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Autore: Applepagly    06/01/2018    3 recensioni
Il riposo è solo un pretesto per nascondere un segreto, una festa è l’occasione per svelarlo. La battaglia è finita ma non è mai finita davvero, e il male non è fuori ma dentro le mura... inizia la ricerca di ciò in cui è difficile credere. Inizia la ricerca del bello.
Genere: Commedia, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bloom, Nuovo personaggio, Tecna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Merry-go-round'
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XI
 
Down here, I cannot sleep from fear, no
I said “which way do I turn?”
Oh, I forget everything I learn
Spies, Coldplay
 
La biblioteca della reggia di Solaria era situata in una struttura a parte, comunicante con quella principale solo grazie ad un lungo porticato che attraversava il vastissimo giardino sul retro del castello.
Di giorno – soprattutto d’estate e nel periodo del Soldì, quando il pianeta si trovava alla stessa vicinanza dai due Soli – quel lungo corridoio era racchiuso da sottili barriere di cristallo purissimo dalle proprietà rinfrescanti, cosicché l’ambiente fosse estraneo all’afa esterna.
Di notte, viceversa, l’arrivo della Luna comportava un drastico abbassamento delle temperature, e le barriere venivano rimosse.
Così, mentre avanzavano con fare circospetto, le tre ragazze potevano percepire distintamente il cicaleccio degli insetti che abitavano l’area circostante. Sulla destra, il grande lago ora scuro era illuminato solo dalle pallide stelle, che sembravano volervisi tuffare.
Creature luminose – Musa e Flora non sapevano cosa fossero, ma Tecna aveva affermato che erano innocue o che, perlomeno, avrebbero dovuto esserlo, se si fosse trattato di ciò che pensava – vi si abbeveravano in silenzio, beandosi della sottile brezza che le raggiungeva.
Ad un tratto, la piacevole arietta iniziò a farsi più vigorosa. In un battito di ciglia, le tre fate furono investite da un’imperiosa folata di vento.
Musa trattenne il respiro, inquieta. I refoli sussurravano, lasciavano strisciare delle parole nella mente; parole in una lingua che non era quella del vento che conosceva e che, in ogni caso, percepiva come minacciose.
Cercò gli occhi delle compagne, turbata; ma, quando li raggiunse, l’urlo impetuoso tornò quella gentile carezza che era stato fino a poco prima.
«Le condizioni climatiche di questo pianeta sono piuttosto curiose» considerò Tecna, procedendo.
Flora la seguì. Musa si fermò, guardando perplessa verso destra.
«Che ti prende?» le chiese l’altra, tornando indietro.
Le creature che avevano scorto vicino al lago non c’erano più. «Le hai viste anche tu. Le ha viste anche Tecna» fece, febbrilmente.
La bruna rise piano. «Musa, quella di prima era solo una storia! È possibile che si siano spaventate per l’improvvisa ventata» spiegò, nel tentativo di rassicurarla.
Musa annuì, con poca convinzione. Avanzò, lanciandosi un’ultima occhiata alle spalle; ed il cicaleccio era cessato.
«Ragazze…» un sussurro di Tecna chiamò la loro attenzione.
Ferma davanti all’imponente soglia della biblioteca, la fata della tecnologia fissava ad occhi sgranati la serratura. «È stata forzata»
Si guardarono. Qualcuno doveva averle precedute, ed ora se ne stava lì dentro.
«Forse dovremmo… aspettare qui fuori» suggerì Flora. «Così quando uscirà potremo bloccarlo»
«Potrebbe non essere il responsabile di-» iniziò Tecna.
«Oh, per favore!» la interruppe Musa. «Non credo si tratti comunque di uno che ha le migliori intenzioni di questo mondo. Se ha forzato una serratura significa che la sua presenza non era richiesta nella biblioteca; e qualcosa mi dice che non lo è nemmeno nel castello»
L’altra scosse la testa. «Nemmeno noi dovremmo essere qui, ma questo non ci rende delle malintenzionate, suppongo»
«Non ci rende tali solo perché noi non avremmo forzato la serratura, ma avremmo aspettato domani…» rispose, incerta. «…credo»
A ben pensarci, lei e le altre non avevano mai brillato per pazienza. Anzi, il primo anno ad Alfea e l’intrusione di Tecna nello studio di Faragonda ricordavano quanto il Winx Club fosse covo di possibili delinquenti.
«Facciamo un tentativo. Chiunque sia entrato, non sa che siamo qui» considerò la fata della tecnologia. «Lo saprà presto se continuiamo a temporeggiare e fare baccano»
«Aspetta» la fermò Musa.
Si avvicinò all’ingresso e, in un gesto rapido, scagliò un sortilegio sul legno pesante impreziosito di pietre e su di loro. «Almeno non cigolerà, e noi non ci faremo sentire. L’incanto di dissimulazione acustica non serve solo per le feste, a quanto pare»
Tecna abbozzò un sorriso, aprendo poi la porta.
Immersa nell’oscurità più totale, dall’ombra della biblioteca spiccavano solo le vette degli scaffali più alti, a malapena rischiarati da quella poca luce notturna che filtrava attraverso le vetrate concentriche poco distanti dal soffitto.
Nel buio sarebbe stato difficile capire in che direzione si muovessero e, soprattutto, distinguere la figura del presunto malintenzionato. In un riflesso involontario, si strinsero tra loro.
Perfino Tecna non poté fare a meno di ridurre il suo respiro ad un impercettibile inspirare ed espirare; perché non sapevano cosa o chi stesse rintanato lì, e la prospettiva di non sapere rendeva tutto più agghiacciante.
Musa aveva già sperimentato le stesse sensazioni quando, nell’antro sotto Fonterossa, con Stella ed un Timmy in stato comatoso, il mostro che si nascondeva lì era ancora un’entità sconosciuta.
Ebbe l’impressione di percepire un fruscio e, immediatamente, arrestò il passo. Flora, che doveva aver sentito lo stesso, le strinse un lembo della maglia, deglutendo.
Tecna, dimentica di ogni tipo di incantesimo e sortilegio, serrò i pugni. In tensione, probabilmente avrebbe iniziato a sferrare ogni genere di colpo se qualcosa l’avesse anche solo sfiorata.
Un’agitazione malsana aveva assalito anche lei, normalmente posata e poco incline a lasciarsi andare a quell’irrazionale timore… di cosa, poi?
Erano fate, dopotutto. Non invincibili, ma comunque dotate di cervello e di conoscenze sufficienti quantomeno a tentare di difendersi.
Animata da una rinnovata fiducia, si mosse in direzione di quel sinistro fruscio, seguita a ruota dalle altre due. Con cautela, protese le mani in avanti; come tastò il freddo legno di uno scaffale, sospirò di sollievo, impercettibilmente.
Quel punto era appena più illuminato degli altri, ed ora poteva distinguere i titoli dei libri ordinatamente disposti, ad un palmo dal suo naso. Tra due di questi, noto, vi era una fessura.
La mente corse a quella mattina, quando Brandon si era annunciato da lì e le aveva parlato. Dunque, oltre quella libreria doveva trovasi l’archivio che aveva consultato.
Scivolò verso sinistra, avvicinandosi allo spazio tra i due volumi, per accertarsi che fosse davvero l’angolo che ricordava.
Appena guardò oltre lo scaffale, di fronte a lei, nei pochi centimetri che separavano i tomi, comparve la sagoma di un altro occhio.
Tecna indietreggiò immediatamente, un urlo che le morì in gola.
«Tecna?» Flora impallidì, non comprendendo cosa avesse reso cadaverica l’amica.
Lei non avrebbe saputo spiegarlo. Come aveva incontrato quei colori, era rimasta pietrificata.
Lo sbigottimento fu tale da impedirle di ricordare con esattezza ciò che aveva visto; tuttavia, sapeva per certo che aveva generato in lei un’angoscia tale da farle venire voglia di gridare.
Appena voltò lo sguardo in direzione delle altre, un’ombra si mosse veloce tra le altre, scivolando via. Senza dire una parola, Tecna soppresse la paura e si precipitò all’inseguimento di quella figura.
«Tecna, che succede?» chiese Musa, mentre correvano.
L’altra non rispose; ma tutto, in lei, lasciava intendere che avesse avuto un incontro ravvicinato con la persona – ora era abbastanza certa si trattasse di qualcuno, e non di qualcosa – che aveva forzato l’entrata.
Come uscirono di lì, la brezza le investì nuovamente.
Dell’ombra non c’era traccia. Guardarono in tutte le direzioni, come a voler verificare che, di chiunque si fosse trattato, non fosse riuscito a mimetizzarsi.
«È scomparso…» mormorò Flora.
«Si può sapere cos’hai visto?» chiese invece Musa.
Tecna deglutì a fatica, riacquisendo un po’ di colore. Ora che avevano perso le tracce di quell’individuo, non sarebbe più stata tranquilla.
«Non lo so. Un occhio, e poi una sagoma» spiegò. «Non ricordo i dettagli, io… è stato… non so chi fosse. Però qualcosa mi ha turbato. Come… non sono in grado di spiegare»
«Un occhio…» rifletté l’altra. «Non capisco»
«Non ha importanza. Entriamo; a quello penseremo dopo» suggerì Tecna, portandosi una mano alla tempia. Doveva mettere da parte il timore, per un momento.
Fece per spingere nuovamente le porte, ma queste non si mossero. Inarcò un sopracciglio.
Guardò la serratura. Non c’era alcun segno di forzatura.
«Non ha senso» biascicò Flora, passandovi una mano. «Non può essere»
Con un incantesimo riuscì a sbloccare il meccanismo; e, quando, il portone scricchiolò pesantemente. Nonostante Musa lo avesse silenziato poco prima.
Come per i corridoi del castello, anche la struttura della biblioteca era illuminata da quei silenziosi lumini fluttuanti; benché prima non ci fossero.
«Cosa sta succedendo, qui?» fece la fata dei fiori, confusa più che mai.
Mosse qualche passo incerto, osservandosi intorno ed aspettandosi di vedere qualche creatura sbucare da dietro l’angolo. Tuttavia, nessuna strana cosa l’assalì.
Solo la fredda voce di Tecna che, dopo aver consultato l’archivio, informava le altre due che i documenti erano stati rimossi qualche ora prima.
 
«C’è una cosa che non capisco, di tutta questa storia. Quella figura… quell’occhio…» fece Stella, quella mattina. «È possibile che ve lo siate immaginate, giusto?»
«È possibile, sì; come le creature che bevevano al lago, e tutto il resto. Hai detto che non hai mai visto niente del genere, qui; no?» chiese Flora.
La principessa annuì. «Mi ero dimenticata di avvisarvi degli specchi» ridacchiò.
«Però, illusione o no, qualcuno ha davvero manomesso l’archivio. Ed è stato qualche ora prima che lo scoprissimo» ragionò l’altra.
La bionda sospirò, sporgendosi un po’ dal balcone del terrazzo. «Forse, l’illusione vi ha mostrato quello che è successo. Sta di fatto che questo significa che c’è un intruso; significa che qualcuno è riuscito ad introdursi qui, nonostante la sorveglianza»
Tecna scosse la testa, alzandosi da una poltrona. «Io credo, invece, che ci sia riuscito benissimo, senza dover ricorrere a nulla di particolarmente ingegnoso» asserì. «Un impostore»
Riflettendo con calma, quella notte, aveva formulato l’ipotesi che il curioso comportamento di Brandon quando, la mattina precedente, l’aveva raggiunta fosse da attribuirsi non alle sue stranezze, ma a quelle di un impostore.
L’espressione di sgomento che aveva assunto nel momento in cui l’aveva vista trafficare con quei documenti… il suo mutismo…
Tutto riconduceva a qualcuno che si era finto lo Specialista solo per avere libero accesso ad ogni struttura del castello e che aveva colto l’occasione per scoprire dove fossero custodite quelle informazioni.
Tutto riconduceva a qualcuno che non voleva che lei sapesse.
Ma perché?
«Per quale ragione qualcuno dovrebbe voler evitare che tu legga quei documenti?» pensò allora Flora.
Appoggiò sul tavolino la tazza di tè che stava sorseggiando, prendendo a massaggiarsi le tempie. «Insomma, la biblioteca di Solaria senz’altro custodisce informazioni più dettagliate ma, a grandi linee, suppongo che dica le stesse cose di qualsiasi altro libro di storia»
«Non lo so. Non lo so davvero» ammise Tecna. «Non riesco ad immaginare un solo motivo valido»
«Sentite, rimandiamo questa discussione a più tardi; eh? Ora abbiamo un po’ di cose da fare. Come prepararci, ad esempio» s’intromise Stella, alzandosi. «Presto arriveranno i nostri “ospiti”»
Le altre due si scambiarono un’occhiata incuriosita; poi, ricordarono ciò che la principessa aveva detto loro quella mattina. La bionda rientrò, facendo chiamare una domestica.
«Non dovremmo svegliare Musa e Bloom?» chiese la fata dei fiori, seguendo le altre due. «O, per lo meno, avvertirle?»
L’altra la guardò, inarcando le sopracciglia in un’espressione annoiata; scosse appena la testa, passandosi poi una mano tra i lunghi e folti capelli. La serva rientrò nella stanza, seguita a ruota da un altro paio di giovani ragazze; avevano tra le mani una serie di spazzole, spilloni ed altri aggeggi che nessuna delle due fate aveva mai visto.
«No» disse Stella, prendendo uno di quegli affari che, presumibilmente, dovevano avere a che fare con i suoi strani rituali mattutini. «Così imparano a non sentire la sveglia, saltarsi colazione e pranzo e perdersi le mie preziose novità»
«Avresti potuto dirlo prima. Proprio come per la vicenda degli specchi» fece notare Tecna, senza nemmeno cercare di mascherare il disappunto nella sua voce.
Si avviò verso la porta. Avrebbe svegliato Musa, anche se sapeva che questo le avrebbe assicurato il broncio per tutta la mattinata.
Dopotutto, lo avrà lo stesso, quando saprà della novità…
Forse dovrei svegliare anche Bloom.
Quella rise. «E rinunciare alle loro facce sconvolte? Nossignore. Ho grandi progetti, per quelle due dormiglione»
Tecna scosse la testa, mettendo piede in corridoio.
«Vado a svegliare Musa. Ti occupi tu, di Bloom?» fece, rivoltasi a Flora.
Quella annuì e si separarono.
Mentre raggiungeva la camera della compagna, non poteva fare a meno di rimuginare su ciò che era accaduto quella notte e sull’assurdità di quella vicenda. Non si sarebbe tirata indietro e, questa volta, non aveva freni come il senso di responsabilità o la fedeltà a Faragonda ed alla scuola; tuttavia, da una parte, iniziava a percepire la stanchezza.
Le piaceva indagare ogni dettaglio di ciò che rappresentava un mistero; eppure, forse, alla lunga sarebbe diventato insostenibile. Oltretutto, proprio non comprendeva come uno sconosciuto potesse averla pedinata, osservata e capita così bene da conoscerla quasi come se fosse stato a contatto con lei quotidianamente.
Doveva trattarsi di qualcuno che aveva avuto tempo e modo per studiarla tanto a fondo da conoscere le sue abitudini e sapere che avrebbe trascorso gli ultimi giorni di vacanza su Solaria. L’impostore, poi, aveva voluto assumere le sembianze di Brandon, a quanto pareva.
Forse li aveva osservati mentre conversavano; o, forse, - e la prospettiva la indisponeva più di qualsiasi altra cosa – aveva seguito i loro movimenti da molto prima. Addirittura, poteva aver iniziato a prestare loro attenzione da quando avevano cominciato ad avvicinarsi.
Non erano le dinamiche del fatto, a turbarla molto. Avrebbe potuto facilmente ricostruirle, si si fosse messa d’impegno.
No; il quesito principale restava la ragione per cui qualcuno avesse potuto prendere di mira proprio lei.
Tecna passava sempre inosservata. Non che le interessasse particolarmente quel che gli sconosciuti potevano pensare di lei; ma, in ogni caso, era quanto mai raro che qualcuno potesse notare le sue stranezze e le sfaccettature di lei.
Ogni qualvolta che usciva con le amiche, a Magix, faceva da tappezzeria; ed era quindi insolito che ora si trovasse ad essere nel mirino di qualcuno.
Sospirò. Di fronte alla soglia che dava accesso alla camera di Musa, bussò.
Dall’interno non provenne alcuna risposta. «Musa? Potresti aprire?»
Un mugugno ed il fruscio di coperte; poi, il silenzio. Doveva essersi rigirata nel letto.
«Musa, è meglio che ti svegli. È piuttosto tardi» continuò.
«Oh, Tecna» borbottò quella, contro il cuscino. «Ho sonno. Siamo rimaste sveglie fino a tardi e abbiamo visto il mondo»
«Lo comprendo. Tuttavia, è davvero tardi» insistette. «Sarebbe conveniente se ti alzassi ora. Avremo presto degli ospiti, a quanto pare»
Un rumore sordo, – Tecna ebbe l’impressione che l’altra fosse caduta dal letto ed avesse lanciato un’imprecazione – passi che si avvicinavano, frettolosi; e poi una porta spalancata, così come gli occhi scuri ed assonnati dell’amica.
«Ospiti?» sbottò, ancora intontita.
Lei annuì. Entrò, seguendo con lo sguardo la compagna, ora alla ricerca di qualcosa da indossare quella mattina. «Stella ce lo ha detto stamane. Ne discuteva ieri al telefono con Looma»
«E questo cosa ha a che vedere, con noi?» mugugnò la mora, annoiata.
Si stropicciò gli occhi davanti allo specchio. I capelli erano un disastro e a niente servì lo stupido pettine che si era portata da casa.
«Beh… Stella aveva detto che avrebbe voluto festeggiare in grande; ricordi?» spiegò, sedendosi sul bordo del letto. Musa era in quella camera da meno di un giorno e, nonostante questo, era già riuscita a marcarlo con l’inconfondibile disordine che regnava nei suoi spazi.
«Perciò ha pensato di invitare anche i ragazzi, per questa sera»
«Che cosa?» sbiancò, perdendo presa sui pantaloni che aveva preso dalla valigia. «Come sarebbe a dire che ha pensato di invitare anche i ragazzi? Non poteva dirlo con un po’ di preavviso?»
Come aveva pronosticato, il malumore dell’amica raggiunse vette mai toccate prima.
La ragazza si era precipitata nel piccolo bagno annesso alla stanza, imprecando qualcosa a proposito di una “gallina bionda” e della necessità del “tirarle il collo”, e combinando un disastro tra abiti e pettini.
Dopo aver guardato l’ora ed aver cacciato un urlo, si mise a cercare disperatamente una borsetta seppellita sotto un cumulo di vestiti. Alla fine, dopo aver litigato con la cerniera, riuscì ad estrarne spazzolino e dentifricio.
Quest’ultimo finì sul pavimento e, nella frenesia del momento, Musa pestò il tubetto quando era ancora aperto, macchiando la moquette del bagno. Inveì, prendendo a spazzolare i denti con furia mentre, con l’altra mano, tentava di sciogliere un grosso nodo di ciocche scure.
Tecna avrebbe trovato comico quel momento, se strascichi delle sue congetture a proposito dell’impostore non avessero ancora ottenebrato la sua mente.
«Una viene qui per stare in compagnia, divertirsi e tutto il resto; e quella che fa? Ne approfitta appena abbassi la guardia!» borbottò, tra un colpo di pettine e l’altro. Sputò nel lavandino, sciacquandosi poi la bocca. «Sapevo di non dovermi lasciar distrarre dalla nostra tregua momentanea! Ha invitato i ragazzi… i ragazzi!»
«Non è nulla di che, Musa. Non capisco perché ti agiti tanto; pensavo che l’idea ti avrebbe infastidito» rifletté l’altra, senza scomporsi.
Musa si sporse appena dalla porta, cercando di fulminarla con lo sguardo. Purtroppo per lei, però, la sua espressione era già sufficientemente corrucciata nell’atto di pettinarsi, per poter risultare minacciosa.
«Io sono infastidita!» esclamò, contrariata.
«Non si direbbe. Dall’emozione con cui hai accolto la notizia, sembrerebbe che ti renda lieta» ragionò. «Sei divisa tra la contentezza che scaturisce dalla possibilità di rivedere gli amici ed il disappunto per non esserne stata avvisata per tempo»
«Non funziona così» fece notare, lanciando in un angolo i pantaloni che aveva preso prima. «Io sono divisa tra la contentezza che scaturisce dalla possibilità di rivedere gli amici ed il disappunto che scaturisce dalla possibilità di rivedere Riven
«E dal fatto di non esserne stata avvisata per tempo» concluse, riflettendo attentamente. «È curioso. Non è forse per lui, che ti stai agitando ed imbellettando in questo modo?»
Musa rispose con uno sbuffo esasperato, troncando la conversazione.
Alla fine, seppure a forza di sbraiti ed imprecazioni, riuscì ad uscire da quella stanza in condizioni più o meno decenti. Agitata, aveva ormai anche dimenticato quel senso di fame che aveva assaltato il suo stomaco appena aveva aperto gli occhi.
Tecna sembrava assolutamente indifferente, di fronte all’idea di rivedere Timmy. L’amica sapeva abbastanza dell’altra e del suo modo di ragionare, da sapere anche che lei sarebbe stata felice di trascorrere un po’ di tempo con lui; ma il fatto che non fosse agitata nemmeno un po’ non lasciava dubbi sulla natura dei sentimenti che nutriva per lui.
Seppur con riluttanza ed imbarazzo, quell’estate, prima di tornare a scuola, Tecna le aveva raccontato ogni cosa dell’esperienza su Zenith. E, con sua somma sorpresa, Musa l’aveva capita.
Ora, che aveva capito di non considerare Brandon nulla di più di un piacevole conoscente e confidente, – e, nei giorni in cui era di buon umore, un amico – aveva cercato di fare chiarezza circa la sua amicizia con Timmy.
Un’amicizia che forse sarebbe rimasta tale.
«Stella me la pagherà» biasciò, mentre raggiungevano la stanza di Bloom.
Dalle interiezioni ed urla udibili anche attraverso lo spesso legno della porta, comprese che l’altra fata doveva aver avuto pressappoco la sua stessa reazione.
Almeno avrò qualcuno con cui gridare addosso a Stella.
Bloom, dal canto suo, aveva impiegato molto più tempo, a svegliarsi ed alzarsi, di quanto ne avesse speso Musa. Quando lei e Tecna entrarono nella stanza, la trovarono più o meno nel medesimo stato di quella della prima.
Il brillante arancione del pavimento quasi scompariva sotto la massa di magliette e maglioni sparsi a terra; una scarpa sbucava, per qualche oscura ragione, dall’intelaiatura di legno del baldacchino del letto, legata in un saldo nodo che la lasciava oscillare vertiginosamente ad ogni paio di pantaloni scaraventato in malo modo sul materasso.
La ragazza si muoveva freneticamente da un angolo all’altro della camera, ora frugando in un cumulo di vestiti, ora in un armadio in cui non sapeva se avesse messo qualcosa o meno. Il viso era rosso per la rabbia e faceva pendant con i capelli corti e spettinati, raccolti alla bell’e meglio in una serie di mollettoni e pinzette da cui sbucavano sporadiche ciocche fulve.
Sul naso aveva uno di quei cosi che chiamava “cerotti” e che, a quanto pareva, usava la notte per poter respirare meglio.
Nel complesso, Musa la trovò buffa.
«Le costava tanto, avvisarci ieri?» sbraitò, lanciando un berretto di lana a mo’ di frisbee. «Appena esco di qui mi sente!»
Continuò a borbottare per un po’, accompagnando le male parole ad abiti che, prima o poi, finivano inevitabilmente per volare in aria e ricadere in ogni dove.
«Bloom, ma cosa stai cercando?» chiese Tecna, ad un certo punto.
«Non lo so… è questo, il punto!» rispose lei, con tono esasperato.
«Su, su… non è il caso di farla tanto grave. Dopotutto, li vediamo quasi ogni giorno, normalmente… no?» fece Flora, conciliante. «Non credo sia importante come sei vestita. Anche perché i festeggiamenti sono questa sera»
Bloom scosse la testa. «La fai facile, tu!» sbraitò, supportata da Musa, che annuiva.
«Normalmente non mi fregherebbe nulla, lo sai» continuò. «Ma è diverso, in questo caso!»
La testa della fata della musica non faceva altro che assentire, trovandosi costretta ad essere d’accordo su un argomento così complicato e fastidioso che solo chi lo viveva in prima persona poteva comprendere.
«Non è detto che ci sia anche Sem» insistette Flora.
La fulva si fermò un istante, per lanciarle la sua peculiare occhiata da “mi prendi in giro?”. «Credi davvero che Stella sprecherebbe un’occasione perfetta come questa per mettermi a disagio e lasciarmi sola con un ragazzo di cui è convinta io sia innamorata follemente?»
«Beh, se ti agiti tanto, forse, non ha tutti i torti» realizzò Tecna, corrugando la fronte. «Musa ha avuto pressappoco la stessa reazione, caratterizzata dalla medesima quantità di panico. Lei e Riven hanno una curiosa relazione che oscilla tra l’attrazione e la mal sopportazione»
La diretta interessata arrossì fino alla punta dei capelli, assumendo un’espressione scandalizzata. «È un’idiozia!»
«Quale delle sue affermazioni?» rise Flora, nell’atto di porgere a Bloom una spazzola.
Sembrava che, in quell’intermezzo, avesse finalmente deciso come conciarsi. Ascoltava, intanto, e non poteva fare altro che immedesimarsi in Musa.
«Andiamo via, Bloom» fece quest’ultima, fingendosi oltraggiata. «Sono solo capaci di sfotterci»
«Posso unirmi a loro?» la voce di Stella le sorprese da dietro.
Una mano su un fianco, l’altra appoggiata ai cardini della porta, la principessa sfoggiava una di quelle discutibili acconciature particolarmente di moda su Solaria. Tecna ricollegò immediatamente quella pettinatura alle spazzole ed all’inenarrabile quantità di pinze e spilloni che la servitù aveva portato con sé, nella camera di lei.
Bloom e Musa si voltarono di scatto e, come furie, si avventarono sulla bionda. «Tu!» esclamarono, all’unisono.
Si avvicinarono, minacciose, costringendola ad arretrare in corridoio. «Posso spiegare…» sorrise, con aria innocente.
«Non c’è nulla da spiegare» masticò Bloom. «Tu…»
Le parole le morirono in gola.
Ancora una volta, entrambe dovettero darsi delle sciocche, ingenue sempliciotte, troppo propositive per rendersi conto della potenzialità di quella mente che Stella mascherava, e che usava solo quando si trattava di far giostrare tutti a ritmo dei castelli per aria che si costruiva basandosi sulle relazioni dei suoi amici.
Ancora una volta, Bloom dovette ammettere la riuscita del diabolico piano architettato dalla sua migliore amica.
I ragazzi erano lì; Sem era lì, di fronte a loro. E lei?
Beh, lei aveva ancora quel maledetto cerotto sul naso.
 
Do we really care
Or are we still struggling to swim
I don’t know why we can’t just live with
The weight of your heart
Out On A Limb, Faunts
 
Buon anno, vittime mie!
(Sì, cinque minuti sono andati via per colorare questa frase)
Vi risparmio il racconto di tutte le peripezie per le quali l’aggiornamento giunge con una decina di ore d’anticipo. Beh, peripezie…

Semplicemente, da brava procrastinatrice quale sono, la domenica che mi attende sarà all’insegna della matematica, della fisica, del latino e della storia (perciò, ecco, se qualcuno di voi si ritrova nella mia stessa situazione, cheer up, gli sfaticati esistono in ogni parte del mondo!); quindi eccoci qui.
Si fa complicata? Nah, le Winx sono delle investigatrici di prima categoria.
Intanto, Bloom dà di matto. No, Sem non le piace, eh!
I cerotti sul naso… miei salvatori. Specialmente in questo periodo.
Grazie a tutti, siete la mia vis vitalis!
7th
  
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