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Autore: Ily Briarroot    06/06/2018    3 recensioni
La vita di Ai Haibara è sempre stata segnata dalla sofferenza e dall'oscurità, all'interno dell'Organizzazione. Ha voltato pagina grazie all'aiuto di Shinichi, Agasa e i Detective Boys, ma tra i segreti che nasconde ce n'è uno di davvero grande che non ha mai confidato a nessuno e con il quale si ritrova ancora a fare i conti.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Gin, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quarto capitolo



Sherry diede un'occhiata alle lancette dell'orologio appeso sulla parete del laboratorio, sbuffando. Il tempo era volato via da quando aveva iniziato a trascrivere tutte le osservazioni della ricerca. Senza neanche accorgersene, il pomeriggio era trascorso di nuovo tra quelle mura bianche e un altro pezzo di vita se n'era andato velocemente. Si era dimenticata persino della pausa pranzo, troppo concentrata sul lavoro, in ogni sua minima sfaccettatura. Qualche ora prima aveva mandato via l'équipe di scienziati che coordinava, pensando di riuscire a fare  meglio tutto da sola, piuttosto che controllare ogni procedimento passo dopo passo che altri avrebbero potuto sbagliare. Non voleva ricominciare dall'inizio per un errore, non quando era finalmente arrivata a buon punto. 
Il telefono fisso del laboratorio iniziò a squillare nel silenzio totale che avvolgeva ogni cosa.
La ragazza si voltò appena, poggiando la provetta colma a metà sul ripiano del mobile. 

"Shiho, ma dove sei finita? Sto cercando di chiamarti da stamattina e non hai mai risposto. Sorellina, non farmi preoccupare... richiamami! Ciao".

La ramata si voltò appena verso la cornetta, finché la luce della segreteria non si spense. Sospirò, sfilandosi i guanti. Non aveva voglia di sentire per l'ennesima volta Akemi rimproverarla per il troppo tempo chiusa in laboratorio o per il fatto che non avesse una vita all'infuori di esso. La conosceva bene e risponderle equivaleva a farle capire che lei era l'unica ancora a lavorare, alle otto e mezza di sera. 
Sua sorella aveva ragione a dirglielo, lo sapeva. Glielo ripeteva di continuo, non si stancava mai di farlo, anche quando era consapevole del fatto che non avrebbe sortito alcun effetto su di lei. Le avrebbe telefonato più tardi, una volta finita la trascrizione e appeso il camice. Prima di allora, Akemi avrebbe dovuto aspettare. 
Quando uscì dalla porta del laboratorio e si voltò dopo averla chiusa a chiave, la figura che le apparve davanti quasi la fece sussultare. Imperterrita, si fermò, scrutando attraverso il buio della stanza la sagoma dell'uomo biondo che si era trovata davanti. 
"Stai lavorando molto. Devo dedurre che le ricerche stiano andando bene". 
Sherry sollevò appena lo sguardo, sopraffatta dall'odore del fumo di sigaretta che le era familiare. Non tossì, intravedendo appena il ghiaccio di quegli occhi su di sé. 
"Non sono affari tuoi, Gin" rispose monotona, sistemando la chiave nella tasca della borsa a tracolla. 
"Sono affari della nostra Organizzazione, quindi... sono affari miei. Questa ricerca è un po' come te, mia cara". 
Gin rise, la voce profonda si espanse in quello spazio angusto. La ragazza sorrise appena, mantenendo il tono rigido. Evitò di pensare al piccolo brivido che le percorse la schiena. 
"E da quando io sarei diventata un tuo affare? Non erano questi i piani".
L'uomo le si avvicinò, spostando la sigaretta dalla bocca alle dita. Ora poteva percepire l'odore acre dell'Organizzazione riempirle i polmoni, attraverso quei vestiti. 
"Tu sei sempre stata un mio affare, che tu lo voglia o no. Ogni cosa di te mi riguarda, Sherry" concluse con il tipico tono possessivo che l'annientava come la prima volta. La scienziata lo studiò, muovendo appena un passo verso la direzione opposta a quello di lui. 
"Fai attenzione, Gin" iniziò, fermandosi spalla contro spalla. Guardò stavolta il corridoio lugubre che l'avrebbe condotta all'uscita, senza esitazioni. "La rosa rossa è un fiore meraviglioso. Elegante e bella da ammirare, il colore deciso di chi sa cosa vuole... ".
Sherry non lo sentì fiatare. Percepiva il contatto del suo corpo, il suo volto seguirla nel buio. Attese, la sigaretta di nuovo tra le labbra. 
"... tuttavia i suoi petali delicati nascondono spine pericolose. Non credi anche tu?". 
Lo superò definitivamente di un paio di passi, in attesa di una risposta che non arrivò subito. Gin buttò la sigaretta consumata a terra, pestandola deciso con il piede destro. 
"Stupidaggini". Le afferrò il braccio quasi bruscamente, annullando la distanza tra loro e avvicinando il viso al suo collo. "Hai ragione, Sherry. E' proprio un bel fiore. Basta saperlo cogliere". 
Le baciò lentamente il collo, assaporando il profumo dei capelli castani. Lei si scostò, senza riuscire ad allontanarsi ulteriormente. 
"Non ora, Gin". 
Il suo tono fermo ottenne l'effetto desiderato. Il biondo la lasciò andare senza però spostarsi. 
"A più tardi". 

Le settimane trascorrevano, monotone e ripetitive. Giorno dopo giorno, in qualunque laboratorio si trovasse, con i soliti colleghi che speravano di trovare una qualche soluzione corretta alle mille analisi svolte, in un ambiente fatto di silenzio e desolazione. Le uniche voci udibili, ogni tanto, erano quelle degli scienziati che si scambiavano informazioni o quella imperativa della ragazza dai tratti stranieri che, nonostante l'età, si diceva fosse molto preparata e intelligente. 
Decisamente troppo giovane per essere così in spicco in quella gerarchia tanto bramata da molti quanto temuta. Ma, soprattutto, riservata a pochi. 
Quel giorno la porta automatica si spalancò all'improvviso e ne apparve Gin, l'espressione dura. Si avvicinò a passo deciso verso la ragazza e la afferrò per un braccio, trascinandola verso un angolo oltre il bancone e attirando l'attenzione di tutta l'équipe scientifica. 
"Continuate a lavorare" dichiarò con tono fermo lei, adocchiando gli sguardi puntati addosso a loro. Dopodiché si voltò verso il criminale, restituendogli lo sguardo truce, in attesa che le dicesse cosa gli passasse per la testa. Rimase immobile nella sua stretta, mentre a lui sembrava evidentemente non importare delle altre persone lì dentro. 
"Voglio sapere una cosa da te, Sherry. Perché Rye si trovava qui?". 
I suoi occhi erano ridotti a fessure, adesso. La scienziata lo fissò appena, quasi senza respirare. 
"Nulla che ti possa riguardare. E' passato per parlare con me, sai che tipo di rapporto ci lega". 
Lui la lasciò andare lentamente, lo sguardo di ghiaccio. 
"Non osare sfidarmi. Questa storia del tuo amichetto che entra in laboratorio come vuole mi è poco chiara. Ti tengo d'occhio". 
Lei rimase impassibile, mentre un sorriso malizioso le si dipingeva sul volto. 
"Questo dovrebbe crearti problemi, Gin?". 
"Quel tizio finirà male, prima o poi. Deve stare alla larga da qui. Spero di essere stato chiaro". 
Lei non rispose, mantenendo l'espressione seria. Non la distolse neanche per un attimo, finché non vide il terribile ghigno sul suo volto. 
Il biondo si allontanò impassibile e la castana rimase in piedi, poggiata contro il muro, mentre la vista si frammentava in tanti piccoli pezzi male incastonati tra loro. Fu uno degli uomini con il camice bianco ad avvicinarsi a lei, allungando le braccia. 
"Dottoressa Miyano, si sente bene?". 
Sherry annuì brusca, ricomponendosi e tendendo una mano nella sua direzione nel tentativo di non farlo avvicinare. Si riscosse e riprese a camminare, indifferente. 
"Non è niente. A che punto siamo con la seconda fase? Dobbiamo completarla entro stasera, forza". 
Per tutto il resto del tempo cercò di evitare di pensare al senso di nausea che aveva da un po' e che l'aveva accompagnata durante l'intera mattinata. 

"Mi sei mancata, Sherry". 
Quel timbro di voce, che l'avvolgeva in modo profondo e inquietante. Risentirlo dopo due settimane faceva un effetto su di sé che non credeva possibile. 
Si voltò per guardarlo in viso, solo un attimo. Dopodiché respirò a fondo senza dargli modo di farglielo capire. 
Le bastarono quei pochi istanti, per cogliere ogni sua sfumatura.
"Sono stata via poco tempo, in fondo". 
La ragazza continuava a lavorare, osservando con scrupolo, attraverso il microscopio del laboratorio, le cellule impresse su un vetrino che vi aveva appena inserito. 
"No, mia cara. Mi manchi da molto di più". 
La voce di Gin si faceva più vicina, più minacciosa. Lei continuò a lavorare senza prestargli particolare considerazione.
"A cosa devo tutta questa attenzione? Dopotutto, ora sono qui". 
Bastò quella risposta per farlo scattare. Per un attimo si pentì di averlo fatto, quando le prese il braccio con slancio obbligandola ad alzarsi in piedi. Gin le fece sbattere la schiena contro il banco, mentre rompeva con una mano la decina di provette sistemate in fila una dietro l'altra, spingendole a terra. 
"Non prendermi in giro" sibilò poi accanto al suo orecchio "Hai capito perfettamente cosa intendo". 
Ma certo, avrebbe dovuto sospettarlo da tempo. Era più di un mese che lo rifiutava, che non lo guardava neanche in volto. Non aveva pensato a scuse o giustificazioni, non si era sforzata di farlo. Di colpo, quelle mani fredde le davano fastidio. Il solo contatto la nauseava, il ricordo di lui sulla sua pelle le faceva ribrezzo. Dopo tanto tempo nel quale aveva desiderato soltanto Gin, adesso le si contorceva lo stomaco al solo pensiero. 
Sapeva che, prima o poi, il suo nervosismo lo avrebbe portato a quella situazione. Era la prima volta in cui, guardarlo dritto negli occhi, le provocava uno strano timore. 
Abbassò lievemente la testa senza volerlo, senza nemmeno parlare. Iniziò a tremare sotto la sua presa e si odiò quando se ne accorse. 
"Stasera voglio vederti". 
"No". 
Riuscì comunque a rispondergli, con l'ansia che le attanagliava la gola. Non voleva più saperne, non voleva più incrociare quello sguardo. Lo spinse via e tentò il tutto per tutto. Era certa che non le avrebbe mai sparato, perché non era una faccenda che dipendeva da lui. Lo vide avvicinarsi nuovamente e cercò di ignorarlo, una qualunque via di fuga. Ma era impossibile trovarne una, in quel momento. Lo stomaco tornò a farle male, con una potenza tale da farla quasi piegare in due. 
"Sherry, mi sembra di essere stato categorico. Ti è sempre piaciuto, quindi piantala di fare la preziosa. Voglio essere ascoltato quando parlo". 
"Va' al diavolo, Gin". 
Strinse le palpebre, in attesa di una sua possibile reazione violenta. Era pronta a tutto, se l'era cercata in fin dei conti. Tuttavia non trovò il coraggio di scappare. 
Quello di lui era uno sguardo vendicativo, gli occhi glaciali che la scrutavano come avrebbero scrutato la vittima prima di finire distesa davanti al suo aguzzino. La studiava con rabbia, quasi come avesse voluto torturarla con lo sguardo. 
"Non finisce qui". 
La ragazza si stupì quando le voltò le spalle e girò i tacchi, scomparendo dalla stanza e lasciandola sola nella desolazione totale di quei giorni.

Nel periodo seguente, continuava a percepirlo su di sé. Percepiva il suo studiarla, la sua espressione piena di brama, di desiderio. 
Sistemò gli ultimi strumenti del laboratorio e spense il computer, prima di posare anche il camice. Lui non si allontanò neanche per un attimo. 
"Devo sistemare delle cose in America" disse lei, vaga. "Non tornerò prima di qualche settimana". 
Gin portò l'ennesima sigaretta della giornata tra le labbra, accendendola subito dopo. 
"Non hai più nulla da fare lì" rispose poi, inspirando il fumo. "Credi forse di scappare? Sai che sarebbe impossibile. Mi dispiacerebbe doverti infliggere la punizione che spetta ai traditori". 
Sherry si bloccò, immobile. Dopodiché sorrise. Un sorriso amaro, nostalgico. Combattè contro le lacrime che premevano per scivolarle sulle guance.
"Niente affatto. Tornerò presto". 
"Non vedo l'ora". 
Una frase detta con malizia pura, per farle capire che in qualunque posto sarebbe andata, lui l'avrebbe trovata. Sempre. 
La nausea tornò di colpo più forte mentre si lasciava alle spalle l'uomo che era allo stesso tempo sia la sua salvezza che la sua condanna e che l'avrebbe tenuta sotto stretto controllo.

"Tua sorella è morta". 
Una semplice frase, pronunciata da una voce troppo impassibile e fredda. Gli occhi sgranati, il respiro mozzato nei polmoni. Faceva male, faceva dannatamente male. 
Da sola, aveva pianto tutto ciò che poteva, rintanata nell'angolo del laboratorio. Le ginocchia strette al petto, le mani tra i capelli. Tornare alla realtà sarebbe stato complicato ora che la sua unica famiglia non c'era più. Ora che anche l'ultimo granello di luce nella sua vita era volato via.
Adesso le voleva, quelle telefonate. Voleva più che mai quei rimproveri, risentire la sua voce. 
Ma era tutto troppo tardi. 
Per il resto del tempo si era ricomposta, davanti agli altri. Non poteva sciogliersi in lacrime con loro intorno, non avrebbe dato a Gin anche questa soddisfazione. L'uomo al quale aveva dedicato tutta se stessa e dal quale aveva ingenuamente creduto di essere protetta, si era rivelato il suo stesso aguzzino. La sola idea del fatto che potesse ancora toccarla, adesso non poteva tollerarlo. Avrebbe voluto ricevere la notizia una volta andata via da loro, in America, in modo da stargli lontano, da prendersi il tempo per ragionare su tante cose e, soprattutto, da non farsi vedere distrutta da lui. Ma era rimasta lì, ferma, schiacciata da qualcosa che non poteva controllare. 
Avrebbe soltanto voluto cancellare ogni traccia di quell'assassino dalla pelle. 
Era sola quando, in preda al tremolio del suo corpo, il dolore forte all'addome la costrinse a sedersi sul pavimento freddo senza potersi muovere di un millimetro. Chiuse gli occhi soltanto quando vide un'altra donna dell'équipe avvicinarsi a lei allarmata, sollevata dal fatto che non fosse Gin. 



Da quando Ai si era aperta con lui non avevano più parlato come facevano sempre.
Nessuno dei due era più tornato sull'argomento. Lei perché era fatta così; gliel'aveva confessato soltanto per fargli capire di non avere segreti, non con le persone che l'avevano aiutata e protetta. Nonostante in quegli anni avesse temuto che la verità venisse a galla tramite qualche parola di troppo attraverso una microspia piazzata nell'auto del criminale o tramite l'intervento di Jodie, con la quale il detective collaborava sempre più frequentemente, adesso si sentiva più libera.
Libera, ma spogliata di tutto ciò che potesse proteggerla dai suoi segreti. 
Libera, ma con un peso ancora più forte che era rimasto unicamente suo. 

Durante quelle settimane nelle quali quasi non si erano parlati, Shinichi faticava a rivolgerle un solo sguardo. La scrutava velocemente, lanciandole breve occhiate, nella speranza che lei iniziasse un discorso serio di qualche tipo. Lui aveva provato a cambiare argomento, a parlare di altro. Ma stavolta sapeva che sarebbe stato meglio evitare a causa della gravità di ciò che gli aveva confessato. 
Si era arrabbiato, credeva fosse scontato. Se in passato il desiderio di prendere e vedere dietro alle sbarre quella gente fosse un qualcosa di forte e l'odio verso quell'Organizzazione fondato, adesso c'era altro dietro. Era nato qualcos'altro in lui, qualcosa che aveva a che fare specificatamente con Gin. 
Si era ripromesso di proteggere Ai, perché lei non era così forte come mostrava di essere. Teneva ogni sentimento per sé, nella sua corazza, e non vi era modo di scalfirla se non quando era lei a decidere. E, adesso che lo aveva fatto, si era sentito ridicolo. Quasi indegno, in confronto a ciò che aveva vissuto l'amica. D'altro canto, si sentiva in colpa per essersela presa con la bambina, al momento della confessione. 
Avevano condiviso insieme un pezzo della sua vita difficile. Dopo anni, l'aveva vista prendere coraggio e dirglielo, con tutto il dolore possibile nei suoi occhi. 
Tuttavia, in quegli attimi era stato solo capace di chiederle il motivo, non capendo. L'aveva quasi accusata senza neanche accorgersene. 

E tu hai scelto Gin?
Perché proprio lui?


Forse era proprio quello il motivo per il quale Ai non gli diceva più nulla. 
Ci aveva pensato e molto. Faticava ancora un po' a comprendere la situazione, a chiedersi per quale motivo fosse successo tutto ciò. Nella sua testa, la colpa era di Gin. Solo e unicamente di Gin. 
Immaginava lui che la minacciava, che la costringeva. Poi le parole dell'amica gli tornavano in mente e lui si sforzava di vederla, isolata tra quelle mura. Costretta a vivere in una gabbia, in mezzo a criminali ai quali non importava nulla della vita altrui. Disprezzava Gin più di tutti. Lui, quel delinquente che aveva approfittato della debolezza di lei e che, probabilmente, ne era ancora attratto. Lui, che l'aveva usata come voleva. Chiuse gli occhi a quei pensieri, mentre li vedeva insieme. Un assassino, un viscido. 
E, mentre gli diceva tutto questo, Shinichi era stato capace di puntarle di nuovo il dito contro, sentendosi in parte tradito. 
Un unico pensiero aveva in mente in quell'attimo,

Sei come lui
Sei un'assassina


del quale si pentì immediatamente. Erano tante le cose che non conosceva, di quella vita da Shiho Miyano. Anzi, da Sherry. Avrebbe dovuto mettere da parte già da tempo i suoi giudizi e il suo timore di vederla far parte di loro.

Lei, la sua amica Ai. 


Si era ritrovato a pensarci di nuovo quel giorno, mentre tornavano da scuola. Sollevò lo sguardo soltanto quando i Detective Boys attirarono la sua attenzione, indicando un uomo che avevano già conosciuto qualche mese prima. 
"Guardate! Quello non è il signor Konno? " chiese Ayumi, mentre si bloccava sul marciapiede con gli altri. Conan e Ai si fermarono di conseguenza, seguendo incuriositi l'indicazione della piccola. 
"E' vero! E' proprio lui" esclamò Mitsuhiko, spalancando gli occhi. "Chissà come sta sua moglie, ve la ricordate?".
"Ah sì! È quel signore che ci aveva invitati a pranzo e che aveva accoltellato la moglie che stava cercando di fargli passare il singhiozzo! Per fortuna si è ripresa e hanno fatto la pace" aggiunse Genta, poggiando un dito sotto al mento per riflettere.
Conan fece un passo in avanti attento, le mani nelle tasche dei pantaloncini. 
"Già... ormai dovrebbe mancare poco alla nascita del bambino" concluse poi lui, senza perdersi il minimo dettaglio nel comportamento del signore.
"Scusate, io scappo a casa" disse soltanto Ai, quasi come se l'amico non avesse parlato. Diede un'occhiata veloce all'oggetto della loro conversazione e corse via sotto lo sguardo sbigottito dei suoi amici. 

Era salita sul tetto dell'abitazione di Agasa, convinta che il professore sapesse che, quando lo faceva, era per stare da sola a pensare. Non era un segreto per lui, era una specie di tacito consenso. Il dottore era così gentile e paterno da non chiederle nulla. 
Quando sentì dei passi dietro di sé era sicura fosse lui. 
Tuttavia, quando si voltò per constatarlo sgranò gli occhi, sorpresa dalla esile figura che invece la stava raggiungendo. 
Shinichi si fermò senza parlare. Dopodiché si sedette accanto a lei, lo sguardo rivolto verso il panorama che si estendeva davanti a loro. 
Il silenzio che ne seguì fu teso e, in un certo senso, eloquente. C'era qualcosa di sbagliato, qualcosa che nessuno dei due aveva il coraggio di rimettere in gioco. 
La bambina pensò che quella era l'ennesima prova del loro allontanamento. Non si parlavano più e non riusciva neanche a sostenere l'espressione di lui, quando lo sorprendeva a sbirciare nella sua direzione con chissà quale pensiero in mente. 
Non aveva bisogno di sentirselo dire, dopotutto. Il terrore che aveva avuto una volta raccontata la verità si era in parte concretizzato. Shinichi non l'aveva capita, di nuovo. Si era forzato di farlo, forse, ma per lui era un ostacolo che andava oltre le sue capacità. Era qualcosa che sconfinava parecchio dal suo senso di giustizia e dalla sua vita. Si stava tenendo aggrappata a quel poco dell'amico che le era concesso avere, prima che si stancasse del tutto di averla intorno per la criminale che era. Il petto faceva male, era un dolore dell'anima che cercava a tutti i costi di soffocare. 
"Perché prima sei scappata? Qualcosa non va?". 
La sua voce sottile la riscosse. Lo guardò un secondo, pensando a una risposta convincente. A giudicare dal chiasso che arrivava dal piano inferiore, i bambini lo avevano seguito. Sorrise a quel pensiero. 
"No, niente di che. Solo che non mi piace quel tipo, lo sai". 
Shinichi sorrise sarcasticamente, osservando dall'alto le automobili che sfrecciavano sulla strada parallela. 
"Già, mi ricordo. Ma mi sembra di averti detto che non credo al fatto che tu non riesca a perdonarlo". 
Ai si irrigidì, osservando i lineamenti rilassati del suo volto. A volte era lei a non capirlo.
"Ero seria, invece. Come fai a dare un'altra possibilità a un uomo che ha già tentato di uccidere sua moglie? Incinta del loro bambino, tra l'altro. Perché ti ostini a vedere il bene dove non esiste e il male in chi vorrebbe non averlo mai conosciuto?". 

Perché a un estraneo sì e a me no?

Il bambino la osservò, stupefatto dalla sua reazione e da un tono di voce che non sembrava il suo, di solito controllato e pacato. Quella domanda lo colpì così tanto che dovette riflettere qualche attimo prima di rispondere.
"Non è proprio così, dipende dalle situazioni. In questo caso me lo dice l'istinto" disse il detective, ridacchiando, e scatenando la rabbia che l'amica si sforzava di contenere da un po'. 
"E invece riguardo me cosa ti dice l'istinto?". 
Ai si ricompose, incrociando i suoi occhi blu. Lui fu costretto a fare lo stesso, attraverso il suo sguardo impenetrabile. 
Prese del tempo, riflettendo bene sulle parole da dire. Era difficile darle una risposta che non la facesse soffrire. 
"In te vedo tutto tranne che il male, se è questo che vuoi sentirti dire" le rispose poi tranquillamente. 
"Non voglio sentirmi dire qualcosa, voglio la verità. Proprio tu, che lotti sempre per farla venire fuori, non sai dirmi cosa pensi realmente?". 
"Penso che tu sia una brava persona che ha avuto la sfortuna di avere un passato difficile con quella gente" concluse lui, osservandola più sereno. "Non posso capire fino in fondo, ma so che non è stato facile. Non è colpa tua".
"Ah, no? E di chi sarebbe la colpa? Io ero come loro" ammise lei, con tutta la frustrazione del momento. Era arrivato il momento della verità, lui avrebbe dovuto dirle finalmente tutto ciò che pensava e che non le aveva mai davvero rivelato. 
Shinichi non rispose, ancora titubante, e lei ne approfittò per continuare.
"Io ero una criminale, esattamente come il signor Konno che ha rischiato di uccidere sua moglie e suo figlio. Perché sei tranquillo del fatto che non commetterà più nulla? Come hai fatto a perdonarlo? Io invece sono un mostro che ha creato un veleno e, in più,  non riesci a perdonarmi perché sono stata con Gin, vero?!". 
Cercò di trattenere per l'ennesima volta le lacrime, senza alzare il tono di voce. Non poteva farsi sentire da Agasa, né tantomeno dai bambini. Abbassò il viso mentre aspettava una risposta dal detective, che ora la scrutava serio, senza parlare.
"Non ho mai pensato nulla del genere. Vuoi la verità?" le chiese poi, incrociando le gambe. "La verità è che se penso a quello che ha fatto, mi prudono le mani dalla voglia di prenderlo e sbatterlo in carcere per il resto della sua vita. Lui sapeva quello che faceva" aggiunse poi in fretta, vedendola sul punto di interromperlo per ribattere. 
"Anche io lo sapevo. Avevo bisogno di lui".
"No. Non ne avevi bisogno, eri solo in trappola. Non capiterà più " le rispose lui brusco, in un'espressione che si trasformò in un sorriso sincero. Ai non potè fare a meno di sentirsi più rilassata, nonostante il peso di quel passato continuasse a tormentarla. 
"Adesso mi spieghi come tu abbia potuto farla passare liscia a quel tizio?".
Shinichi fece spallucce, sospirando. 
"Istinto da detective". 
La ramata sbuffò, inorridita dalle solite frasi di circostanza dell'amico quando non aveva altre possibili spiegazioni. 
"Sai che può sempre riprovarci, vero? Sei stato un incosciente".
"Uffa! Dai, non prenderla così seriamente". 
Lei lo guardò sbigottita attraverso le lenti enormi dei suoi occhiali. Era convinta la stesse prendendo in giro. 
"Comunque... dimmi una cosa, Ai". 
Mantenne lo sguardo fisso sull'amico, in attesa che proseguisse il discorso.
"Anche quella volta hai fatto un discorso simile. Mi dici come fai a essere sicura che Konno non possa essere cambiato? Mi sei sembrata molto presa da questo caso". 
Si ricordava ancora le dure parole che lei aveva rivolto all'uomo nonostante quest'ultimo fosse in lacrime, pentito per il gesto che aveva appena compiuto.

Sa, se fossi sua moglie, non le concederei nemmeno un briciolo del mio perdono. Non importa se si è pentito, io la penso così. Anche se si duole per il gesto compiuto, non vorrei mai che il bambino che porto in grembo fosse figlio di un uomo così intollerante, che ha cercato di liberarsi di me per un assurdo malinteso.

Ai sgranò gli occhi, mentre i ricordi di quella giornata tornavano vividi in lei. No, non lo aveva fatto. Non aveva perdonato quel marito violento, che non aveva esitato un secondo ad accoltellare la moglie. Sapeva bene cosa avrebbe fatto al posto della signora Sumika, semplicemente perché aveva già scelto. 
"Un uomo che non esita a fare una cosa del genere alla propria moglie, rischiando di far del male al figlio che aspetta, potrà sempre rifarlo in futuro. Io non riuscirei a vivere con una persona del genere".
Il suo tono era così basso da diventare un qualcosa di molto simile a un mormorio. Il peso che aveva in gola s'ingrandiva sempre di più, da quando lui l'aveva raggiunta. 
"Io invece credo che il marito si sia pentito, in fondo-"
"-No, Shinichi. Potrà benissimo farlo ancora. E metteranno in pericolo il loro bambino". 
La scienziata si alzò, poggiandosi contro la ringhiera davanti a sé. Quel discorso era così naturale per lei, come se si aspettasse in anticipo tutto ciò che sarebbe potuto accadere.
Il detective fece altrettanto, rimanendole di spalle. 
"Tutto bene?" le chiese appena, vedendola totalmente assorta. Quasi come fosse molto lontana da lì. "Come fai a esserne certa?". 
La fece riscuotere immediatamente con quella domanda, guardandola incerto. Si sentiva teso e non ne conosceva il motivo. 
"Perché mi è successa una situazione simile" gli rispose, lasciando che il vento fresco accarezzasse la pelle. L'amico non capì, scrutandola immobile.
"Cosa vuoi dire?".
Il cuore che batteva a mille, l'ennesima sentenza dolorosa. Stavolta verso se stessa. Solo e unicamente verso se stessa. Stava per liberarsi del macigno più pesante, l'unico che non avrebbe voluto condividere con nessuno e che nessuno conosceva. 
"Sono rimasta incinta" confessò quasi tutto d'un fiato, prima di riprendere a respirare normalmente e proseguire. "E' successo qualche mese prima della mia fuga. Non lo ha mai saputo nessuno, neanche Akemi". 
Si voltò verso di lui, trovandosi faccia a faccia con uno Shinichi totalmente spaesato. La guardava accigliato, cercando di riunire nella testa un solo pensiero sensato che potesse portarlo a una motivazione. 
"C-cosa? Ma... ". 
Lei sorrise amaramente, stavolta con un po' di coraggio in più. Parlarne l'aiutava. L'aiutava molto. Non se ne era mai resa conto, né ci aveva mai creduto davvero.
"Ho tenuto tutto questo per me. Non è stato facile. Come per questo caso, non volevo che il mio bambino potesse crescere in un mondo del genere, così come sono cresciuta io. Non volevo per lui un padre come-"
"-Gin" la interruppe appena il detective, fissandola con gli occhi sgranati. La scienziata annuì, sollevando appena la testa verso il cielo.
"Ma come hai fatto? Come hai fatto a nasconderlo all'Organizzazione?!" esclamò Shinichi, scuotendo la testa. Avanzò di un passo, esterrefatto. 
"Con la scusa di un lavoro, volevo andare in America e far perdere le mie tracce finché non avessi... " si interruppe, respirando a fondo. "Sistemato... le cose".
"E Gin? Te lo ha permesso?".
Ormai il tono di lui era un'incalzare continuo scandito dalla preoccupazione e dalla rabbia. 
"Gin non ha mai saputo nulla. Non avrei mai potuto far vivere a mio figlio una vita del genere con uno spietato criminale, ti pare? E se non lo avesse accettato chissà come avrebbe potuto reagire.".
Shinichi strinse i pugni, leggendo qualcosa di più della sofferenza nei suoi occhi. Vedeva il luccichio delle lacrime che si stava sforzando di trattenere a ogni costo. Adesso capiva ogni cosa, il motivo di tutto, della sua risposta così dura verso quel caso finito bene. 
"Dopo quella volta, mi dava fastidio. Non gli ho più permesso di toccarmi e di trattarmi come un qualsiasi oggetto a suo piacimento". 
Il piccolo detective abbassò lo sguardo, fissando il tetto lucido senza vederlo realmente. Quando lo sollevò, le dita strette a pugno facevano più male del previsto. 
"E poi... com'è finita con il bambino?".
Questa volta la giovane non riuscì a trattenere l'unica lacrima che le scivolò sulla pelle. L'asciugò in fretta, ma lui l'aveva già notata. 
"Non ho fatto in tempo a partire. L'ho perso spontaneamente subito dopo la morte di mia sorella" rispose appena, mentre qualcosa dentro sé si sgretolava. "Forse è stato... meglio così, non credi? Dopo due mesi me ne sono andata. Il resto lo sai". 
L'amico non disse niente per parecchi istanti o forse minuti. La lasciò sfogare, dandole il tempo per ricomporsi. Dopodiché agì istintivamente, senza pensarci e senza imbarazzo. 
Le si avvicinò piano e le posò una mano sulla testa, spingendola delicatamente nell'incavo della sua spalla. Bastava questo, tra di loro. Un gesto che esprimeva tante cose, anche senza parole.
"Vorrei solo... cancellare tutto. Non aver mai fatto ciò che ho fatto, farmaco compreso. Mi dispiace, Shinichi. Mi dispiace davvero".
Aveva dato sempre per scontato tutto, della vita di Ai, senza mai chiederle nulla di personale per non risultare invadente. Aveva aspettato e, probabilmente, aveva fatto bene. Era arrivata lei, senza pretese, senza aspettative. Con tutta la paura del mondo di perdere una delle poche persone che le erano rimaste nella vita. Si era fidata di lui e lo faceva ancora, nel tepore di quel corpo che le infondeva solo sicurezza. Quando aveva provato ad avvicinarsi a qualcuno, quel qualcuno l'aveva tradita e distrutta, usandola come meglio aveva creduto per tanto tempo, senza sentimenti, senza rispetto.
Il bambino continuò a stringerla, piano. Quasi come temesse di ferirla ancora. 
"Ricordati che non sei sola, non più, ci sono io. Ti posso assicurare che andrà tutto bene".
 Fu quello il momento in cui Shinichi prese una decisione. Non l'avrebbe più lasciata così tanto in disparte, solo il necessario per proteggerla. Voleva combattere insieme a lei, perché sarebbe stato giusto così. La sua rivincita su tutte le sofferenze, su quell'intera esistenza fatta di dolore. Ai era la vera protagonista di quella storia che non conosceva fino in fondo e l'avrebbe aiutata. Le sarebbe stato accanto sempre.




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Note dell'autrice
Ed eccoci alla fine! Abbassate quelle armi, please xD non so quanto avreste potuto aspettarvi il colpo di scena finale, però nella storia di Ai non trovo assolutamente che stoni. Ho preso ispirazione dall'episodio "Tra moglie e marito", nel quale lei dice esattamente la stessa frase dalla quale ho preso spunto. In quel momento parla molto come una persona che potrebbe aver vissuto la stessa cosa e lo sguardo di Conan me ne ha dato la conferma. Quindi, ecco qui il risultato! Da quella frase mi sono chiesta cosa avrebbe fatto lei se fosse nella situazione che ho affrontato in questo capitolo e non è stato difficile scrivere quella parte, perché dubito che avrebbe accettato di avere un figlio da Gin. Spero non me ne vogliate xD 
Questo era l'ultimo capitolo e, in attesa delle prossime fanfic, ci tenevo a ringraziarvi ancora una volta per tutte le bellissime recensioni che mi avete lasciato. Vi adoro. 
Alla prossima :D 
Ile

  
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