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Autore: Abby_da_Edoras    03/08/2017    2 recensioni
Dunque, chi legge le mie storie sa già che non sono normale XDDD e che da un piccolo dettaglio posso inventare deliri allucinanti, soprattutto quando mi prendo a cuore un personaggio e voglio salvargli la vita a tutti i costi.
La mia storia a capitoli (sì, perché ci ho fatto proprio una long con questa vicenda...) si intitola "Shadows and lights" e trae la sua "ispirazione" (vabbè, chiamiamola così...) dalla puntata 02X01 della serie TV The Borgias versione canadese: la parte di me che entra in empatia con i personaggi più improbabili è rimasta sconvolta dalla vicenda tragica del Principe Alfonso di Napoli torturato a morte dai francesi. Ecco, io mi sono creata una versione personale di tale vicenda (approfittando del fatto che, tutto sommato, quel personaggio è una licenza poetica e non è realmente esistito, così come la sua storia) e da questo è nata la ff. Stiamo parlando di AU, OOC e quant'altro, grazie a chi si prenderà la pena di leggere le mie allucinazioni e non siate troppo severi con me, lo so anch'io che sono da neurodeliri!
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alfonso II di Napoli, Altri
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Salvation'
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Capitolo 14: Babylon

 

We’re lost in Babylon, Babylon

Time is slipping away

Holding on it won’t be long

Until the dawn of the day

Lost in Babylon, Babylon

Still we need to believe

When love is gone we’re moving on

Not a long long way from home

Lost in Babylon.

(“Babylon” – Delain)

 

L’invito di Rodrigo Borgia per quella sera non era certo una forma di cortesia, bensì una sorta di partita a scacchi in cui sia lui sia re Carlo di Francia avrebbero tentato di fare le loro mosse per non perdere vantaggi. Il sovrano francese, perciò, si era voluto muovere con i suoi uomini più fidati e con il Principe Alfonso come garanzia e aveva lasciato fuori dalle mura di Roma la maggior parte del suo esercito, pronto a cannoneggiare la città se soltanto ci fosse stato un minimo accenno di minaccia alla sua persona.

Cesare Borgia non era affatto d’accordo con il padre per questa sua scelta e non si fece scrupoli a dirglielo in faccia.

“Santità, credo che la vostra sia stata un’enorme imprudenza” affermò con decisione. “Re Carlo sa benissimo che siete stato voi a mandarlo a Napoli sperando che morisse di peste e non si farà ingannare una seconda volta. Purtroppo neanche il morbo è bastato per abbatterlo, ma adesso che è qui potreste approfittarne, proprio durante la cena, come abbiamo già fatto in passato con chi vi contrastava. Gli Stati italiani vi sarebbero grati per averli liberati dalla minaccia francese e forse, finalmente, vi riterrebbero degno del seggio che occupate.”

“Dici a me imprudente e poi mi proponi di assassinare il Re di Francia alla mia stessa tavola? Dimentichi forse che appena fuori dalle mura di Roma ci sono centinaia di soldati pronti ad aprire il fuoco contro la città?” lo rimproverò il Papa.

“I cannoni potrebbero anche non funzionare” disse Cesare in tono allusivo. “Io e i miei uomini potremmo andare fuori dopo il tramonto, Michelotto e i suoi ucciderebbero le guardie e nel frattempo noi potremmo bagnare le polveri e…”

“Sei completamente impazzito?” lo interruppe Rodrigo Borgia, fuori di sé. “Questo è il colmo, ho mandato in Spagna tuo fratello Juan perché prendesse moglie e mettesse giudizio e ora sei tu che vieni a suggerirmi una simile follia? Assassinare il Re di Francia nella residenza papale, uccidere i suoi soldati… ma ti ascolti quando parli? A quel punto sarebbe l’intera nazione francese a muoverci guerra!”

“Carlo VIII non ha nemmeno eredi diretti…” tentò ancora il giovane Borgia.

“Questo non conta niente, il trono andrebbe al suo parente più prossimo e la Francia avrebbe una scusa incontrovertibile per dichiarare guerra agli Stati italiani e invadere la nostra terra. Dove sono finite la tua prudenza e la tua astuzia? Ci sono ben altri modi per ottenere vantaggi dal Re di Francia e l’omicidio non rientra tra questi!” concluse bruscamente il pontefice, prima di voltare le spalle al figlio e andare a dare ordini per l’organizzazione del banchetto di quella sera.

Era pomeriggio quando Re Carlo, accompagnato dai suoi capitani, dal Generale, dal Principe Alfonso e dal dottore, con un piccolo drappello di soldati, attraversava la città di Roma diretto alla residenza di Papa Alessandro VI Borgia, il Palazzo del Vaticano. Per le strade, la gente si scostava e mormorava al passaggio dei francesi, facendo sghignazzare Re Carlo che si compiaceva della paura che incuteva ai cittadini di Roma.

Giunti alla residenza papale, il Re francese e il suo seguito furono accompagnati da solerti servitori a rinfrescarsi dopo le fatiche del lungo viaggio. Quando si furono ristorati, fu il Papa Borgia in persona ad accogliere Sua Maestà, proponendo a lui e ai suoi uomini di visitare il Palazzo e ammirare le opere fatte realizzare durante gli anni del suo papato. Ma, prima di accompagnare i francesi in questa sorta di visita guidata, il pontefice si rivolse al Principe Alfonso con un’ostentata gentilezza.

“Mio Principe, è per me una grande gioia potervi incontrare di persona e vedervi in salute” gli disse. “Purtroppo erano giunte voci molto infauste nei vostri confronti, si diceva che l’invasione francese era stata per voi una… beh, non parliamone nemmeno. Sono lieto di constatare che era tutto falso e che voi siete sano e salvo. A questo proposito, se vorrete seguire il Cardinale Sforza nel giardino interno del Palazzo, potrete incontrare una persona che in questi mesi è stata molto in pena per voi e che non vede l’ora di riabbracciarvi.”

Alfonso era ancora offeso con il Papa Borgia per tutto ciò che gli aveva causato e non aveva alcuna intenzione di fidarsi di lui, ma a quelle parole parve dimenticare tutto.

Sancha? Mia sorella?” mormorò, incredulo. In realtà Sancha d’Aragona era la sua sorellastra, ma a Napoli non si erano mai fatti troppi scrupoli su questa faccenda e i due si comportavano come se fossero stati entrambi figli legittimi.

“Avete indovinato, Vostra Altezza. Sono certo che anche voi siete ansioso di rivederla. Il Cardinale vi accompagnerà. Voi non avete nulla in contrario, non è così, Vostra Maestà?” chiese poi, rivolto a Re Carlo.

Il sovrano fece una smorfia poco convinta, sentiva che c’era qualcosa che il Papa non gli diceva, tuttavia concluse che sarebbe stato un modo come un altro per mettere alla prova il Principe Alfonso e così lasciò che il Cardinale Sforza lo conducesse nel giardino interno del Palazzo dove Sancha d’Aragona lo attendeva.

Il Cardinale Sforza assistette all’incontro tra fratello e sorella e poi finse di ritirarsi per lasciarli soli; in realtà, però, aveva avuto dal Papa l’incarico di ascoltare con attenzione tutto ciò che il Principe avrebbe detto alla sorellastra, auspicando che dalle sue parole si potessero trarre elementi per provare che Re Carlo si era comportato in maniera indegna nei confronti di un Principe della casata Aragonese.

“Alfonso, fratello! Stai bene?” esclamò la giovane donna slanciandosi verso di lui. “Avevano detto che… arrivavano voci terribili da Napoli, ma non era vero niente, non era vero, allora.”

Il giovane Principe abbracciò la sorellastra provando una curiosa sensazione di straniamento: l’ultima volta in cui i due si erano visti e si erano presi in giro come solevano fare era stato in occasione della visita di Juan Borgia, il Gonfaloniere, che era venuto a portare la proposta di matrimonio del fratello tredicenne Goffredo per Sancha. In quell’occasione tutto era diverso, Re Ferrante era ancora vivo, Alfonso era sicuro del suo Regno e convinto che l’alleanza con i Borgia avrebbe portato solo vantaggi e Sancha era interessata principalmente a mostrarsi provocante con l’affascinante Gonfaloniere.

Chi avrebbe mai pensato, allora, che sarebbe finita così? Di sicuro non il Principe Alfonso…

“Sto bene, certo, sorella, anche se ora come ora le nostre posizioni sono cambiate” rispose il giovane, con un sorrisetto amaro.

“Cosa vuoi dire?”

“Non è ovvio? Tu, la figlia illegittima del Re Ferrante, hai fatto un matrimonio fortunato e adesso vivi come una Regina in questo lussuoso Palazzo, mentre io, l’erede al trono, ho perso tutto e sono ostaggio dei francesi” replicò Alfonso, cercando di mantenere un tono leggero. “Ora il bastardo sono io…”

Sancha si mostrò preoccupata.

“Ma allora… è vero quello che si dice? I francesi ti hanno fatto del male?” domandò.

Alfonso esitò. Per un attimo la voglia di sfogarsi e raccontare tutte le sue paure, i suoi tormenti, le sofferenze fisiche e psicologiche di quegli interminabili mesi parve soverchiarlo. Sancha era la sua sorellastra, la parente più vicina che gli fosse rimasta, con chi mai avrebbe potuto confidarsi se non con lei?

Ma poi rammentò: adesso Sancha era una Borgia e, forse, avrebbe finito per raccontare tutto al giovanissimo marito e al suocero. Non poteva permettersi la minima debolezza, nemmeno con lei. Drizzò la testa e fissò la sorellastra dritto negli occhi.

“Non mi hanno fatto alcun male e, anzi, mi trattano come un ostaggio di riguardo, com’è giusto che sia” rispose convinto. “Tuttavia non ho più un Regno e adesso dovrò recarmi in Francia al seguito di Sua Maestà, perciò direi che le cose sono cambiate un bel po’ per me. Ma lasciamo perdere i lamenti di un Principe in disgrazia, raccontami di te: questo Goffredo Borgia si è dimostrato un marito degno delle tue aspettative o è solo un ragazzino imbranato? So bene che avresti voluto sposare il Gonfaloniere… e ora lui è in Spagna a cercarsi una moglie. Che disdetta, eh?”

Il tono ironico e pungente di Alfonso faceva capire bene che qualunque tentazione avesse avuto di confidarsi, adesso era passata, il discorso si chiudeva lì. Così anche Sancha ripiegò su argomenti più superficiali.

“Oh, ti assicuro che non ho avuto modo di annoiarmi qui” rispose in tono malizioso, “e Goffredo si sta rivelando un allievo molto diligente anche se, ovviamente, ho dovuto insegnargli tutto io!”

“Ovviamente” ripeté Alfonso e, per un felice istante, la risata allegra del Principe risuonò nel giardino assieme a quella della sorellastra, come accadeva a Napoli in tempi più lieti.

 

Quella sera, al banchetto in onore del Re di Francia, erano presenti tutti i membri della famiglia Borgia, ad eccezione di Juan che si trovava, appunto, in Spagna. La conversazione si era mantenuta su argomenti leggeri durante tutta la cena e soltanto alla fine, quando a tavola erano rimasti soltanto il Papa con suo figlio Cesare oltre a Re Carlo e al suo seguito, si giunse a ciò che premeva ad entrambe le parti.

“Dunque, Vostra Maestà, state facendo ritorno in Francia per nominare il vostro successore” esordì il Papa.

“Così dicono” tagliò corto Re Carlo, che non aveva intenzione di parlare dei fatti suoi a quell’uomo intrigante che già una volta lo aveva ingannato.

“Vedo che non vi fidate di noi” sorrise Rodrigo Borgia. “So cosa pensate, che abbiamo messo in scena la vostra investitura per mandarvi a Napoli a morire di peste, ma le cose non stanno esattamente così.”

“Ah, no? E come sarebbero andate invece? Volete forse farci credere che non sapevate della febbre napoletana?”

Quella domanda fece gelare il sangue al Principe Alfonso: e se il Papa avesse scaricato tutta la colpa su di lui? Non ci sarebbe stato da stupirsi, visto l’uomo che era… ma, in quel caso, Re Carlo avrebbe nuovamente preteso la sua vendetta su di lui! Pieno di orrore, il giovane impallidì mortalmente e fece per alzarsi da tavola, ma un’occhiata del Generale lo indusse a desistere, facendogli comprendere che una fuga sarebbe stata una sorta di ammissione di colpevolezza.

“Voi lo sapevate benissimo e proprio per questo motivo avete avvertito il Cardinale vostro figlio di scappare appena possibile e di non accompagnarci fino a Napoli” dichiarò trionfante il Re.

Il sorriso sul volto dello scaltro pontefice non si alterò.

“E’ vero, avevo udito delle voci su una strana febbre che appestava Napoli” ammise, tranquillo, “ed è per questo che il Cardinale Borgia è stato avvertito di non avvicinarsi troppo alla città. Tuttavia non era nostra intenzione farvi ammalare di peste, vi abbiamo incoronato Re di Napoli perché abbiamo riconosciuto le vostre pretese su quel trono e il vostro coraggio nel rivendicarlo a tutti i costi.”

“Dunque? Chi dovremmo incolpare allora per la nostra malattia?” domandò il sovrano francese, iniziando a innervosirsi.

Alfonso chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore, terrorizzato alla sola idea di udire le parole che sarebbero seguite.

“Nessuno, Vostra Maestà” rispose inaspettatamente il Papa. “Voi desideravate il Regno di Napoli a tutti i costi e noi ve lo abbiamo concesso con la nostra investitura solenne, ma il Regno che volete è quello: un luogo di piaceri e delizie, tuttavia spesso insalubre e malsano per via di strane esalazioni del terreno. Non c’è alcun colpevole per le epidemie che molto spesso affliggono la città di cui voi avete voluto la corona.”

“Allora sarebbe colpa nostra?” rilanciò Re Carlo.

“Non è colpa di nessuno” affermò nuovamente Rodrigo Borgia, serafico. “Avete rivendicato giustamente una corona che vi apparteneva come discendente degli Angioini e avete rischiato tutto per ottenere quanto vi spettava. Noi ammiriamo il vostro valore e la vostra determinazione, Vostra Altezza.”

Il Re sembrò rabbonito, mentre il Principe Alfonso riapriva gli occhi e riprendeva a respirare. Ma l’astuto Borgia non aveva finito.

“Proprio perché vi ammiriamo e vogliamo darvi il nostro pieno appoggio vi facciamo una proposta” riprese, mellifluo. “Sappiamo che Vostra Maestà deve ritornare in Francia per risolvere la questione della successione al trono, cosa molto più importante di un piccolo Regno in Italia. Tuttavia, molti governanti attendono solo il vostro allontanamento per attaccare la reggia e riconquistare Napoli.”

“Oh, sì, lo sappiamo, quel fanatico del Duca di Mantova con i suoi infami amici…” brontolò Sua Maestà.

“Noi vi offriamo la nostra protezione per il Regno di Napoli: invieremo nostro figlio Goffredo con sua moglie Sancha d’Aragona come reggenti, in attesa del vostro ritorno; saranno accompagnati da buona parte dell’esercito di Roma che, così, manterrà al sicuro i vostri domini” propose allora il Papa.

A quelle parole, però, la reazione del Re fu molto più violenta del previsto: batté un pugno sul tavolo e si alzò con un ghigno di trionfo.

“Ah, ecco a che cosa mirate, Santità!” esclamò con veemenza. “Tanti bei discorsi e complimenti… ma quello che volete davvero è mettere vostro figlio sul trono di Napoli, approfittando del fatto che sua moglie è una bastarda di Re Ferrante!”

“Vi stavo solo offrendo il mio appoggio…”

“Lo conosciamo il vostro appoggio e non sappiamo cosa farcene!” replicò bruscamente il Re, sempre più infervorato. “Sappiate che ho lasciato uno dei miei capitani più fidati come reggente di Napoli e una buona scorta di cannoni… provate a far avvicinare le vostre truppe alla nostra reggia e li ridurremo a brandelli. Avete capito bene?”

Rodrigo Borgia sapeva come prendere una sconfitta evitando di farla passare per tale. Chinò il capo e parlò in tono calmo.

“Come desiderate, Vostra Maestà. E’ comprensibile che non vi fidiate di nessuno e forse è proprio così che si mantiene il potere… noi ne sappiamo qualcosa” disse. “Dunque è tutto sistemato. Accettate comunque, ve ne prego, la nostra ospitalità per questa notte, prima di rimettervi in viaggio.”

“Ci sentiremo più al sicuro nei nostri accampamenti, protetti dai nostri soldati e dai nostri cannoni, piuttosto che in questa tana di vipere!” fu la risposta di Re Carlo, mentre si affrettava a lasciare il salone, subito accompagnato dai suoi uomini.

“Abbiamo un’ultima richiesta da farvi, se vorrete concederci la vostra benevolenza” tentò Rodrigo Borgia. “Lasciate che il Principe Alfonso rimanga qui. Sappiamo che è vostro prigioniero, ma il viaggio verso la Francia sarà lungo e sicuramente molto faticoso per un giovane di costituzione fragile come lui. Siamo certi che il Principe sarebbe lieto di rimanere in compagnia dei miei figli, ragazzi della sua età, e della sorella.”

Re Carlo non aveva la minima intenzione di lasciare Alfonso nelle grinfie dell’ambizioso Papa, che lo avrebbe sicuramente usato per i suoi loschi scopi; tuttavia decise di mettere ancora una volta alla prova il ragazzo.

“Il Principe Alfonso è nostro ostaggio, è vero, ma è pure un ostaggio di rango, perciò lasceremo che sia lui stesso a scegliere che cosa fare: se rimanere sotto la protezione del Papa di Roma fino al nostro ritorno o seguirci in Francia” concesse, con tono insinuante.

Alfonso si irrigidì, incerto e confuso. Cosa doveva fare? Sicuramente il Re francese voleva solo metterlo alla prova ma, se avesse scelto di rimanere a Roma, forse il Papa Borgia lo avrebbe protetto e Sua Maestà non avrebbe più potuto fargli del male. Chissà, se avesse concesso la sua alleanza al pontefice, forse lui avrebbe potuto perfino rimetterlo sul trono di Napoli! E poi lì c’era Sancha, l’unica parente che gli fosse rimasta al mondo…

Il pensiero di Sancha lo riportò allo strano colloquio avuto con lei nel pomeriggio. Era stato come se la sorellastra fosse stata incaricata da qualcuno di fargli ammettere le torture subite e la crudeltà di Re Carlo… magari era stato lo stesso Rodrigo Borgia a spingerla a farlo, per avere qualcosa con cui accusare il sovrano francese di fronte alla Spagna, per provocare una guerra tra le due nazioni.

E lui era proprio sicuro che il Papa lo avrebbe protetto? O non lo avrebbe davvero fatto uccidere per mettere suo figlio Goffredo sul trono di Napoli? No, anche il Principe Alfonso non poteva fidarsi di nessuno, ormai era solo e il mondo, per lui, era pieno di nemici.

Eppure no, non era solo…

Il Principe alzò gli occhi verso il gruppo dei francesi che attendeva la sua risposta e incontrò lo sguardo sereno e calmo del Generale. No, non era solo, c’era almeno una persona al mondo a cui importava di lui e non per i vantaggi che poteva trarne, ma perché era lui, Alfonso.

“Vi ringrazio di cuore, Santità, per la vostra cortese offerta” rispose allora, convinto, “ma è mio desiderio seguire Sua Maestà in Francia. Sono tenuto a farlo come Principe sconfitto, ma sono anche ansioso di visitare quel Paese che mi hanno detto essere bellissimo.”

Papa Alessandro rimase sconcertato da quella risposta così sicura, ma dissimulò la sua sorpresa.

“Molto bene, se è questo che desiderate, mio Principe” disse, “allora auguro a voi, a Sua Maestà e al suo seguito un viaggio sicuro e rapido verso la Francia.”

Mentre i francesi e il Principe Alfonso si allontanavano, Cesare Borgia parlò di nuovo al padre, indispettito.

“Bene, cosa avete guadagnato a fare a modo vostro? Sua Maestà non vi ha fatto alcuna concessione e, al contrario, continua a sospettare di voi!”

“Non aver fretta, figliolo” ribatté Sua Santità, senza scomporsi. “E’ molto meglio non inimicarsi i francesi e avere pazienza: Re Carlo non è stato malleabile come speravo ma, come hai potuto vedere, soffre ancora della febbre napoletana e il lungo viaggio certo non gli gioverà. Mantenere buoni rapporti con la Francia potrà esserci utile quando… quando sul trono di Francia siederà il suo successore!”

Intanto, il sovrano francese e il suo drappello di uomini stavano uscendo rapidamente dalla città, con grande sollievo degli abitanti di Roma. Il Re non voleva trascorrere un minuto in più del necessario vicino alle ali rapaci del Papa Borgia e, appena fuori le mura, ordinò ai soldati che vi si erano accampati di ripartire subito verso Nord e di allestire l’accampamento per la notte il più lontano possibile da Roma.

Quando, finalmente, Re Carlo e il suo seguito ebbero scelto un luogo adatto per accamparsi, il Principe Alfonso era esausto. Era molto tardi e le emozioni di quella lunghissima giornata lo avevano sfinito. Il Generale lo portò nella tenda fatta allestire per lui e lo depose sul giaciglio, distendendoglisi accanto e abbracciandolo stretto.

“Sono veramente fiero di te, Principe” gli disse. “Hai saputo affrontare anche un uomo astuto e insidioso come il Papa Borgia e non hai ceduto alle sue lusinghe. Sono certo che anche Sua Maestà sia stato soddisfatto, sebbene a te non lo dirà mai.”

Il giovane Principe era stremato e intontito dalla sonnolenza, così quasi non si rese conto di ciò che diceva.

“Non è stato quello… io ho pensato che non mi fidavo del Papa e che anche lui era un mio nemico. Ho pensato che sarei stato al sicuro solo con voi, mio signore, che solo voi tenete davvero a me e che sarei stato veramente solo al mondo se non vi avessi seguito…” mormorò.

Commosso ed emozionato, il Generale strinse più forte il ragazzo che gli aveva dichiarato così innocentemente il suo affetto.

“Io ci sarò sempre per te, mio piccolo Principe” gli disse piano, prima di baciarlo intensamente, perdendosi nella morbidezza delle sue labbra a cuore, nella dolcezza del suo sapore, nel tepore soave delle sue braccia. Sempre continuando a baciarlo, lentamente si fece strada dentro di lui, possedendolo con tutta la pazienza possibile per non spaventarlo e non fargli del male, irretito dalla tenerezza del suo corpo esile e delicato.

Alfonso, travolto dall’intenso e al contempo premuroso desiderio del Generale, si abbandonò a tutte le sue effusioni, lasciando che il suo corpo rispondesse a ogni sollecitazione e annullandosi in quell’atto d’amore che, ancora e sempre, gli confermò che aveva preso la decisione migliore scegliendo di rimanere accanto all’uomo che lo amava e che lui stava imparando ad amare.

 

 

FINE

 

 

 

 

 

   
 
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