N.d.T.:
ciao a tutti!
Questa è la traduzione di una storia che troverete a questo
link: http://archiveofourown.org/works/1165756/chapters/2370485
La storia fa riferimento al manga, a questo è dovuto
l’avvertimento Spoiler,
per chi segue solamente l’anime. Buona lettura!
Era lui
Lui era soltanto un ragazzino
con una fervida immaginazione,
fino a quando, una sera d’inverno, la ragazzina con la sciarpa
rossa si presentò
alla porta dei Jaeger: senza fiato, con le guance rosse dal freddo e i
capelli
neri che le incorniciavano il viso pallido. Il dottor Jaeger rimase a
guardare l’imperturbabile
ragazzina di sette anni e osservò che lo zainetto di Dora
l’esploratrice che
portava era l’unica cosa infantile di lei.
Eren e Carla erano in cucina a
cenare, ignari del
cambiamento che stava per accadere nelle loro vite.
“Eren vive
qui?” chiese la ragazzina.
“Chi
è?” disse Carla. “Cantano le canzoni di
Natale ancora a
quest’ora?”
“È
qualcuno per Eren,” rispose Grisha, mentre gli tornava in
mente la sciarpa rossa che aveva visto nei disegni di Eren. Era un
elemento
ricorrente, come molti altri: un ragazzino dai capelli biondi a
caschetto, un
uomo imbronciato, una faccia sorridente con gli occhiali, cinture
che si
incrociavano, mantelli verdi, lame d’argento e, ovviamente, i
mostri.
Almeno non erano i mostri ad
essersi presentati alla loro
porta della loro casa di periferia.
Eren comparve nel corridoio,
aveva una macchia di spaghetti
all’angolo della bocca. Curioso, sbirciò da dietro
suo padre, ma quando vide
chi stava alla porta la sua curiosità da ragazzino scomparve.
“Eren,”
disse la ragazzina. Superò Grisha. Il padre di Eren
fece come per allontanarla, ma Eren stava aprendo le braccia a quella
strana
ragazzina; il suo Eren, che non si era fatto molti amici, che aveva
sempre la
testa fra le nuvole. Il suo Eren, che non permetteva a nessuno di
toccarlo,
tranne ai suoi genitori. Si strinse alla ragazzina, e lei si strinse a
lui.
Lo zainetto di Dora
l’esploratrice rimase nella soglia vuota,
abbandonato.
Il dottor Jaeger lo
portò in casa e chiuse la porta dietro
di lui.
***
L’arrivo di Mikasa
segnò l’inizio di una nuova era per Eren,
o meglio, gli permise di cominciare a vivere sul serio. I
suoi strani sogni in cui volava in un mare di mostri, o ammirava delle
mura che
si innalzavano più in alto di qualsiasi albero, smisero di turbarlo. Smise di chiedersi se fosse pazzo.
Mikasa non se lo era nemmeno mai chiesto.
“Non ti chiedi mai
degli altri?” chiese Eren una notte in
cui lei era rimasta a dormire da lui. In realtà Eren lo
aveva chiesto molte
volte, dato che la sua amica viveva abbastanza vicino da poterlo venire
spesso
a trovare. I genitori di Mikasa si erano trasferiti nella
città di Eren sotto
l’insistenza della figlia, e né a loro,
né ai genitori di Eren sembrava
importasse il fatto che loro due passassero così tanto tempo
insieme anche dopo
aver raggiunto la adolescenza. Per una qualche ragione, i due si
comportavano
come fratello e sorella.
“Te l’ho
detto,” disse Mikasa. “Non riesco a trovare Armin.
Ci ho provato. A meno che non coinvolgiamo la polizia in qualche modo,
o mandiamo
loro un ritratto…”
“Se
ha lo stesso
aspetto.”
“Noi
sì,” disse lei.
Eren giocherellò con
le coperte del letto. Ormai avevano
tredici anni e non avevano trovato altri che l’un
l’altro. Visto il miracolo
(merito del fatto che Mikasa non dubitava mai di sé stessa),
non poteva fare
altro che sperare che ne avvenisse un altro. Non sentiva
il
bisogno di farsi amici tutti i loro vecchi compagni, tutte facce mezze
dimenticate, ma voleva sapere se stessero tutti bene. Ricordava delle scene, scene molto cruente, di persone che conosceva
coperte di
sangue, o tagliate in due, o fatte a pezzi dopo una lunga, lunga
caduta. Se avesse
potuto vederli di nuovo, mentre vivevano una vita vera lontano dalle
alte mura,
magari gli incubi sarebbero cessati.
“Non soltanto
Armin,” disse. “Tutti loro. E se credono di
essere pazzi?”
Lei si avvicinò e
con la mano coprì la sua. “Sono liberi, lontani dalle mura. Non è forse abbastanza sapere che la persone
ricevono una seconda
possibilità?”
“È
facile per te dirlo,” sbottò Eren. “Gli
unici di cui ti
importa siamo io e Armin.”
“Io…”
iniziò lei, prima di ritirare di scatto la mano. Se la
accarezzò, come se la pelle di Eren l’avesse
ustionata. “Mi importa anche degli
altri. Ma non voglio stare in ansia. Non voglio sprecare questa vita a
ritrovare
l’altra. Non ricordiamo nemmeno quello che è
successo.”
“Ma tu ci credi
ancora, vero? Che è successo davvero? Che
non era un sogno?”
Mikasa rimase zitta.
“Mi manca
Armin,” disse Eren.
“Anche a me.”
Si sistemarono per la notte,
con la luce delle stelle da
fuori come unica fonte di luce nella stanza. Eren voleva dormire, ma
sentiva bruciare
un fuoco dentro di lui, c’era sempre stato. Un fuoco inutile,
insensato. Aveva
dei genitori che lo amavano, una sorella che lo capiva e non
c’erano mostri in
questo mondo, o almeno, non dei veri mostri che lui doveva uccidere.
Quindi perché si sentiva ancora così arrabbiato?
Perché la sua ossessione lo aveva
seguito anche in questa vita? Non aveva dubbi riguardo al fatto che
l’altro lui era
morto per poi rinascere, dando tutto ciò che aveva per
combattere i mostri che
invadevano il suo mondo. Perché questo fuoco non si era spento?
“Ci iscriveremo ad
ogni programma di arti marziali che
possiamo,” disse Mikasa, facendo sobbalzare Eren. Pensava che
lei stesse
dormendo. “Credo che gli altri sentano ancora il bisogno di
combattere se hanno
dei ricordi simili. E parlando di Armin, guarderemo tutti i quiz
televisivi a
cui partecipano ragazzi della nostra età, lui è
abbastanza intelligente per
farlo. Forse anche lui ci sta cercando. Hai tenuto d’occhio i
forum?”
Eren aveva un account per ogni
forum che fosse riuscito a
trovare, dai giochi online con la sezione commenti fino ai siti
esoterici sulle
proiezioni astrali e le anime gemelle. Sperava di trovare da qualche
parte
qualche pazzoide che postava sulle mura e
sull’apparecchiatura che permetteva
di volare nel cielo. La sua ricerca era stata resa più
facile quando i suoi
genitori passarono alla banda larga, ma i risultati erano gli stessi.
“Sì, ma
non c’è niente. Forse gli altri non stanno facendo
ricerche.”
Mikasa dovette aver sentito il
tono nella sua voce, perché
rispose con un insolito ottimismo: “Invece
sì.”
Nessuno dei due disse ad alta
voce l’altra opzione: che
forse gli altri non stavano facendo ricerche, non ricordavano nulla;
perché
quel mondo non valeva la pena di essere cercato.
***
Il sedicenne Eren diede uno
sguardo a una delle liste nel
suo taccuino sulla sua vita passata, una delle tante liste con lo scopo
di
ricordare quello che poteva sulle persone che prima conosceva. Non
ricordava
nomi e a volte non aveva nemmeno abbastanza informazioni per creare un
soprannome. Quelli senza nome che ricordava meglio erano intitolati con
nomi
come “faccia da cavallo”, “ragazza
patata” e “mordi lingua”.
C’era un nome che era
certo di sapere, Armin Arlert. Ma non
era quella la lista che stava guardando. Stava leggendo invece una
lista breve
che apparteneva a qualcuno di cui non ricordava nemmeno il nome e
quella pagina
del taccuino si era ammorbidita per averla tenuta troppo tra le dita.
Capitano(?)
-forte
-alto grado
-adora la pulizia(?)
Era la lista più
priva di significato che avesse fatto, ma
non perché non riuscisse a a ricordare. Era senza significato
perché non riusciva
a dare un senso ai ricordi, non riusciva a metterli su carta. Si
sentiva
stringere il petto quando pensava al capitano, uno strano nervosismo
che
assomigliava a agitazione, ma mescolato con confusione. Ricordava un
uomo dallo
sguardo assottigliato e il viso squadrato che lo guardava con qualcosa
che
poteva essere approvazione o affetto, ma ricordava anche che lo stesso uomo lo aveva picchiato a sangue. Senza il contesto che poteva spiegare
perché lo picchiava, non riusciva proprio a capire perché gli altri
ricordi dell’uomo
erano così… rosei. C’era
dell’ammirazione (adorazione, in realtà),
accondiscendenza,
e anche qualcosa di nascosto che poteva lasciar intendere a qualcosa di
più.
Erano stati insieme? Era possibile? Ma di sicuro lo avrebbe ricordato.
Non
ricordava nessuna relazione. Forse, rimpianto.
Da come poteva vederla,
sembrava una cotta a senso unico
nata dall’ammirazione. Ricordava una figura minuta con lo sventolante
mantello verde che stava in piedi sopra i resti di un mostro. E guardava verso di
loro.
Quell’uomo voleva
essere trovato?
Il telefono di Eren
suonò facendolo sobbalzare. Si aspettava
che fosse una ragazza della scuola che chiamava per il loro lavoro di
gruppo
(cosa che Eren continuava a ignorare), ma era Mikasa.
“Pronto?”
rispose.
“Eren,”
disse lei senza fiato. “Ti ricordi quegli annunci
che avevo pubblicato?”
“Sì.
Perché?”
“Lui è
qui. Ci ha trovati.”
Eren afferrò la
giacca e iniziò a correre.
***
“Non credo che
nessuno lo possa ignorare,” diceva Armin con
voce decisa contro il vociare del ristorante del centro commerciale.
Sembrava
non gli importasse di come Eren e Mikasa continuassero a toccarlo come
per
assicurarsi che fosse reale. I suoi occhi blu brillavano mentre
continuava. “Ma
c‘è una buona probabilità che le
persone che ricordiamo abbiano trovato quelli
vicini a loro, come noi, e stiano continuando a cercare. Solo Eren ha
lo stesso
cognome, non è che un elenco telefonico ci sarebbe di grande
aiuto.”
“Quindi pensi che ci
siano dei piccoli gruppi come il nostro
in giro per il mondo?” chiese Eren. Si chiedeva chi il
capitano avrebbe
cercato, in tal caso. Il comandante biondo, forse, e magari la
scienziata pazza
con gli occhiali. O meglio, lei lo avrebbe trovato. Avrebbe cercato la
squadra
che Eren ricordava fatta a pezzi e insanguinata? In qualche modo nella sua testa quel
ricordo
orrendo era collegato al capitano. La squadra del
capitano,
forse? I suoi amici?
“Magari. Non esiste
un manuale per queste cose. E non ha
senso, non importa come la vedi, anche se credi alla reincarnazione.
Voglio
dire, ho letto tutti i libri di storia… ma è come
se i ricordi siano di
un’altra dimensione. Non del nostro vero passato.”
“Una storia
alternativa?” suggerì Mikasa.
“O un futuro
alternativo. Molto, molto alternativo.”
Incrociò le braccia sul tavolo, appoggiandoci la testa su un
lato. “Vorrei
poter trovare gli altri. Questa cosa mi urta.”
Eren trattenne una risata a
pensare che Armin lo aveva fatto
sembrare un problema normale e da nulla. Era felice. Era davvero tanto
felice
che Armin si ricordasse di loro e che fosse lì. Anche se quel mondo
era stato creato
per persone come Armin, persone astute e non spietate o cattive, Armin
voleva
comunque stare con lui e Mikasa.
Non che Mikasa di solito fosse
il problema; si era solo
lasciata trascinare dall’entusiasmo di Eren, perfino una
seconda volta.
“Potremmo mandare in
giro una nostra foto,” disse Armin.
“Fingiamo che sia un esperimento dei sei gradi di separazione
(*). O che stiamo
cercando dei parenti scomparsi o qualcosa del genere. Usiamo i
social.”
“Ci ho provato su
Myspace,” disse Eren. “Non è servito a
nulla.”
“Facebook ultimamente
sta diventando più famoso.” Armin sorrise.
“Mia madre ce l’ha e pubblica sempre post stupidi.
Dobbiamo pur cominciare da
qualcosa, no?”
Mikasa fu d’accordo,
ma Eren non poteva fare a meno di
pensare al fatto che la persona con cui voleva di più
parlare non lo avrebbe
mai incontrato. Eren doveva trovarlo, doveva chiedergli
perché c’erano così
tanti ricordi sconnessi di lui che vagavano nella sua testa: violenza e
rabbia
accanto a sguardi intensi e notti passate a parlare. In ogni caso, gli
sarebbe
piaciuto ricordarne degli altri.
“Eren?”
disse Armin risollevandosi. “Stai bene?”
“Hm? Oh,
sì. Solo un po’ frustrato. Vorrei fosse
più
semplice.”
“Il mondo
è grande,” disse Armin; sembrava ci fosse stupore
nella sua voce. “Molto, molto grande. Quando penso
a… ehm. Comunque, non è così
importante trovare gli altri. È solo per gioco, vero?
Perché sarebbe bello
rivederli.”
“Chi vorresti di
più ritrovare?” chiese Eren.
“A parte voi due? Ho
sempre voluto trovare voi.”
“A parte
noi,” disse Mikasa; Eren la guardò sorpreso. Non
era mai stata una che amava curiosare, ma forse per lei questo era una
questione di vitale importanza.
Armin sospirò
rumorosamente. “Non giudicate, ok? Annie.
Voglio trovare lei.”
Mikasa aggrottò le
sopracciglia e Eren chiese, “La… lei è
la
bionda? Che… si era trasformata in uno di loro?”
Il suo vecchio amico
annuì. “Chissà cosa ricorda. Se
ricorda. Voglio trovare un senso a quello che ha fatto, in
più si era rinchiusa
in quel cristallo, quindi potrebbe aver vissuto abbastanza a lungo per
vedere
cosa è successo dopo che noi siamo scomparsi. E mi chiedo
come sarebbe per lei
vivere in questo mondo. Se si sente colpevole. Sono curioso.”
“Non innamorato,
allora?” chiese Eren, un po’
egoisticamente. Sarebbe stato d’aiuto se Armin avesse avuto
anche una cotta
della sua vita passata di cui occuparsi. Non gli importava
così tanto che
questo amore perduto potesse essere una ragazza che lui aveva odiato e
a cui
aveva giurato vendetta; se Armin fosse stato innamorato di lei, Eren
avrebbe
messo da parte il suo odio, sempre se lei non si sarebbe trasformata in
un
mostro questa volta.
“Non credo. Non lo
so. Che cosa provavo prima? So solo che
avevo bisogno di voi, che avevamo bisogno l’uno
dell’altro. Sono contento che
sia ancora così.”
Mikasa strinse le mani di
entrambi, il suo viso per una
volta non era inespressivo. C’era un velo di lacrime nei suoi
occhi. “Anche io.
Eren, lo so. Lo so che pensi che a me non importi nulla degli altri.
Invece sì.
Ma sono molto felice. Anche se non incontrassi nessun altro di noi,
sarei
felice.”
Fece un respiro profondo.
“Ma dato che abbiamo
tutta la vita davanti a noi, non credo
ci sia nulla di sbagliato nel cercare gli altri nel frattempo. Abbiamo
qui con
noi il nostro genio. Possiamo trovarli.” Guardò
Eren. “È
questo ciò che vuoi, vero? E
io lo voglio per te. Per tutti noi.”
Armin sorrise.
“Genio. Quando ero alle medie tutta questa fiducia in me stesso mi sarebbe servita. Lo sapete che vengo ancora
preso in giro? Perfino questa volta. Devo avere una
faccia…”
“Avresti dovuto
cercarci prima,” disse Mikasa, sembrando
vagamente inviperita. Eren si trattenne dal sorridere.
“Non era una
questione importante, non come allora. E poi,
io stavo cercando. Non è colpa mia se siamo nati in Stati
diversi.”
“E adesso?”
disse Mikasa. “Non puoi restare, vero?”
“Posso restare per un
po’, e mi fermerò di più
quest’estate.
Ma, pensavo, quando andremo al college…”
“Ci andremo
insieme,” disse Eren, qualcosa dentro di lui gli
suggerì quella rivelazione. “Dove? Credo che i
miei voti siano abbastanza alti,
ma non voglio ostacolarti.”
Armin arrossì un
po’, prima di chinarsi per prendere
qualcosa nel suo zaino. Un attimo dopo tirò fuori una
cartellina e la porse a
loro.
“È
a New York,” disse mentre loro aprivano al cartellina
trovando
i documenti per l’ammissione. “Ho trovato quello
dalla rivista con più abbonati;
immagino che avere accesso agli articoli potrebbe aiutarci a trovare la
scienziata.”
“Vuoi dire quella con
gli occhiali?” disse Eren.
“Sì,
quella che faceva ricerca sui giganti. È impossibile
che lei non sia una scienziata in questa vita, e che non sia
altrettanto
bizzarra. Per quanto riguarda gli altri, suppongo che sia meglio stare
in una
città affollata. Con più persone. Se stanno
cercando i loro amici…”
“È
un buon punto di partenza,” disse Eren. Armin sorrise a
vedere che aveva capito, ma Eren lo spiazzò con uno sguardo
serio. “Bene, dato
che hai scelto il college per noi, quali sono i nostri corsi?”
Armin rimase spiazzato, proprio
come Eren pensava, e tutti e
tre scoppiarono a ridere. Non importava loro se attiravano sguardi, non
importava quando iniziava a sembrare che piangessero invece di ridere.
Finalmente il trio era al completo ed era meglio di quanto avrebbero
potuto mai
sperare.
***
I primi mesi nella grande
città furono frenetici, nel senso
più positivo del termine. C’erano così
tante persone che Eren si aspettava
continuamente di alzare lo sguardo e trovare una faccia familiare.
Poteva
accadere in qualunque momento.
Se non fosse che, beh,
c’erano un sacco di
persone.
“Sono certo che
troveremo la scienziata pazza se
continueremo a leggere giornali,” disse Armin una sera, nella
loro stanza in comune
del dormitorio. Aveva passato la maggior parte del suo tempo a
setacciare il
sito della biblioteca universitaria per trovare le pubblicazioni
più
sconosciute. “Qualsiasi cosa sulle varie dimensioni,
l’universo, o forse sulle
allucinazioni o qualcosa del genere. Potrebbe essersi interessata a
cosa sta
succedendo a noi.”
Aveva il compito di assegnare i
materiali da leggere e Eren
stava imparando di più durante la ricerca della scienziata
pazza che durante le
lezioni.
Mikasa sospirò,
buttandosi sul letto di Eren. La sua stanza
era dall'altro capo del corridoio e lei passava alcune
delle
sue ore da sveglia da loro. “E se fossero nati da qualche
altra parte e non
avessero potuto andare a scuola?”
“Sarebbero
scappati,” disse Armin senza esitazione.
“Avrebbero trovato un modo. E poi non è forse
questa la città delle
possibilità?”
“La città
che non dorme mai,” lo corresse Eren, distratto da
un pensiero. Lunghe notti passate a
parlare…
“Comunque, come sono
le lezioni?” chiese Armin. Era un anno
avanti a loro per il numero di crediti, ciò stava a dire che
l’unico corso che
avevano con lui era educazione sanitaria, che era considerata da tutti
una
sciocchezza e non era molto frequentato.
“Bene,”
dissero all’unisono Mikasa e Eren. I due erano nella
stessa facoltà (Scienze Motorie) e avevano gli stessi corsi,
ma Eren
frequentava Arte come corso a scelta e Mikasa aveva optato per il corso
di
Introduzione alla Psicologia. Oltre all'università, lei frequentava ancora molti corsi di
arti
marziali e Eren esplorava la
città ad ogni occasione che
gli capitava. Passavano del tempo separati abbastanza da sentirsi delle
persone
reali, ma non era abbastanza.
“Ti trovi bene con i
tuoi compagni di corso?” chiese Eren,
più dettato dal senso di responsabilità che da un
reale interesse. Sapeva che
Armin e Mikasa ce la stavano mettendo tutta per vivere in modo normale.
Più di
lui, comunque. Aveva già perso i contatti con parecchi dei
suoi compagni e
conoscenze delle superiori e non si stava facendo molti amici al
college. Era
difficile fingere un interesse quando ricordi di scenari infernali e
volti
mezzi dimenticati lo tenevano lontano dal mondo che lo circondava.
“Sì,”
disse Armin. “Sono tutti molto interessanti. A volte
è
difficile trovarsi in sintonia, ma se faccio finta che
l’altro mondo sia solo
un sogno strano che abbiamo avuto, non mi sento poi così
lontano da loro. E poi
mi chiedo se dovremmo proprio fare tutto questo, no? Cioè,
continuare così.”
Era un pensiero ormai vecchio,
che avevano consumato a furia
di discuterci sopra. Stavano sprecando le loro vite continuando a fare
ricerche?
Era meglio non sapere?
“Lo so,”
disse Eren. Forse il giorno dopo sarebbe rientrato
invece di passare le ore prima delle lezioni a camminare per le strade
spiando
dentro le vetrine dei locali nella vana speranza di trovare qualcuno.
L’altro
Eren non aveva mai avuto molte possibilità di dormire al
coperto; non avrebbe
dovuto concederselo ora?
Finalmente arrivò la
sera; da un miscuglio di fogli, compiti
e discussioni si passò dolcemente al sonno, quando Mikasa se
ne andò nella sua
stanza.
Eren lasciò il
dormitorio alle otto della mattina seguente.
Come al solito.
***
Il vento freddo gelava le dita
di Eren e gli scompigliava i
capelli, amplificato dagli edifici da entrambi i lati della strada. Non
c’era
la neve, ma era abbastanza freddo perché iniziasse a cadere,
e Eren era
costretto a camminare con le mani infilate fino in fondo alle tasche
del suo
cappotto verde scuro. Di tanto in tanto si sistemava la sciarpa bianca
che
indossava, o alzava il cappuccio foderato di pelo del cappotto,
così che il vento
non riuscisse più di tanto a intrufolarsi, ma sembrava che
nulla fosse d’aiuto.
Le caffetterie lo attiravano da
entrambe le parti,
mettevano in mostra ciambelle e bevande e calde in tutti i gusti invernali.
Era dura
andare avanti a camminare e superarle, sapeva che presto avrebbe
ceduto.
Non
troverai nessuno,
pensava fra sé e sé. Il pensiero era la sua
costante compagnia in queste
passeggiate mattutine. A volte riusciva a liberarsene immaginando di
volare
nell’aria tra i grattacieli come uno Spiderman con la
cintura, ma il freddo
inibiva la sua immaginazione. Non riusciva a mantenerla viva.
Qualcuno si scontrò
con la sua spalla facendolo incespicare
da un lato. Si girò per guardare, ma si fermò di
scatto: da questa nuova
angolazione riusciva a vedere oltre quel tizio alto dietro cui aveva
camminato
per alcuni isolati. Ciò che vide lo immobilizzò.
Più avanti camminava
un uomo più basso della media e dai
capelli neri, con un taglio proprio come quello che portava il capitano. Come se non
fosse
abbastanza, l’uomo scansava agilmente i passanti che gli
arrivavano troppo
vicini, facendo sembrare che non alterasse minimamente il passo. A Eren
il
respiro si bloccò in gola, tutti i pensieri delle
caffetterie e del freddo
lasciarono la sua mente.
“C-capitano!”
gridò iniziando a correre. Superò
l’uomo alto
che gli impediva di vedere. “Capitano!”
I passanti lo guardavano
straniti e lo spazio attorno a lui
si fece libero. Eren rallentò il passo. L’uomo non
si girava. Non era lui. Non
era lui. Non era lui.
L’uomo basso davanti
a Eren si girò.
Era lui.
(*) La
teoria dei sei gradi di separazione ipotizza che ogni
persona possa essere collegata a qualunque altra persona attraverso una
rete di
conoscenze e relazioni.