Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Mysecretfanmoments    04/09/2017    4 recensioni
"Tu lo hai dimenticato," disse, la voce non nascondeva la sorpresa. "Ah. Ecco allora perché mi chiamavi capitano."
Reincarnation AU in cui Eren e Levi non hanno mai iniziato una relazione nella vita passata. (Altre coppie presenti: Erwin/Marie, accenno di Armin/Annie)
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
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N.d.T.: ciao a tutti! Questa è la traduzione di una storia che troverete a questo link: http://archiveofourown.org/works/1165756/chapters/2370485 La storia fa riferimento al manga, a questo è dovuto l’avvertimento Spoiler, per chi segue solamente l’anime. Buona lettura!

Era lui

Lui era soltanto un ragazzino con una fervida immaginazione, fino a quando, una sera d’inverno, la ragazzina con la sciarpa rossa si presentò alla porta dei Jaeger: senza fiato, con le guance rosse dal freddo e i capelli neri che le incorniciavano il viso pallido. Il dottor Jaeger rimase a guardare l’imperturbabile ragazzina di sette anni e osservò che lo zainetto di Dora l’esploratrice che portava era l’unica cosa infantile di lei.

Eren e Carla erano in cucina a cenare, ignari del cambiamento che stava per accadere nelle loro vite.

“Eren vive qui?” chiese la ragazzina.

“Chi è?” disse Carla. “Cantano le canzoni di Natale ancora a quest’ora?”

È qualcuno per Eren,” rispose Grisha, mentre gli tornava in mente la sciarpa rossa che aveva visto nei disegni di Eren. Era un elemento ricorrente, come molti altri: un ragazzino dai capelli biondi a caschetto, un uomo imbronciato, una faccia sorridente con gli occhiali, cinture che si incrociavano, mantelli verdi, lame d’argento e, ovviamente, i mostri.

Almeno non erano i mostri ad essersi presentati alla loro porta della loro casa di periferia.

Eren comparve nel corridoio, aveva una macchia di spaghetti all’angolo della bocca. Curioso, sbirciò da dietro suo padre, ma quando vide chi stava alla porta la sua curiosità da ragazzino scomparve.

“Eren,” disse la ragazzina. Superò Grisha. Il padre di Eren fece come per allontanarla, ma Eren stava aprendo le braccia a quella strana ragazzina; il suo Eren, che non si era fatto molti amici, che aveva sempre la testa fra le nuvole. Il suo Eren, che non permetteva a nessuno di toccarlo, tranne ai suoi genitori. Si strinse alla ragazzina, e lei si strinse a lui.

Lo zainetto di Dora l’esploratrice rimase nella soglia vuota, abbandonato.

Il dottor Jaeger lo portò in casa e chiuse la porta dietro di lui.

***

L’arrivo di Mikasa segnò l’inizio di una nuova era per Eren, o meglio, gli permise di cominciare a vivere sul serio. I suoi strani sogni in cui volava in un mare di mostri, o ammirava delle mura che si innalzavano più in alto di qualsiasi albero, smisero di turbarlo. Smise di chiedersi se fosse pazzo.

Mikasa non se lo era nemmeno mai chiesto.

“Non ti chiedi mai degli altri?” chiese Eren una notte in cui lei era rimasta a dormire da lui. In realtà Eren lo aveva chiesto molte volte, dato che la sua amica viveva abbastanza vicino da poterlo venire spesso a trovare. I genitori di Mikasa si erano trasferiti nella città di Eren sotto l’insistenza della figlia, e né a loro, né ai genitori di Eren sembrava importasse il fatto che loro due passassero così tanto tempo insieme anche dopo aver raggiunto la adolescenza. Per una qualche ragione, i due si comportavano come fratello e sorella.

“Te l’ho detto,” disse Mikasa. “Non riesco a trovare Armin. Ci ho provato. A meno che non coinvolgiamo la polizia in qualche modo, o mandiamo loro un ritratto…”

Se ha lo stesso aspetto.”

“Noi sì,” disse lei.

Eren giocherellò con le coperte del letto. Ormai avevano tredici anni e non avevano trovato altri che l’un l’altro. Visto il miracolo (merito del fatto che Mikasa non dubitava mai di sé stessa), non poteva fare altro che sperare che ne avvenisse un altro. Non sentiva il bisogno di farsi amici tutti i loro vecchi compagni, tutte facce mezze dimenticate, ma voleva sapere se stessero tutti bene. Ricordava delle scene, scene molto cruente, di persone che conosceva coperte di sangue, o tagliate in due, o fatte a pezzi dopo una lunga, lunga caduta. Se avesse potuto vederli di nuovo, mentre vivevano una vita vera lontano dalle alte mura, magari gli incubi sarebbero cessati.

“Non soltanto Armin,” disse. “Tutti loro. E se credono di essere pazzi?”

Lei si avvicinò e con la mano coprì la sua. “Sono liberi, lontani dalle mura. Non è forse abbastanza sapere che la persone ricevono una seconda possibilità?”

È facile per te dirlo,” sbottò Eren. “Gli unici di cui ti importa siamo io e Armin.”

“Io…” iniziò lei, prima di ritirare di scatto la mano. Se la accarezzò, come se la pelle di Eren l’avesse ustionata. “Mi importa anche degli altri. Ma non voglio stare in ansia. Non voglio sprecare questa vita a ritrovare l’altra. Non ricordiamo nemmeno quello che è successo.”

“Ma tu ci credi ancora, vero? Che è successo davvero? Che non era un sogno?”

Mikasa rimase zitta.

“Mi manca Armin,” disse Eren.

“Anche a me.”

Si sistemarono per la notte, con la luce delle stelle da fuori come unica fonte di luce nella stanza. Eren voleva dormire, ma sentiva bruciare un fuoco dentro di lui, c’era sempre stato. Un fuoco inutile, insensato. Aveva dei genitori che lo amavano, una sorella che lo capiva e non c’erano mostri in questo mondo, o almeno, non dei veri mostri che lui doveva uccidere. Quindi perché si sentiva ancora così arrabbiato? Perché la sua ossessione lo aveva seguito anche in questa vita? Non aveva dubbi riguardo al fatto che l’altro lui era morto per poi rinascere, dando tutto ciò che aveva per combattere i mostri che invadevano il suo mondo. Perché questo fuoco non si era spento?

“Ci iscriveremo ad ogni programma di arti marziali che possiamo,” disse Mikasa, facendo sobbalzare Eren. Pensava che lei stesse dormendo. “Credo che gli altri sentano ancora il bisogno di combattere se hanno dei ricordi simili. E parlando di Armin, guarderemo tutti i quiz televisivi a cui partecipano ragazzi della nostra età, lui è abbastanza intelligente per farlo. Forse anche lui ci sta cercando. Hai tenuto d’occhio i forum?”

Eren aveva un account per ogni forum che fosse riuscito a trovare, dai giochi online con la sezione commenti fino ai siti esoterici sulle proiezioni astrali e le anime gemelle. Sperava di trovare da qualche parte qualche pazzoide che postava sulle mura e sull’apparecchiatura che permetteva di volare nel cielo. La sua ricerca era stata resa più facile quando i suoi genitori passarono alla banda larga, ma i risultati erano gli stessi.

“Sì, ma non c’è niente. Forse gli altri non stanno facendo ricerche.”

Mikasa dovette aver sentito il tono nella sua voce, perché rispose con un insolito ottimismo: “Invece sì.”

Nessuno dei due disse ad alta voce l’altra opzione: che forse gli altri non stavano facendo ricerche, non ricordavano nulla; perché quel mondo non valeva la pena di essere cercato.

***

Il sedicenne Eren diede uno sguardo a una delle liste nel suo taccuino sulla sua vita passata, una delle tante liste con lo scopo di ricordare quello che poteva sulle persone che prima conosceva. Non ricordava nomi e a volte non aveva nemmeno abbastanza informazioni per creare un soprannome. Quelli senza nome che ricordava meglio erano intitolati con nomi come “faccia da cavallo”, “ragazza patata” e “mordi lingua”.

C’era un nome che era certo di sapere, Armin Arlert. Ma non era quella la lista che stava guardando. Stava leggendo invece una lista breve che apparteneva a qualcuno di cui non ricordava nemmeno il nome e quella pagina del taccuino si era ammorbidita per averla tenuta troppo tra le dita.

 

Capitano(?)

-forte

-alto grado

-adora la pulizia(?)

 

Era la lista più priva di significato che avesse fatto, ma non perché non riuscisse a a ricordare. Era senza significato perché non riusciva a dare un senso ai ricordi, non riusciva a metterli su carta. Si sentiva stringere il petto quando pensava al capitano, uno strano nervosismo che assomigliava a agitazione, ma mescolato con confusione. Ricordava un uomo dallo sguardo assottigliato e il viso squadrato che lo guardava con qualcosa che poteva essere approvazione o affetto, ma ricordava anche che lo stesso uomo lo aveva picchiato a sangue. Senza il contesto che poteva spiegare perché lo picchiava, non riusciva proprio a capire perché gli altri ricordi dell’uomo erano così… rosei. C’era dell’ammirazione (adorazione, in realtà), accondiscendenza, e anche qualcosa di nascosto che poteva lasciar intendere a qualcosa di più. Erano stati insieme? Era possibile? Ma di sicuro lo avrebbe ricordato. Non ricordava nessuna relazione. Forse, rimpianto.

Da come poteva vederla, sembrava una cotta a senso unico nata dall’ammirazione. Ricordava una figura minuta con lo sventolante mantello verde che stava in piedi sopra i resti di un mostro. E guardava verso di loro.

Quell’uomo voleva essere trovato?

Il telefono di Eren suonò facendolo sobbalzare. Si aspettava che fosse una ragazza della scuola che chiamava per il loro lavoro di gruppo (cosa che Eren continuava a ignorare), ma era Mikasa.

“Pronto?” rispose.

“Eren,” disse lei senza fiato. “Ti ricordi quegli annunci che avevo pubblicato?”

“Sì. Perché?”

“Lui è qui. Ci ha trovati.”

Eren afferrò la giacca e iniziò a correre.

***

“Non credo che nessuno lo possa ignorare,” diceva Armin con voce decisa contro il vociare del ristorante del centro commerciale. Sembrava non gli importasse di come Eren e Mikasa continuassero a toccarlo come per assicurarsi che fosse reale. I suoi occhi blu brillavano mentre continuava. “Ma c‘è una buona probabilità che le persone che ricordiamo abbiano trovato quelli vicini a loro, come noi, e stiano continuando a cercare. Solo Eren ha lo stesso cognome, non è che un elenco telefonico ci sarebbe di grande aiuto.”

“Quindi pensi che ci siano dei piccoli gruppi come il nostro in giro per il mondo?” chiese Eren. Si chiedeva chi il capitano avrebbe cercato, in tal caso. Il comandante biondo, forse, e magari la scienziata pazza con gli occhiali. O meglio, lei lo avrebbe trovato. Avrebbe cercato la squadra che Eren ricordava fatta a pezzi e insanguinata? In qualche modo nella sua testa quel ricordo orrendo era collegato al capitano. La squadra del capitano, forse? I suoi amici?

“Magari. Non esiste un manuale per queste cose. E non ha senso, non importa come la vedi, anche se credi alla reincarnazione. Voglio dire, ho letto tutti i libri di storia… ma è come se i ricordi siano di un’altra dimensione. Non del nostro vero passato.”

“Una storia alternativa?” suggerì Mikasa.

“O un futuro alternativo. Molto, molto alternativo.” Incrociò le braccia sul tavolo, appoggiandoci la testa su un lato. “Vorrei poter trovare gli altri. Questa cosa mi urta.”

Eren trattenne una risata a pensare che Armin lo aveva fatto sembrare un problema normale e da nulla. Era felice. Era davvero tanto felice che Armin si ricordasse di loro e che fosse lì. Anche se quel mondo era stato creato per persone come Armin, persone astute e non spietate o cattive, Armin voleva comunque stare con lui e Mikasa.

Non che Mikasa di solito fosse il problema; si era solo lasciata trascinare dall’entusiasmo di Eren, perfino una seconda volta.

“Potremmo mandare in giro una nostra foto,” disse Armin. “Fingiamo che sia un esperimento dei sei gradi di separazione (*). O che stiamo cercando dei parenti scomparsi o qualcosa del genere. Usiamo i social.”

“Ci ho provato su Myspace,” disse Eren. “Non è servito a nulla.”

“Facebook ultimamente sta diventando più famoso.” Armin sorrise. “Mia madre ce l’ha e pubblica sempre post stupidi. Dobbiamo pur cominciare da qualcosa, no?”

Mikasa fu d’accordo, ma Eren non poteva fare a meno di pensare al fatto che la persona con cui voleva di più parlare non lo avrebbe mai incontrato. Eren doveva trovarlo, doveva chiedergli perché c’erano così tanti ricordi sconnessi di lui che vagavano nella sua testa: violenza e rabbia accanto a sguardi intensi e notti passate a parlare. In ogni caso, gli sarebbe piaciuto ricordarne degli altri.

“Eren?” disse Armin risollevandosi. “Stai bene?”

“Hm? Oh, sì. Solo un po’ frustrato. Vorrei fosse più semplice.”

“Il mondo è grande,” disse Armin; sembrava ci fosse stupore nella sua voce. “Molto, molto grande. Quando penso a… ehm. Comunque, non è così importante trovare gli altri. È solo per gioco, vero? Perché sarebbe bello rivederli.”

“Chi vorresti di più ritrovare?” chiese Eren.

“A parte voi due? Ho sempre voluto trovare voi.”

“A parte noi,” disse Mikasa; Eren la guardò sorpreso. Non era mai stata una che amava curiosare, ma forse per lei questo era una questione di vitale importanza.

Armin sospirò rumorosamente. “Non giudicate, ok? Annie. Voglio trovare lei.”

Mikasa aggrottò le sopracciglia e Eren chiese, “La… lei è la bionda? Che… si era trasformata in uno di loro?”

Il suo vecchio amico annuì. “Chissà cosa ricorda. Se ricorda. Voglio trovare un senso a quello che ha fatto, in più si era rinchiusa in quel cristallo, quindi potrebbe aver vissuto abbastanza a lungo per vedere cosa è successo dopo che noi siamo scomparsi. E mi chiedo come sarebbe per lei vivere in questo mondo. Se si sente colpevole. Sono curioso.”

“Non innamorato, allora?” chiese Eren, un po’ egoisticamente. Sarebbe stato d’aiuto se Armin avesse avuto anche una cotta della sua vita passata di cui occuparsi. Non gli importava così tanto che questo amore perduto potesse essere una ragazza che lui aveva odiato e a cui aveva giurato vendetta; se Armin fosse stato innamorato di lei, Eren avrebbe messo da parte il suo odio, sempre se lei non si sarebbe trasformata in un mostro questa volta.

“Non credo. Non lo so. Che cosa provavo prima? So solo che avevo bisogno di voi, che avevamo bisogno l’uno dell’altro. Sono contento che sia ancora così.”

Mikasa strinse le mani di entrambi, il suo viso per una volta non era inespressivo. C’era un velo di lacrime nei suoi occhi. “Anche io. Eren, lo so. Lo so che pensi che a me non importi nulla degli altri. Invece sì. Ma sono molto felice. Anche se non incontrassi nessun altro di noi, sarei felice.”

Fece un respiro profondo.

“Ma dato che abbiamo tutta la vita davanti a noi, non credo ci sia nulla di sbagliato nel cercare gli altri nel frattempo. Abbiamo qui con noi il nostro genio. Possiamo trovarli.” Guardò Eren. “È questo ciò che vuoi, vero? E io lo voglio per te. Per tutti noi.”

Armin sorrise. “Genio. Quando ero alle medie tutta questa fiducia in me stesso mi sarebbe servita. Lo sapete che vengo ancora preso in giro? Perfino questa volta. Devo avere una faccia…”

“Avresti dovuto cercarci prima,” disse Mikasa, sembrando vagamente inviperita. Eren si trattenne dal sorridere.

“Non era una questione importante, non come allora. E poi, io stavo cercando. Non è colpa mia se siamo nati in Stati diversi.”

“E adesso?” disse Mikasa. “Non puoi restare, vero?”

“Posso restare per un po’, e mi fermerò di più quest’estate. Ma, pensavo, quando andremo al college…”

“Ci andremo insieme,” disse Eren, qualcosa dentro di lui gli suggerì quella rivelazione. “Dove? Credo che i miei voti siano abbastanza alti, ma non voglio ostacolarti.”

Armin arrossì un po’, prima di chinarsi per prendere qualcosa nel suo zaino. Un attimo dopo tirò fuori una cartellina e la porse a loro.

È a New York,” disse mentre loro aprivano al cartellina trovando i documenti per l’ammissione. “Ho trovato quello dalla rivista con più abbonati; immagino che avere accesso agli articoli potrebbe aiutarci a trovare la scienziata.”

“Vuoi dire quella con gli occhiali?” disse Eren.

“Sì, quella che faceva ricerca sui giganti. È impossibile che lei non sia una scienziata in questa vita, e che non sia altrettanto bizzarra. Per quanto riguarda gli altri, suppongo che sia meglio stare in una città affollata. Con più persone. Se stanno cercando i loro amici…”

È un buon punto di partenza,” disse Eren. Armin sorrise a vedere che aveva capito, ma Eren lo spiazzò con uno sguardo serio. “Bene, dato che hai scelto il college per noi, quali sono i nostri corsi?”

Armin rimase spiazzato, proprio come Eren pensava, e tutti e tre scoppiarono a ridere. Non importava loro se attiravano sguardi, non importava quando iniziava a sembrare che piangessero invece di ridere. Finalmente il trio era al completo ed era meglio di quanto avrebbero potuto mai sperare.

***

I primi mesi nella grande città furono frenetici, nel senso più positivo del termine. C’erano così tante persone che Eren si aspettava continuamente di alzare lo sguardo e trovare una faccia familiare. Poteva accadere in qualunque momento.

Se non fosse che, beh, c’erano un sacco di persone.

“Sono certo che troveremo la scienziata pazza se continueremo a leggere giornali,” disse Armin una sera, nella loro stanza in comune del dormitorio. Aveva passato la maggior parte del suo tempo a setacciare il sito della biblioteca universitaria per trovare le pubblicazioni più sconosciute. “Qualsiasi cosa sulle varie dimensioni, l’universo, o forse sulle allucinazioni o qualcosa del genere. Potrebbe essersi interessata a cosa sta succedendo a noi.”

Aveva il compito di assegnare i materiali da leggere e Eren stava imparando di più durante la ricerca della scienziata pazza che durante le lezioni.

Mikasa sospirò, buttandosi sul letto di Eren. La sua stanza era dall'altro capo del corridoio e lei passava alcune delle sue ore da sveglia da loro. “E se fossero nati da qualche altra parte e non avessero potuto andare a scuola?”

“Sarebbero scappati,” disse Armin senza esitazione. “Avrebbero trovato un modo. E poi non è forse questa la città delle possibilità?”

“La città che non dorme mai,” lo corresse Eren, distratto da un pensiero. Lunghe notti passate a parlare…

“Comunque, come sono le lezioni?” chiese Armin. Era un anno avanti a loro per il numero di crediti, ciò stava a dire che l’unico corso che avevano con lui era educazione sanitaria, che era considerata da tutti una sciocchezza e non era molto frequentato.

“Bene,” dissero all’unisono Mikasa e Eren. I due erano nella stessa facoltà (Scienze Motorie) e avevano gli stessi corsi, ma Eren frequentava Arte come corso a scelta e Mikasa aveva optato per il corso di Introduzione alla Psicologia. Oltre all'università, lei frequentava ancora molti corsi di arti marziali e Eren esplorava la città ad ogni occasione che gli capitava. Passavano del tempo separati abbastanza da sentirsi delle persone reali, ma non era abbastanza.

“Ti trovi bene con i tuoi compagni di corso?” chiese Eren, più dettato dal senso di responsabilità che da un reale interesse. Sapeva che Armin e Mikasa ce la stavano mettendo tutta per vivere in modo normale. Più di lui, comunque. Aveva già perso i contatti con parecchi dei suoi compagni e conoscenze delle superiori e non si stava facendo molti amici al college. Era difficile fingere un interesse quando ricordi di scenari infernali e volti mezzi dimenticati lo tenevano lontano dal mondo che lo circondava.

“Sì,” disse Armin. “Sono tutti molto interessanti. A volte è difficile trovarsi in sintonia, ma se faccio finta che l’altro mondo sia solo un sogno strano che abbiamo avuto, non mi sento poi così lontano da loro. E poi mi chiedo se dovremmo proprio fare tutto questo, no? Cioè, continuare così.”

Era un pensiero ormai vecchio, che avevano consumato a furia di discuterci sopra. Stavano sprecando le loro vite continuando a fare ricerche? Era meglio non sapere?

“Lo so,” disse Eren. Forse il giorno dopo sarebbe rientrato invece di passare le ore prima delle lezioni a camminare per le strade spiando dentro le vetrine dei locali nella vana speranza di trovare qualcuno. L’altro Eren non aveva mai avuto molte possibilità di dormire al coperto; non avrebbe dovuto concederselo ora?

Finalmente arrivò la sera; da un miscuglio di fogli, compiti e discussioni si passò dolcemente al sonno, quando Mikasa se ne andò nella sua stanza.

Eren lasciò il dormitorio alle otto della mattina seguente. Come al solito.

***

Il vento freddo gelava le dita di Eren e gli scompigliava i capelli, amplificato dagli edifici da entrambi i lati della strada. Non c’era la neve, ma era abbastanza freddo perché iniziasse a cadere, e Eren era costretto a camminare con le mani infilate fino in fondo alle tasche del suo cappotto verde scuro. Di tanto in tanto si sistemava la sciarpa bianca che indossava, o alzava il cappuccio foderato di pelo del cappotto, così che il vento non riuscisse più di tanto a intrufolarsi, ma sembrava che nulla fosse d’aiuto.

Le caffetterie lo attiravano da entrambe le parti, mettevano in mostra ciambelle e bevande e calde in tutti i gusti invernali. Era dura andare avanti a camminare e superarle, sapeva che presto avrebbe ceduto.

Non troverai nessuno, pensava fra sé e sé. Il pensiero era la sua costante compagnia in queste passeggiate mattutine. A volte riusciva a liberarsene immaginando di volare nell’aria tra i grattacieli come uno Spiderman con la cintura, ma il freddo inibiva la sua immaginazione. Non riusciva a mantenerla viva.

Qualcuno si scontrò con la sua spalla facendolo incespicare da un lato. Si girò per guardare, ma si fermò di scatto: da questa nuova angolazione riusciva a vedere oltre quel tizio alto dietro cui aveva camminato per alcuni isolati. Ciò che vide lo immobilizzò.

Più avanti camminava un uomo più basso della media e dai capelli neri, con un taglio proprio come quello che portava il capitano. Come se non fosse abbastanza, l’uomo scansava agilmente i passanti che gli arrivavano troppo vicini, facendo sembrare che non alterasse minimamente il passo. A Eren il respiro si bloccò in gola, tutti i pensieri delle caffetterie e del freddo lasciarono la sua mente.

“C-capitano!” gridò iniziando a correre. Superò l’uomo alto che gli impediva di vedere. “Capitano!”

I passanti lo guardavano straniti e lo spazio attorno a lui si fece libero. Eren rallentò il passo. L’uomo non si girava. Non era lui. Non era lui. Non era lui.

L’uomo basso davanti a Eren si girò.

Era lui.

 

(*) La teoria dei sei gradi di separazione ipotizza che ogni persona possa essere collegata a qualunque altra persona attraverso una rete di conoscenze e relazioni.

   
 
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