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Autore: Old Fashioned    13/03/2018    16 recensioni
L'Ordine Templare sta attraversando una profonda crisi: i possedimenti in Terra Santa sono perduti, e la sua funzione di difensore della fede sta venendo meno.
Da una delle ultime zone di combattimento contro gli infedeli, un cavaliere viene richiamato in Francia, destinato a una commenda apparentemente tranquilla e pacifica. Allo stesso tempo, un cavaliere Teutonico non particolarmente ligio agli ordini viene inviato al castello di Metz, poco lontano dalla commenda in questione, e un giovane nobile di un feudo nei dintorni desidera disperatamente entrare nell'Ordine Templare. I destini di questi tre personaggi si incroceranno con quello del celebre ordine del Tempio, ed essi saranno testimoni degli eventi terribili che cominciarono con la fatidica data del 13 ottobre 1307.
Seconda classificata al contest "Leggende, Luoghi misteriosi e Miti" indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP.
Prima classificata al contest "Raccontami una Storia" indetto da milla4 sul forum di EFP
Genere: Azione, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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L’ombra del Beauceant




Nel 1877, lo storico tedesco Mertzdorff dichiarò di aver rinvenuto ad Amburgo, all’interno di una loggia massonica, una copia del famigerato Codice Ombra dei Templari.
Nonostante ne sia stato redatto un documento riassuntivo, non vi è più traccia del libro originale, che si suppone si trovi attualmente presso gli archivi del Vaticano.

§

Spagna, dintorni di Murcia

Il fuoco ruggiva ovunque. L'aria torrida, resa opaca dal fumo, risuonava delle urla terrorizzate dei contadini, dei lamenti delle bestie tratte a forza dalle loro stalle e delle grida di guerra dei saraceni. Dalla stia dei porci incendiata provenivano le strida e i tonfi della scrofa impazzita di paura.
Nascosto sotto un carro, Francisco ansava con il cuore che gli scoppiava nel petto. Tossì investito da una folata di fumo acre e si asciugò gli occhi che gli lacrimavano, ma si impose di non muoversi. Nel cortile, i mori stavano radunando tutto ciò che poteva avere un valore: provviste, animali e abitanti della fattoria, soprattutto donne e ragazzi, il cui orribile destino, lo sapeva bene, sarebbe stato quello di finire schiavi.
Li vide spingere avanti Nuria, fin da quella distanza la sentiva piangere e invocare la Vergine. La ragazza si buttò a terra, e uno dei saraceni la prese per i capelli per costringerla ad alzarsi. A quel punto sbucò dal fienile il padre di lei, armato di un forcone, e si lanciò in una carica disperata contro il guerriero moro. Questi non fece altro che spostarsi da una parte, e con un gesto quasi svogliato gli tirò un fendente. L'uomo crollò nella polvere e vi rimase immobile, lo strillo disperato di Nuria lacerò l'aria.
Santa Madre di Dio,” mormorò Francisco facendosi il segno della croce.
Mentre seguiva sgomento lo svolgersi degli eventi, sentì una mano pesante piombargli sulla spalla. Istintivamente cercò di farsi indietro, ma la presa si rinsaldò impedendogli la fuga. Il ragazzo si voltò e si trovò a fissare quelle che gli parvero le fattezze di un demonio: un volto scuro e scavato, con un'appuntita barba nera e occhi di bragia che lo fissavano come se avessero voluto trapassarlo.
Madre di Dio...” ripeté terrorizzato. Il saraceno lo trascinò fuori dal suo nascondiglio, quindi staccò dalla cintura una corda arrotolata e fece per legargliela al collo.
In quel momento, Francisco vide sopraggiungere qualcosa di grande e bianco, colse un baluginio di rosso, e il guerriero moro crollò a terra con un lamento.
Ancora tremante, frastornato, il ragazzo si fece indietro fino ad appoggiarsi con la schiena al tronco di un albero. Vide passare un'altra sagoma bianca: pur nella caligine degli incendi, riconobbe il manto candido e la croce color sangue dei cavalieri del Tempio. “Dio, ti ringrazio,” mormorò.
Arrivò un terzo cavaliere, Francisco lo vide abbassare la lancia e caricare un saraceno, sbalzandolo di sella. Il cavaliere abbandonò poi il ferro nel petto del nemico, estrasse la spada e si diresse verso un altro avversario.
In breve si scatenò nel cortile una mischia furiosa, nella quale si udivano nitriti, urla e clangore di spade. Nel polverone, Francisco cercava di seguire lo scontro come meglio poteva. Per quanto da lontano i cavalieri cristiani sembrassero tutti uguali, ne notò uno, in groppa a un grande cavallo nero, che combatteva come l’Arcangelo Michele. Rimase a seguirlo con lo sguardo: il cavaliere si lanciò in avanti, disarcionò un saraceno con un fendente, quindi ne incalzò un altro con una punta, passandolo da parte a parte. Successivamente fece girare il cavallo per fronteggiare un attacco sul fianco, e di nuovo il suo avversario finì a terra.
Il ragazzo rimase a fissarlo affascinato, constatando che nel combattimento faceva il vuoto intorno a sé.
Fece un lungo sospiro passandosi la mano sul volto madido, poi cercò di deglutire, ma aveva la bocca più arida che se avesse mangiato sabbia, e l'atto non gli diede il sollievo sperato. Volse lo sguardo verso il saraceno con la lancia nel petto: l'uomo era immobile.
Si avvicinò cauto, si piegò a osservarlo: un volto legnoso, scuro anche nel pallore della morte, rigato di sangue. Gli occhi erano spalancati, e sembrava che lo fissassero con odio, come se il saraceno si rammaricasse di non poterlo più uccidere.
Francisco si fece il segno della croce e arretrò di nuovo. Guardò verso il cortile, dove la battaglia ormai era finita. Uno dei Templari era smontato di sella e la gente gli si stringeva intorno. Una donna con i capelli grigi, da quella distanza gli pareva che si trattasse della vecchia Rufina, si inginocchiò e cercò di baciargli la mano, ma il cavaliere scosse la testa e la fece alzare.

Gli occhi fissi sui saraceni che scappavano, fratello Roland spronò il suo robusto morello e abbassò la lancia in posizione di attacco. La punta dell’arma baluginò sinistra sotto il sole.
I due infedeli, che procedevano qualche centinaio di passi davanti a lui, si voltarono a guardarlo da sopra la spalla, quindi si scambiarono una voce e girarono i cavalli, mettendosi a loro volta in posizione d’attacco.
Il Templare rinsaldò la presa sull’arma e spronò di nuovo il destriero, che emise un nitrito e si lanciò in avanti.
Fratello Roland tese i muscoli preparandosi all’impatto, quindi incassò la testa fra le spalle e mirò al torace del più avanzato dei due saraceni.
L’arma colpì, l’uomo fu sbalzato di sella. Il Templare si lasciò sfilare l’asta di mano, e mentre passava oltre estrasse la spada. Parò con quella un fendente alto dell’altro saraceno, fece girare il destriero e gli sferrò un tondo dritto. Il colpo raggiunse il bersaglio e l’infedele si accasciò sulla groppa del cavallo.
Il Templare rimase a fissarlo in silenzio per qualche istante, quindi mormorò a fior di labbra una preghiera, rinfoderò la spada, raccolse la lancia e tornò sui suoi passi.
Il tetto della fattoria nel frattempo era crollato, e per quanto i contadini si affannassero a fare una catena di secchi d’acqua, le fiamme ormai ruggivano senza controllo, divorando qualsiasi cosa. Le donne stavano radunando nel cortile le poche masserizie che erano riuscite a salvare.
Fratello Roland raggiunse i suoi compagni. Uno di quelli che erano smontati di sella sollevò lo sguardo verso di lui e chiese: “Tutto bene?”
A Dio piacendo,” fu la sobria risposta, quindi il cavaliere smontò a sua volta e si tolse l’elmo, rivelando un volto giovane, anche se già segnato su una guancia dal filo bianco di una cicatrice.
Li hai presi?”
Tutti e due.”
L’altro lo occhieggiò attento. “Sei ferito?”
No, fratello Ignacio, sto bene.”
Le redini dei cavalli alla mano, i due si allontanarono di qualche passo dal cortile. Subito si fece loro incontro un ragazzo con una brocca d’acqua e una tazza di terracotta. “Volete bere, signori cavalieri?” domandò loro.
I due Templari si scambiarono un’occhiata, poi fratello Roland rispose: “Non siamo signori, siamo umili servi di Dio. Puoi chiamarci fratelli, se vuoi rivolgerti a noi.”
Il ragazzo annuì volenteroso. “Fratelli,” ripeté, come per imprimerselo nella memoria.
Ti ringraziamo per la tua gentile offerta, ma va' dal nostro comandante con quell’acqua, e mostraci dove possiamo far bere i cavalli.”
E voi signori… fratelli non volete bere?”
Prima i cavalli, che devono sopportare le maggiori fatiche.”
E il comandante della pattuglia,” intervenne fratello Ignacio. Indicò un Templare alto, imponente, con il cranio rasato quasi a zero e una corta barba venata di grigio. “Fratello Léon.”
Sì, signore,” rispose subito il ragazzo, poi si accorse dell’errore e rettificò: “Fratello… volevo dire fratello.”
I due si scambiarono un’occhiata. “Fa niente,” gli rispose con un sorriso fratello Roland. “Come ti chiami?”
Francisco.”
Allora va da fratello Léon, Francisco. Sicuramente sarà assetato.”
Sì, signor fratello.”
Il Templare sorrise di nuovo. “Dimmi solo dov'è l'abbeveratoio, poi provvederemo noi ai cavalli.”
Il ragazzo lo indicò con un gesto, poi corse via.

Il sole stava calando, l'aspro vento della costa fischiava attraverso i cespugli di sparto. Fratello Léon in testa, i cavalieri procedevano ordinatamente in fila per due.
Quanti erano oggi?” chiese a un certo punto fratello Ignacio. La domanda non era rivolta a nessuno in particolare, ma fu fratello Miguel a prendere la parola: “Un po' più del solito, direi.”
Beh, lo credo bene che gli infedeli abbiano mandato più gente,” considerò fratello Ambrosio, “la fattoria di Pozo Aledo era un bel boccone.”
E noi gliel'abbiamo fatto andare di traverso!” intervenne fratello Fermín. Ci fu qualche contenuta risata.
Passò qualche istante di silenzio, poi fratello Jorge disse: “E avete visto quando quella vecchia ha cercato di baciare la mano a fratello Léon? Credevo che gli venisse un colpo!”
Stavolta le risate furono più forti.
Ragazzi!” si sentì in dovere di brontolare il comandante del drappello.
Fratello Léon, bisogna guardarsi dalla compagnia femminile!” lo prese in giro fratello Ambrosio.
Tu smettila subito, razza di insolente,” ringhiò il primo, girandosi addirittura sulla sella per fissarlo in cagnesco, “altrimenti ti mando a fare lo scritturale di fratello Rafael.”
A contare i sacchi di grano che entrano ed escono dai magazzini? No no, non ci tengo!”
Ti ricordo che hai fatto voto di obbedienza,” intervenne fratello Miguel, “e il Tempio si serve anche contando sacchi di granaglie.” Di nuovo tutti risero.
Quando l'ilarità si fu placata, fratello Ignacio si rivolse a fratello Roland: “E tu non dici nulla?”
L'altro sorrise. “Scusami, ero assorto nei miei pensieri.”
Quanti ne hai fatti fuori oggi?”
Fratello Roland parve quasi imbarazzato. “Non li ho contati.”
Dovresti lasciarne qualcuno anche per noi, fratello. Non ti hanno insegnato nulla le Scritture sul valore della condivisione?”
Ragazzi!” si fece sentire ancora una volta fratello Léon.
Fratello Ignacio si finse piccato. “Ehi, io stavo parlando delle Scritture. È un argomento decoroso.”
Conosco il tuo modo di trattare gli argomenti decorosi, quindi fa' silenzio.”

Fratello Roland era ancora immerso nei propri pensieri quando raggiunsero il castello di Murcia. Entrò in silenzio nel cortile, smontò da cavallo e consegnò l'animale al suo scudiero, ma quando si apprestò a seguire gli altri verso il refettorio, apparve sulla soglia delle proprie stanze il commendatario e lo chiamò.
Il cavaliere lo raggiunse.
L'altro lo condusse in una camera che fungeva da studio, raccolse da un tavolo un foglio sul quale c'erano ancora i residui di un sigillo di ceralacca, lo dispiegò e lo scorse brevemente, poi disse: “Questa lettera è giunta oggi dalla Francia.”
Fratello Roland si limitò ad annuire, quindi gli rivolse uno sguardo interrogativo.
È una lettera che parla di te,” spiegò il commendatario. “Evidentemente, sono giunte all'orecchio di qualche maresciallo le imprese da te compiute all'ombra del Beauceant, perché si richiede specificamente la tua presenza.”
Dove, signore?”
Alla commenda di Vaux.”
Fratello Roland quasi non credette alle proprie orecchie, e dovette fare uno sforzo immane per impedirsi di reagire. Incupì comunque lo sguardo e si morse il labbro inferiore. L'altro notò il cambio di espressione e gli chiese: “Vuoi dire qualcosa, fratello?”
Ho dato cattiva prova di me, signore?” fu la domanda.
Perché mi chiedi questo, fratello?”
Vaux è in Lorena, signore, lontano da ogni zona di combattimento. Qual è la colpa che devo espiare?”
Il commendatario emise un sospiro. “Colpe ne abbiamo tutti, fratello. Inoltre, ti ricordo che tu hai fatto voto di obbedienza.”
Il cavaliere si limitò a stringere i denti. “Non ho intenzione di trasgredire gli ordini,” rispose dopo un po', “solo mi chiedevo perché mi si allontana dalla lotta contro gli infedeli.”
Non devi chiederti nulla,” replicò il commendatario in tono più duro, “devi solo obbedire.” Poi, dopo una pausa, citò: “Ogni persona stia sottoposta alle autorità superiori; perché non v’è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono, sono stabilite da Dio. Perciò chi resiste all’autorità, si oppone all’ordine di Dio; quelli che vi si oppongono si attireranno addosso una condanna [1].”

§

Lorena, dintorni di Metz

Gwenel de Jussy, figlio più giovane del signore di Jussy, si affacciò alla finestra del palazzo paterno e lasciò vagare lo sguardo sul sagrato della chiesa. Era giorno di mercato, e dappertutto i venditori esibivano la loro merce. C'erano donne con i prodotti della campagna, con uova, polli o latte; c'erano venditori di stoffe, che esponevano pezze multicolori, nastri e passamanerie ricamate; il fabbro con la sua fucina, che faceva cantare l'incudine modellando ferri di cavallo; e poi c'erano i venditori di pellami e quelli di cibi. In un angolo della piazza si esibiva un saltimbanco circondato da un capannello di persone; da un'altra parte c'erano dei musici, e qualche ragazza intrecciava passi di danza al suono della viella.
L'aria era carica di odori, da quello invitante dei cibi e delle spezie a quello sgradevole dello strame e della carne appena macellata.
Un po' in disparte, come se non avessero nulla a che fare con quello che si stava svolgendo nella piazza, c'erano gli uomini della commenda templare, che vendevano i prodotti della fattoria. Per la maggior parte erano servitori, ma li accompagnavano anche uno scritturale e due cavalieri. Gwenel rimase a fissarli assorto. Per quanto vestiti di un semplice manto bianco, senza insegne se non la croce color sangue sulla spalla, quei cavalieri gli parvero magnifici: imponenti, carichi di dignità, autorevoli come patriarchi. Ricordò ciò che aveva sempre sentito dire di loro: leoni con i nemici, agnelli con gli amici. Si chiese se fosse per quello che il loro stendardo di guerra, l'onorato Beauceant, era composto da due strisce orizzontali, una bianca e una nera: forse simboleggiava i due diversi atteggiamenti.
Sospirò: avrebbe voluto essere come loro.
Una voce alle sue spalle lo fece sussultare: “Che stai facendo?”
Il ragazzo si girò di scatto e si trovò di fronte suo fratello Vauquelin. “Ci sono i Templari della commenda di Vaux,” disse per tutta risposta.
Ci sono tutte le settimane,” replicò l'altro noncurante, “non vedo cos'abbiano di strano questa volta.”
Gwenel scosse la testa. “Niente.” Tornò a volgere lo sguardo verso l'angolo della piazza dove si trovavano i Templari. Considerò che intorno a loro c'era l'unica zona pulita e ordinata. Un servitore stava spazzando via le deiezioni di una capra, un altro raccoglieva i fili di paglia sparsi in giro e ne faceva un mucchietto, un terzo allineava con cura le forme di formaggio sul pianale del carro della commenda, sventolandole con un ciuffo di fieno per scacciare le mosche.
Seduto a un tavolino portatile, dopo ogni vendita lo scritturale contava le monete ricevute, poi le metteva in una cassetta di ferro e scriveva qualcosa su un foglio.
Il ragazzo si girò verso il fratello e disse: “Sono molto ordinati.”
Sono molto furbi, più che altro,” rispose Vauquelin, facendo adombrare il più giovane, “non lo sai che il Papa li ha esentati da ogni decima, tassa e gabella?”
Non ci credo.”
Chiedilo a padre Guarin, se non credi a me. Con i margini di guadagno che hanno, possono anche sistemare le loro capre sulla porpora di Tiro invece che sulla paglia, se lo desiderano.”
Raccolgono denaro per difenderci dagli infedeli,” rispose imperterrito il ragazzo.
Lasciali perdere,” replicò il maggiore. “Pensa a sposarti, piuttosto. Io alla tua età l’avevo già fatto.”
Non mi interessa sposarmi, io voglio combattere per Gerusalemme.”
Parli così perché non sai ancora nulla delle donne.”
E non voglio saperne nulla!” ringhiò Gwenel in tono insolitamente duro, quindi abbandonò la sua posizione vicino alla finestra e uscì dalla stanza.
Raggiunse le scale, le discese rapido, attraversò il cortile del castello e da lì passò alla piazza gremita di gente. Serpeggiò tra le bancarelle evitando i mercanti, che attirati dalle sue ricche vesti cercavano di mostrargli le loro merci migliori, quindi raggiunse la zona in cui si trovavano i Templari.
Sembrava che qualcuno avesse tracciato un cerchio invisibile intorno a loro, perché erano circondati da silenzio e ordine. I musici non osavano avvicinarsi, i saltimbanchi li scrutavano di tanto in tanto, indecisi se tentare una burla, ma immancabilmente rinunciavano. Il selciato era sgombro da ogni lordura.
Gwenel osservò le merci in vendita: formaggi, capre ben pasciute, un vitello, vasi di miele. Si sedette su un gradino poco lontano, puntò i gomiti sulle cosce e appoggiò il viso sui palmi delle mani, poi fece girare lo sguardo sulla piazza. In quel momento due donne stavano litigando a gran voce, non riusciva a capire per cosa. Intorno al banco delle carni c’era un tappeto di cascami, e rivoli di sangue riempivano le commessure del selciato. Un cane randagio addentò una coda di vacca e scappò inseguito dalle maledizioni del macellaio. Frattanto era arrivato un mendicante storpio, accompagnato da un ragazzetto ossuto. Il primo cominciò a cantare, cercando di sovrastare con voce stridula gli strumenti dei musici, l’altro si infilò in mezzo alla folla intenta a contrattare, e dopo poco si levò il grido rabbioso di qualcuno che non trovava più la sua scarsella.
Si scatenò immediatamente un parapiglia: tutti cercavano di agguantare il ragazzo, che schizzava fra le gambe della gente come una specie di anguilla. Dopo aver percorso in quel modo la maggior parte del mercato, il ladruncolo corse nella direzione dei cavalieri, forse sperando di dileguarsi attraverso il vicolo che si apriva dietro di loro, ma prima che potesse raggiungerli, un uomo lo afferrò per la collottola e trionfante esclamò: “Finalmente ti ho preso!”
Gli altri lo raggiunsero. “Ladro, ladro!” si udiva gridare.
Si formò un capannello di gente, e tutti sgomitavano per arrivare al ragazzo, per potergli dare almeno un pugno o uno schiaffo. Colpito da tutte le parti, questi urlava e si divincolava.
I due cavalieri si scambiarono un’occhiata, poi uno di essi abbandonò il suo posto accanto allo scritturale e si diresse a passi misurati verso il gruppo. Al suo arrivo, la folla si divise come le acque del Mar Rosso al passaggio di Mosè, ed egli si trovò faccia a faccia con l’uomo che stava tenendo stretto il ladro.
Che cos’ha fatto questo ragazzo?” chiese pacato.
Il reprobo smise di agitarsi. Alla vista del manto bianco, crollò in ginocchio e prese a piagnucolare: “Pietà, buon signore, pietà! Vogliono uccidermi!” protese una mano verso la veste del cavaliere, ma questi si fece impercettibilmente indietro, e il ragazzo si accontentò di appoggiarla al selciato e chinare la testa in segno di sottomissione. “Pietà, buon signore!” implorò di nuovo con voce tremula.
Che cos’hai fatto per meritare l’ira di queste persone?” lo interrogò il Templare.
Io? Niente, lo giuro sulla Vergine!”
Ha rubato!” intervenne un uomo furibondo.
Ha rubato, è un ladro!” fecero eco altre voci.
Il cavaliere impose il silenzio con un gesto. Fissò di nuovo il ragazzo. “Restituisci quello che hai preso,” gli ingiunse.
Non ho preso niente.”
Non mentire. Posso fare qualcosa per te se tu parli con cuore sincero e ti penti, ma se permani nell’errore, come posso aiutarti?”
Il ladro fissò di nuovo il cavaliere, poi fece girare lo sguardo sulla folla minacciosa che lo circondava. Lentamente, a malincuore, si infilò una mano nella camicia e ne trasse la scarsella rubata. La porse al Templare, che la restituì al legittimo proprietario.
Fatto questo, il cavaliere chiese: “Come ti chiami?”
Mathias, buon signore.” Poi, dopo una pausa, in tono accorato riprese: “Vi prego, salvatemi! Mi vogliono uccidere.”
L’altro gli fece cenno di tacere. “Sai lavorare, Mathias?”
Il ragazzo annuì energicamente. “Sì, signore.”
Allora puoi venire alla commenda, ed espiare le tue colpe lavorando. Avrai da mangiare e da dormire, e una veste nuova ogni volta che quella vecchia sarà consumata.”
Per un attimo il ladro rimase interdetto. Fissò poco convinto il suo interlocutore, poi volse lo sguardo verso il mendicante storpio. “Signore, mio padre...” cominciò esitante.
È davvero tuo padre?”
L’altro annuì energicamente. “Oh, sì. Certo che lo è. Mio padre, colui che mi ha generato. Io sono sangue del suo sangue.”
Voglio pensare che sia così,” rispose il cavaliere. “Ma ricorda: posso avere pietà di chi ruba per fame, ma non di chi mente per ottenere vantaggi.” Per quanto fosse quieto, il tono lasciava trasparire un’inflessibilità assoluta.
Mathias deglutì. “Come dite voi, signore,” mormorò. Si voltò di nuovo verso il mendicante.
Va’ da lui e portalo qui,” gli disse il Templare, “se tuo padre, o quello che è, non può più lavorare, lo accoglieremo come opera di carità.”
Grazie, buon signore, che Dio vi benedica.”

Gwenel, che aveva seguito tutta la scena, si sentiva estasiato: che razza di uomini erano quelli, che sapevano essere implacabili con i nemici di Cristo e al tempo stesso pieni di carità con un povero mendicante?
Si avvicinò cauto, e subito uno dei due cavalieri lo salutò. “Voi siete il figlio del signore de Jussy?” gli chiese.
È così.” Con le sue vesti dai colori sgargianti, bordate di vaio, Gwenel si vergognava come se avesse avuto addosso i più sordidi stracci. Ripensò al 'De laude novae militiae', di Bernard de Clairvaux. Lo conosceva praticamente a memoria, ma in particolare gli tornò in mente il passo in cui il santo monaco criticava i costumi della cavalleria laica: voi appesantite i vostri cavalli con tessuti di seta; coprite le vostre cotte di maglia con chissà quali stoffe; dipingete le vostre lance, i vostri scudi e le vostre selle; tempestate d'oro, d'argento e di pietre preziose i finimenti dei vostri cavalli... [2]
Ammiro la vostra veste,” si decise a dire.
È gentile da parte vostra,” fu la sobria risposta del Templare.
Anche tutte queste cose...” indicò i prodotti esposti, “...sono molto belle.”
Siete molto cortese. Qual è il vostro nome?”
Gwenel... Gwenel de Jussy,” rispose il ragazzo.
Io sono fratello Séverin,” si presentò il cavaliere, poi indicò il compagno, che stava aiutando il mendicante a sedersi sul carro, e soggiunse: “E lui è fratello Philippe.”
Il ragazzo prese un gran respiro, e prima di pentirsene chiese: “Come si fa per entrare nell'Ordine?”
Con un sorriso di vaga indulgenza, come quello di un nonno saggio che ascolta un nipotino un po' sventato, fratello Séverin scosse la testa. “Non ve lo consiglio, giovane signore.”
Il ragazzo, che aveva raccolto tutto il suo coraggio per porre la fatidica domanda, trasecolò. “Perché?”
Voi siete nobile. Vorreste rinunciare alla vostra volontà, e fare ciò che vi si ordina per tutto il resto della vostra vita?”
Gwenel citò di nuovo Bernard de Clairvaux, questa volta a voce alta: “Vanno e vengono a un cenno del loro comandante; portano le vesti che egli dà loro, non cercando né altri abiti, né altro nutrimento. Evitano ogni eccesso, nel cibo come nelle vesti, desiderano solo il necessario. Vivono tutti insieme, senza donne né bambini. E poiché nulla manchi loro della perfezione angelica, vivono tutti sotto lo stesso tetto senza possedere niente di personale, uniti dalla loro Regola nel rispetto di Dio.” Si interruppe. Ansimava leggermente e si sentiva le guance in fiamme. “In verità, fratello Séverin, io non ambisco ad altro nella vita,” concluse.
Di nuovo, il Templare sorrise con una certa indulgenza e disse: “Lo so, vista da fuori la nostra vita può sembrare bella e perfetta, ma è intrisa di sacrificio e rinuncia.”
Gwenel stava per ribattere quando alle sue spalle echeggiò un richiamo. Il ragazzo si voltò e vide suo fratello Vauquelin fermo al limitare della piazza. “Nostro padre ci aspetta,” disse questi.
Arrivo,” fu la svogliata risposta, poi Gwenel rivolse nuovamente la propria attenzione al cavaliere. “Non pensate che io parli con leggerezza,” gli disse. “Se vi dico che non ambisco ad altro nella vita, fidatevi che è così.”
Un secondo richiamo lo costrinse ad allontanarsi.

§

Livonia, Castello di Ritterswerder

Fratello Friedrich stava misurando a grandi passi la sala del Capitolo. Percorreva lo spazio in un senso, quindi faceva un dietro-front così brusco che il manto bianco descriveva un arco di cerchio dietro di lui. Poi attraversava di nuovo lo spazio, e arrivato alla parete opposta faceva la stessa cosa.
A un certo punto si fermò, si voltò verso una porta chiusa e la fissò torvo, quindi riprese a camminare.
Passarono lunghi minuti, poi finalmente la porta che ogni tanto il cavaliere scrutava si aprì, e sulla soglia comparve uno scrivano. Fratello Friedrich interruppe il suo nervoso camminare e si voltò verso di lui.
Potete venire, cavaliere,” disse questi, vagamente intimidito dal suo sguardo tagliente.
L'altro annuì senza parlare e si mosse nella sua direzione. Piegando la testa all'indietro per riuscire a guardarlo in faccia, lo scrivano disse: “Il priore vi sta aspettando, fratello.”
Lo so,” fu la secca risposta, poi il cavaliere lo oltrepassò, percorse un breve corridoio e senza bussare aprì una seconda porta.
Al di là c'era una stanza ampia e illuminata da due alte bifore. Il soffitto era sostenuto da volte a sesto acuto, le pareti erano di pietra chiara. Il fuoco che scoppiettava nel camino rendeva la temperatura confortevole.
Al centro del locale c'era un pesante tavolo di quercia, dietro cui sedeva un uomo imponente, dai capelli appena venati di grigio, che indossava un abito bianco con una croce nera sul petto. “Fratello Friedrich,” sospirò questi.
Priore,” rispose l'altro. I suoi occhi chiari, dallo sguardo acuto di rapace, non lo abbandonavano.
Vieni avanti, fratello.”
Il cavaliere si avvicinò, fermandosi a un passo dal tavolo.
Che cos'hai da dire a tua discolpa, fratello?” gli chiese allora il priore.
L'altro si erse in tutta la sua considerevole altezza e rispose: “Non devo discolparmi di nulla.”
A quella frase fece seguito un silenzio rotto solo dal crepitare del ceppo nel camino e dal fischio del vento che si insinuava tra le merlature.
Di nulla, fratello?” fece eco il priore dopo un po'. “Hai ucciso degli ambasciatori lituani, mettendoci in una situazione piuttosto spiacevole con il loro sovrano.”
Non erano ambasciatori, erano spie.”
Il priore sospirò di nuovo. “E tu come fai a saperlo?”
Li ho sorpresi sugli spalti, mentre mandavano messaggi a qualcuno fuori.”
Di nuovo, fratello Friedrich: come fai a sapere che stavano mandando messaggi? E a chi, poi?”
Il cavaliere strinse gli occhi. Per un attimo serrò le labbra, quindi sibilò: “Priore, non sono due giorni che combatto qui in Livonia. Conosco benissimo le usanze di quei pagani senza Dio, la loro lingua e i loro modi. So come si scambiano messaggi, perlopiù a nostra insaputa.” Fece una pausa, non scevra di un certo cupo compiacimento, quindi soggiunse: “Purtroppo per loro, questa volta non si sono imbattuti nel solito credulone ingenuo.”
Il più anziano non poté fare a meno di aggrottare le sopracciglia. “Nella tua superbia, fratello, dimentichi che io sono qui da più tempo di te.”
E allora mi chiedo, priore, perché non siate d'accordo con me. Quelli non erano ambasciatori, e se li avessi lasciati liberi di comunicare con l'esterno, ora il castello sarebbe perduto.”
Avresti dovuto arrestarli e chiedere l'intervento del Capitolo.”
Sì, e intanto quelli facevano la pantomima e smuovevano mezza Livonia per farsi liberare, e alla fine avremmo dovuto lasciarli andare con tante scuse.” Fece una pausa, poi soggiunse: “Così invece il problema è risolto.”
Di nuovo ci fu un lungo silenzio, infine il priore si alzò lentamente in piedi, rivelando un'altezza di poco inferiore a quella del suo interlocutore. Lentamente disse: “Certo, fratello Friedrich, forse questo problema è risolto, ma di certo la tua impulsività e il tuo orgoglio ne hanno creati molti altri. Farai parte del contingente che scorterà i cavalieri feriti alla Komturei [3] di Metz, e poi rimarrai là fino anche non verrai richiamato; hai bisogno di schiariti un po' le idee, e di meditare sul voto di obbedienza che hai formulato al momento di entrare nell'Ordine.”
A quelle parole, gli occhi di fratello Friedrich si accesero di furore. “A Metz?” ringhiò. “Ma Metz è in Lothringen [4]!”
So dove si trova Metz.”
E quindi che cosa dovrei fare laggiù? Imboccare i malati dell'ospedale? Tenere in ordine i registri come una specie di scrivano zoppo? Io sono qui per combattere i nemici della fede!”
Tu sei qui per obbedire,” replicò il priore con voce dura, “E finché non l'avrai capito te ne rimarrai in Lothringen, a meditare sui tuoi peccati d'orgoglio.”

Fratello Theobald, priore del castello di Ritterswerder, stava camminando sugli spalti. Al suo fianco procedeva il suo più fidato aiutante, fratello Richard.
A perdita d'occhio, le campagne erano coperte di neve, le bandiere con la croce nera dell'ordine schioccavano investite dal vento gelido, mentre le loro corde tintinnavano contro i pennoni.
Allora lo mandi via?” chiese a un tratto fratello Richard.
Il priore emise un sospiro. “Non posso fare altro, questa volta l'ha combinata troppo grossa.” Poi, dopo una pausa: “E considera che sono già stato molto generoso, un altro gli avrebbe come minimo fatto perdere l'abito.”
Il che sarebbe stato un gran peccato,” considerò fratello Richard, “perché non c'è nessuno, qui a Rittersewerder, più ardimentoso ed entusiasta di fratello Friderich.”
Non lo so,” replicò pensoso il priore. Si fermò e per un po' rimase a guardare i soldati che facevano esercitazioni con la spada. “Se ognuno di quelli durante una battaglia decidesse di fare di testa sua, perché pensa di essere il migliore e di aver capito la situazione meglio dei suoi comandanti, tu cosa credi che succederebbe?”
Fratello Richard non rispose. Ripresero a camminare.
Dopo un po', fratello Theobald disse: “Capisci che questa volta non posso fare finta di niente, anche per rispetto degli altri fratelli, che si aspettano da me imparzialità e giusto rigore.”
Fratello Friedrich è come un cavallo selvaggio,” lo giustificò fratello Richard, “bisogna saperlo prendere.”
Il priore scosse la testa, quindi rispose: “Direi che hai usato un paragone appropriato: se un cavallo selvaggio non accetta sella e briglie, può essere anche lo stallone più bello e forte che si sia mai visto, ma non serve a nulla.”

§

Lorena, Commenda di Vaux

Fratello Roland raggiunse la commenda di Vaux salutato dalle ombre lunghe del tramonto. Il suo destriero teneva la testa bassa per la stanchezza, e a lui stesso non pareva vero di essere finalmente arrivato alla fine del suo viaggio.
Allontanarsi dalle zone di guerra era stato come discostarsi da un fuoco ruggente. All’inizio, dormire in pace tutta la notte e non dover fare la conta dei morti dopo ogni uscita era stato quasi un sollievo, ma ormai lontano da quelle fiamme sentiva solo freddo e nostalgia. Gli mancava il calore dei suoi fratelli, quella sensazione unica di comunione spirituale che nasceva dal condividere rischi e fatiche, e dava la consapevolezza di potersi fidare ciecamente gli uni degli altri in ogni momento.
Si guardò intorno: abituato ai paesaggi aspri dell’Andalusia, alle dune flagellate dal vento e alle forme contorte delle querce da sughero, la vista delle dolci colline coperte di vigneti gli dava quasi una sensazione di disagio.
Per quanto la sua terra d’origine non fosse distante da quella regione, si sentiva come un pesce fuor d’acqua, e ogni casa a graticcio, ogni contadina che spingeva placida un branco di oche, ogni bambino spensierato che lo salutava, con nessuna preoccupazione se non quella di correre dietro a una palla di stracci, gli faceva crudelmente rimpiangere le robuste mura di pietra del castello di Murcia, il clangore del ferro e l’odore salmastro del mare.
Gli era capitato spesso di ripensare all’assalto della fattoria di Pozo Aledo, e qualche volta aveva anche sorriso tra sé e sé rievocando le battute che i suoi confratelli si erano scambiati sulla via del ritorno.
Una voce lo riscosse bruscamente dai suoi pensieri: “Fratello!”
Rialzò la testa, istintivamente la mano gli corse al pomo della spada.
Fratello, affrettatevi, stiamo per chiudere le porte.”
Roland si raddrizzò sulla sella: la strada terminava davanti ai portoni della commenda, e un fratello di mestiere [5] con le maniche rimboccate e i piedi nudi lo stava chiamando con ampi gesti.
Osservò la struttura che gli si profilava davanti: un insieme di edifici immacolati, dal tetto di paglia, lunghi e bassi, disposti in un ampio circolo e circondati da un muro di pietra. La porta che stava per essere chiusa non avrebbe retto il più fiacco degli assalti dei saraceni. Vi erano solo due edifici in pietra, ed erano la chiesa e la sala del Capitolo. Essi apparivano decisamente più robusti degli altri, e il Templare si domandò se fossero stati pensati come estrema difesa in caso di attacco. Anche se di attacchi non si poteva certo parlare, nel cuore della Francia cristiana.
Fratello, non si può fare tardi!” lo richiamò il portinaio.
Roland convinse il suo stanco destriero ad aumentare un po’ l’andatura, oltrepassò la porta, che in effetti venne subito serrata dietro le sue spalle, ed entrò nel cortile.
Gli si fecero incontro latrando due cani ben pasciuti, dal pelo lustro. Girarono un po' tra i piedi del suo cavallo fiutandolo con interesse, poi tornarono ad accucciarsi senza degnarlo di ulteriori attenzioni. Più lontano, un garzone stava buttando del grano a polli e anatre, che gli si assiepavano intorno chiocciando. Davanti alla scuderia c'erano due cavalli da tiro che attendevano di essere strigliati, e dalla fucina proveniva il battere ritmico del fabbro ferraio.
Fratello Roland fece girare lo sguardo tutt'intorno e poi abbassò gli occhi sui propri abiti: cotta di maglia, spada. La veste bianca sporca per il lungo viaggio. Emise un sospiro.
Mentre si apprestava a scendere da cavallo udì un rumore di passi, e subito dopo una voce lo salutò: “Tu devi essere il fratello che stavamo aspettando!”
Si girò in quella direzione e vide sopraggiungere un cavaliere che vestiva la tunica e il manto bianco dell'Ordine, ma non aveva né spada né usbergo. Questi procedeva a grandi passi verso di lui, con le braccia aperte in un gesto di accoglienza e sul volto un sorriso benevolo.
Fratello Roland smontò da cavallo e si presentò.
L'altro sollevò le sopracciglia con espressione soddisfatta. “Ah, molto bene,” disse poi. “Molto bene. Io sono fratello Geoffroy, commendatario di questa magione. Qui abbiamo proprio un bel posticino, non trovi, fratello? È vero che la Regola impone di bere con moderazione, ma sono ansioso di farti assaggiare il nostro vino: sono certo che ti rinfrancherà meglio di un'intera notte di sonno...”
Mentre il nuovo arrivato parlava, si fecero avanti altre persone. C'erano dei fratelli, tutti disarmati, dei garzoni, degli operai e addirittura, cosa che lo riempì di stupore, un paio di donne. Vestite con la più grande decenza e di età ormai matura, ma donne.
Tutti lo fissavano con curiosità, e fratello Roland ebbe l'impressione che fosse tanto tempo che non vedevano un cavaliere proveniente da una zona di guerra.
Notando che uno stalliere si apprestava condurre il suo cavallo alle scuderie, egli staccò le bisacce della sella, quindi frugò in una di esse e ne trasse una lettera sigillata, che poi porse al commendatario.
Questi interruppe il monologo sull'ultima vendemmia, abbassò gli occhi sulla missiva e chiese: “Che cos'è?”
È una lettera per voi, signore. Ve la manda il commendatario di Murcia.”
Ah, molto bene. Dev'essere proprio la lettera che aspettavo.” Fratello Geoffroy lo prese familiarmente per una spalla. “Vieni, fratello, andiamo dentro, così potrai riposarti dopo che avremo parlato.”

Una volta che furono all'interno dell'edificio del Capitolo, fratello Geoffroy lo condusse in una stanza che fungeva da studio, e mentre lui lo fissava in rispettoso silenzio, accese una candela, poi aprì la lettera, la spiegò e la lesse con attenzione.
Alla fine sollevò lo sguardo e semplicemente apprezzò: “Molto bene.” Poi si voltò nella sua direzione, e notando la sua espressione tesa, chiese: “Qualcosa non va, fratello?”
Posso fare una domanda, signore?”
Ma sì, certo che puoi. È ovvio.”
Lì c'è scritto qual è la mia colpa?”
L'altro sollevò stupito le sopracciglia. “La tua colpa?”
Il commendatario di Murcia non me l'ha voluta dire, ma se mi ha mandato via, è chiaro che devo aver commesso qualche grave mancanza.” Fece una pausa, poi soggiunse: “È da quando sono partito da Murcia che ci sto pensando, signore, e il fatto di non riuscire nella mia limitatezza a capirlo da solo mi sta distruggendo: dove ho sbagliato?”
Fratello Geoffroy scosse la testa. “Tu non hai sbagliato in nulla, fratello,” gli rispose. “Proprio in nulla. Anzi: se vuoi saperlo, sei stato scelto.”
Fratello Roland incupì l'espressione. “Scelto? Che significa?”
L'altro levò gli occhi su di lui, e il primo notò che il suo sorriso bonario era scomparso per lasciare il posto a un'espressione di serietà attenta. Vi era silenzio nella stanza, e l'unica luce era quella che promanava dalla candela che il commendatario aveva acceso. Il cavaliere fissò il suo interlocutore con aspettativa.
Ci sono compiti per cui non tutti sono adatti,” disse questi. “Livelli di conoscenza superiori, per i quali non è sufficiente essere prodi, coraggiosi e leali.”
Fratello Roland si mosse a disagio, facendo tintinnare gli anelli della cotta di maglia. “Che significa?” chiese. Si accorse che aveva involontariamente abbassato la voce, forse contagiato da quello strano clima di mistero.
Fratello Geoffroy si alzò in piedi facendo frusciare il mantello nel movimento. “Immagina dei prigionieri, legati fin dalla nascita all'interno di una caverna, con la faccia rivolta contro la parete,” cominciò. “E immagina che ci sia un fuoco, alle loro spalle, che proietta su quella parete le ombre di vari oggetti. Quei disgraziati si farebbero l'idea che il loro mondo è costituito da quelle ombre, non ti pare?”
Il cavaliere ebbe qualche istante di esitazione, poi rispose: “Sì, signore.”
Fratello Geoffroy annuì come il precettore che vede l'allievo seguire attentamente la lezione. “Ora immagina di liberare uno di quei prigionieri,” proseguì. “Che cosa pensi che succederebbe?”
Credo che quell'uomo vorrebbe uscire dalla caverna, signore.”
Certo, ma inizialmente sarebbe abbagliato dalla luce e proverebbe dolore. Inoltre, all’inizio il mondo reale gli sembrerebbe paradossalmente meno reale di quello che ha sempre visto all'interno della caverna.”
Fratello Roland rimase in silenzio.
Quello che voglio dire,” riprese l'altro dopo un po', “è che tutti noi viviamo all'interno di quella caverna, ma solo i più forti e i più coraggiosi possono sopportare il dolore di uscirne.”
Non capisco, signore,” mormorò il cavaliere. Illuminati dalla candela, gli occhi scuri di fratello Geoffroy sembravano animati da una fiamma interna, che li faceva ardere come tizzoni.
Capirai,” disse il commendatario. Prese la lettera, la piegò di nuovo e la infilò in un cassetto, quindi proseguì: “Starai qui e ti ambienterai. Al momento giusto, verrai presentato a fratello Urbain. Ora puoi andare a riposarti.”

Fratello Roland uscì dallo studio del commendatario in preda a pensieri contrastanti. Da una parte lo sollevava sapere di non aver commesso alcuna mancanza, ma dall’altra non gli era per niente chiaro che genere di compito avrebbe dovuto svolgere.
Se non si trattava di combattere per la fede, che cosa avrebbe dovuto fare?
Si guardò intorno disorientato. Nel frattempo era calata la sera, ed egli riusciva a vedere qualcosa unicamente grazie alla lama di luce che filtrava da sotto la porta dello studio di fratello Geoffroy.
Ricordava la strada che portava all’esterno, quindi pose una mano alla parete e cautamente prese a camminare in quella direzione.
Non aveva fatto tre passi che cominciò a sentire dei rumori alle sue spalle. Immediatamente si irrigidì: qualcuno si stava avvicinando.
Si girò lentamente e vide un alone di luce che andava facendosi man mano più intenso. Qualcuno disse: “Fratello Roland? Sei qui per caso?”
Chi mi chiama?” ringhiò l’interpellato, facendo un istintivo passo indietro.
In fondo al corridoio comparve una figura vestita di bianco con una lanterna in mano. “Sono fratello Olivier,” si presentò.
Ancora diffidente, l’altro non si mosse. “Come fai a sapere il mio nome?” chiese.
Il nuovo arrivato si avvicinò, rivelandosi un giovane fratello di alta statura, con i capelli e gli occhi chiari. “Diciamo che l’ho dedotto dagli indizi. Sapevo che doveva arrivare un fratello di nome Roland dalla Spagna,” disse con un lieve sorriso, “e quando ti ho visto nel cortile, ho capito subito che eri tu.”
Come hai fatto a capirlo?”
Basta guardarti per accorgersi che vieni da una zona di guerra, fratello.”
Qui è buio,” replicò Roland, senza abbandonare la posizione di guardia. “Come hai fatto a capire che ero la stessa persona del cortile?”
Oh, via. Sei appena uscito dallo studio di fratello Geoffroy, nel quale praticamente non è mai entrato nessuno di noi. Questo significa che sei un ospite di riguardo.” Fece una breve pausa, poi soggiunse: “Come vedi, basta osservare e ragionare.”
Fratello Roland rimase in silenzio e lentamente assunse una postura più rilassata. “Scusa se sono stato scortese,” disse infine, “Devo ancora abituarmi a questi luoghi.”
L’altro annuì e chiese: “Dove prestavi servizio?”
Murcia.”
Fratello Olivier sollevò le sopracciglia. “Un'assegnazione molto dura.”
La conosci?”
Ne ho sentito parlare.” Si incamminò, facendo cenno a Roland di seguirlo. “Ora ti accompagno in camerata,” disse poi, “così potrai lasciare l’usbergo prima di venire in refettorio.”
L’altro si limitò ad annuire. A Murcia si mangiava con usbergo, elmo e spada al fianco, e non era raro che si abbandonasse il pasto a metà per rintuzzare qualche assalto dei saraceni. L’idea di andare in refettorio con addosso solo tunica e mantello lo faceva sentire praticamente nudo.
Sai, per certi aspetti ti invidio,” gli disse dopo un po' fratello Olivier. “In senso buono, s'intende,” soggiunse poi.
Perché?”
Tu hai difeso davvero la fede, con le armi in pugno.”
Fratello Roland non rispose. Un po' per la stanchezza, ma un po' perché non avrebbe saputo cosa dire per non offendere il suo interlocutore. Era passato da un castello fortificato a una tranquilla fattoria, e ancora non riusciva a capacitarsene.
Fu fratello Olivier che dopo un po' aggiunse: “In ogni caso, la fede si serve in tanti modi, e a Murcia non si potrebbe certo combattere, se non ci fosse chi rifornisce il castello del necessario.”
Già, hai ragione,” sospirò Roland, più che altro desideroso di dargli ragione e far cessare il chiacchericcio.
Fu fratello Olivier che concluse: “Desiderare la gloria delle armi è sbagliato, bisogna desiderare solo la gloria di Dio.” Tacque per qualche istante, forse in attesa di una risposta, poi soggiunse: “Non nobis domine [6], giusto?”

§

Fraello Roland pose le redini sul collo del cavallo e afferrò un ciuffo di criniera per montare in sella, ma qualcuno dietro di lui esclamò: “Aspetta!”
Il cavaliere si voltò: stava arrivando a grandi passi fratello Adrien, uno dei cavalieri più anziani di Vaux, che ormai a causa dell'età raramente usciva dalla commenda. “Fatti vedere,” disse questi. Fece un passo indietro e lo squadrò con una lunga occhiata dal basso verso l'alto.
Il più giovane colse uno sguardo di disapprovazione, ma rimase in silenzio.
Pensi di essere a posto?” gli chiese allora l'altro.
Fratello Roland abbassò gli occhi sulla propria tenuta, quindi rispose: “Spada affilata ieri sera, usbergo, basilardo in cintura, elmo alla normanna, bendaggi di emergenza nelle bisacce della sella e otre d'acqua. Credo di non aver dimenticato nulla, fratello Adrien.”
Il maggiore emise un sospiro. “È un mese che sei qui e ancora non hai capito niente,” brontolò deluso, e prima che fratello Roland potesse replicare, proseguì: “La fede non si difende solo con la spada in pugno, non si difende solo tagliando la testa a chi la minaccia. Noi diamo un'immagine di ordine, di pulizia fisica e morale, di rigore. Ci mostriamo affidabili e disciplinati. Se tu vai in giro come se ti fossi appena allontanato dal campo di battaglia, che immagine darai alla gente?”
Il più giovane non rispose.
Cerca di adeguarti, fratello. Ostinarsi a fare le cose a proprio modo quando tutti le fanno diversamente è segno di superbia.”
Roland chinò appena la testa. “Mi dispiace, fratello Adrien,” rispose, “sono abituato a vestirmi così, l'ho fatto senza pensarci.”
L'altro occhieggiò il convoglio che si andava formando nel cortile. In quel momento, due garzoni stavano conducendo fuori dalla scuderia la mula bianca che ogni mese trasportava a Metz le cassette con i guadagni della commenda. “Parlerò col guardarobiere,” sospirò alla fine, “vedrò se ha un mantello decente da assegnarti. Non puoi andare in città conciato in quel modo.”
Fratello Roland rimase a guardarlo mentre si allontanava, poi abbassò di nuovo gli occhi sui propri abiti. A Murcia, nessuno si sarebbe sognato di riprenderlo perché non aveva un mantello abbastanza candido. Anzi, laggiù era raro che non ci fossero tuniche macchiate di sugna, polvere o sangue.
In quel momento, sopraggiunse fratello Olivier. “Che voleva il Cerbero?” gli chiese.
Al solito.”
Il nuovo arrivato sollevò le sopracciglia. “Oh, capisco. Abiti disordinati, giusto?”
Fratello Roland si limitò ad annuire. Sistemò meglio la testiera del suo cavallo, gli pettinò il ciuffo con le dita, quindi soggiunse: “Non voglio essere diverso dagli altri, ma vengo da un posto dove essere vestiti nella maniera più comoda poteva fare la differenza tra vivere o morire. Certe cose ormai le faccio senza nemmeno rendermene conto.”
Fratello Olivier sorrise. “Non preoccuparti,” gli rispose, “fratello Adrien è solo dispiaciuto di non poter essere lui a scortare la mula bianca. Devi avere pazienza.”

Quando uscirono dalla commenda, fratello Roland notò un ragazzetto vestito di stracci saltare in piedi e allontanarsi di corsa. Si rivolse a fratello Olivier, che cavalcava al suo fianco: “Chi è quello?”
L'altro si strinse nelle spalle. “Non saprei. Ogni giorno vengono qui tanti poveri a prendere le elemosine.”
Ma quello l'avevi mai visto?”
Mi pare di no.”
Fratello Roland si voltò nella direzione in cui il ragazzo si era allontanato, ma non notò nulla di strano.
Che c'è?” volle sapere il confratello.
Il primo si strinse nelle spalle. “Niente, credo. Forse sono io che vedo pericoli anche dove non ce ne sono.” Rivolse lo sguardo alla mula, che procedeva tranquilla, tenuta per la cavezza da un fratello di mestiere, e poi si guardò intorno: un contadino si fece il segno della croce quando li vide passare, un paio di ragazze ridacchiarono fra loro. A parte ciò, nessuno sembrava prestare loro attenzione.
Quando si furono allontanati di qualche centinaio di passi, fratello Roland si voltò indietro, addirittura girandosi sulla sella per vedere meglio, ma tutto gli parve a posto.
Prese allora a osservare la strada.
Dopo un po', fratello Olivier lo affiancò. “Qualcosa non va?” gli chiese. “È da quando siamo partiti che sei inquieto.”
C'è troppa calma.”
L'altro si guardò intorno. “Non più del solito, direi. Non c'è mai molta gente su questa strada.”
Il primo emise un sospiro. “Scusami, fratello. Forse non sono ancora riuscito ad abituarmi a questi posti. Penso sempre a qualche pericolo.”
La strada serpeggiava attraverso un alternarsi di boschi e campi a maggese. Non c'era nessuno in giro e gli unici rumori che si udivano erano lo stormire delle fronde e il cinguettio degli uccelli.
Fratello Roland però rimaneva inquieto. Continuava a pensare al ragazzetto che era scappato via quando il convoglio era uscito da Vaux, e la cosa gli sembrava sempre più sospetta. “Quanto manca a Metz?” chiese.
La risposta non fece in tempo a giungere. Con la coda dell'occhio Fratello Roland colse un movimento nella vegetazione. In un gesto istintivo afferrò fratello Olivier e lo tirò verso il basso: la freccia che avrebbe dovuto piantarglisi nel collo si perse tra le fronde.
Sfoderò la spada e si guardò intorno: nel sottobosco c'erano delle sagome, gli parve anche di riconoscere la giubba azzurra del ragazzo che era scappato a Vaux. Smontò da cavallo.
Che fai?” gli chiese fratello Olivier.
Prova tu a combattere in sella qui in mezzo.” Colse un'ombra in avvicinamento, balzò in avanti: tra le frasche c'era un uomo con una spada. Lo impegnò in combattimento, ma già alle sue spalle si udivano nitriti e voci concitate. La mula scartò, facendo tintinnare il carico che trasportava.
Fratello Roland abbatté l'avversario dopo appena due scambi, quindi si girò e corse accanto a fratello Olivier, che nel frattempo era smontato a sua volta. C'erano altri uomini intorno al convoglio, vide uno afferrare le redini della mula. La bestia fece una mezza impennata e poi scartò di nuovo, con maggiore forza, appiattendo le orecchie sul collo.
Tenetela!” urlò fratello Roland, “Non fatela allontanare!”
Nessuno si mosse: dei fratelli di mestiere, un paio erano troppo spaventati per fare qualsiasi cosa, uno era a terra sanguinante e gli altri non erano in vista. Fu fratello Olivier che recuperò le redini della bestia e la trattenne. Un brigante gli si avventò addosso, ma fratello Roland estrasse il pugnale, lo afferrò per la veste e lo strattonò all'indietro, poi gli piantò la lama nel petto. Subito dopo, estrasse l'arma e si girò fulmineo, e con un tondo rovescio tagliò la gola a un secondo brigante che stava per assalirlo alle spalle. A quel punto, i superstiti si diedero alla fuga tra gli alberi.
Quando i passi dei malintenzionati si persero nella foresta, Fratello Roland rinfoderò l'arma, quindi fischiò per chiamare il suo cavallo, che si avvicinò obbediente. Staccò l'otre dalla sella e bevve qualche sorso d'acqua, poi lo porse al compagno. “Hai sete?”
Mi hai salvato la vita,” ansimò questi per tutta risposta.
Te l'avevo detto che quel tizio non mi piaceva.” Gli porse di nuovo l'otre. “Bevi un sorso.”
Fratello Olivier si dissetò.
Si occuparono poi del ferito, che era uno dei garzoni della scuderia. Il ragazzo, di nome Amé, giaceva a terra col volto cereo, ma fortunatamente le sue condizioni non erano gravi.
Fratello Roland tolse dalla bisaccia della sella le bende che vi aveva riposto, quindi si chinò accanto a lui e gli aprì la tunica, mettendo a nudo un taglio sul fianco. La ferita era poco profonda, e aveva già smesso di sanguinare. Il cavaliere la bendò con la disinvoltura dell'abitudine. “Possiamo andare,” disse alla fine.
Un momento,” intervenne fratello Olivier.
Fratello Roland gli rivolse uno sguardo interrogativo.
Amé Non può venire in quelle condizioni,” spiegò allora il primo. “Darebbe un'impressione di debolezza e disordine, cosa che non sarebbe certo opportuna.”
L'altro aprì la bocca per replicare, ma si accorse che tutti li stavano guardando. “Certo, naturalmente,” si limitò a dire.
È meglio che torni a Vaux. Thibault lo accompagnerà.”
Il chiamato si fece avanti. “Certo, cavaliere,” rispose con deferenza.
Non date spettacoli sconvenienti lungo la strada.”
State tranquillo, cavaliere,” assicurò Thibault per entrambi.
Ora possiamo andare,” disse fratello Olivier. “Anzi, muoviamoci. Non vorrei arrivare in ritardo.”

§

La prima cosa che fratello Roland notò quando arrivarono a Metz, fu un imponente castello a cavallo di un corso d'acqua, con un giro di mura merlate e due alte torri dal tetto conico ai lati del portone d'ingresso. Si fece schermo con la mano per guardare le bandiere che garrivano sul maniero, ma col sole del primo pomeriggio che gli batteva sugli occhi, non riusciva a distinguerne il disegno.
È quello?” chiese.
Fratello Olivier scosse la testa. “No, quello è il castello dei cavalieri tedeschi.”
I cavalieri teutonici?”
Sì, ne vedrai qui in città. Hanno anche un ospedale.” Fece una breve pausa, poi soggiunse: “E quindi, capirai che a maggior ragione non possiamo sfigurare.”
Non siamo in buoni rapporti con i cavalieri tedeschi?”
Ma certo. Dobbiamo mostrare benevolenza per i nostri fratelli minori.”
Roland lanciò un’altra occhiata al castello e tutto gli parvero quei cavalieri, fuorché fratelli minori, ma preferì non replicare. Mentre stava ancora osservando il maniero, vide il portone schiudersi lentamente. Da esso uscirono alcuni uomini a cavallo.
Il primo montava un alto destriero grigio, la cui corporatura poderosa era accentuata da una gualdrappa bianca con le croci nere. Portava l’abito bianco, l’usbergo e il mantello con la croce nera sulla spalla, ma la cosa che lo colpì maggiormente fu che indossava un Grande Elmo che ai lati aveva due imponenti ali bianche e nere, arcuate a semicerchio. Rimase a fissarlo perplesso finché fratello Olivier non lo richiamò alla realtà: “Non avevi mai visto un cavaliere tedesco?”
Qualche volta, ma mai in armi.”
Hanno una certa predilezione per le apparenze, non ti pare?”

Fermi sul ciglio della strada, Michel e Bertrand, due membri della milizia, appoggiati alle rispettive alabarde guardavano passare il gruppetto di Templari.
Eccoli qui, come ogni mese,” considerò il primo. “Puntuali come la Quaresima.”
L'altro rimase in silenzio.
Mi piacerebbe proprio sapere quanti soldi portano,” buttò lì Michel dopo un po'. “Sarei curioso di dare un'occhiata a quelle cassette, una volta o l'altra.”
Perché?” gli chiese Bertrand.
L'altro assunse una vaga aria di mistero, poi rispose: “Lo sai che nessuno è mai riuscito a mettere le mani su uno dei loro libri mastri? Rispondono solo al Papa.”
Conosco uno che è diventato fratello di mestiere,” disse Bertrand dopo un po', “e lui dice che sono bravi.”
Bravi? Che significa?”
Danno molte elemosine ai poveri, curano gli infermi. Loro stessi non possono possedere più di quattro denari a testa. Una volta un fratello cavaliere morì, e quando guardarono nella sua scarsella trovarono più soldi del consentito. Lo sai cosa successe?”
No, che cosa?”
Lo seppellirono senza la veste bianca!”
Michel annuì. “Una punizione terribile,” considerò poi in tono sarcastico.
Tra i due calò il silenzio. Di comune accordo si misero in movimento e percorsero un tratto di strada con passo misurato, sogguardando di tanto in tanto all'interno delle botteghe, e ricevendone occhiate di torva diffidenza in risposta.
Attraversarono la piazza della cattedrale, e da lì Michel fece cenno di svoltare in un vicolo stretto, al centro del quale correva un canaletto di scolo. Un paio di bambini che stavano giocando sulla soglia di una casa scomparvero all'interno dell'abitazione, da un davanzale un gatto li fissò e poi scappò via. Rimase solo una vecchia silenziosa che filava seduta su uno sgabello, ma probabilmente perché ormai non ci vedeva quasi più e non aveva capito che erano sbirri.
Perché passiamo per di qui?” chiese Bertrand.
Voglio vederli arrivare alla commenda.”
Sì, ma perché?”
Voglio capire cosa fanno, quella è gente strana. Non danno confidenza a nessuno, guardano tutti dall’alto in basso.” Abbassò la voce. “C’è chi parla di eresia, lo sai?”
Eresia? Cavalieri della fede che praticano l’eresia?”
Michel annuì energicamente. “Se ne sentono tante, sui quei cari fratelli guerrieri. Anche che facciano proprio tutto fra di loro.” Sogghignò, e dando una gomitata nelle costole del collega, con aria complice gli chiese: “Capisci cosa intendo?”
Ecco, veramente no. Cosa vuoi dire?”
Tutto fra di loro, pensaci un po’.”










[1] Romani 13:1,2 (NR)
[2] San Bernardo di Chiaravalle, De laude novae militiae (In lode della nuova milizia).
[3] Equivalente teutonico della commenda templare.
[4] Lorena.
[5] Contadini e artigiani appartenenti all’Ordine, che svolgevano il loro servizio nelle commende.
[6] Non nobis domine, non nobis sed nomini tuo da gloriam (Non a noi, Signore. Non a noi, ma al tuo nome dà gloria). Motto dei Templari, tratto dal Salmo 114 della Bibbia (CEI).

   
 
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