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Autore: Lhea    18/01/2018    1 recensioni
Seguito di "Russian Roulette".
Los Angeles: le strade della Black List non sono più quelle dei piloti clandestini, da quando c'è Irina Dwight a fare l'agente di polizia. Eppure, anche nelle notti più tranquille, lo spirito della Black List si agita ancora. Uno spirito diverso, distorto, più nero di quanto non lo è mai stato; uno spirito risorto dalle ceneri della leggenda dello Scorpione e delle sue auto. Uno spirito fatto rinascere da chi non ha mai conosciuto il lusso dei locali della costa, da chi non ha mai giocato il proprio denaro dei casinò di Las Vegas, da chi non ha mai accarezzato il volante di un'auto da duecentomila dollari.
Questa volta, il passato da pilota clandestina e il presente da agente di polizia non basteranno a Irina per affrontare la partita a scacchi che le verrà proposta. Non basteranno le sue capacità, né la sua auto. Non basterà nulla di tutto ciò che ha già.
L'unica cosa che potrà salvarla sarà il suo nome, il nome con la quale porta ancora vivo addosso il ricordo della Black List: Fenice.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Madrid, Spagna – Ore 24.00

Nel locale affollato i ragazzi si muovevano a ritmo della musica, in un miscuglio di arti che si agitavano, bottiglie di alcolici che venivano passate di mano in mano e bicchieri che venivano rovesciati a terra, nel tumulto del divertimento. L'odore di sudore, il dolciastro dei drink e il fumo emesso dai macchinari posti vicino alle casse permeavano l'ambiente, l'aria densa e il buio rischiarato dalle luci psichedeliche.

Dimitri Goryalef osservava la scena dal luogo più appartato e silenzioso del locale, il bicchiere di rum ancora mezzo pieno appoggiato sul tavolino, il piattino di salatini intonso. Arricciò il labbro, mentre quelli che sembravano suoi coetanei si saltavano addosso senza ritegno, avvinghiati in mezzo alla folla baciandosi come se non ci fosse un domani.

Odiava quel posto. Odiava la musica, odiava l'odore, odiava la gente che stava lì dentro, eppure ormai ci veniva quasi sempre tre volte a settimana, perché Al Sancho era un buon posto per trovare qualcuno con cui gareggiare. Doveva solo aver pazienza, tenere a bada l'istinto che lo spingeva ad andarsene e sopportare la musica orrenda.

Buttò giù d'un fiato il rum, sentendo il liquido forte che gli scendeva lungo la gola: se non fosse stato per il fatto che era quasi congelato, non se ne sarebbe nemmeno accorto. Ultimamente, il suo stomaco con faceva alcuna differenza tra acqua e superalcolici: poteva bere quattro o cinque drink di seguito senza risentirne neanche un po'.

<< Te ne porto un altro? >>.

Una ragazza dai capelli scuri e gli occhi verdi si avvicinò con un vassoio vuoto stretto proprio sotto il seno, quasi a volerlo far risaltare nella camicia bianca fasciata dalla parte sopra della salopette nera. I capelli lunghissimi, legati stretti in una coda, le poggiavano sulla spalla, illuminati dalla luce intermittente delle lampade.

Dimitri la guardò per un'istante, quel tanto che bastava a identificarla e a notare l'ennesima occhiata che Nieves gli lanciò per dimostrargli tutta la sua disponibilità, in ogni senso.

<< No >> rispose seccamente, sapendo di essere ben udibile nonostante la musica.

La ragazza non si scompose, come faceva ogni volta, e Dimitri la trovò irritante.

<< Allora ti porto qualcos'altro? >> chiese, quasi cinguettando.

<< No, non voglio nient'altro >> rispose Dimitri.

Nieves strinse ancora di più sotto il seno il vassoio, e il russo quasi ringhiò. Voleva solo che se ne andasse, e che lo lasciasse in pace ad aspettare il suo prossimo sfidante, chiunque fosse e a qualunque ora arrivasse.

Senza chiedergli nulla, si sedette di fronte a lui, appoggiando il vassoio sul tavolo, osservandolo con quello che doveva essere uno sguardo provocante, ma che gli dava soltanto irritazione. Il trucco pesante gli nascondeva completamente la sua vera faccia, e al russo sembrò di aver davanti una statua di cera. Nieves giochicchiò con la ciotolina delle noccioline, forse nel vano tentativo di sciogliere la tensione che si stava creando.

<< Sai, sei un ragazzo affascinante... >> iniziò, picchiando le unghie smaltate di viola sulla superfice del tavolino, << Dicono che arrivi dalla Russia, è vero? >>.

Dimitri le gettò un'occhiata carica di fastidio. Erano tre settimane che quella ragazza non faceva altro che cercare di approcciarlo in qualche modo, e la sua pazienza stava terminando. Dicevano tutti che era carina, ma a lui non interessava affatto che lo fosse: non gli diceva assolutamente nulla da quel punto di vista, e in più la trovava invadente.

<< E' vero >> rispose laconico, confermando qualcosa che si sapeva già in giro.

<< Perché sei andato via? >> domandò Nieves.

<< Non sono affari che ti riguardano >> rispose Dimitri.

La ragazza non sembrò spaventarsi, per il suo tono e la sua risposta. Molto probabilmente, doveva essere anche stupida, oltre che impicciona.

<< Riguarda il tuo... >>, Nieves non finì la frase, ma si indicò l'orecchio, quasi che a mostrarlo fosse meno imbarazzante che dirlo.

Dimitri arricciò il labbro, infastidito. Non gliene fregava niente che gli ricordassero che avesse l'orecchio sinistro mezzo maciullato, e una cicatrice che arrivava fin sotto la nuca; non gliene fregava nulla che lo trovassero orrendo o attraente. Erano liberi di non guardarlo, se li disgustava. Ma non tollerava le domande sbagliate fatte dalle persone sbagliate.

<< Me ne sono andato perché sono ricercato dai Servizi Segreti russi e dall'F.B.I. americana. Perché? Perché nell'ultimo anno ho ammazzato circa una dozzina di persone. Molto probabilmente dovrò uccidere anche te, se continui a fare domande >>.

Dimitri aveva parlato con il tono più gelido e aggressivo di cui era capace, e il fatto che la ragazza sbiancasse di colpo gli confermò che era riuscito nel suo obiettivo: togliersela dai piedi.

<< Vattene >> aggiunse.

Nieves si alzò di scatto, recuperò il vassoio e si allontanò rapidamente, senza dire una parola ma con gli occhi lucidi. Dimitri si limitò a osservarla, mentre tornava dietro il bancone a fare finalmente il suo lavoro, turbata. Appoggiò la schiena alla sedia, incurante del fatto di averla trattata fin troppo male per qualche domanda innocente.

Nell'ultimo anno e mezzo erano cambiate tante cose, e la poca pazienza che lo aveva contraddistinto era completamente scomparsa.

Da quando Irina Dwight e Alexander Went l'avevano lasciato scappare, dopo la loro missione in Russia, e la Lince era stata arrestata, non aveva potuto rimanere a Mosca, un po' perché era ricercato, un po' perché nella città si erano scatenate faide tra le bande che erano sempre state sottoposte al controllo della Lince.

Subito dopo la cattura di Dan, l'italiano che si era finto loro amico in Russia, aveva preso la Ferrari 599 di Went e si era diretto verso San Pietroburgo, da un lontano cugino che gli aveva offerto ospitalità per qualche giorno, giusto il tempo di riprendere contatto con Emilian Goryalef e farsi aiutare nella fuga.

Aveva fatto sparire la Ferrari e si era procurato documenti falsi, cellulari non rintracciabili e armi in caso di necessità. Con l'aiuto di Emilian aveva comprato una anonima utilitaria intestata a un prestanome ucraino e aveva lasciato la Russia in auto, raggiungendo il Belgio, dove era rimasto quattro settimane, in attesa che si calmassero le acque dopo la cattura della Lince.

Per due mesi si era mosso attraverso l'Europa, senza fermarsi per più di qualche giorno nello stesso posto. Era stato in Francia, in Germania, persino in Italia, cercando di sfuggire agli sbirri e agli agenti dell'F.B.I. che gli davano la caccia. All'inizio, aveva dovuto fare attenzione a ogni mossa che faceva, ma dopo tre mesi la stretta intorno a lui sembrava essersi allentata, ed era tornato a Mosca per qualche giorno.

Senza la Lince, la situazione si era fatta caotica. Le varie bande che prima venivano in qualche modo tenute sotto controllo dalla Lince ora si facevano la guerra tra loro, senza punti di riferimento. In più, quello che rimaneva della famiglia di Vladimir Buinov aveva cercato vendetta, prendendosela prima con i Goryalef, e poi direttamente con lui. Per fortuna la cosa si era risolta con uno spargimento di sangue limitato, e la famiglia Buinov era stata definitamente eliminata, a parte il figlio, un ragazzo giovane e inesperto.

Quando le cose sembravano essersi stabilizzate, Dimitri se ne era andato di nuovo, viaggiando solo in auto e tornando a girare per l'Europa. Era rientrato a Mosca solo in occasione della nuova Mosca-Cherepova, indetta straordinariamente quando Severin Burenko, detto il Diavolo, aveva cercato di rivendicare la posizione come Lince, vuota.

Ne aveva parlato molto con suo cugino Emilian, e con tutti i membri della sua famiglia, nonché quelli che una volta erano stati i referenti: Mosca era nel caos, senza una guida. Era assurdo, ma i servizi segreti russi non avevano fatto altro che peggiorare la situazione, facendo arrestare la Lince. Se prima c'era un minimo di controllo, anche se illegale, ora ognuno faceva quello che voleva, e gli scontri erano all'ordine del giorno, sia a Mosca che a San Pietroburgo. Era ovvio che per rimettere le cose a posto fosse necessario avere un nuovo capo, e la Mosca-Cherepova poteva essere un buon espediente per far prevalere qualcuno.

Era stata una gara difficilissima, e lui aveva partecipato da solo. All'interno della sua famiglia tutti sapevano che non esisteva nessun con più diritto di lui a rivendicare il posto, ma fuori non era ben visto, perché la sua lontananza dalla Russia in passato lo rendeva quasi un estraneo. La questione della fedeltà e del senso di appartenenza erano qualcosa di molto radicato, nella cultura dei russi, ma per lui non c'erano stati problemi a mettersi in gioco.

La sua vittoria era costata la vita di suo cugino Gavriil e quella di un altro paio di russi della famiglia Romanesko, che fino ad allora avevano controllato le zone periferiche della città, ma era servita a legittimargli finalmente suo posto come Lince. Nessuno aveva osato opporsi, anche se lui si era ritrovato a voler lasciare nuovamente Mosca molto in fretta.

L'orecchio lo aveva quasi perso dopo, ma quella era un'altra storia.

Si versò un altro bicchiere di vodka e osservò la gente ballare nel locale, infastidito dalla musica troppo alta e dall'odore di fumo e cibo. Lasciò una banconota sotto la bottiglia e si alzò, dirigendosi verso l'uscita del locale, mentre qualcuno lo osservava, incuriosito.

La sua BMW M6 grigio titanio era parcheggiata a una decina di metri dall'ingresso, la carrozzeria sinuosa baciata dalla luce dei lampioni nella notte. Se non fosse stato per i cerchi da diciannove pollici e il motore V10 da 507 cavalli nascosto sotto il cofano, sarebbe apparsa come una vettura piuttosto normale, e non quella di un ex pilota della Black List. Nell'ultimo anno aveva dovuto imparare a essere piuttosto discreto, per non attirare l'attenzione della polizia.

<< Ehi, sei tu quello che chiamano Mastino? >>.

Dimitri si accorse di un ragazzo che stava in piedi a pochi metri da lui, vicino a una Nissan 350Z gialla, due strisce nere a delinearne il cofano. Doveva essere appena arrivato, perché non aveva nemmeno parcheggiato.

<< Sono io >> rispose solamente.

<< Sono qui per una gara contro di te >> disse baldanzoso il ragazzo, con un accento strano, che aveva poco a che fare con lo spagnolo, << Dicono che tu sia il più forte pilota in circolazione >>.

Dimitri fece una smorfia, mentre il proprietario del locale, un uomo di circa cinquant'anni, dai capelli scurissimi e un accenno di barba, usciva fiutando già gli affari della serata. Fu subito seguito da un gruppetto di aspiranti scommettitori, i bicchieri di alcolici in una mano e una sigaretta nell'altra.

<< Dai il libretto della tua auto a lui >> disse, facendo un cenno verso Igualdo Maria Sanches, il titolare, << Saprà cosa fare >>.

Salì sulla M6, osservando il ragazzino aspettare che si posizionasse di fianco a lui, baldanzoso come solo i novellini sapevano essere. Il ruggire dolce del motore gli fece sbollire appena il fastidio che le domande di Nieves gli avevano provocato, abbastanza per decidere che avrebbe cercato di non ucciderlo. Ultimamente, quasi nessuna delle sue gare si concludevano senza incidenti.

Saggiò il volante, prima di gettare un'ultima occhiata alla Nissan 350Z, la folla che si radunava all'uscita davanti Al Sancho, rumoreggiando. Vide Sanches raccogliere le scommesse accumulando in una cassettina di legno le banconote da cinquanta euro che gli venivano quasi ficcate in mano. Sapeva di essere il favorito, come ogni sera, e puntare su di lui era come scommettere che il sole sarebbe sorto.

Sentì il motore della 350Z rombare alla sua destra, i fari puntati sulla strada di fronte a loro, una via stretta e malfamata di Madrid. I palazzi incombevano su di loro, le facciate cadenti e scrostate, i marciapiedi vuoti e sporchi.

Le strade europee non erano come quelle americane, larghe e spaziose, ma era sempre stato abituato a guidare ovunque. Ai tempi della Black List le gare nei canyon, disputate su salite e discese con curve a gomito e strapiombi, erano state la sua specialità.

Il contagiri della M6 si mosse nervoso, mentre una ragazza fasciata in un tubino nero di pelle si piazzava tra le due auto per dare il via. Anche dall'orecchio maciullato Dimitri sentì i fischi di apprezzamento della gente, e con la coda dell'occhio colse lo sguardo che il suo sfidante lanciò alle gambe nude della ragazza.

Aveva già perso in partenza, se di distraeva per così poco.

Quando la ragazza abbassò le braccia, il Mastino affondò il piede sull'acceleratore, facendo sgommare le ruote della BMW e fiondandola in avanti con uno stridore assordante. La 350Z fece altrettanto, ma perse diversi metri per colpa del motore meno potente.

Dimitri svoltò a destra, perdendo di vista la Nissan per qualche secondo. Le luci intermittenti di un semaforo non gli impedirono di proseguire la corsa, il motore della M6 che ruggiva quasi impigrito, mentre si ritrovava costretto a rallentare, pur di non perdere di vista il suo avversario.

La BMW disegnò una curva perfetta, imboccando la sopraelevata che l'avrebbe portato dall'altra parte della città, mentre i fari della Nissan rimanevano due puntini nel suo specchietto retrovisore.

Dimitri accelerò, annoiato da quel pilota da quattro soldi. Aveva sopravvalutato di molto le sue capacità, e l'umiliante sconfitta che stava subendo ne era la dimostrazione.

Le vie di Madrid filavano ai suoi fianchi deserte e silenziose, mentre correva quella stupida gara priva di gusto. Rallentò appena nei pressi di un incrocio, giusto per dare il modo alla Nissan di avanzare.

Nero e veloce come un treno, una Audi Q7 nero sbucò alla sua sinistra con un rumore assordante, e Dimitri sterzò bruscamente nel tentativo di evitarlo. Il posteriore sfiorò il muso dell'auto, facendolo sbandare, proprio mentre la 350Z piombava dietro di lui...

Dimitri imprecò e premette a fondo l'acceleratore, ma la M6 scodò ancora di più, quando il rumore di un proiettile si confuse con il rombo dei motori e gli stridii delle gomme. La ruota bucata lo fece sbandare nuovamente, facendo finire la BMW sopra il marciapiede.

Un altro sparo, e la M6 finì la sua corsa contro la vetrina di un negozio, mentre Dimitri stringeva il volante e incassava il colpo. Il parabrezza si crepò, ma l'urto non fu così forte da far scoppiare gli airbag, e Dimitri ebbe il tempo di vedere il Q7 nero fermarsi a pochi metri da lui. Due uomini scesero armati di pistole.

"Figli di puttana...".

Dimitri afferrò la calibro 6 che teneva nel cruscotto, infuriato. I due, chiunque fossero, non ebbero il tempo di rendersi conto che era armato: premette il grilletto quasi senza prendere la mira. Il tonfo dei loro corpi che cadevano a terra fu coperto dal riverberare dello sparo, che svegliò l'intero quartiere. Nella strada deserta nessuno assistette alla scena, ma era certo che da un momento all'altro tutta la polizia di Madrid gli sarebbe stata addosso.

La Nissan 350Z era ferma a una decina di metri di distanza, il motore ancora acceso e i fari che illuminavano la carreggiata, i vetri spaccati del negozio che luccicavano sull'asfalto. Il ragazzo che lo aveva sfidato stava rientrando in auto, molto probabilmente per tentare la fuga.

Con una smorfia, Dimitri sparò alle gomme posteriori, costringendo la Nissan a rimanere dov'era.

In un attimo, raggiunse la vettura e spalancò la portiera, afferrando il ragazzo e scaraventandolo fuori dall'abitacolo. Gli strinse la mano intorno al collo, sbattendolo violentemente contro il cofano dell'auto, mentre le luci degli appartamenti del quartiere iniziavano ad accendersi, per via del casino.

<< Chi cazzo ti manda? >> ringhiò Dimitri a pochi centimetri dal suo volto, << Chi ti manda? >>.

<< Nessuno >> rispose il ragazzo, anche se sembrava voler ridacchiare, e non dava l'idea di essere veramente spaventato.

Dimitri si innervosì. Con un colpo secco sbatté la testa del ragazzo sulla lamiera dell'auto, mentre quello cercava di divincolarsi e fuggire.

<< Chi ti manda? >> ringhiò di nuovo.

Con un rivolo di sangue che gli usciva dal naso, il ragazzo si limitò a rispondere: << I fantasmi della Black List >>.

Dimitri lo fissò: sapeva riconoscere le persone che non avevano intenzione di parlare. In Russia ne esistevano molte, perché la fedeltà era importante, ed erano quelle che molto spesso finivano ammazzate per difendere i propri compagni. Visto l'affronto, essere attaccato durante una gara, Dimitri avrebbe volto ucciderlo, ma capì che sarebbe stato inutile. Doveva sfruttare quella situazione a suo vantaggio.

Strinse la gola del ragazzo, quasi soffocandolo. Lo vide annaspare in cerca di aria, gli occhi strabuzzati.

<< Allora riferisci ai tuoi fantasmi che stanno commettendo un errore. Chiunque siano e per qualunque motivo vogliano farmi fuori, da me avranno solo la guerra >>.

Lo lasciò andare, facendolo stramazzare al suolo, e poi imprecò.

Ora le sue gare non si concludevano più solo con gli incidenti, anche con le sparatorie.

Sapeva che nel giro di qualche minuto, quella strada si sarebbe riempita di poliziotti, e lui non doveva fari assolutamente trovare. Pestando i vetri spaccati della vetrina del negozio, risalì sulla M6 nonostante le gomme bucate, e sparì in un vicolo, lasciandosi dietro i cadaveri di due persone e una terza molto probabilmente in fin di vita.

Avvolto dall'oscurità, con il suono delle sirene degli sbirri nelle orecchie, Dimitri percorse qualche chilometro, le ruote sgonfie che facevano un rumore fastidioso mentre rotolavano sull'asfalto. Lasciò l'auto in un vicolo cieco, recuperò lo zaino con le armi che teneva nel baule e abbandonò la BMW al suo destino, molto probabilmente preda di qualche ladro di ricambi.

Avrebbe voluto raggiungere Al Sancho per andare a prendere a pugni il titolare e farsi dire chi diavolo aveva mandato quei tre a cercare di ammazzarlo, perché era sicuro forse lui sapeva qualcosa, ma decise di non farlo. Non sarebbe stato saggio far arrivare la polizia anche lì, e in quel momento ciò di cui aveva bisogno era di tornare a casa e lasciare nuovamente che le acque si calmassero.

A piedi attraversò il quartiere e raggiunse il palazzone che era diventato ultimamente la sua casa, un edificio scuro e vecchio, abbastanza anonimo da non destare sospetti. Risalì le scale rapidamente ed entrò nell'appartamento all'ultimo piano, la porta di ingresso rigata ma ancora ben funzionante.

Innervosito, Dimitri gettò le chiavi sul tavolino di vetro all'ingresso, rischiando quasi di spaccarlo, e lasciò cadere lo zaino sul divano. Si diresse alla finestra e guardò di sotto, per verificare che nessuno lo avesse seguito. La strada sembrava deserta e silenziosa, a parte per le sirene che riusciva ancora a sentire in lontananza.

Controllò che le quattro pistole che teneva nello zaino fossero cariche e funzionanti, e recuperò il fucile che teneva nascosto sotto il letto. Solo alla fine tirò fuori un coltello lungo quindici centimetri, con il manico intarsiato e la lama lucida. Lo appoggiò sul tavolino e si sedette sul divano, lo sguardo rivolto alla porta e i sensi all'erta.

Avrebbe dovuto chiamare suo cugino Emilian a Mosca, ma era notte fonda, e sicuramente stava dormendo con la moglie. Non aveva bisogno del suo aiuto, in quel momento, anche perché a tremila chilometri di distanza non avrebbe potuto dargliene molto; voleva solo sapere se da loro fosse successo qualcosa, ma era sicuro che l'unico obiettivo di quegli attentati fosse lui e basta.

Non era il primo agguato che subiva, in sei mesi, e non sarebbe stato l'ultimo, perché chi lo voleva morto sembrava deciso a portare a termine il suo obiettivo.

Che venissero pure a cercarlo a casa sua. Aveva abbastanza armi da far fuori un commando intero, ed era sufficientemente arrabbiato per non farsi alcun problema morale. Aveva le pistole, aveva un fucile, e aveva un coltello russo che si portava dietro da sempre, ma soprattutto aveva le mani. L'ultima volta che avevano cercato di ucciderlo non erano riusciti nemmeno a staccargli del tutto l'orecchio.

Mentre attendeva il sorgere del sole, seduto davanti all'ingresso del suo appartamento, Dimitri rimuginò su quel tentato omicidio.

Sicuramente, il mandante si trovava a Mosca. Era diventato scomodo per tutti, persino per qualcuno della sua famiglia, ed era certo che assoldare qualcuno per cercarlo e farlo fuori era il minimo che potessero fare. Forse c'erano dietro i Romanesko: dopo i Buinov, erano la famiglia più subdola di tutta Mosca. Però non avrebbero dovuto sapere dove si trovava: solo Emilian conosceva l'esatta ubicazione del suo nascondiglio, e di lui si fidava ciecamente.

Però la frase che aveva sussurrato il tizio, riguardo alla Black List, gli metteva dei nuovi dubbi.

<< I fantasmi della Black List >>.

La Black List non esisteva più, di questo era certo. William Challagher era morto, si era praticamente ammazzato pur di farsi prendere dalla polizia; tutti gli altri erano stati arrestati. E comunque, in ogni caso, non aveva conti in sospeso con nessuno di loro... Perché mandare qualcuno ad ucciderlo?

I pochissimi contatti che aveva mantenuto a Los Angeles gli avevano confermato che i piloti della Black List erano praticamente tutti spariti, o comunque erano diventati innocui. Solo una di loro rimaneva ancora in circolazione, ed era fuori da ogni dubbio che potesse centrare qualcosa.

Il sole sorse e lui continuò a rimanere immobile, seduto a fissare la porta chiusa del suo appartamento. Nessuno era venuto a cercarlo, ma lui non poteva lasciare le cose in sospeso. Doveva capire chi stava cercando di ucciderlo, e se il nemico arrivava da Los Angeles o da Mosca.

Cercò il suo borsone da viaggio e lo riempì delle poche cose che si era portato dietro. Infilò una felpa pesante, nascose la pistola sotto di essa e afferrò il cellulare.

<< Dimitri >> rispose suo cugino dall'altra parte della linea.

<< Credo che qualcuno mi voglia morto >> disse seccamente il Mastino.

<< Sono in tanti a volerti morto, da queste parti >> ribatté Emilian, la voce rasposa quasi ironica, << Sei stato di nuovo attaccato? >>

<< Sì >> rispose Dimitri, avvicinandosi alla finestra per gettare uno sguardo di sotto, << Sta diventando il mio sport preferito... >>.

<< Quanti ne hai fatti fuori, questa volta? >>.

<< Un paio >>. Dimitri chiuse la tenda della finestra, dirigendosi verso la cucina silenziosa e buia, << Ma non è questo il problema... Devo capire chi li manda >>.

<< La tua assenza rende tutti nervosi, Lince >> gli rispose Emilian, << Sanno che la Lince c'è , ma se non ti fai vedere i vecchi Referenti si sentono in dovere di prendere il tuo posto. Ti temono, ma ti temono di meno se sei lontano, e io non posso tenere per sempre il tuo posto, anche se la mia faccia è più brutta della tua. La situazione qui non è tranquilla, ma se torni basterà la tua presenza a ricordare chi devono rispettare >>.

Era destinato a quel ruolo fin da quando suo padre era morto; il titolo di Lince gli spettava quasi di diritto, eppure qualcosa in lui si strideva, quando lo chiamavano con il suo nuovo soprannome. Non gli era mai interessato diventare la Lince, e ora più che mai non gli importava. Emilian aveva tirato per lui le fila, mentre fuggiva da un capo all'altro dell'Europa, ricercato sia dalla polizia che dai suoi nemici. Era stato etichettato come traditore da alcuni, come salvatore da altri. Suo cugino però aveva ragione: qualcuno doveva prendere in mano la situazione, e quel qualcuno poteva essere solo lui.

<< Forse la gente che sta cercando di ammazzarmi non ha nulla a che fare con Mosca >> disse lentamente Dimitri, sedendosi nuovamente sul divano, gli occhi ancora puntati sulla porta.

<< Che vuoi dire? >> domandò Emilian.

<< Il tizio di stasera ha parlato della Black List >>.

Il silenzio dall'altra parte della linea gli confermò che anche suo cugino era sorpreso dalla cosa. Però, che ci fossero davvero in mezzo i suoi vecchi compagni di corse o meno, nemmeno Madrid era un posto sicuro per lui, ed era stanco di spostarsi da un luogo all'altro.

<< Qualcuno che vuole vendicarsi per il tuo tradimento nei confronti di Challagher? >> domandò Emilian.

Dimitri arricciò il labbro, quando sentì la parola "tradimento". In America lo consideravano il primo traditore dello Scorpione, quello che con la propria scelta aveva contribuito a farlo finire dietro le sbarre; in Russia era colui che aveva portato una sbirra a Mosca e l'aveva fatta infiltrare tra i russi per catturare la Lince. Solo dopo si era reso conto che le sue decisioni avevano suo malgrado ruotato intorno a un'unica persona... Non si considerava un traditore, forse nei confronti di Challagher, ma non dei russi. In fondo, ora era lui la Lince, checché ne dicessero loro, e non aveva altre spiegazioni da dare.

<< Challagher è morto >> rispose a voce bassa, duro, << E non c'è nessuno disposto a cercare vendetta per lui, senza una congrua remunerazione >>.

<< Allora perché tirare in ballo la Black List? >>.

Dimitri si portò una mano al collo, cercando di ragionare. Non esisteva più nessuno legato quanto lui alla lista, a parte... A parte Fenice. Fare congetture non gli serviva; aveva bisogno di parlare con qualcuno che stava ancora a Los Angeles.

<< Cerca informazioni >> ordinò il russo a suo cugino, << Vedi se riesci a capire chi potrebbe esserci dietro a questa cosa >>.

<< E tu cosa farai? >>.

Dimitri si mise lo zaino in spalla, cercando di rimanere concentrato e di non lasciare andare la mente in pensieri che lo avrebbero riportato troppo indietro nel tempo, a persone che era meglio dimenticare. Parlare della Black List gli aveva fatto venire in mente l'unica pilota che non avrebbe dovuto ricordare.

<< Mandami un aereo >> disse seccamente, << Torno a Mosca >>.

 

 

 

Ore 11.30 – Stazione di Polizia di Los Angeles

Irina ripose il faldone completamente pieno di carta nell'archivio e sbuffò, mentre richiudeva la porta e tornava nel suo ufficio, schivando la signora delle pulizie che stava passando uno strofinaccio sul pavimento, canticchiando. Salutò con un cenno del capo Senderson che stava uscendo per occuparsi di un sequestro di gioielli rubati, e gettò un'occhiata fuori dalla finestra, per notare il cielo scuro che annunciava pioggia.

Era una settimana che lavorava all'archiviazione delle pratiche, e nonostante tutto non aveva finito. Al posto che diminuire, sembravano moltiplicarsi a dismisura ogni volta che usciva dall'ufficio, anche perché Senderson gliene lasciava una ventina nuove ogni giorno. La sua postazione continuava a essere un campo di battaglia, e nonostante tutto non le dispiaceva affatto.

Il suo fascicolo, quello di Fenice, era finito sul mobile, in attesa di poter essere riletto con tutta calma quando avesse finito il resto del lavoro. Si sedette alla scrivania, il suono della pioggerellina che iniziava a picchiettare sul vetro della finestra.

Stava dando un'occhiata a un fascicolo dedicato a una rapina a mano armata, quando sentì il cellulare trillare, indicando un messaggio in arrivo.

"Oggi ho poco lavoro. Che ne dici se ci troviamo a mangiare qualcosa insieme in pausa pranzo?". 

Max

Irina guardò per qualche istante il messaggio, ricordandosi solo in quel momento che doveva ancora risolvere la questione auto; la Punto era ancora parcheggiata nel garage della polizia, ma avrebbe dovuto portarla via, prima o poi. Ci pensò su un attimo, e anche se il tempo uggioso le toglieva la voglia di fare qualsiasi cosa decise che poteva fare uno sforzo e accettare.

"Ok. Ci vediamo al solito posto all'una".

Dopo un paio di ore di lavoro noioso ma proficuo, Irina parcheggiava la TT di fronte a un piccolo localino di fronte alla spiaggia di Santa Monica, che si chiamava Red Flower. Aveva si e no una decina di tavolini, e serviva pochi piatti, ma a Irina piaceva perché il cibo era di ottima qualità e l'atmosfera era molto tranquilla.

Trovò Max ad aspettarla già seduto a un tavolino, vicino al fondo del locale, dove sulle pareti pitturate di bianco erano stati appesi quadri di ogni tipo di fiori rossi, comprese rose e gerbere. Stava guardando qualcosa sul cellulare, forse un messaggio, e quasi sussultò quando Irina si sedette di fronte a lui, silenziosa.

<< Ehi, ciao >> la salutò il suo vecchio meccanico, con un sorriso a trentadue denti sul viso rotondo e il nuovo taglio di capelli alla moda.

Da quando la Black List non esisteva più, Max era cambiato molto. La piccola officina che aveva avviato tanti anni prima con il suo amico Anthony si era ingrandita moltissimo, tanto che si erano trasferiti nel pieno centro di Los Angeles, ed era diventata molto famosa. Molto era dovuto alla bravura di Max con le auto, e un po' anche alla pubblicità che Irina gli aveva fatto andando in giro a catturare criminali con la Punto totalmente modificata da lui. Ovviamente, erano anni che non faceva più modifiche illegali alle auto, ma si occupava di tuning omologato, quindi era l'idolo dei ragazzi appassionati di vetture extra serie. Lavorava così tanto che aveva una decina di dipendenti e una garage di tremila metri quadri. In più, guadagnava molto bene.

<< Allora, come va con il nuovo lavoro? >> domandò Max, osservandola un momento più del dovuto, tanto che bastò a Irina per capire che era preoccupato anche lui per lei.

<< E' noioso, ma va benissimo così >> rispose Irina, mentre una ragazza con un grembiule rosso veniva a prendere le prenotazioni, << E poi credo che mi faccia bene stare un po' in ufficio. Adesso ho orari fissi e la sera posso guardarmi un film >>.

L'occhiata poco convinta che le rivolse Max fu sufficiente a intuire cosa pensasse: tutte balle. Non era affatto il lavoro adatto a lei, ma insistere non serviva.

<< Sbaglio, o l'altra sera ho visto un servizio su una tv locale sulla tua officina? >> aggiunse Irina, prima che l'amico potesse tornare all'attacco con le domande scomode.

Gli occhi di Max si illuminarono di orgoglio.

<< Si, era un servizio sulle nuove realtà imprenditoriali cittadine >> rispose allegramente, << Ci hanno fatto qualche domanda sulla prima officina che avevamo aperto, e sui lavori che facciamo alle auto... >>. Si guardò intorno e aggiunse, a voce bassissima: << Per fortuna non è venuto fuori che ero un collaboratore di una famosissima pilota clandestina della Black List, altrimenti ci avrebbe rovinato la reputazione >>.

Riuscì a strappare a Irina un sorriso, mentre lei con poca voglia affondava la forchetta nella sua bistecca e cercava un modo per costringersi a mangiarla.

<< Avresti potuto ribattere che quella stessa pilota è diventata poi la poliziotta più temuta della città >> disse con tono scherzoso, perché la vanità era l'ultima cosa che voleva esprimere. Sapeva di essere ridicola, visto che adesso si rifugiava dietro una scrivania a riordinare carta. Notò l'occhiata addolorata che Max le lanciò, la stessa che aveva usato tempo addietro quando le notti brave nei locali le facevano ripetere come una stupida "Sono solo stanca.

<< Lasciamo perdere... >> aggiunse, rendendosi conto che non era una cosa su cui scherza, << Era solo una battuta. Sembra che tutti credano che io sto soffrendo, a fare un lavoro da impiegata, ma davvero, sto bene così. Non potevo certo fare la pilota per tutta la vita, ho accelerato solo un po' i tempi. Non ti ci mettere anche tu, a farmi la predica >>.

Si guardarono in faccia per un'istante, quel tanto che bastava a ricordare entrambi che insieme avevano vissuto i tempi più bui di Los Angeles, quando tutti e due erano considerati criminali ed si erano fatti da spalla a vicenda. Se lei era riuscita a diventare Fenice, era anche merito suo; se lui era diventato il meccanico più famoso della città, era anche merito di Irina.

<< D'accordo >> disse Max mestamente, << Ma sei hai bisogno di... >>.

<< Qualcosa? Sì, ho bisogno di qualcosa >> concluse per lui Irina, sorridendo. << Uno dei prossimi credo che dovrò portare via la Punto dalla stazione di polizia. Potrei tenerla nel garage di casa mia, ma per portarla mi servirà un carrello e un furgone >>.

<< Perché il carrello? >> chiese Max, perplesso, << Puoi guidarla fino a casa... >>.

Irina lo guardò di sottecchi. Sapeva che le avrebbe detto una cosa del genere, quindi aveva una risposta già bella che pronta.

<< Non voglio che la gente la veda per strada >> rispose, << Sono mesi che la Punto non si vede in giro, e non vorrei far credere di essere nuovamente operativa... Mi piacerebbe un po' di discrezione, questa volta >>.

Non capì se Max le credette o meno, perché annuì pensieroso e tornò a mangiare il suo sandwich, quasi perplesso.

<< Ok, non c'è problema >> disse, << Posso fartelo avere quando vuoi, il pick-up. Però prima dovrò passare a smontare la sirena e la radio... Comunque in officina ho del posto, potremmo metterla all'ingresso. Farebbe bella figura, e non rimarrebbe a prendere polvere nel tuo garage >>. Le gettò un'occhiata velocissima, prima di osservare con moltissimo interesse la foglia di insalata nel suo panino, << A meno che tu non la voglia usare >>.

No, non la voleva usare, almeno per il momento. Non sentiva il richiamo della velocità, dell'adrenalina delle corse, e non aveva intenzione di rimettersi al volante per fare passeggiate con una auto da pilota clandestina; su quello non aveva dubbi. E comunque, la Punto non poteva circolare senza il permesso della polizia.

Sul metterla in mostra nell'officina di Max aveva invece qualche dubbio. Sicuramente gli avrebbe fatto una grandissima pubblicità, averla in esposizione all'ingresso, ma avrebbe contribuito a tenere vivida l'immagine della poliziotta che l'aveva guidata, e lei non voleva. Sinceramente, in quel momento desiderava solo che tutti si dimenticassero del suo passato, del suo curriculum di pilota, e le lasciassero mettere una pietra sopra a quello che era stato il più duro ma anche il più bel periodo della sua esistenza.

<< Preferisco tenerla in garage, almeno per qualche tempo >> rispose Irina, scuotendo il capo.

<< Allora chiamami quando vuoi che venga a prenderla >> concluse Max.

Lasciarono cadere l'argomento, perché sembrava scomodo per entrambi. Per fortuna, il meccanico non aveva perso il buonumore in quegli anni, e fu in grado di mettersi a chiaccherare come se non fosse mai cambiato nulla, rispetto a un anno prima. Per la mezz'ora successiva, Irina ascoltò Max raccontare di come un tizio ricchissimo gli avesse commissionato la verniciatura leopardata di una BMW Serie 5, molto probabilmente della moglie. Poi, cambiò tono e sembrò indeciso, quando parlò.

<< Sai che ti avevo accennato al fatto che qualche pilota clandestino è venuto a chiedermi se preparavano ancora auto? >> iniziò, e Irina annuì.

<< Gli avevi risposto che eri fuori dal giro da un bel po', se non sbaglio >> concluse lei, mentre con la forchetta punzecchiava un pezzo di zucchina.

<< Infatti >> convenne Max, << Sapevo che non sarebbe stato il primo, visto che ultimamente i piloti sembrano essersi fatti più aggressivi... Però l'altra sera è passato un tizio un po' strano. Era tardi, avevo mandato tutti a casa, e stavo chiudendo l'officina, quando me lo vedo comparire all'improvviso. Era a piedi, ma sono sicuro che aveva parcheggiato l'auto in modo che non potessi vederla... >>.

Irina osservò la sua espressione, rendendosi conto che sembrava preoccupato. In realtà, solo l'espressione pensierosa dell'amico smosse il suo interesse: da diversi anni non gli vedeva quella faccia.

<< Cosa voleva? >> domandò le lentamente, mettendo da parte il piatto ancora quasi pieno.

<< Sapeva che ero stato un meccanico di piloti >> rispose Max, << Non me lo ha nemmeno chiesto. Ma mi ha domandato della Black List... Voleva sapere fine avevano fatto i membri >>.

<< Ti chi ti ha chiesto, in particolare? >>.

<< Non cercava Challagher, né te >> rispose il meccanico, pensieroso, << Voleva sapere di tutti gli altri. Gli ho risposto che erano finiti tutti dietro le sbarre, e che non sapevo altro >>.

<< Forse aveva in sospeso qualche conto con qualcuno... >> buttò lì Irina. << Che tipo era? >>.

<< Uno alto, piuttosto grosso. Aveva la testa rasata e un tatuaggio sulla nuca >> rispose Max, e dal tono che usò capì che lo aveva trovato anche piuttosto minaccioso, << Non sembrava di queste parti. Quando ha capito che non sapevo davvero nulla, se ne è andato senza fare storie >>.

<< Se vuoi posso fare una segnalazione >> propose Irina, il locale intorno a lei che iniziava a svuotarsi per la fine della pausa pranzo, << Uno con un tatuaggio sulla nuca è abbastanza riconoscibile... Forse è già noto, alla polizia >>.

Max scosse il capo.

<< No, non è stato minaccioso, in realtà >> disse, << Ha fatto solo qualche domanda, niente di più. Ne sono passati diversi che erano curiosi di sapere della Black List, ma non è mai successo nulla. Mi sembra esagerato allarmarsi per così poco >>.

In effetti, Max non aveva tutti i torti. Quando quattro anni prima sui telegiornali era venuta fuori la notizia della cattura dello Scorpione e di tutti i suoi scagnozzi, la gente era rimasta colpita dalla sua figura, nonostante tutto. Quando poi era riuscito a fuggire dal carcere, arrivare fino in Russia e lì gettarsi in un lago ghiacciato con un Bugatti Veyron, piuttosto che farsi catturare, era praticamente diventato una leggenda, e ora molti chiedevano di lui. Tra i piloti clandestini di quei giorni, decisamente inferiori come capacità ai primi della Black List, era l'inarrivabile Scorpione, una figura quasi mitologica. Irina sospirò, quando ricordò che lei aveva conosciuto il vero William Challagher, il ragazzo con l'anima nera che lei non era mai riuscita ad aiutare.

<< Volevo solo dirtelo, visto sei una ancora una poliziotta >> aggiunse Max, guardandola di sottecchi.

Irina sorrise, anche se nel suo stomaco si chiuse qualcosa. Parlare della Black List le riportava alla mente ricordi di ogni tipo, legati a tutte le persone che avevano fatto parte di quei giorni, e una punta di senso di colpa tornò a farsi sentire, prima che lei riuscisse a bloccarla.

<< Hai fatto bene, magari ne parlo a Senderson >> disse lei, poi guardò l'orologio, << Devo tornare in ufficio, è già tardi. Mi ha fatto piacere rivederti >>.

Max le offrì il pranzo e si salutarono all'uscita del locale, mentre Irina lo guarda salire sulla sua nuova fiammante Mercedes SLK nera, frutto dei lauti guadagni dell'officina.

Tornò in ufficio rabbuiata, nonostante si fosse prefissa di far diventare quell'uscita un modo per riallacciare i rapporti con il mondo e cercare lentamente di ripartire. L'unica cosa che sapeva, però, era solo una: quando era tornata dalla Russia, tutto era cambiato.

Era cambiata lei, era cambiata la sua vita, era cambiato Xander, ed era in qualche modo cambiata anche la percezione del suo passato. Più il tempo passava, più comprendeva che il senso di colpa era diventato il suo maggiore compagno di vita, dopo il dolore.

Xander era morto anche per colpa sua, ma anche William Challagher era stata in qualche modo una sua vittima. Era arrivato fino in Russia per cercare lei, e lei lo aveva preso in giro, in nome di una missione che doveva portare all'arresto in un altro criminale come loro. Senza volerlo, si era vendicata nel peggiore dei modi della violenza che lo Scorpione le aveva riservato, una violenza in qualche modo aveva compreso quando si era ritrovata davanti un William pentito e cambiato. Lo aveva perdonato, alla fine, perché era lui ad avere più bisogno di aiuto, che lei. William era stato sempre e solo vittima di se stesso.

Nessuno, soprattutto Xander, aveva capito perché avesse deciso di dare una degna sepoltura a William Challagher e perché lo avesse perdonato. Nessuno riusciva a capirne il motivo, nemmeno lei, e di quello si sentiva profondamente in colpa.

Lasciò perdere la segnalazione del tizio di cui le aveva parlato Max e tornò alle sue pratiche. Solo verso le tre e mezza vide Senderson fermarsi di fronte alla porta del suo ufficio e guardarla divertito.

<< Domani sei in prova alla postazione radio >> le disse, spiccio.

Irina lo guardò. Non aveva creduto che prendesse sul serio il suo accenno a quel lavoro, quando gliene aveva parlato, dopo il suggerimento di Sasha. Però ne fu contenta, sembrava interessante.

<< Ok... >>, disse lentamente, << A che ora? >>.

Senderson fece un passo indietro, come se si fosse dimenticato di dirle un particolare.

<< Alle ventitrè >> rispose, << Fai il turno di notte >>.

Irina inarcò un sopracciglio, ma sostenne lo sguardo del suo capo. Forse voleva sentirla lamentarsi che lei aveva smesso, con le notti in bianco. O che voleva prendere alla lettera il suo nuovo lavoro da impiegata comunale, e che si sarebbe attenuta solo agli orari d'ufficio.

<< Va bene >> disse solo, e Senderson annuì.

Osservò il capitano della polizia allontanarsi in silenzio, le spalle stranamente curve e lo sguardo basso. In quell'ultimo periodo sembrava invecchiato, ma doveva essere per via del peggioramento della situazione a Los Angeles e la pressione che doveva subire dai federali. La mancanza di risultati rendeva tutti insoddisfatti.

E in parte era anche un po' colpa sua.

 

  
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