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Autore: Abby_da_Edoras    06/07/2009    3 recensioni
Autrice: Lady Arien. Trama: la mia storia segue le vicende del film "King Arthur" di Antoine Fuqua, ma nella mia versione i cavalieri non muoiono nella missione contro i Sassoni e restano uniti a creare un nuovo Paese, la Britannia. Ho introdotto anche un amore omosessuale (senza scene hard) fra Tristano e Galahad, che sono i miei personaggi preferiti. Spero che la ff vi piaccia.
Genere: Drammatico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Nella sala del consiglio della fortezza, Artù ed i suoi uomini aspettavano con impazienza l’arrivo di Germanus con le carte di

Nella sala del consiglio della fortezza, Artù ed i suoi uomini aspettavano con impazienza l’arrivo di Germanus con le carte di affrancamento che li avrebbero resi finalmente liberi. Erano in piedi, ognuno accanto al proprio seggio; questo faceva notare ancora di più l’impressionante numero di posti vuoti, appartenuti ai cavalieri che non erano sopravvissuti. L’atmosfera di euforia per l’imminente liberazione era velata di malinconia al pensiero di coloro che non ce l’avevano fatta a vedere quel giorno tanto atteso.

I cardini della porta cigolarono e sulla soglia apparve Horton. Dietro di lui stava il vescovo e, a rispettosa distanza, lo scudiero Jols.

“Sua Eminenza il vescovo Germanus!” annunciò con sussiego il segretario. Il vescovo avanzò sorridendo, ma si arrestò immediatamente con un’espressione contrariata sul volto quando vide che la tavola attorno alla quale tutti sedevano era rotonda.

“Cosa significa questo?” chiese aspramente Horton a Jols, “Artù aveva detto che il vescovo avrebbe potuto sedersi al posto d’onore.”

“Artù ha detto semplicemente che avrebbe potuto scegliere il posto che avesse preferito” ribatté con calma lo scudiero, nascondendo un sorriso. “Per lui gli uomini sono tutti uguali ed è per questo che ha voluto un tavolo di questa forma.”

Artù diede il benvenuto a Germanus, poi gli fece cenno di scegliersi un seggio. Il vescovo si guardò intorno, celando a malapena il malcontento, poi decise di prendere posto accanto al comandante.

“Mi era stato dato ad intendere che foste molti di più.” disse, osservando i tanti sedili vuoti.

Un’ombra improvvisa scese sul volto di Artù al ricordo dei suoi uomini morti nell’adempimento del loro dovere. Gli occhi di Lancillotto scintillarono di collera e trattenne a fatica una risposta brusca. Un messaggio silenzioso passò negli sguardi di Bors e Dagonet e di Galahad e Gawain che erano vicini. Come osava questo arrogante e cerimonioso figlio di Roma parlare con tale disprezzo dei loro compagni perduti?

Tristano non sembrò accennare alcuna reazione, ma il fatto che, senza attendere il permesso del vescovo, si fosse già seduto e stesse fissando con ostentazione la coppa che gli era stata data per brindare alla libertà la dicevano lunga su ciò che gli passava per la mente. 

“Sono quindici anni che combattiamo al servizio di Roma” spiegò Artù malinconicamente, “All’inizio eravamo molti di più ed io li avevo scelti personalmente uno per uno per le loro caratteristiche. Ho giurato che non avrei mai sostituito un cavaliere caduto in battaglia: per me ognuno di loro è sempre stato unico e perciò insostituibile.”

Il vescovo parve rendersi conto della propria indelicatezza e cambiò subito argomento.

“Allora non resta che brindare a voi, cavalieri, che avete servito con dedizione ed impegno l’Impero in queste terre tanto perigliose. Roma è in debito con voi.” esclamò, facendo cenno ad Horton di introdurre due legionari con un barilotto di vino. Poi lo stesso segretario e Jols iniziarono a riempire le coppe dei guerrieri.

Fu il vescovo a proclamare il brindisi.

“A voi, nobili cavalieri. Al vostro valore e ai vostri ultimi giorni al servizio di Roma!”

“Giorno!” precisò Lancillotto, guardando Germanus con sospetto prima di portarsi la coppa alle labbra. “Giorno, non giorni.”

“Certamente, certamente… Ora sedete” continuò il vescovo, fingendo di non accorgersi che Tristano si era già accomodato da un pezzo. “Sapete, il Santo Padre è molto orgoglioso di voi e mi ha chiesto di informarlo dettagliatamente su ciascuno.”

“E a che proposito?” domandò Artù, vagamente preoccupato.

“Naturalmente, il Santo Padre desidera sapere se voi cavalieri vi siete convertiti al Verbo del Nostro Salvatore o se invece…”

“I miei uomini professano ancora la fede dei loro padri ed è una scelta che rispetto.” tagliò corto Artù.

“Ah, certo, sono pagani.” replicò Germanus, sputando l’ultima parola come se fosse un boccone disgustoso.

Bors, Dagonet e Gawain scossero il capo guardandosi l’un l’altro con un sorrisetto ironico, mentre Lancillotto piantava uno sguardo di fuoco contro il Romano. Solo Galahad appariva realmente offeso e si agitò sulla sedia come per trattenere a stento una reazione violenta. Fra tutti i cavalieri, il più giovane era anche quello più profondamente legato alle tradizioni del suo Paese e non tollerava di sentirne parlare con così sprezzante leggerezza. 

“Ma tu, piuttosto, Artù… La tua guida spirituale è forse Pelagius? Nella tua stanza ho visto una sua effigie.”

“Pelagius è stato come un padre per me e i suoi insegnamenti sull’uguaglianza ed il libero arbitrio sono stati fondamentali per la mia vita. Sono impaziente di ritrovarlo a Roma.”

L’entusiasmo e l’affetto del comandante dei Sarmati era evidente. Germanus, però, si affrettò a cambiare nuovamente discorso.

“E Roma attende con ansia il tuo arrivo. Sei un eroe per tutti e trascorrerai il resto della vita fra onori e ricchezze” disse. Poi si rivolse ai cavalieri, aprendo la scatola intarsiata che conteneva un fascio di rotoli: “Ecco la vostra ricompensa: il lasciapassare che vi permetterà di attraversare ogni parte dell’Impero e di recarvi in patria o dovunque vorrete. Purtroppo, però… Noi non siamo che pedine in un mondo sempre più calamitoso. I barbari sono ovunque e stanno minacciando da presso la nostra stessa Città. Perciò Roma ed il Santo Padre hanno deciso di abbandonare gli avamposti più indifendibili, come la Britannia. Il suo destino non ci riguarda più; immagino che cadrà in mano ai Sassoni.”

I volti dei cavalieri, che si erano illuminati alla vista delle preziose carte, si incupirono subito. 

“Sassoni?” chiese Artù.

“Sì. Nel Nord del Paese è iniziata una massiccia invasione.” spiegò il vescovo con indifferenza.

“I Sassoni si impadroniscono solo di ciò che distruggono!” intervenne Lancillotto, che evidentemente aveva sopportato abbastanza.

“E distruggono tutto.” aggiunse Gawain in tono grave.

“Volete dire che in tutti questi anni io avrei rischiato ogni giorno la mia vita per niente?” si infiammò Galahad. “Per lasciare la Britannia in mano ai Sassoni e ai Woad?”

“È così.” concluse Germanus “Comunque voi cavalieri avrete le vostre carte di congedo. Ma prima vorrei scambiare due parole con il vostro comandante.”

Nessuno degli uomini si mosse. Gli occhi di tutti erano fissi sui preziosi rotoli.

“In privato!” precisò il vescovo con fredda determinazione.

“Io non ho segreti per i miei uomini.” cercò di rimediare Artù, ma il Romano, rivolgendo ai guerrieri uno sguardo gelido, richiuse con ostentazione la scatola che conteneva i lasciapassare. Come si permettevano quei barbari pagani di disobbedire ai suoi ordini?

Capita l’antifona, Lancillotto si alzò con un sorriso amaro.

“Andiamocene, amici. Lasciamo gli affari di Roma ai Romani!”

Lentamente e lanciando sguardi diffidenti a Germanus, anche gli altri cavalieri lasciarono la sala.

 

Poco più tardi gli uomini di Artù erano riuniti nel cortile più vasto della fortezza, vicino ad un grande fuoco. Cercavano di dimenticare il brutto presentimento avvertito di fronte al vescovo e di spassarsela pensando alla libertà così vicina. Lancillotto giocava ai dadi con due sentinelle romane e di tanto in tanto stuzzicava la bella Vanora, la donna di Bors, che alla fine lo colpì con uno schiaffone e raggiunse il suo uomo che stava cullando tra le braccia il loro ultimo nato.

Gawain e Galahad si sfidavano a lanciare i loro pugnali contro un bersaglio. Per primo toccò a Gawain che poi si sedette ad un tavolo vicino con un boccale di vino in mano e una bella fanciulla dai lunghi capelli rossi al fianco, aspettando di vedere di che cosa era capace il ragazzino. Galahad lanciò per secondo e colpì piuttosto al di sotto rispetto al compagno, ma il suo pugnale si era appena conficcato nel legno quando un terzo pugnale sfrecciò nell’aria e andò a piantarsi proprio in quello del giovane. Galahad si voltò stupito e vide Tristano, che fino a quel momento se ne era stato tranquillo a mangiare una mela, guardando gli altri che si divertivano ma senza partecipare alla loro allegria. A quanto pareva, però, non aveva resistito alla tentazione di mostrare ancora una volta la sua abilità senza pari. 

“Accidenti, Tristano, ma come hai fatto?” esclamò Gawain.

“Ho mirato al centro.” rispose semplicemente lui, come se stesse spiegando qualcosa di ovvio a dei bambini.

Galahad si ritrovò a fissarlo ammirato. Era raro che Tristano partecipasse ai loro divertimenti, ma quando lo faceva lasciava il segno. Si ritrovò, suo malgrado, a pensare che, fin da quando era entrato nella compagnia dei guerrieri di Artù, era stato Tristano il suo modello, il cavaliere che sarebbe voluto diventare. Alto e fiero, abilissimo esploratore anche nelle situazioni più pericolose, arciere prodigioso, il guerriero possedeva una destrezza tutta particolare nel duello corpo a corpo: con la sua sciabola affilatissima era in grado di avere la meglio anche in mezzo a decine di nemici senza mai perdere la compostezza e l’eleganza dei movimenti. Il suo modo di combattere ricordava quello di un felino, pareva una danza sinuosa e letale. Il giovane cominciava a pensare che, per capacità se non per forza fisica, Tristano fosse il cavaliere più abile di tutti, persino dello stesso Artù o di Lancillotto. Inoltre, particolare che per Galahad era importantissimo, incarnava il perfetto eroe sarmata. Diversamente da Bors, Lancillotto o Dagonet, Tristano non si era ‘britannizzato’ nemmeno nell’aspetto: i suoi abiti, le sue armi, l’armatura e il modo di portare i capelli, lunghi fino alla base del collo e intrecciati secondo l’uso della loro terra e infine i due tatuaggi azzurri che aveva sulle guance lo rendevano un perfetto esponente della gloriosa stirpe degli invincibili cavalieri sarmati.

Nell’euforia e nella gioia che provava alla prospettiva di ritrovarsi presto libero ed in viaggio per fare ritorno in patria, Galahad sentì una piccola fitta di… cosa? Dolore? Nostalgia? Non avrebbe saputo spiegarlo, ma quel sentimento strano aveva a che fare con Tristano e con la prospettiva, forse, di non rivederlo più, di non combattere più al suo fianco. Non sapeva se anche lui avrebbe scelto di tornare in Sarmazia e, in ogni caso, quante probabilità c’erano che si ritrovassero in villaggi vicini? Quel pensiero gli si insinuò in testa e, per quanti sforzi facesse, gli impedì di godersi appieno gli scherzi e i divertimenti degli amici da quell’istante in poi.

   

   
 
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