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Autore: __roje    12/02/2018    1 recensioni
-- QUESTA STORIA CONTIENE SCENE DI SESSO ESPLICITE! --
Aki Nomura è solo un ragazzo di 16 anni che ha sempre sognato di poter condurre una vita scolastica del tutto normale, fatta di amicizia e nuovi amori. Tuttavia la realtà in cui si trova non è affatto così; a causa di diversi eventi il suo carattere è diventato molto più rude e introverso e i primi due anni di scuola non sono stati esattamente ciò che credeva ed una delle ragione è la continua presenza nella sua vita di quello che una volta era il suo migliore amico: Hayato Maeda. Un ragazzo di straordinaria bellezza che viene definito da tutti "Principe" per i suoi tratti e i suoi modi, ma la realtà è ben altra infatti Aki scoprirà presto i nuovi gusti sessuali della persona che credeva di conoscere bene e da quel momento tutta una serie di strani eventi cominceranno a susseguirsi nella vita di questo giovane ragazzo.
IKIGAI: è l'equivalente giapponese di espressioni italiane quali "qualcosa per cui vivere" o "una ragione per esistere" o "il motivo per cui ti svegli ogni mattina".
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Capitolo [33]

La testa aveva smesso di pensare. Il mio corpo era leggero. Il cuore batteva come un tamburo nel petto facendomi capire che ero ancora vivo, tutto in me funzionava perfettamente ma le mie sensazioni erano strane così come ciò che percepivo era come ovattato. Tutto ciò era dovuto alle carezze, ai baci di Hayato.
Dolcemente mi toccava la pelle nuda, la sfiorava seguendone i contorni e mi baciava nei punti più strani, come l’interno coscia e poi mi guardava con quello sguardo pieno di desiderio. Quegli occhi erano capaci di sciogliere ogni cosa dentro di me e ogni volta che mi guardava in quel modo sentivo l’impulso di gettarmi sempre di più verso di lui e di lasciarmi andare.
“Dimmi se ti fa male” disse con una voce molto profonda.
Qualsiasi cosa sarebbe andata bene, anche il dolore più straziante. Finché ero avvolto nelle sue braccia, finché potevo sentire il suo profumo, ogni cosa andava bene perché ero insieme a lui.
Facemmo l’amore quella notte, tornammo dal luna park e andai a casa sua. Incuranti che ci fosse Kou addormentato in una delle stanze e nel più totale silenzio ci abbandonammo l’uno all’altro con l’estremo bisogno di sfiorarci e di sentirci a vicenda.
Non fece male. Hayato fu delicato, mi preparò prima della penetrazione e quando iniziò a muoversi ogni affondò fu intenso e profondo, dandomi piacere. Quando si avvicinava per baciarmi ecco che quella sensazione di piacere aumentava, desideravo solo che tutto ciò non finisse mai.
Quando finimmo ci lasciammo cadere entrambi in un sonno profondo, io avvolto nelle sue braccia e il torace di Hayato contro il mio. Quel contatto era così piacevole, prima di chiudere gli occhi dimenticai che ero a casa sua e che chiunque avrebbe potuto beccarci. Dimenticai ogni cosa, ogni pensiero strano, ogni dubbio e mi lasciai riscaldare dal suo tepore, felice che lui mi amasse così tanto. Dentro di me volevo passare altre cento notti così, ogni giorno e per sempre.
Quando le prime luci iniziarono a filtrare dalla finestra fui sveglio, e nell’aprire gli occhi notai che Hayato non era più accanto a me. Ancora stordito, cercai di mettere ordine a ciò che era successo e nel ritrovarmi nudo nel suo letto mi ricordai di ciò che avevamo fatto quella notte e della giornata al luna park. In quel momento mi venne da sorridere, le guance le sentii infiammarsi. Ero davvero felice, il sapore di quella felicità era così dolce da farmi saltare giù dal letto indossando di corsa i pantaloni e andando dritto verso il bagno adiacente alla sua camera (avevo intravisto la luce da sotto la porta).
Spostai di poco la porta per fargli una sorpresa, volevo saltargli addosso e fargli venire un colpo ma quando la porta fu abbastanza aperta per intravedervi dentro la scena che mi si parò davanti fu tutt’altro che spiacevole. C’era Hayato, piegato in due sul lavandino e si teneva con una mano la spalla stringendo forte.
Davanti a quella scena improvvisamente mi tornarono alla mentre le parole di Kuro, al fatto dell’incidente.
“Non voglio renderla troppo lunga ma Hayato non ha lasciato il judo perché si era stancato, fu costretto e tutto perché in quel periodo ebbe un brutto incidente durante una gara importante che gli ha lussato permanentemente la spalla sinistra.”
Improvvisamente cominciai a credere che fosse tutto vero, ogni cosa. Osservai ancora un po’ Hayato e dalla vetrinetta sul lavandino tirò fuori una pomata e cominciò a passarla sulla spalla e con un espressione afflitta si guardò allo specchio. Aveva un aria così vuota in quel momento, tutte le risate del giorno prima e la dolcezza della notte prima erano svaniti e ora c’erano di nuovo lo stesso ragazzo dall’espressione spenta.
Lasciai il mio nascondiglio, tornai a letto chiudendomi la porta dietro, silenziosamente, perché improvvisamente ogni voglia di scherzare era svanita. L’unica cosa che volevo era sapere la verità.
Mi rivestii in fretta e quando Hayato uscì dal bagno restò sorpreso che fossi quasi già pronto “Oh credevo che stessi ancora dormendo” uscì a petto nudo e il mio sguardo era rivolto solo verso la sua spalla, l’odore acre della crema che aveva usato era ancora percettibile. Non sapevo cosa dire.
“Dovrei andare a casa prima che Kou si faccia delle idee sbagliate.”
Hayato mi accarezzò la testa “Dovresti almeno fare colazione”, fu in quel momento che non accettai quel tocco e senza rendermene conto indietreggiai spaventato, allora Hayato sgranò gli occhi per quella mia reazione così improvvisa, ma non riuscivo proprio a fare finta di nulla.
“Perdonami ma devo andare adesso, ci sentiamo più tardi” dissi con un filo di voce e oltrepassai lui e la porta della sua stanza per tornare a casa mia.
Mi dispiaceva, ma la gioia di prima si era trasformata in angoscia e avevo il bisogno di sapere. Se avessi chiesto ad Hayato probabilmente non mi avrebbe mai detto nulla, visto che me lo nascondeva dal modo in cui si era medicato di nascosto così una volta fuori da casa sua decisi di andare al dojo e cercare Saori.
Dentro di me saliva l’angoscia di una verità scomoda che non volevo sapere, ma che dovevo conosce a tutti i costi. Speravo che le parole di Kuro fossero solo bugie, ma da come avevo capito quel ragazzo provava davvero qualcosa per Hayato e forse lo aveva fatto solo per separarci.
Era davvero presto, probabilmente non avrei nemmeno trovato Saori ma dovevo almeno tentare. Una volta lì gli uccellini cinguettavano felici, faceva abbastanza freddo e in giro non c’era praticamente nessuno.
Mi guardai in giro alla ricerca di una faccia amica ma nulla, avevo scelto il momento sbagliato. Appurato di essere da solo mi rassegnai all’idea di non sapere e feci per tornare indietro.
“Aki Nomura.”
Una bassa e cupa voce pronunciò il mio nome e nel girarmi verso la direzione da cui proveniva vidi Hiroto, il ragazzo becchino, che spesso avevo incontrato insieme a Kuro e Saori. Mi fissò, senza nessuna particolare emozione, mentre in mano teneva una scopa. Era davvero strano quel ragazzo.
“C-ciao” feci per essere cordiale.
Hiroto poggiò la scopa contro un albero e mi si avvicinò lentamente, i capelli gli coprivano metà volto e il viso era pallido come sempre. “Cosa ci fai così presto qui?”
“Speravo di trovarci Saori ma credo sia ancora presto.”
Hiroto guardò in giro “Immagino di sì. Posso aiutarti io?”
Sorrisi “Non ti preoccupare, la chiamerò più tardi. Allora ci vediamo in giro.”
Volevo solo andarmene di li in quel momento ma proprio mentre ero sul punto di farlo ecco che Hiroto cominciò a parlare alle mie spalle.
“Sai non abbiamo mai avuto davvero modo di farci una chiacchierata noi due. Che ne dici vuoi fermarti un po’?”
Mi voltai a guardarlo con un grosso punto interrogativo in viso, chiedendomi cos’è che voleva da me. Ma ingenuamente acconsentii e lo seguii sul retro del dojo, lontano dall’entrata principale e senza che glielo avessi chiesto mi offrì una tazza di tè che versò andando a posare scopa e paletta.
Ero sulle spine, confuso del perché mi fossi trattenuto con quel ragazzo così strano. Non avevo neppure il coraggio di guardarlo in faccia e ogni volta che incrociavo il suo sguardo lo distoglievo presto preso dalla paura.
“Accomodati pure” mi disse invitandomi a sedere su quella che era una sporgenza di legno della palestra che si apriva su un piccolo giardino sul retro, “spero ti piaccia, abbiamo solo questo tipo di tè qui. Dicono che aiuti nella ripresa muscolare.”
“Va benissimo, davvero!” sorrisi. Hiroto mi fissò attentamente ancora una volta e in tutta risposta puntai lo sguardo sulla tazza che stringevo tra le mani ancora fumante. “Allora? Di cosa vuoi parlarmi?”
“Non girerò intorno alla cosa quindi te lo chiederò direttamente: tu stai insieme ad Hayato?” Il tempo si fermò di colpo, così come il mio cuore nell’udire quella domanda così schietta. Sconvolto, lo guardai senza sapere cosa dire esattamente. La domanda che mi ponevo era come facesse a saperlo. “Non devi avere paura. Non ho intenzione di rivelare la vostra relazione a nessuno, e poi mi sono sempre accorto di come Hayato ti guardava. Anche tanti anni fa, durante e dopo ogni gara non faceva che gettare un occhio verso il pubblico e in particolare verso un ragazzino che lo incitava.”
Ero io quel bambino.
“Come fai a sapere che sto con lui?”
“Intuito?” abbozzò quasi un sorriso tirato e sorseggiò il suo tè, “Diciamo che Hayato sembra essere sereno da quando è tornato qui con te.”
Era l’ennesima persona che mi diceva la stessa cosa.
“Che intendi dire da quando è tornato?”
“Tu sai vero.”
Sbiancai e il terrore di quella verità era sempre più reale. La mia testa mi diceva di fermarmi, di non andare oltre, che sapere avrebbe solo complicato ogni cosa. Tutto ciò che era perfetto adesso sarebbe diventato difficile.
“Che cosa so di preciso?” Hiroto mi guardò intensamente. “Hayato ha avuto un incidente alla spalla durante una gara e da quel giorno non ha più gareggiato. E’ tutto vero allora...”
Hiroto guardò davanti a se con tranquillità, “Hayato avrebbe potuto continuare come insegnante per bambini, il maestro lo avrebbe accettato sicuramente ma quello non era il suo sogno. Voleva la cintura nera, voleva gareggiare a livello olimpico ma da come so la spalla non è mai tornata a posto e per non soffrire ulteriormente se ne andò senza dire nulla a nessuno di noi.”
Ascoltai ogni parola con l’angoscia nel cuore.
“Vedi Hayato è sempre stato introverso, ma credo che tu lo sappia meglio di chiunque altro. Probabilmente tu eri l’unica persona che guardava con una particolare luce negli occhi, e oltre al judo per lui non esisteva altro che te. Non so precisamente cosa sia successo ma di colpo cambiò, divenne cupo e più silenzioso, cominciò a peggiorare nello sport e il giorno della gara sbagliò una presa importante.”
Sentirgli raccontare tutta la storia mi fece quasi rivivere quei momenti. Immaginai Hayato devastato per il nostro litigio, per la storia di Mayu, la stessa sofferenza che avevo provato io ma conoscendo i sentimenti che provava già per me immaginai quanto dovesse aver sofferto a causa mia tanto da costargli una spalla.
“E’ colpa mia... è questo che vuoi dire in pratica.”
Hiroto mi fissò serio, “Credi che lo sia? Hayato non ti darà mai la colpa di tutto ciò, perché credo che sia profondamente innamorato di te.”
“Ma se non fosse cambiato non avrebbe mai sbagliato quella presa..” avevo lo sguardo fisso nel vuoto, davanti a me non c’era più il giardino, nè Hiroto, ma semplicemente la figura di Hayato riversata a terra che si teneva una spalla dolorante e con lui nessuno, non c’ero io. Fino a quel momento non avevo mai sentito un dolore tale trafiggermi il petto, ma sentii davvero ogni parte di me venir meno.
Hiroto notò che avevo iniziato tremare e prese un lungo respiro prima di parlare.
“Le cose accadono e basta. Sarebbe potuta andare diversamente questo è ovvio, ma ormai è andata così.”
“Quindi... non potrà mai più praticarlo? Mai?”
Hiroto mi fissò buio e scosse la testa.
Il mio peggior timore si era avverato. Lo avevo ferito, ci ero riuscito in tutti i modi possibili e lo avevo fatto senza rendermene conto. Non gli ero stato accanto quando ne aveva avuto bisogno, lo avevo dato per scontato, avevo ignorato i suoi evidenti sentimenti e tutti eccetto me ne sapevano più a riguardo. Ero il peggiore e mi resi conto di quanto potevo nuocere. Io non ero giusto, non andavo bene per Hayato e non lo meritavo come credevo. Non dovevo pretendere di amarlo perché a causa mia si era autodistrutto.
“P-perdonami ma adesso devo andare...” dissi con un filo di voce, ancora perso nei miei pensieri.
“Stai bene?”
Annuii ma non stavo bene, l’unica cosa che volevo era però andarmene da quel posto. Se fossi restato ancora due minuti avrei rivisto davanti a me la faccia di Hayato sofferente e non avevo la forza di sopportarlo ulteriormente. Quindi senza aggiungere altro imboccai la strada di ritorno, e appena fuori dal campo visivo di Hiroto cominciai a correre, senza un motivo, volevo dimenticare ogni cosa. Perché avevo voluto sapere? Cosa ci avevo guadagnato? Il presentimento che avevo sempre avuto si era trasformato in una verità tagliente.



Un cellulare cominciò a squillare.
- Cosa vuoi Hiroto? Spero sia una cosa importante.
“Mi devi un favore. Ti ho appena risolto un grosso problema, Kuro.”
- Racconta.


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