzosangue e in generale contro chiunque gli si opponesse sulla strada per la conquista del potere. Ne avrete certamente sentito parlare. Con paura e riserbo, probabilmente.”

I bambini annuirono, seri.

“Fu un periodo cupo. Molti morirono. Molti scelsero di non mettere al mondo figli in un momento così violento e incerto. Questa è la prima ragione, le altre riguardano più strettamente Serpeverde.”

Mentre i suoi studenti lo seguivano con lo sguardo, l’uomo continuò a camminare avanti e indietro.

“Sin dalla fondazione di Hogwarts, Salazar Serpeverde aveva prediletto come suoi studenti i maghi e le streghe purosangue, e nel corso dei secoli Serpeverde è sempre stata la Casa delle famiglie dal sangue più puro e antico: l’appartenenza alla Casa è diventata una tradizione e un motivo d’orgoglio per i giovani rampolli di famiglie aristocratiche.”

Piton era certo che non se ne rendessero conto, ma alle sue ultime parole Warrington, De Atienza e McIver avevano gonfiato il petto e raddrizzato la schiena. Era evidente che per loro il discorso dell’orgoglio Serpeverde non era nuovo.

AshenHurst invece lo fissava con interesse febbrile e Heartilly sembrava cercasse di capire come la cosa potesse coinvolgere lei.

“Il Signore Oscuro era stato uno studente di Serpeverde, e tra i suoi compagni di Casa reclutò i suoi primi sostenitori,” riprese Piton. “Capite? Il Signore Oscuro cercò i suoi sostenitori tra i Serpeverde perché essi condividevano parte dei suoi ideali: l’idea che i maghi purosangue dovessero occupare i vertici del mondo magico, il sogno dei maghi dominatori dei babbani e delle creature magiche inferiori. Così, i giovani Serpeverde parteciparono alla Guerra a fianco dell’Oscuro Signore. E molti morirono o rimasero feriti,” scoccò un’occhiata a McIver, che era sobbalzato, “altri furono imprigionati ad Azkaban quando il Signore Oscuro cadde. Quindi, molti bambini che anni prima sarebbero cresciuti con l’idea di portare onore al nome di famiglia vestendo i colori della nostra Casa, bambini che sarebbero stati educati ad essere ambiziosi, determinati e scaltri, semplicemente non nacquero.”

Si interruppe e lasciò qualche minuto ai suoi studenti per pensare.

“L’ultima ragione,” riprese a bassa voce, mentre i bambini si sporgevano verso di lui, “sarà forse la più complessa da capire, per voi. Vi ho detto, vi è stato detto, che Salazar Serpeverde preferiva studenti purosangue. Ma non significa che i mezzosangue siano esclusi a priori: il Cappello Parlante guarda alle caratteristiche caratteriali che fanno un Serpeverde, non alle origini. Ci sono stati, e ci sono, Serpeverde non purosangue. Ma sono rari, a causa di un pregiudizio che forse avete sperimentato anche voi, per cui i Serpeverde sarebbero destinati ad essere maghi malvagi, dato che il Signore Oscuro e i suoi seguaci lo erano. Badate, non tutti i Serpeverde lo seguirono e non tutte le famiglie purosangue lo sostennero, ma questo è quanto percepì il resto del mondo magico. L’idea che un bambino possa essere smistato a Serpeverde fa paura ai suoi genitori, che così gli insegnano che l’ambizione è sbagliata, l’autoconservazione genera tradimento, l’unicità e la grandezza sono solo bizzarrie.”

“È vero,” mormorò AshenHurst, “sul treno nessuno voleva finire a Serpeverde e ci guardavano strani quando abbiamo detto che noi invece volevamo.”

“In classe si comportano come se fossimo loro nemici,” aggiunse McIver.

“È invidia,” sentenziò De Atienza, incrociando la braccia al petto.

Piton sorrise amaro.

“Così ora sapete perché siete solo in cinque: perché le famiglie che danno importanza ai valori di Serpeverde sono rimaste in poche. E quelle che non trasmettono pregiudizi ai propri figli sono ancora meno,” concluse, guardano Heartilly.

I ragazzi restarono in silenzio, rimuginando ognuno per i fatti propri.

“Tutto questo non vuol dire che non possiate convivere con gli altri,” aggiunse all’improvviso Piton.

Tutti lo guardarono, dubbiosi.

“Sì,” rispose poi De Atienza, “ma con i nostri modi e alle nostre condizioni. Giusto?”

“Giusto,” confermò Piton a bassa voce. Poi guardò la pendola. “Vi riaccompagno in sala comune. Heartilly, faremo la nostra lezione domani, ormai è tardi. Avanti.”

I ragazzini gli sfilarono davanti e uscirono dal suo ufficio.

 

Le settimane presero a scorrere veloci.

Il bel tempo era solo un ricordo e il venerdì mattina i Serpeverde e i Tassorosso erano ben felici di entrare nelle serre della professoressa Sprite, lasciando fuori la pioggia e il vento.

La pioggia rendeva anche le lezioni di Storia della Magia ancora più noiose, ma i gemelli Weasley riuscivano sempre a escogitare qualcosa per ravvivarle; a parte quando decidevano di provocare Liam, la cosa era anche divertente.

Vitious e le McGranitt sembravano soddisfatti di loro e Piton anche: durante le lezioni non mancava mai di lodare il lavoro di Isabel e riservava le critiche ai Corvonero.

Euriale continuava ad avere difficoltà a maneggiare il coltello d’argento quando doveva sminuzzare gli ingredienti, e dalla terza lezione aveva sempre trovato l’unguento di albero del tè già pronto sul suo banco.

Anche le lezioni di Occlumanzia la stavano mettendo alla prova, mano a mano che avanzava nello studio della materia. Gli incontri la lasciavano senza forze e sembravano sovra eccitare il suo potere: una mattina aveva scoperto di aver condiviso le emozioni di Isabel per tutta la notte, mentre lei raccontava i sogni che aveva fatto. Dirlo a Piton era stato davvero umiliante. A volte l’uomo sembrava estremamente esasperato da lei e Euriale doveva faticare davvero molto per non lasciarsi andare allo sconforto, sapendo che sarebbe stato peggio e che avrebbe solo irritato di più il professore.

“È particolarmente importante, ora,” le aveva detto Piton un lunedì sera, “perché la stagione del quidditch sta per cominciare. Le partite sono molto sentite, e sarà difficile per te non farti soffocare dalle emozioni dei tifosi. Vorrei poter scrivere ai tuoi che ti sei divertita alla tua prima partita, non che sei dovuta rimanere chiusa nella scuola deserta.”

Pur di cattivo umore, quando Will e Liam avevano proposto di andare ad assistere ai primi allenamenti della squadra di Serpeverde, Euriale aveva accettato subito, pensando di sfruttare l’occasione per esercitarsi un po’.

Madeline aveva alzato le spalle e chiuso il suo libro: “Perché no?”

Isabel, che continuava a considerare le lezioni di volo una perdita di tempo, aveva sbuffato un po’.

Una volta seduti sulle gradinate a bordo campo aveva cominciato a rabbrividire: “Non mi va di restare, ho freddo!”

“Dai, prendi il mio mantello,” le aveva risposto Liam.

Lui e Will erano talmente eccitati e iperattivi che non avrebbero certo sentito il bisogno di coprirsi di più.

All’allenamento avrebbero partecipato anche gli aspiranti nuovi giocatori e alla fine si sarebbero tenute le prove di selezione. Forse per questo l’occasione aveva richiamato anche studenti di altre Case e qualche professore, tra cui Piton e Vitious, seduti più in alto dietro i ragazzi del primo anno. L’allenamento andò bene: Piton ebbe stampato in faccia un sorriso soddisfatto per tutto il tempo. Forse per reazione al nervosismo dei ragazzi in selezione, i membri della squadra più anziani erano rilassati e goliardici, scherzavano col pubblico e cantavano cori assieme ai tifosi più accaniti.

Tyrell Plimmswood addirittura scese a bordo campo per salutare sua cugina e i suoi amici mentre il capitano organizzava i ragazzi da selezionare.

Approfittando della pausa, Will salì in cima alle gradinate. Aveva voglia di vedere il campo più dall’alto possibile, come i giocatori. Era alla stessa altezza degli anelli, ora.

Liam e Madeline parlavano con Plimmswood, il numero 3, Isabel li osservava imbacuccata per difendersi dal vento, mentre Euriale aveva l’espressione corrucciata e distante di quando lottava con la sua empatia.

Il professor Piton e Vitious erano due file sotto di lui, e alle sue spalle…i tronchi nodosi e contorti che delimitavano la Foresta Proibita, il fruscio delle foglie che sembrava assorbire i rumori del parco, le immense cime degli alberi scure e nebbiose. E nel cielo che si andava aprendo giusto in tempo per lasciar intravedere il sole che tramontava, ecco di nuovo la creatura che aveva scorto dalla guferia!

Will la fissò a bocca aperta, balzando in piedi su un sedile: era così vicina, ora! Si girò, pronto a chiamare gli altri, ma erano troppo lontani, e distratti, se la sarebbero persa.

Nella necessità di condividere il proprio entusiasmo con qualcuno, Will chiamò Piton, che era molto più vicino: “Professore! Guardi!”

Piton voltò la testa, seguì il suo dito puntato con la fronte corrugata e poi strinse le labbra. 

Anche Vitious si girò a guardare: “Che succede, McIver?”

“Ho visto una bastia che volava! Aveva le ali come quelle di un drago e un muso lungo, da lucertola. Ma il corpo…aveva le gambe troppo lunghe e dritte,” spiegò gesticolando.

Vitious si voltò verso il collega, turbato: “Si direbbe un Thestral! Ma…non può averne visto uno, no?”

“Sì,” lo contraddisse Piton, “l’ho visto anch’io.”

Mentre Vitious si portava una mano davanti alla bocca, Piton si alzò e raggiunse l’ultima gradinata.

“Io e Liam l’abbiamo già visto una volta,” raccontò Will, allegro, “dalla guferia, stavo spedendo una lettera…”

“L’ha visto anche Warrington?” lo interruppe il professore.

“Uh? Be’, ora che ci penso, no. Liam si è girato troppo tardi. Ma cos’è un Thestral, professore?”

“Sono cavalli volanti. Sono loro che trainano le carrozze che portano gli studenti dalla stazione di Hogsmeade fino alla scuola. Voi siete arrivati dal lago e non avete avuto modo di vederli,” rispose Piton, facendo vagare lo sguardo sulla foresta.

“Ma io li ho visti! Solo che era buio e non mi ero reso conto che avessero le ali e…” Will aveva gli occhi accesi di stupore e felicità. “Se trainano le carrozze vuol dire che sono domestici! Si possono vedere? Mi piacerebbe andare con gli altri a vedere i loro recinti, o stalle…” Si interruppe un attimo, confuso dalla faccia di Vitious. “Ho…ho detto qualcosa di sbagliato?” chiese a Piton a voce più bassa.

“No. Ma è molto probabile che gli altri non riuscirebbero ad avvistarli: non tutti i maghi possono vedere i Thestral.”

“Ah, no? Perché?”

“Ci riescono solo i maghi che hanno visto qualcuno morire,” rispose Piton, piano.

“Oh,” fece Will, pensandoci.

Si rese conto di essere ancora in piedi sul sedile, così scese e si sedette con le mani in grembo.

Piton si sedette a un posto di distanza e si chinò verso di lui.

“C’eri, quando tuo padre è morto?” chiese.

Will annuì.

“Stava sempre peggio, cercavo di distrarlo. E così non era solo quando mamma doveva riposare…” rispose quietamente. Sbirciò il professore. “Non avrei dovuto essere contento di vedere quel Thestral, è come se fossi felice che lui è morto, e non è vero, io…” la voce gli si spezzò e rimase in silenzio.

“I maghi superstiziosi temono o odiano i Thestral. Ma sono degli sciocchi: quelle creature non hanno niente a che vedere con la morte delle persone che ci sono vicine. Ci ricordano che vedere la morte cambia la nostra percezione del mondo, ma non ne sono loro la causa. Capisci cosa voglio dire?”

Will fece cenno di sì senza alzare la testa perché aveva gli occhi umidi.

“I Thestral di Hogwarts vengono allevati da Hagrid, il guardiacaccia, e dal professor Kettleburn, che insegna Cura delle Creature Magiche,” riprese Piton, fingendo di non notarlo.

Will lo fissò con interesse.

“Potrei chiedere al professor Kettleburn se è disposto ad accompagnarti a vederli.”

“Davvero?” esplose Will. “Mi piacerebbe tantissimo, vedere dei cavalli volanti! Farei qualunque cosa per vederli, professore,” gli assicurò, “anche portargli l’acqua e basta, anzi, mi accontenterei di pulire i loro finimenti!”

“Sul serio?” chiese Piton, inarcando un sopracciglio.

“Beh, forse se ne avessi la possibilità proverei a cavalcarne uno,” ammise Will.

“Ti è espressamente proibito provare a cavalcare un Thestral!” lo raffreddò Piton, alzandosi in piedi. “Chiaro?”

“Va bene,” rispose Will, con un sorriso docile.

Piton rispedì il ragazzo dai suoi amici e tornò al suo posto accanto a Vitious.

Il collega sorrise: “Te la sei cavata piuttosto bene, Severus.”

Piton fece una smorfia, pensando che la risposta di McIver al suo divieto suonava sospettosamente come ‘va bene, per ora’.

 

 



   
 
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