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Autore: BlackSwan Whites    02/08/2018    2 recensioni
STORIA AD OC (ISCRIZIONI CHIUSE!)
Il mondo ha già conosciuto due grandi ere della pirateria; i sogni e le speranze di tanti uomini sono naufragati per sempre, mentre altri sono riusciti a realizzare le loro ambizioni.
Nella terza grande era della pirateria, spinta da una volontà d'acciaio, una ragazza decide di imbarcarsi per solcare i mari assieme ad altri che, come lei, hanno un sogno e degli ideali che difenderanno a costo della vita. E voi, siete pronti a seguirla?
Una ciurma, tante persone, ma una sola, grande avventura.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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UNA GRANDE AVVENTURA
 
 
Capitolo 10: Un regolamento di conti

 
Mark.
La luce solare esterna era particolarmente intensa, lo intuiva perché anche con le palpebre serrate vedeva tutto sfumato d’arancione cupo.

Mark.
Avrebbe mugugnato qualcosa in risposta, ma un enorme peso sul petto, nel petto, glielo impediva. E per di più, si sentiva così stanco… Non voleva svegliarsi. Voleva solo riposare, e non ridestarsi mai più.

Mark, ti prego, respira.
Per quanto suonasse dolce e preoccupata, quella voce lo infastidiva. Respirare gli sarebbe risultato faticoso, a causa di quel macigno che gli premeva sull’addome, e lui non aveva la minima intenzione di affaticarsi, contando tutto quello che aveva dovuto passare. Il combattimento, il ricordo della morte di suo padre…

Mark, apri gli occhi, guardami!
Quella nota di allarme per lui, che cresceva di tono pur rimanendo un suono ovattato e distante, si accompagnò alla comparsa nel suo campo visivo (se così si poteva definire) di un’ombra. Non poteva distinguerla chiaramente, avendo gli occhi chiusi, ma sembrava una figura femminile, a giudicare dai capelli lunghi.
Per un attimo, gli baluginò in mente una serie di immagini confuse, dal limbo tra la coscienza e l’incoscienza in cui si trovava.
Una coda da pesce multicolore, simile ad un arcobaleno iridescente sotto la luce del sole e i riflessi dell’acqua.
Due braccia che lo afferravano con delicatezza, eppure in grado di trascinarlo con forza verso l’alto.
Una lunga e fluente chioma, ondeggiante al ritmo della corrente generata dal movimento della pinna che lo stava portando verso la superficie, o forse verso il fondo, non avrebbe saputo dirlo con certezza.
E infine, apparentemente fuori contesto, una fotografia, un po’ sbiadita sulla carta, eppure impressa nella sua mente in modo indelebile. Vi erano raffigurati un uomo sulla quarantina, dai lisci capelli neri e dallo sguardo carico di tenerezza, rivolto alla donna che teneva stretta tra le braccia. La capigliatura castana, che le incorniciava il volto dai magnifici occhi acquamarina e dal sorriso dolce come un cucchiaio di miele, ricadeva folta fino ai fianchi, resi pieni e tondeggianti dalla nuova vita che si preparava a dare alla luce.
In cuor suo, Mark aveva sempre desiderato conoscere sua madre. Annabelle, così si chiamava. Annabelle, un raggio di sole giunto a rischiarare la vita buia di un Alfred Hellsing, medico militare, nel momento in cui aveva tentato in ogni modo di salvare il di lei fratello, rimasto gravemente ferito durante una missione, facendo l’impossibile per curarlo. Annabelle, che era rimasta al suo fianco sempre, a supportarlo sia nei successi che nelle difficoltà, con una forza d’animo sorprendente; una forza d’animo che non le aveva impedito però, al termine di una gravidanza complicata fin dai primi mesi, di spirare tra le braccia dell’uomo che amava, ma non prima di aver permesso a loro figlio di nascere.
Glielo raccontava spesso suo padre, quando era bambino, scompigliandogli la zazzera corvina e guardandolo fisso in quegli occhi tanto simili a quelli della donna da cui li aveva ereditati. Anche se lei non era lì a dargli una mano, si sarebbe preso cura di lui, sempre e a qualsiasi costo. Non poteva permettere che al frutto del loro amore, per cui lei aveva dato la sua stessa vita, capitasse qualcosa di male.

Ti prego… Non abbandonarmi…
Fu proprio quell’ultimo ricordo a dargli la spinta che gli necessitava. Non poteva lasciarsi andare così. Morendo forse avrebbe potuto riabbracciare i suoi genitori, che certo gli mancavano, ma avrebbe anche reso vani tutti i sacrifici che avevano fatto per lui: quelli di suo padre, che aveva rinunciato a tante posizioni lavorative migliori pur di restare al suo fianco ad accudirlo e crescerlo, ma in primis quello di sua madre, che aveva perso la vita perché lui potesse avere la sua. No, non si sarebbe arreso mai: doveva farcela per loro.


 
***

 
 
Spalancò gli occhi, annaspando in un disperato tentativo di recuperare aria. Era sdraiato supino, probabilmente sulla riva del lago dove Caleb l’aveva scaraventato al termine del loro scontro. Sarebbe scattato a sedere, ma non aveva la forza necessaria: si sentiva completamente spossato, come se avesse camminato per giorni interi senza mai fermarsi. Tuttavia, percepiva il bisogno impellente di liberarsi di tutta l’acqua che aveva ingerito, così si voltò su un fianco e cominciò a tossire, espellendo un po’ alla volta quel liquido che lo aveva quasi ucciso. I polmoni gli bruciavano da morire, ma in qualche modo, man mano che procedeva con quella tortura autoinflitta, cominciava anche a sentirsi meglio.
Quando ebbe finito, provò effettivamente a mettersi seduto. La sua vista era offuscata da centinaia di pallini neri sfarfallanti, la testa gli girava e i suoni gli giungevano ovattati, tanto che per un attimo credette di svenire nuovamente. Mentre cadeva di lato, però, qualcuno lo abbracciò, impedendogli di andare a sbattere sul terreno.
-Mark! Stai bene!- La voce di Ellesmere che lo chiamava gli ridiede in un attimo tutto il vigore di cui aveva bisogno. Sapere che la sua amica era riuscita a sopraffare il nemico nella battaglia che si era appena conclusa (o meglio, si era conclusa già da un po’… Per quanto tempo era rimasto privo di sensi? Minuti? Ore?) lo rinfrancava più di qualsiasi tonico ricostituente.
-Cielo, ragazzo, ci hai fatto prendere un colpo! Ormai temevamo il peggio, per fortuna la tua amica qui ha insistito nel cercare di rianimarti, noi stavamo perdendo le speranze!- A parlare, stavolta, era stato un uomo, avvolto da un lungo camice color sabbia, che lo scrutava con aria profondamente sollevata. Solo allora Mark si accorse di essere circondato da un nutrito gruppo di persone, tutte in abiti simili a colui che gli si era rivolto. Dovevano essere gli scienziati del laboratorio, c’erano pochi dubbi al riguardo.
-Cosa…- provò a domandare, ma venne preso da un nuovo conato, che lo costrinse a piegarsi in due. -Non affaticarti, sei ancora molto debole- gli disse la rossa, poggiandogli una mano sulla spalla. A sentire quelle raccomandazioni, un sorriso involontario si fece strada sulle sue labbra, così, incurante del bruciore alla gola, le rispose: -Non rubarmi il mestiere, sono io il medico di bordo!-
-Stupido!- lo rimproverò lei, tirandogli un delicato pugno su una spalla. Il giovane tentò di imbastire un’espressione offesa, massaggiandosi dove era stato colpito, ma non riuscì nel suo intento; anzi, il risultato doveva essere così comico che la sua compagna, dopo averlo visto, scoppiò a ridere, contagiando ben presto anche lui e qualche altro dei presenti.
-Smettetela di ridere, non c’è niente di divertente!- intervenne uno dei ricercatori, dai corti capelli castani. -Vi ricordo che questo ragazzo è quasi annegato! Sarebbe morto, se non fosse stato per…- ma si bloccò di colpo, senza terminare la frase. Mark gli rivolse uno sguardo interrogativo. -Ma come, non siete stati voi a tirarmi fuori dall’acqua?- chiese, osservando i vestiti umidi di alcuni di loro. Le immagini confuse di mentre affondava erano ancora ben vivide nella sua mente, ma dubitava che fossero reali. Sicuramente la carenza di ossigeno aveva deformato le sue percezioni, inducendolo a credere di aver visto cose inesistenti.
Il tipo si morse il labbro, come se fosse indeciso sulle parole da usare. -A dire il vero, noi ti abbiamo solo portato sulla spiaggia, ma quando ti abbiamo trovato, eri già qui vicino, nell’acqua bassa- spiegò. -Magari la corrente ti ha trascinato a riva…- -No, non è possibile! Io ho mangiato un frutto del diavolo, la corrente avrebbe dovuto portarmi a fondo, non farmi galleggiare!- esclamò il medico, facendo spaventare l’uomo per il modo in cui si era improvvisamente infervorato. -Non avete visto proprio niente?- -Non so che dirti, ragazzo- replicò quello.
-Ellesmere, tu ne sai qualcosa?- provò allora a domandare. La ragazza non aveva infatti proferito parola da quando aveva ripreso i sensi. La guardò in quegli occhi azzurrissimi, e per un momento gli sembrò di cogliere un’esitazione, come un’ombra di un qualcosa di non detto. Le sue labbra si schiusero un poco, a dire qualcosa, ma anziché parlare si limitò a fare un cenno di diniego con la testa. -Lei era assieme a noi, quello che ha visto è esattamente quello che ti abbiamo riferito- concluse l’uomo che gli aveva parlato prima, troncando definitivamente la questione. Si alzò in piedi e si allontanò un poco, assieme ad alcuni colleghi.
Quando non fu certo che non fosse più a portata d’orecchio, Mark si rivolse all’amica. -Non so se quel tizio mi stia raccontando la verità o una frottola, ma io so bene cosa ho visto. Cosa penso di aver visto- le disse, provocandole un singulto. -E… e che cosa hai visto?- gli domandò. C’era qualcosa che non andava in lei; sembrava turbata, addirittura spaventata da quello che avrebbe potuto udire. Il giovane prese un respiro profondo prima di confessarsi. -So che crederai che io sia pazzo, ma a salvarmi è stata una sirena-
La ragazza sgranò gli occhi. -Dici sul serio?- domandò, vagamente incredula. In risposta, lui annuì. -E dimmi… che aspetto aveva?- Si grattò il mento, cercando di riportare alla mente i pochi frammenti di immagini che era riuscito a collezionare prima di cadere nell’oblio. -Non ricordo molto bene… So solo che aveva i capelli molto lunghi, una coda coloratissima, quasi come un arcobaleno danzante, e una voce talmente dolce che avrebbe fatto sciogliere il cuore del più duro fra gli uomini. E ha chiamato il mio nome. Per questo non credo che fosse reale: voglio dire, come faceva una creatura del genere a sapere come mi chiamo?- Si fermò un secondo a riflettere, senza smettere di guardare Ellesmere. La rossa deglutì a vuoto, pur sostenendo il suo sguardo. -In effetti, però, mi ha ricordato una persona che conosco…-
Un nuovo tremito improvviso colse la giovane, che però fu abile a dissimularlo. Non sapeva cosa dire. Fin dall’inizio della conversazione Mark si era inoltrato in un territorio pericoloso, e ogni parola li avvicinava sempre di più a quello che sarebbe stato il punto di non ritorno. Se avessero continuato così, non avrebbe potuto evitare di dirgli la verità, e cioè che sì, dannazione, era stata lei a salvarlo dal lago, era lei che aveva visto. Era una sirena.
Per questo poteva sentire la voce dei pesci e comunicare con loro. Per questo poteva nuotare nonostante avesse mangiato un frutto del diavolo, e il giorno in cui era quasi caduta dalla nave aveva rischiato di renderlo palese a tutti. Ancora non si fidava a confidare questo segreto al resto della ciurma; per quanto avesse avuto a più riprese prova della loro bontà d’animo e lealtà, infatti, temeva cosa sarebbe accaduto se avesse rivelato loro la sua vera natura: una natura che, per quanto utile (come si era appena dimostrata), in passato non le aveva causato che sofferenze. Già il fatto che i ricercatori l’avessero vista la metteva in pericolo, ma parlando loro era riuscita a convincerli a non dire niente a riguardo. Dopotutto, non sembravano cattive persone, e infatti avevano accettato di buon grado di mantenere il segreto.
-E… chi?- chiese al medico, serrando le palpebre. Era pronta ad affrontare le conseguenze di ciò che avrebbe detto, ma non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi mentre glielo esponeva. In ogni caso, la risposta che ricevette le fece tirare un enorme sospiro di sollievo. -Mia madre-
-Tua… madre?- -Sì- confermò Mark, ancora perso nei meandri dei propri ricordi. -In realtà non l’ho mai conosciuta, è morta subito dopo che io sono nato- spiegò, -ma mio padre teneva sempre una fotografia di loro due assieme e me la mostrava, di tanto in tanto. Credo che lo shock causatomi dall’annegamento mi abbia portato a sovrapporre la sua immagine a quella del mio salvatore, anche se non so perché. Ah, i misteri della mente umana…- concluse, con un sospiro.
-Già, il modo in cui ragioniamo a volte è davvero bizzarro- gli fece eco Ellesmere, che si era realmente tolta un peso dalla coscienza a quella rivelazione, anche se non si trattava di altro che di un rimandare l’inevitabilità. Prima o poi avrebbe dovuto affrontare la delicata tematica di ciò che era, e non solo con Mark, ma davanti a tutti i suoi amici. “Ma non oggi” pensò, proprio mentre una voce alle sue spalle richiamava la sua attenzione.



 
-Ehi, laggiù!- -Shiro!- gridò uno dei ricercatori del gruppo, vedendo avvicinarsi il collega. Il ragazzo dai capelli bordeaux stava al fianco di Iris, alla testa del resto della ciurma. -Ciao, tizio di prima!- rispose giovialmente il capitano, facendo un cenno con la mano sotto gli occhi perplessi di tutti. Come modo di salutare una persona, era decisamente strano. -Si chiama Andrea- le bisbigliò Keyra, che a differenza di lei non aveva dimenticato il nome dell’uomo; la risposta della mora fu, se possibile, ancora più spiazzante. -Eddai, Keyra, non puoi mica pretendere che mi ricordi come si chiamano tutte le persone che incontro…- si giustificò, grattandosi la testa. Comunque fu Andrea stesso a fare un gesto con la mano come a dire che non era una questione importante, aggiungendo un “non c’è problema, davvero” per risultare più convincente.
-Ellesmere! Per fortuna stai bene!- Mirage si precipitò in direzione dell’amica, correndo ad abbracciarla. -Temevamo che ti fosse successo qualcosa di male, siccome non ci hai raggiunti- le spiegò, mentre la ragazza rispondeva alla stretta affettuosa della tigre. -Tranquilli, a parte un taglio alla gamba è tutto ok, almeno per quanto mi riguarda- la rassicurò, indicando Mark, che stava ancora disteso al suo fianco mentre riprendeva le forze.
-E tu che diavolo ci fai qui? Non dovevi essere alle prigioni?- gli sbottò contro Alex, amichevole come sempre e, soprattutto, incurante del fatto che il suo aspetto non fosse dei migliori (cosa che attribuiva sicuramente ancora alla sbornia di prima). Ellesmere guardò il compagno: in effetti, anche lei non aveva idea del perché fosse piombato fuori dalla finestra dell’edificio così all’improvviso. Era stata tentata di chiederglielo, ma poi il buonsenso aveva avuto la meglio: secondo la versione dei fatti che gli avevano presentato, lei e i ricercatori l’avevano trovato svenuto nell’acqua bassa, dunque non poteva aver assistito direttamente all’incidente; pertanto, aveva preferito tacere al fine di non destare sospetti. -E c’ero, infatti- ribatté il medico, trattenendo un colpo di tosse, -fino a quando non è arrivato quel bastardo di Ayr-
-Ayr? Vuoi dire che Caleb si trovava nella zona delle celle?- gli domandò Kaith, inclinando la testa di lato. -Ehi, rosso- si rivolse quindi a Shiro, -non avevi detto che lo psicopatico doveva essere passato di qua?- -Pensavo fosse così, mi sembrava la decisione più logica che potesse prendere- si difese quello, sistemando meglio il cappello sulla testa. L’unico a trovare subito il punto della situazione fu, come al solito, Naoaki.
-Evidentemente, nel sentire la battaglia in riva al lago, deve aver intuito che si trattava solo di un diversivo per sviare la sua attenzione dalle prigioni, attuato per fare in modo che noi potessimo raggiungere Iris, Keyra e Diana e liberarle- espose agli altri. Rey lo fissava a braccia incrociate: i processi mentali del cecchino gli risultavano completamente oscuri, ma erano senz’ombra di dubbio congegnati a regola d’arte. Se avesse dovuto scegliere, non si sarebbe mai messo di propria volontà contro un uomo così intelligente e calcolatore, sarebbe stato un massacro.
-Così si è recato proprio in quel posto, per tendere un agguato a chiunque si fosse avvicinato usando le ragazze come esca…- -… ma una volta lì non ci ha trovate, perché noi nel frattempo eravamo già state liberate da Shiro- finì per lui la frase Keyra, che come tutti stava finalmente iniziando a capire come erano andate le cose. Era come risolvere un puzzle, i cui pezzi stavano ora magicamente tornando al loro posto per formare il quadro completo. -Però si è imbattuto in Mark- concluse Ellesmere. -Sì, d’accordo, tutto molto interessante, ma nessuno ha ancora risposto alla mia domanda: come tu sei finito qui, su questa dannata sponda di questo dannato lago accanto a questo dannato laboratorio di questa dannata isola- La maggior parte dei presenti sospirò rassegnata: evidentemente, quella ragazza dai tratti vampireschi perdeva facilmente la pazienza, come dimostrava (oltre al suo tono seccato) il fatto che sbattesse continuamente un piede a terra.
Mark iniziò dunque a raccontare cosa era successo al piano superiore, mentre tutti gli altri erano impegnati altrove nei combattimenti. -Quello stronzo mi ha provocato, io ho reagito d’impulso attaccandolo senza riflettere e lui mi ha sconfitto abbastanza facilmente, dopodiché mi ha buttato fuori dalla finestra, nel lago. Sono quasi annegato, ma…- si fermò prima di raccontare a tutti della sirena, sicuro che non l’avrebbero preso sul serio, -… qualcuno mi ha salvato, portandomi a riva; è lì che mi hanno trovato i ricercatori ed Ellesmere- -E bravo stupido, tu ti sei lasciato distrarre a parole dal primo venuto!- lo stuzzicò Kaith, anche se dal canto suo, probabilmente, al posto del medico sarebbe stato ugualmente circuito dall’abilità dell’agente governativo. -Vorrei vedere come ti comporteresti tu, se parlassero di tuo padre come lui ha parlato del mio!- gli rispose quello a tono, infervorandosi di nuovo al pensiero del disprezzo con cui Caleb gli si era rivolto. -Dubito fortemente, dato che non l’ho mai conosciuto, mio padre!-
-Piantatela tutti e due!- sbottò Rey, fulminandoli con lo sguardo nero e cremisi. In qualità di vice, era compito suo evitare litigi inutili, dato che Iris, al momento, sembrava completamente persa nei suoi pensieri. -Il punto della questione non è di chi sia la colpa di quello che è successo, il punto è: dove si trova adesso Caleb?- -Ma prima di Caleb, dov’è Greta?- saltò fuori all’improvviso il capitano, riscuotendosi dalla trance in cui sembrava caduta. Aveva prestato poca attenzione a tutti i discorsi fatti fino a quel momento, poiché c’era qualcosa che non le tornava, e finalmente aveva trovato cos’era, o meglio, chi era.
-Esmer- le si rivolse allora Mirage, che era ancora vicino a lei da quando la ciurma si era riunita, -tu e Greta non eravate assieme, prima?- Si portò una mano alla bocca, in preda allo spavento. -Le è successo qualcosa mentre combattevate?- La rossa scosse la testa. -No, non abbiamo avuto nessun problema con i soldati, ma quando abbiamo iniziato a correre per raggiungere l’ingresso dell’edificio lei mi ha distanziato a causa della mia ferita alla gamba- spiegò, indicandosi il polpaccio ferito. Vi spiccava un taglio rosso, non troppo profondo, ma abbastanza ben marcato; il liquido scarlatto, inoltre, si era allargato a formare una macchia sui pantaloni bianchi della ragazza. -Quando lei ormai era a destinazione io ero ancora a metà strada; poi ho visto arrivare i ricercatori e il loro salvataggio di Mark, e ho pensato di raggiungerli- -Vi siete divise, perciò- constatò Naoaki, portandosi una mano alle tempie. Male, molto male. Pessima scelta.
-Dunque, vediamo se ho capito bene- intervenne Iris, che in breve tempo era riuscita a riafferrare tutto quello che si era persa negli ultimi minuti, o almeno così sperava. -Ricostruiamo tutti gli spostamenti di Caleb: non è andato a dare manforte all’esercito sul lago, ma è rimasto al piano superiore, vicino alle celle. Qui ha incontrato Mark, gliele ha date di santa ragione e lo ha quasi ammazzato. E poi… dov’è andato?- -Beh, sicuramente non ha usato il passaggio che abbiamo preso noi, altrimenti lo avremmo incontrato- considerò Rey, dispiaciuto all’idea che quel maledetto non gli si fosse parato davanti. Si sarebbe divertito un mondo a farlo a pezzi, dopo tutto il male che aveva causato nel giro di sola mezza giornata. Non gli importava granché della pericolosità che doveva avere: chi toccava i suoi amici con intenzioni ostili poteva considerarsi morto.
-Questo ci porta a due possibili conclusioni, anche se una è molto improbabile- fece il punto della situazione Naoaki. La piega che avevano preso gli eventi non gli piaceva per niente: al momento, uno di loro (anzi, una) era in pericolo decisamente critico. -La prima è che Ayr, una volta messo fuori gioco Mark, sia sceso ai laboratori per controllare la situazione lì sotto, ma come ho accennato, è poco plausibile; come ci ha fatto giustamente notare Rey, infatti, non l’abbiamo incontrato lungo la via che ci ha mostrato Shiro. Pertanto, rimane solo una alternativa- -Ossia?- gli domandò Mirage, con voce tremolante. Dopo ciò che aveva sentito sul loro nemico, iniziava ad essere seriamente spaventata da ciò che sarebbe potuto accadere. Il cecchino la guardò, e un’ombra scura gli passò attraverso gli occhi. -È tornato all’ingresso principale, dove stava andando Greta-
-Perciò ci siamo persi un altro pezzo per strada?- chiese Alex, roteando gli occhi al cielo. In realtà, anche lei era preoccupata per la loro compagna, ma nella sua mente si ripeteva che non avrebbero potuto fare nulla per evitare ciò che le era accaduto. Sarebbe stato impossibile prevedere con esattezza tutti i fatti che si erano susseguiti fino a quel momento, e pertanto non sarebbero stati in grado di agire per prevenire quella fatalità. Tuttavia, potevano agire adesso, e cercare di arginare i danni, per quanto possibile. -Beh, poco male, ora ce la andiamo a riprendere!- li incitò Iris; la determinazione nella sua voce venne sottolineata da un grido battagliero di Kahir, che se n’era stato tutto il tempo appollaiato sulla sua spalla. -Non possiamo lasciarla nelle mani di quel Caio Ario o come diavolo si chiama!-
-Concordo- fece Keyra, appoggiando decisa la mano sull’elsa di Angel; avendo combattuto fino a quel momento si sentiva abbastanza stanca, ma il sapere che la loro navigatrice stava rischiando grosso aveva cancellato in un attimo tutto l’affaticamento residuo. -Nessuno sarà lasciato a difendersi da solo!-
-Ehm, in realtà la vostra amica non è da sola…- Tutti si girarono a guardare Shiro. Il ragazzo aveva un’espressione nervosa, come se stesse nascondendogli qualcosa. -Che intendi dire?- lo squadrò minaccioso Kaith. -Beh, ecco… C’è la possibilità che prima, quando mi avete chiesto di scortarvi al passaggio nascosto, qualcuno avesse una teoria alternativa riguardo gli spostamenti di Caleb- tergiversò lo scienziato, tormentandosi le dita. -E c’è sempre la possibilità che quel qualcuno intendesse verificare di persona le proprie congetture, anziché rischiare di mettere in pericolo ulteriore altri membri della ciurma… E che quindi quel qualcuno mi abbia chiesto di coprirgli la fuga mentre si allontanava dal resto del gruppo…- -Oh, per la miseria, vai al punto!- gli urlò contro Alex, estraendo uno dei suoi coltelli dal fodero e puntandoglielo alla gola. -O devo scavarti le parole fuori dalle corde vocali con questo?-
Shiro deglutì rumorosamente. Quella donna era semplicemente terrificante. In preda alla paura più assoluta, tutto quello che riuscì ad esalare fu un nome, seguito da poco altro. -Diana. Diana è rimasta al laboratorio-


 
 
Greta era ancora frastornata per tutti i colpi ricevuti da Caleb un attimo prima, eppure la sua mente era abbastanza lucida da produrre ininterrottamente ipotesi su chi potesse essere il misterioso salvatore che si era appena precipitato in suo soccorso. La velocità con cui si era spostato era incredibile, esattamente come quella del suo nemico, perciò escluse tutti i suoi compagni di avventure: per quanto estremamente in gamba e dotati, nessuno possedeva quelle capacità. E poi, se si fosse trattato di qualcuno della ciurma, non sarebbe stato solo. Per quanto ne sapeva, si trovavano tutti assieme nei sotterranei dell’edificio, quindi se uno era arrivato lì, gli altri l’avrebbero seguito a breve. Eppure aveva colto quel particolare di sfuggita: una camicia a quadri, proprio come quella che portava sempre…
-Instar!- L’agente governativo si rimise faticosamente in piedi. L’attacco dell’assalitore lo aveva spedito a impattare contro la parete con una violenza inaudita, ma era stata soprattutto la sorpresa a fargli provare dolore. Come ebbe pronunciato quel nome, una figura solitaria gli apparve di fronte, a distanza di sicurezza, producendo quel suono caratteristico di una lama che taglia l’aria.
-Ciao Caleb, ne è passato di tempo, eh?- gli rispose Diana (perché effettivamente era di lei che si trattava), facendo il verso alla maniera in cui lui le si era presentato giusto qualche ora prima. -Più di quanto sperassi. Pensa, ero venuto a trovarti nei tuoi alloggi, ma ho appreso con disappunto che non eri in casa… Avresti dovuto avvisarmi prima di uscire, mi sarei risparmiato un viaggio a vuoto!- commentò l’altro, con espressione di finto rammarico. -Oh, non sai quanto mi dispiace!- fece la vedetta, alzando gli occhi al cielo. -Vorrà dire che la prossima volta ti lascerò un bigliettino di avviso. Stavo pensando a qualcosa del tipo “se mi cerchi, sono andata in un posto che si chiama vai a farti fottere. Mi trovi lì. Con affetto, Diana”- -Ho sempre amato la tua finezza di espressione, tesoro- -Oh, se vuoi posso andare avanti! Il mio repertorio di insulti si è allargato notevolmente, da quando ho rivisto la tua faccia-
Greta assisteva a quello scambio di battute con un misto di velato divertimento e con una buona dose di stupore. A quanto pare, doveva essere una caratteristica base di tutti gli agenti segreti governativi di un certo livello un senso dell’umorismo deviato condito con una predilezione per la teatralità. Sembrava seriamente di trovarsi di fronte a un palco dove quei due si punzecchiavano a vicenda, cercando di vincere l’ultima parola, prima di mettere in scena una battaglia spettacolare. E dopo tutto, non era molto lontano dalle loro reali intenzioni.
-Dimmi, carissima- la provocò, -come ti senti ad aver salvato la tua amichetta qui vicino, sapendo che nel frattempo hai lasciato morire un’altra persona?- L’occhialuta lanciò uno sguardo interrogativo in direzione della compagna, in cerca del senso di quell’ambigua frase. Ovviamente, non era al corrente di ciò che era accaduto al piano di sopra, nel corridoio delle celle. -Ha ucciso Mark- le rispose quindi lei, con la gola che bruciava; un po’ perché fino a qualche minuto prima la stavano strangolando, ma un po’ anche per il dispiacere di aver perso un membro in maniera così improvvisa e inaspettata.
Uno spasmo attraversò il volto di Diana, che serrò i pugni senza tuttavia proferire parola. -Oh, così era tuo amico?- Il tono di Caleb continuava a mantenersi sarcasticamente triste. Voleva giocare coi suoi sentimenti, prima di farla a pezzi in combattimento. Scosse la testa, rivolgendole un sorrisetto mesto. -Che peccato, sembrava proprio un tipo simpatico. Sai, è veramente una vergogna come tutte le persone a cui tieni finiscano per morire. Non è che per caso sei tu a portare sfortuna, Dia?- Lei continuò a perseverare nel suo mutismo, anche se dietro le lenti degli occhiali si potevano chiaramente vedere i lampi infuocati che mandava il suo sguardo. “Per favore, Diana, non cadere anche tu nella sua trappola” pensò Greta, ricordando cos’era successo a lei quando si era lasciata distrarre dai discorsi del verde.
-Certo che dev’essere stata dura, perdere tutti e due i genitori in un colpo solo…- continuò imperterrito. Provocatore fino in fondo. -I grandi coniugi Instar, la più grande calamità per tutti i criminali del Mare Meridionale, per non parlare della loro primogenita ed unica figlia, una delle reclute più giovani e brillanti delle CP. Una famiglia di celebrità, non c’è che dire. Poi però è cambiato qualcosa. Un piccolo, insignificante dettaglio. Credo si trattasse di Adarin, dico bene?-
Stavolta, inaspettatamente, si rivolse a Greta. -Ne hai sentito parlare anche tu, vero?- La ragazza scosse la testa: il nome non le diceva assolutamente niente. L’altro schioccò la lingua con disappunto. -Adarin era un villaggio su un’isola abbastanza rinomata per il commercio di preziosi e beni di ogni genere, che però con il tempo era caduto nelle mani di un gruppo di trafficanti d’armi senza scrupoli. Ora, non che a noi del governo importasse granché, sia chiaro; del resto, era soltanto un manipolo di gente che faceva il proprio lavoro. Sta di fatto che un giorno arrivò una ciurma di pirati, e incitò il popolo a ribellarsi a quegli aguzzini. Un po’ come facevano quegli invasati di Cappello di Paglia anni fa in giro per il mondo… Ed ebbero successo. Ma ahimè, si trattava pur sempre di pirati, e che cosa tocca ai pirati? Beh, lo sai, dato che stava per succedere anche a te- e detto questo indicò la sua spalla, dove la ferita che le aveva inferto non accennava a smettere di sanguinare.
-L’arresto della ciurma fu affidato agli Instar, che si recarono ad Adarin per eseguire la cattura. E sai cosa accadde? Che gli abitanti del villaggio fecero resistenza, insistendo che non era giusto che i loro salvatori fossero catturati e mandati alla forca. Non ci fu resistenza armata, soltanto un dialogo pacifico. E fu lì che gli Instar commisero il loro errore più grande. Li ascoltarono e lasciarono andare quei furfanti-eroi.
Disobbedirono agli ordini pur di proteggere dei fuorilegge, soltanto perché questi avevano aiutato uno sparuto insieme di bifolchi a risolvere un paio di problemi. E il bello è che provarono anche a far valere la loro opinione, una volta rientrati dalla missione. Ultimamente, avevano iniziato a farsi un po’ troppi scrupoli morali sulle loro azioni, anziché eseguire i comandi senza fiatare, e guarda caso, anche la loro figlioletta si comportava esattamente alla stessa maniera. Già, gli Instar stavano diventando ingestibili; un cancro che andava eradicato il prima possibile. Beh, come è andata a finire la storia te lo risparmio, tanto ci puoi benissimo arrivare da sola. L’alto tradimento è un reato capitale, almeno se uno non scappa di prigione prima dell’esecuzione-
La navigatrice aveva ascoltato tutto il racconto senza quasi respirare. Dunque era anche questo il motivo per cui Diana non aveva mai accennato al suo passato di lavoro per il governo: la morte dei suoi genitori doveva essere una ferita ancora aperta. Se aveva ben compreso le parole di Caleb, all’epoca anche su di lei incombeva la condanna, ma in qualche modo era fuggita, non potendo però liberare la sua famiglia, che era dunque perita miseramente. Lanciò uno sguardo di sfuggita all’amica, ma non vide cambiamenti in lei. Se ne stava sempre lì in piedi, la testa leggermente inclinata verso il basso e gli occhi persi, come fosse ipnotizzata. -Tu non hai niente da dire a riguardo, Dia?- le domandò Caleb, per verificare se le sue istigazioni avevano colto nel segno.
Lei parve riscuotersi da quel torpore arcano. L’espressione del suo volto era indecifrabile. -Oh, ci sono tante cose che avrei da dire, in effetti, ma andremmo troppo per le lunghe, e non voglio tediarvi- commentò amaramente. Poi, senza motivo apparente, scoppiò a ridere. Una risatina istericamente nervosa, quasi da folle. -No, sai, è buffo- commentò, rivolgendosi al suo ex collega, -perché hai ragione. Ogni persona a cui tengo alla fine muore, per causa mia. Allora, stavo pensando… Che sarebbe molto meglio se la facessi finita, no?- Greta la guardò senza capire, così come Caleb; a quanto pare, anche lui non trovava il punto del discorso. -Prego?-
-Se io morissi, non metterei più in pericolo nessuno. E allora, Cal- gli disse, utilizzando dopo anni quel diminutivo del suo nome, -perché non mi ammazzi? Catturami e uccidimi, così la smettiamo di perdere tempo!- -Diana, ti è dato di volta il cervello?- le urlò contro la sua compagna. Era impazzita, non c’era dubbio. -Pensi che anche se ti facessi arrestare lui ci lascerebbe in pace? Allora lasciatelo dire, sei proprio una scema!-
-Grazie della stima che riponi sempre nei miei confronti, Greta, lo apprezzo molto- la schernì lei, senza smettere di sorridere. -Sul serio, ho avuto un’idea. Tu mi vuoi morta, giusto, Cal? E io forse farei meglio a morire. Allora abbiamo la soluzione davanti agli occhi!- fece, allargando le braccia. -Mi dispiace, ma non ti seguo- commentò il verde, scuotendo la testa. -Un duello!- esclamò allora la mora, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. -Uno scontro diretto alla pari, senza armi, solo tecnica; non userò nemmeno i poteri del frutto del diavolo, in modo da essere il più imparziali possibili. All’ultimo sangue. Chi vince, sopravvive; chi perde, muore. Ci stai?-
Questa volta fu l’agente a mettersi a ridere. -Sei seria?- -Io non scherzo mai, quando si tratta della sicurezza dei miei amici- ribatté lei senza sbattere ciglio. -Allora, abbiamo un accordo?- domandò quindi, tendendogli la mano. Lui la osservò, riflettendo sulla proposta, poi la strinse con decisione. -Va bene, accetto- confermò, sotto gli occhi esterrefatti di Greta. Decisamente, non ci stava capendo più nulla. -Sarà come tornare ai tempi dell’addestramento, quando lottavamo uno contro l’altro per allenarci. Solo… più letale- -Letale mi piace- fu la considerazione di Diana.
In poco tempo, si posizionarono uno di fronte all’altra al centro della stanza, cinque passi di distanza a separarli. -Sai, a volte me lo sono chiesto, se un giorno avremmo combattuto di nuovo, e chi l’avrebbe spuntata. Oggi ne avremo la prova, e devo ammettere che il verdetto sarà decisamente più interessante, contando cosa c’è in palio- le disse, prima di inchinarsi in segno di rispetto per l’avversario. -Oh, non lo metto in dubbio- fece con un sorrisetto determinato, rispondendo al saluto. -E adesso, se non ti dispiace, iniziamo, non ho voglia di perdere tempo in convenevoli-
 


 
Il primo ad attaccare fu proprio Caleb. Con la velocità supersonica che lo contraddistingueva, si scagliò in avanti, sferrando un pugno all’altezza del volto di Diana, che lo parò facilmente; il contatto tra le loro braccia produsse un suono metallico, come se a cozzare non fossero state carne ed ossa ma blocchi di solido acciaio. Un tentativo di colpo al fianco sinistro ebbe lo stesso effetto, venendo prontamente deviato verso terra. -Sai, fai ancora a botte come una ragazzina- lo provocò la giovane, prima di passare alla controffensiva.
Appoggiando le mani sul petto dell’avversario lo spinse indietro, o meglio, spinse indietro sé stessa, per poter arretrare più rapidamente. Spiccò un balzo, e fece una cosa che Greta non aveva mai visto e che non riteneva nemmeno possibile: tirò un calcio all’aria, come se stesse pestando con forza un piede a terra, e anziché cadere, si elevò ancora più in alto, esattamente come se avesse salito un gradino; il rumore che derivò da quell’azione fu come il rimbombo di un colpo di pistola. La vedetta ripeté il gesto alcune volte, sollevandosi sempre di più nella sala, tanto che in breve arrivò a sfiorare il soffitto.
-Vieni giù, uccellino, il gatto ha voglia di giocare!- la chiamò l’agente, con un sorriso beffardo stampato in faccia, mimando le battute che si scambiavano all’epoca del loro addestramento. -Perché dovrei, è così bello sgranchirsi le ali!- rispose la ragazza, sogghignando a sua volta. Conosceva bene i punti deboli di Caleb, dopo anni passati assieme tanto in palestra quanto in missione, e la tecnica del Geppou era uno di questi. Da parte sua, invece, aveva sempre prediletto quell’abilità, detta anche Moon Step: consentiva di spostarsi molto rapidamente e, ai livelli a cui era arrivata a padroneggiarla, non c’era praticamente nessun luogo che non potesse raggiungere semplicemente “camminando a mezz’aria”. -Dopo tutto questo tempo non sei cambiata di una virgola: sempre a scappare e ad evitare lo scontro diretto, eh? Paura di farti male?- -Niente affatto, cerco solo una prospettiva migliore delle cose. Dovresti sapere che odio il contatto fisico- lo apostrofò. -Anzi, devo ancora fartela pagare per quelle… come posso definirle… attenzioni indesiderate che mi hai rivolto prima, nella cella-
-Oh, beh, se non scendi tu, allora vorrà dire che ti strapperò le penne e ti farò schiantare al suolo!- commentò l’altro, dopodiché saltò a sua volta in direzione della mora, eseguendo la sua stessa mossa. Tuttavia, si poteva notare come fosse molto meno fluido nei movimenti, e soprattutto più lento. A terra poteva diventare quasi invisibile nello spostarsi, ma una volta che si staccava era notevolmente più impacciato, caratteristica che la pirata non esitò a sfruttare a proprio vantaggio. Infatti, dopo essere rimasta sospesa per un po’, fletté il busto in avanti e si lanciò letteralmente in picchiata sull’avversario, assestandogli un calcio che egli non fu in grado di evitare, talmente era concentrato nel non perdere l’equilibrio, e che per questo lo fece rovinare a terra.
Non appena eseguito ciò, Diana girò su sé stessa per ritornarsene nella sua posizione sopraelevata prima che l’altro potesse reagire. Da lì, poi, iniziò un nuovo attacco, non meno spettacolare del precedente. Caricò la gamba destra all’indietro, come se si preparasse a dare un calcio ad un pallone, e la girò in avanti, scagliando un colpo talmente rapido che volò come una lama azzurrognola prima di schiantarsi sul suo oppositore; o, per essere precisi, vicino ad esso, dato che si era già ripreso quel tanto che bastava per rotolare lateralmente e schivarlo. Senza scoraggiarsi, la giovane partì a menare fendenti analoghi con un ritmo sempre più incalzante, nella speranza di centrarlo.
Greta la osservava affascinata, incapace di distogliere lo sguardo. Aveva sempre visto l’amica utilizzare la sua katana e, al limite, le unghie da armadillo nel corpo a corpo, ma non avrebbe mai immaginato che fosse così dotata anche nelle arti marziali. Evidentemente, di solito preferiva non sfoggiare le tecniche Rokushiki, forse anche per non rivelare il suo legame con la Marina e il governo (a quanto pareva, erano una prerogativa solo di agenti e ufficiali di alto livello). In poco tempo, il pavimento di piastrelle risultò completamente fratturato da quella pioggia di tagli di aria compressa, ridotto a una massa di detriti, che si erano tra l’altro sollevati in una consistente nuvola di polvere riducendo la visibilità in tutto l’atrio.
Fu proprio a causa di quel polverone che Diana, fermatasi un attimo per permettere alla foschia di diradarsi e mirare meglio, non vide arrivare un colpo simile a quelli usati da lei finora, che la beccò in pieno. Pertanto toccò a lei, stavolta, cadere, sbattendo la schiena. Caleb le fu subito addosso, provando a ferirla alla spalla con uno Shigan, la tecnica che aveva usato contro Greta, ma lei lo evitò prontamente; l’impatto col terreno le aveva tolto il fiato, ma non le aveva fatto perdere la lucidità necessaria a difendersi.
Provò a spostarsi e a rimettersi in piedi, ma il verde fu più rapido. La distrasse con un pugno in faccia, che riuscì a parare, ma nel contempo le schiacciò il piede su una gamba, bloccandola a terra e facendola urlare di dolore. -Non crederai mica che ti lasci volare via di nuovo, vero?- le urlò, infierendo ulteriormente sulla sua caviglia; non intendeva suonare pessimista, ma se avesse continuato così probabilmente gliel’avrebbe distorta o, peggio, fratturata. Doveva agire in fretta per liberarsi.
Puntandosi su un gomito ruotò su sé stessa, usando la gamba libera per falciare l’avversario, che fu costretto a spostarsi per non cadere. Senza perdere tempo, sfruttò l’occasione favorevole per colpirlo alle costole, proseguendo in uno scambio di percosse reciproche che andò avanti per parecchio. Del resto, entrambi avevano già combattuto, nel corso della giornata, e cominciavano ad essere affaticati; in più, Diana non si era ancora del tutto ristabilita dal pestaggio in prigione, anche se ormai il grosso degli effetti era passato.
Ad un certo punto, però, in un attimo di fatale distrazione, Caleb riuscì ad afferrarla per il polso, strattonandola per sbilanciarla; un rapido colpo in pieno petto la raggiunse nell’istante immediatamente successivo, risuonandole nella cassa toracica come un tonfo sordo. Il riverbero le rimbombò anche nelle orecchie, frastornandola quel tanto che bastava per far sì che l’altro, caricato il “dito pistola”, le perforasse l’addome circa all’altezza dello stomaco. Greta soffocò un urlo: dopo innumerevoli tentativi, l’aveva centrata. Non contento, fletté nuovamente il braccio e infierì ancora, e ancora, sotto gli occhi atterriti della navigatrice. Quando ebbe finito, sulla camicia della mora spiccavano ben cinque fori cremisi, che iniziarono a grondare sangue a ritmo allarmante.
Diana rimase in piedi qualche secondo, con lo sguardo vacuo e perso nel nulla, il respiro mozzato a cercare di realizzare cosa fosse realmente successo. L’adrenalina che aveva in circolo attenuava il dolore, certo, ma non per questo le negava la consapevolezza di essere stata appena ferita gravemente, il che significava essere pericolosamente vicina ad una fine dello scontro tutt’altro che vittoriosa.
In un niente, venne invasa dalla paura, uno sgomento cieco e profondo. L’idea del duello era stata più che altro un metodo per prendere tempo, nella speranza che Greta se ne andasse e si ricongiungesse con il resto della ciurma, mentre lei distraeva Caleb; se gli altri lo avessero sfidato tutti assieme, le possibilità di sconfitta dell’agente sarebbero aumentate esponenzialmente. Per quanto la riguardava in prima persona, invece, i casi erano due: se avesse trionfato, avrebbe risparmiato ai suoi compagni la fatica di un’altra battaglia; se avesse perso… In quel frangente, almeno avrebbe fatto guadagnare loro un’occasione migliore, anche se per lei sarebbe significata la fine. E sarebbe andata bene così, davvero; in fondo, non ne poteva più nemmeno lei di lottare.
Ma Greta non aveva colto l’opportunità, era rimasta al suo fianco ad osservarla mentre attuava il suo piano, ed essendo ancora fisicamente provata, sarebbe stata il prossimo facile bersaglio del suo opponente; e dopo di lei, anche gli altri, perché la vedetta era fermamente convinta che sarebbe riuscito ad elaborare una strategia che gli permettesse di dividerli ed eliminarli, uno per uno. E lei non poteva permetterlo.
-Penso che siamo al termine, Instar- le rinfacciò Caleb. -Guardati, sei allo stremo. Ancora pochi istanti, e non riuscirai neanche più a reggerti sulle tue gambe. Un vero peccato… Eri brava come agente. Come pirata, invece, hai avuto una carriera abbastanza breve. Ma del resto, sappiamo entrambi chi è sempre stato il migliore tra noi- Diana non replicò. La sua vista cominciava ad offuscarsi, e doveva fare appello alle ultime facoltà che le erano rimaste per evitare di perdere conoscenza e mandare tutto a monte; perché era riuscita, nella disperazione totale in cui versava, a farsi venire in mente un modo per tentare il tutto per tutto e mettere fuori gioco definitivamente l’avversario. Ma doveva essere rapida, e cogliere l’attimo esattamente quando si fosse presentato, perché sarebbe stata questione di millesimi di secondo. Si trattava solo di attendere la posizione esatta, e poi…
-Mi piacerebbe tenerti in vita quel tanto che basti per farti assistere alla rovina di tutti i tuoi amichetti, ma purtroppo sei stata tu a fissare le regole di questo duello, e hai detto che era all’ultimo san…- -Basterebbe, Cal. Quel tanto che basterebbe. Impara a parlare, anziché pensare sempre e solo a menare le mani- Nemmeno lei era sicura che la frase fosse sintatticamente corretta così, ma poco importava; non poteva resistere a provocarlo, contando che probabilmente si trattava dell’ultima volta in assoluto in cui le era concesso scherzare. La battuta finale.
Lui la squadrò con aria di superiorità, incassando senza battere ciglio (quantomeno all’apparenza esterna). -Impertinente fino in fondo, eh?- -Fino all’ultimo respiro- replicò, sostenendo il suo sguardo con sfida (per quello che riusciva a fare). -Oh, beh, allora non durerà ancora per molto- commentò, preparando il colpo fatale. Uno Shigan in piena fronte, un’esecuzione in grande stile. Ora o mai più. -Addio, Instar. Non credo sentirò la tua mancanza-
Fu istantaneo. Nel momento stesso in cui il braccio di Caleb scattava in avanti, Diana si lasciò cadere quasi in ginocchio, piegando la schiena all’indietro con una flessibilità incredibile per schivarlo. Un passo laterale a sinistra, sempre in quella posizione innaturale, e si affiancò all’altro, talmente veloce da non consentirgli nemmeno di accorgersi di cosa stesse accadendo. Compì una mezza giravolta usando la gamba come perno, flettendo nel contempo il gomito destro in un’angolazione particolare, e vibrò un colpo deciso dritto alla base della spina dorsale. Trattenne un ghigno di soddisfazione nel sentire uno scatto secco tra le ossa del bacino del suo opponente, che cadde lungo disteso a terra.
Quello non ci mise molto a riprendersi, scoppiando a ridere fragorosamente. -Interessante, senza dubbio molto interessante. Cosa pensi di aver ottenuto, sentiamo? Non mi hai neanche fatto male- -Oh, ma infatti non intendevo farti male. Volevo solo farti capire una cosa, Ayr- Nonostante il tono di voce della ragazza fosse abbastanza spento, segno che tra poco sarebbe collassata, si poteva chiaramente percepire la nota ironica che lo intrideva. -E quale sarebbe, di grazia?- domandò, rimettendosi in piedi. Non fu necessaria una risposta.
Infatti, semplicemente, Caleb non fu in grado di alzarsi. Per la precisione, si sentiva come se il suo corpo non esistesse più; dalle scapole in giù, non percepiva assolutamente niente. Credendo si trattasse solo di una conseguenza immediata di quel colpo di gomito si mosse nuovamente, ma ancora non riscontrò alcun risultato. Diana gli si avvicinò, sedendosi sui talloni per guardarlo negli occhi, quegli occhi blu e ambrati che aveva imparato ad odiare con tutto il suo cuore. -Che per quanto tu possa essere forte sul piano fisico, se su quello morale sei una merda, prima o poi avrai quello che ti meriti- gli rinfacciò, serafica. L’altro eruppe in una risata nervosa; tentava di apparire spavaldo, ma i suoi occhi spalancati tradivano che la sua condizione anomala iniziava ad allarmarlo. -Sentiamo, dove l’hai letta, questa, in un biscotto della fortuna? Cosa dovrebbe significare?- le chiese, cercando di far leva sulle braccia per tirarsi su, sempre senza ottenere nulla. -Vuol dire che se sei un combattente esperto, e picchiare chi non riesce a difendersi è l’unica cosa che sai fare, passare dalla parte degli indifesi ti darà una lezione di umiltà. Oh, e se fossi in te non mi sforzerei più di tanto- lo rassicurò lei, intuendo i suoi pensieri. -Con la lesione spinale controllata che ti ho provocato, dubito che riuscirai più a muovere qualcosa al di sotto delle spalle-
Fu quell’ultima frase a far crollare definitivamente l’agente. Rimase bloccato, la bocca semiaperta in uno stupore orripilato, ma soprattutto, con un’espressione impareggiabile sul volto: il più assoluto, profondo e inavvicinabile panico. -Come… cosa intendi? No, non è possibile, non esistono tecniche in grado di fare cose simili- farfugliò sconnessamente. Ormai non ragionava più, la sua mente era in blackout completo. -A quanto pare invece sì! Bel colpo, Dia!-
Esattamente in quell’istante, dalla porta dell’edificio fece il suo ingresso Iris, seguita da Kahir, da tutto il resto della ciurma compreso Mark (per il sollievo e la gioia delle due ragazze che lo credevano morto) e da Shiro. -Era ora, ce ne avete messo di tempo!- gli urlò contro Greta con asprezza, anche se in realtà, dentro di sé, scoppiava di gioia sia per aver constatato che stavano tutti bene, sia per la vittoria appena riportata da Diana. -Tu faresti meglio a tacere, dato che se non fosse per Diana adesso potresti già essere stata bella che ammazzata!- le rispose Alex, fissandola in cagnesco. -Dai, non litigate!- provò a calmare le acque il capitano, anche se con scarso successo. -Iris ha ragione- fece Keyra con un sorriso; anche lei era felice che si fosse risolto tutto senza perdite per il loro fronte, nonostante il grave rischio che avevano corso. -Stiamo tutti bene, è questo quello che conta!-
Come se non stesse aspettando che quella frase, si udì un tonfo sordo di un corpo che si accasciava al suolo. La vedetta era a terra supina, gli occhi chiusi, e le cinque ferite infertele da Caleb poco prima erano in bella mostra in tutto il loro orrore. -Diana! No!- esclamò Shiro, precipitandosi per primo nella sua direzione. Gli altri lo seguirono con un po’ meno celerità, seppur tempestivamente: anche da una certa distanza, si poteva intuire che le condizioni della ragazza non fossero delle migliori.
Il rosso fu prontamente raggiunto da Mark, che non perse tempo prima di verificare il suo stato. Le sentì il polso, annuì, spostando la mano sul collo, e passò poi ad esaminare con attenzione i fori sull’addome. -È viva e sicuramente esausta, ma è discretamente grave- pronunciò dunque il suo verdetto. -E allora che aspettiamo, portiamola in città! Non vorrai mica che tiri le cuoia qui e ora, no?- gridò il giovane scienziato, afferrandolo per un braccio. Tutti lo guardarono vagamente stupiti: aveva conosciuto la loro compagna appena quel mattino, ma sembrava già tenere molto a lei. Comunque, il medico gli poggiò a sua volta una mano sulla spalla, per tranquillizzarlo. -Certo che no, altrimenti chi mi accetterebbe mai come dottore?- domandò, sorridendogli di sbieco.


 
 
La ciurma trascorse circa una settimana su Kaze. I ricercatori, riaccompagnato il gruppo in città, avevano spiegato per filo e per segno a tutti quello che era accaduto, ovvero come quei pirati li avessero difesi e liberati dalla condizione di lavoro sotto minaccia che gli era stata imposta per anni. Inutile dire che l’accoglienza era stata da eroi, e la popolazione aveva insistito per offrire loro ospitalità per rifocillarsi prima di ripartire.
Caleb e i Marine superstiti erano stati posti sotto stretta sorveglianza, anche se il primo non avrebbe più rappresentato un problema. La paralisi inflittagli da Diana (una mossa di sua invenzione che aveva ribattezzato il “tocco dell’angelo”, perché nonostante gli effetti a lungo termine sul momento non causava alcun dolore) non lo aveva neutralizzato solo fisicamente, ma lo aveva anche devastato psicologicamente. Si era sempre reputato invincibile, superiore a tutte le parti e per questo giustificato in ogni sua azione e scelta, ma ora non contava più nulla; era diventato solo un inerte pupazzo nelle mani dei suoi custodi, che comunque non lo perdevano di vista un solo istante.
Riguardo, Diana, invece, si riprese abbastanza in fretta, nonostante le lesioni causatele dallo scontro l’avessero messa in serio pericolo; tuttavia, come non aveva mancato di far notare ai medici che si erano occupati di lei (Mark compreso) al suo risveglio, aveva la pelle dura, e ci voleva ben altro per farla fuori.
Il fatto curioso, ebbe modo di riflettere mentre era in convalescenza, era che a Kaze si era verificata esattamente la stessa situazione di Adarin, seppur con un epilogo molto diverso. Ancora una volta, un gruppo di fuorilegge si erano schierati a favore di gente oppressa da persone incapaci di guardare oltre i propri affari economici e intenti bellicosi. E ancora una volta, il concetto di giustizia veniva messo in dubbio. Chi era il vero bandito, il pirata ricercato dalla Marina ma in grado di dimostrare un estremo valore morale, o il governo, che dichiarava di impegnarsi a mantenere la pace e poi sfruttava senza curarsi del male che provocava alle persone? A domande come quelle non si poteva rispondere univocamente; in questo caso, ovviamente, la soluzione era abbastanza ovvia.
La sera prima della partenza, i cittadini vollero tenere una festa in onore dei loro salvatori, in un ulteriore segno di gratitudine nei loro confronti. Per tutta la notte ci fu da mangiare e da bere a volontà, e vennero organizzati spettacoli con lanterne e aquiloni luminosi, che rischiararono a giorno il cielo sotto gli occhi stupiti di tutti.
Fu triste lasciar ripartire la ciurma, ma da parte degli abitanti c’era anche la consapevolezza che quella era l’unica alternativa possibile. Quando salparono, al porto a salutarli si era radunata praticamente tutta la città.



 
-Dici che se la caveranno?- Diana alzò interrogativamente un sopracciglio in direzione di Keyra. -In che senso?- le chiese Mirage, inclinando la testa di lato. La bionda si mordicchiò il labbro, esprimendo ad alta voce i suoi dubbi riguardo la questione che le era saltata alla mente un attimo prima. -Dopo quello che è successo, dubito che il governo stanzierà ancora fondi per i ricercatori di Kaze. Dite che riusciranno lo stesso a proseguire coi loro esperimenti?- -Sicuramente- rispose la vedetta, pulendosi gli occhiali nella camicia. -Shiro mi ha detto che in parallelo con la produzione di armi sono riusciti anche ad ottenere dei risultati in campo energetico. Avete presente quelle sfere con il tornado all’interno? Bene, stanno sviluppando una macchina che permette di sfruttare il processo inverso a quello di inglobamento per ricavare energia pulita- -Sono sicura che sarà un successo assoluto!- commentò la tigre, con gli occhi che brillavano di entusiasmo. Quegli scienziati erano veramente in gamba, e ora che non dovevano più sottostare alle imposizioni militari non c’erano limiti a ciò che avrebbero potuto realizzare.
-A proposito di Shiro…- si intromise Kaith, che passava in quella dietro di loro. -Diana, non credi di averci tenuto nascosto qualcosa?- La sua espressione ammiccante non prometteva nulla di buono. La diretta interessata lo fissò socchiudendo gli occhi minacciosamente, sperando di aver capito male dove volesse andare a parare. -Spiegati meglio- lo incoraggiò. -Non ha tutti i torti, però- considerò la cuoca. -In effetti voi due avete legato in fretta…-
Ed era vero. Durante il periodo in cui Diana era stata in cura, non era passato minuto senza che il ricercatore non girasse in cerca di informazioni circa il suo stato di salute, e anche dopo che si era ripresa, aveva speso parecchio tempo assieme a lei. Per tutta risposta la ragazza arrossì vistosamente, sentendosi nel contempo un’idiota. Aprì la bocca per ribattere, ma purtroppo per lei il carpentiere di bordo la anticipò. -Aspetta, so già cosa stai per dire: “no, state tranquilli, siamo solo amici”, ho ragione?-
-Precisamente- fece lei, mentre il suo colore non accennava a spegnersi. -Anche se credo che lui si sia preso una bella cotta, nonostante tutti i miei tentativi di scoraggiarlo- si affrettò a precisare. -Sì, certo, scoraggiarlo, come no… Ma se vi stavate mangiando vivi con lo sguardo! Valle a raccontare a qualcun altro queste stupidaggini, Dia, non puoi mentirmi e lo sai!- la schernì nuovamente lui. -Eddai, Kaith, da tutto il tempo che ci conosciamo dovresti averlo capito che i ragazzi non sono il mio interesse primario!- sbottò allora la mora, scostando il ciuffo che le era ricaduto sull’occhio come sempre quando si infervorava. A quanto pare, però, aveva scelto male le parole e la frase era risultata ambigua (almeno per uno con la prontezza di spirito del compagno), come si accorse nell’istante immediatamente successivo. -Oh, giusto. Dimenticavo che i ragazzi non sono il tuo genere- commentò, mentre un ghigno si faceva strada sul suo volto. -È evidente che preferisci le ragazze-
A quel punto non ce la fece più. -Scemo! Lo sai anche tu che non è vero!- gli gridò, cercando di tirargli un pugno e iniziando a rincorrerlo per fargli rimangiare quelle insinuazioni a suon di cazzotti. E così, mentre i due litigavano bonariamente e tutti gli altri se la ridevano alle loro spalle, la Blue Stormrider veleggiava placida verso l’orizzonte, conducendo la ciurma verso la loro prossima, grande avventura.




Angolo dell'autrice


his is the end... My only friend, the end...

Eh sì, cari miei, tutte le cose belle finiscono, e a maggior ragione quelle brutte! (No, dai, spero che la storia non rientri in queste XD)
Mi spiego meglio: la saga è finita, e dato che già per scrivere questo capitolo ci ho messo un po', in parte per motivi personali (principalmente esami, ferie e, ehm... ancora esami, my bad ^-^") e in parte per mancanza di ispirazione, ho deciso di sospendere la storia a tempo indeterminato. Questo non significa che abbia intenzione di lasciarla incompiuta; vuol dire soltanto che mi prendo una pausa riflessiva. "Ma come, Swan, avevi detto che saresti ritornata..." E infatti sono tornata, ma piuttosto che scrivere capitoli a caso e male, preferisco ritirarmi per un po' in attesa che l'ispirazione ritorni. Spero la cosa non vi deluda troppo, ma io mi considero quel genere di persona che le cose o le fa bene, o non le fa e basta, e la scrittura non fa eccezione. In ogni caso, sappiate che mi dispiace, ma vi prometto solo questo: tornerò. Non so quando, ma tornerò, e quando lo farò, vi avvertirò, e spero anche che tutti vi ritroverò (scusate, non ho resistito al richiamo della rima).
Nel capitolo ho cercato di chiarire un pochino alcune situazioni "oscure", come quella della sirena (alzi la mano chi si aspettava che fosse Ellesmere... non troppi, mi raccomando :D) e quella dell'"incidente" che ha coinvolto i genitori di Diana. In ogni caso, Caleb ha avuto quello che si meritava; non mi sembrava il caso di ucciderlo, un po' perche sarebbe stato OOC per Diana farlo fuori, un po' perché il mio sadismo ha avuto la meglio, e quindi via alla paralisi!
Concludo dunque augurando a tutti una buona estate e una buona continuazione; quando tornerò, spero sarete ancora lì a leggere, e che l'attesa non vi faccia passare la voglia (anche se ne avreste tutto il diritto, e non avrete il mio biasimo, nel caso). Un abbraccio a tutti,

Swan

 
  
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