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Autore: mgrandier    23/07/2018    16 recensioni
Una licenza, in un periodo davvero difficile, quando la stanchezza del corpo e della mente non lasciano scampo, e i nervi sembrano destinati a cedere. E poi quegli strani momenti ai quali davvero non riesce a dare una spiegazione logica …
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Polvere
 
Quando, superata l’ultima svolta, scorgo la sagoma scura di Palazzo Jarjayes che si staglia sul cielo rosso del tramonto, arresto la marcia di Alexander e scivolo a terra; con le braccia sollevate sulla sella e le mani strette alle redini, rimango immobile per alcuni istanti, mentre il mio sguardo incerto indugia tra le fronde che in parte ostacolano la mia visuale.  Socchiudo gli occhi, cercando invano di mettere a fuoco l’immagine della residenza che un tempo mi pareva ferma e rassicurante, quasi accogliente, mentre ora è sfumata in un’ombra dai contorni tormentati e malfermi. Insisto, cercando di sopperire con la memoria alle falle della mia vista, e infine cedo: chino il capo e mi porto un polso alla fronte, scendendo poi a strofinare il dorso della mano sul mio occhio destro, sconsolato.
Palazzo Jarjayes, per me, non è più quello di un tempo.
Sto rientrando vestito di una uniforme blu dal tessuto ruvido e dalle cuciture storte e sfilacciate: una taglia di troppo a vestire il mio corpo - questa c’era a disposizione quando mi sono arruolato e questa è quella che mi trovo a portare addosso – che nonostante tutto riesce a tirare sulle spalle e sulla schiena intralciandomi nei movimenti più semplici. E ora, stropicciata e coperta di polvere, questa uniforme racconta di me e del mio presente. Narra di un uomo senza una dimora, che è mal tollerato quando si trova in caserma, tra gli uomini del popolo che lo vedono troppo simile ad un nobile, ed è guardato di traverso quando torna laddove per anni aveva creduto di essere a casa, se non altro, per la vicinanza con ciò che restava della sua stessa famiglia e per l’unico legame autentico che avesse mai sentito con il mondo.
Lei …
Sospiro, scuotendo il capo, ridendo di me stesso per essere ricaduto nel solito, doloroso, pensiero di sempre. Un tarlo che mi consuma l’animo e non mi lascia tregua, soffocando il mio spirito tra senso di colpa e d’abbandono, mentre la consapevolezza di essere stato io stesso artefice della mia disfatta lotta con l’assurda giustificazione per ciò che ho fatto, tentando l’estremo spinto dalla disperazione di un amore impossibile da soffocare.
Mi guardo attorno distrattamente, al contrario di quel che facevo quando in passato, sempre preoccupato per sua incolumità, sulla via del rientro controllavo con circospezione che nessuno ci seguisse nell’ombra; ora sono solo, completamente solo, e comprendo di essermi lasciato alle spalle, con la mia vita precedente, anche quella parte di me che, vigile e costantemente all’erta, viveva nella consapevolezza di essere responsabile della sua sicurezza, godendo del peso della propria responsabilità.
Sono solo, sfinito dalla stanchezza e coperto di polvere; sono in licenza e non ho nessuna ragione di gioire per questo, perché essere un soldato ai suoi ordini, tra turni massacranti ed esercitazioni, è l’unico modo che mi sia rimasto per saperla presente nella mia vita, per sentirmi ancora capace di essere vivo, accontentandomi delle briciole di una esistenza ormai lontana.
Stringo le dita attorno alle redini, mentre sollevo il volto verso il cielo; chiudo gli occhi e inspiro profondamente cercando nell’aria polverosa uno scampolo di pace.
Allora, in un istante, il respiro si blocca e la gola si chiude, mentre gli occhi si spalancano e io arranco quasi fino ad aggrapparmi alla sella di Alexander per non perdere l’equilibrio e finire a terra. Recupero fermezza e muovo alcuni passi guardandomi attorno, scosso e al contempo incredulo per ciò che sono certo di aver percepito, di nuovo.
 
Ti ho sentita. Ho riconosciuto il tuo profumo. Ho sentito il tuo respiro.
 
- Oscar! –
Senza riflettere, raggiungo rapido il ciglio della strada e mi addentro tra i cespugli bassi aprendomi un varco tra gli arbusti che mi graffiano le mani e si impigliano nella stoffa delle mie brache; mi fermo e poi avanzo ancora – Oscar! –
Incespico e torno sui miei passi per raggiungere di nuovo Alexander; immobile resto in ascolto ma ormai l’ho persa e odo soltanto il respiro della natura che mi circonda.
- Oscar! – provo a chiamarla ancora a gran voce, nonostante io stesso mi dia mentalmente dello stupido, e il cuore mi palpiti furioso nel petto – Oscar! – chiamo ancora; tento di nuovo e il tono della mia voce giunge più incerto alle mie stesse orecchie.
- Oscar? – ancora un tentativo, mentre dalla strada non giunge altro che il soffio del vento che solleva uno sbuffo polveroso; poi silenzio.
Al mio fianco, Alexander scuote il capo impaziente di riprendere il cammino; in lontananza, riconosco il frullare d’ali di un uccello disturbato dai miei richiami insensati.
Chiudo gli occhi, chinando il capo e per qualche istante cerco di recuperare l’equilibrio, barcollando nell’incertezza della mia esistenza ormai a pezzi.
Sollevo le braccia, affondo le dita tra i miei capelli e traggo un profondo respiro, lasciando poi che l’aria soffi lentamente tra le labbra.
Non è la prima volta che mi capita … che percepisco la sua presenza attorno a me; accade nei momenti più impensabili, soprattutto quando sono assolutamente certo che lei non sia presente. Accade tutto all’improvviso: la percepisco, come fosse al mio fianco, o giusto ad un passo da me … anche se sono completamente solo. Ed è così assurdo … perché quando lei è davvero presente, la sento distante, quasi assente: i suoi ordini mi giungono austeri e la sua voce fredda come non è mai stata; ma poi, quando siamo lontani, quando lei non c’è, … allora la sento ed è completamente diversa.
In principio ho creduto di essermi confuso, sebbene io fossi certo di non poter confondere il suo profumo con quello di nessuna altra donna; in seguito ho pensato di avere male interpretato ciò che mi circondava realmente; per qualche tempo, mi sono convinto di essere stato semplicemente preda della stanchezza, della tristezza … dello sconforto. Ho incolpato la mia solitudine, la mia incapacità a rinunciare a lei.
Ora, dopo quest’ennesimo accadimento, non posso che ridurmi ad accettare la più logica delle spiegazioni: sto semplicemente diventando pazzo.


Nota dell'autrice: A volte ritornano... dopo più di un anno di pausa dalla pubblicazione dell'ultima storia, ma ritornano.
So che l'idea è balzana, ma è qualcosa a cui penso da tanto, tanto tempo e sarebbe rimasta là ancora per altrettanto, se non fosse per chi mi ha dato una bella spinta a mettere nero su bianco qualcosa che è davvero difficile da descrivere.
Grazie a chi vorrà darmi fiducia... Grazie a chi lo ha già fatto.
mgrandier

 
  
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